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Autore: _Woodhouse_    28/08/2014    5 recensioni
❝Lo osservò dormire, sfiorando di tanto in tanto le linee insidiose delle sue costole, incastrata negli occhi di un altro, nel ricordo del suo respiro, affogata, vittima masochista del piacere che le procurava il ricordo della tensione che si librava fra i loro corpi e della complicità che aveva avvertito, mentendo insieme a lui, due volte e senza ragioni.❞
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 9.

 
 
Le prime ore di quel venerdì mattina giunsero sbiadite da un sole più cocente dell’ordinario.
Robb rassicurò Josephine spiegandole che nei pressi del lago avrebbero certamente trovato un’atmosfera più mite, vuoi per la consistente presenza di abeti ed ippocastani, vuoi per il venticello tiepido che soleva accarezzare la superficie del lago.
L’unico fastidio possibile, le disse, sarebbe stata forse un po’ d’umidità.
Josephine e Robb si trovavano ai margini del vialetto, con ceste e zaini già sistemati nel bagagliaio del fuori strada, non restò loro altro che attendere l’arrivo di Tracy, Spencer e dei Cohen. Robb indossava un paio di occhiali da sole, una maglia larga di un verde militare sbiadito, la sua consueta collana di legno e dei bermuda beige abbinati ad un paio converse, dello stesso colore ma più annerite. Jo, seduta sul muretto adiacente al cancello della casa, osservava il cielo, fasciata da un vestitino color pesca che – come la maggior parte di quelli che usava indossare – le comprimeva la vita per poi ricaderle largo sui fianchi. Aveva raccolto i lunghi capelli castani in una treccia, ma alcuni boccoli ostinati traboccavano fuori dai legamenti, così come il ciuffo che di solito le ricadeva sul viso coprendole l’occhio destro cercava di ribellarsi alla presa di una forcina assai inutile.
Robb la osservava da sotto le lenti scure, mentre lei fissava un punto nel vuoto.
Era sicuro che da un paio di giorni ci fosse qualcosa di diverso in lei, ma non riusciva a capirne il motivo. Forse il sesso dell’ultima volta l’aveva sconvolta. O forse era entrata in uno di quei suoi periodi oscuri, uno di quei periodi dal quale non riusciva mai a tirarla fuori senza doverci litigare.
Robb optò per l’opzione “postumi di un sesso fantastico”. Robb optava sempre per le soluzioni che più gli facevano comodo e in un certo senso si contentava di esser cieco di fronte alle brutture: ciò gli consentiva di sopportare le paure insidiose che minacciavano spesso di soffocarlo. Se da un lato questo atteggiamento gli permetteva di vivere con una buona dose di spensieratezza, dall’altro faceva di lui un uomo molto ingenuo.
E mai come in quel momento lo si sarebbe potuto reputare tale, mai come in quella sua fanciullesca idea di aver sconvolto Josephine facendole dono di una straordinaria notte d’amore.
Robb non era mai stato più lontano dai suoi pensieri.
 
Con una fetta di ritardo non indifferente spuntò dalla curva del viale la Jeep dei Cohen.
Dal suo interno vennero fuori anche Tracy e Spencer. Entrambi trafelati, gli corsero incontro. Lei, nonostante sfiorasse a fatica il metro e sessanta, era ancora la ragazza snella e prosperosa che tanto aveva fatto impazzire i ragazzi del liceo. I capelli che a quel tempo portava lunghissimi, adesso le incorniciavano il viso in un caschetto castano ed asimmetrico. Al fianco di Spencer, biondo e altissimo nella sua stazza dallo stampo americano, pareva ancora più bassa. Eppure insieme costituivano un duo capace di conquistare già dal primo momento.

– Draper! – gli urlò in un orecchio Tracy dopo esserglisi aggrappata alla schiena. Robb scoppiò a ridere.
– Tracy, dannazione, mi soffochi!
– E’ una cosa che le riesce decisamente bene. – Spencer spinse via Tracy e abbracciò Robb con una faccia talmente buffa che tutti risero.
–Ragazzi, mio Dio quanto mi siete mancati!
– Sei un cazzo di buffone vietnamita, Draper, – fece Spencer impegnato nel tentativo di strozzarlo.
– Possiamo salutarlo anche noi o volete monopolizzarlo? – La voce di Sierra Cohen, simile ad un miagolio stonato, s’impose facendo allontanare Spencer, il quale non perse occasione di burlarsi di lei inchinandosi teatralmente.
– Non farla incazzare, Spenk, –fece Roahd da dietro le spalle della sorella.
Sierra e Roahd, altissimi, slanciati e biondissimi, nonostante fossero gemelli, davano l’impressione di non somigliarsi affatto. I loro stili – di per sé – erano agli antipodi. Lei tanto colorata e trasandata da richiamare lo stile hippie, faceva sfoggio di un lungo strascico di capelli ricco di treccine.
Lui, più abbronzato e curato, aveva tutta l’aria di essere un tennista in vacanza. E in effetti lo era.
– Ragazzi, calma. Qui ce n’è per tutti. – Robb s’indicò privo di modestie e poi strinse in un abbraccio entrambi i fratelli. Sierra gli strizzò i capelli col suo solito modo mastino – troppo per una ragazza esile come lei - mentre Roahd si preoccupava di dirgli qualcosa di estremamente volgare all’orecchio. Josephine rimase immobile di fronte a quell’accorato scambio di saluti e abbracci.
Sorrise debolmente, attenta a non far trapelare l’imbarazzo che le procurava trovarsi in mezzo a tanta gente nuova.
 
– Tu devi essere Josephine! – Spencer, incapace di smentirsi, la inchiodò indicandola con un dito.
– Spenk! – Robb gli schiacciò la testa sotto un palmo. – Non aggredirla così!
– Io- io volevo solo salutarla.
– Sei sempre il solito, – Tracy scosse la testa con fare rassegnato. – Robb, sveglia su! Presentacela!
Robb si massaggiò la nuca con fare imbarazzato, poi cinse i fianchi di Josephine e le schioccò un bacio rumoroso sulla tempia.

– Beh, lei è la mia Josephine. E loro, be’, credo tu abbia capito chi sono.
Jo lo linciò con uno sguardo veloce e rivolse a tutti un cenno di saluto agitando la mano.
– Robb ha proprio rotto coi racconti su di te, lo sai vero? – Sierra le agguantò subito un braccio, mentre Tracy le si agganciò all’altro. – Non devi per forza stare con lui, te lo hanno mai detto? – fece quest’ultima con aria da pettegola.
– Hey, voi due! – urlò loro contro Robb.
– Lasciatelo urlare. Odia sentir parlare male di lui. A volte mi chiedo come faccio a contenere tutto quell’ego smisurato. – Jo si rivolse alle due ragazze con aria quasi cospiratoria.

Il peggio era passato. Josephine si rilassò notevolmente.
Dopo pochi istanti montarono tutti in auto.
 

 

 ***


 
L’aria qui è proprio come la descrivono. Sembra di rigenerarsi ad ogni respiro.
Sono sdraiata sulla riva del lago e ci ho anche affondato i piedi dentro.
La sensazione è straordinaria e l’acqua fredda ristabilisce l’equilibrio termico del mio corpo provato dal viaggio afoso.
Sto bene.
Robb e gli altri sgranocchiano qualcosa all’ombra di un albero a qualche metro da me. Li sento ridere forte e questo mi mette di buon umore. Questa giornata al lago, ad ogni modo, non trascorre come avevo immaginato e credo sia semplicemente perché quando l’ho immaginata non era ancora successa quella cosa lì. Non riesco nemmeno a definirla in termini, tanto mi ripugna.
Da quando quella cosa lì è capitata non riesco a togliermi dalla testa James e quei maledetti occhi che si ritrova.
Come può un uomo essere tanto fastidioso e conturbante allo stesso tempo?
Conturbante al punto di confondermi e ammutolirmi mezza nuda in un corridoio.
Il fatto è che non so spiegarlo, quel momento. E che fosse un momento l’ho realizzato soltanto la mattina dopo, perché io ero strenuamente convinta che in mezzo ci si fosse infilata un’abbondante parata di minuti. E invece, invece non è stato che un battito di ciglia.

“Josephine.”
“James.”

Tutto qui.

Eppure come faccio a comportarmi come se niente fosse con Robb?
Come faccio a togliermi dalla testa quella mascella contratta in quel modo così, così?
Come faccio a dimenticare la voglia che avevo di toccargli il petto?
Non riesco a distrarmi e questo perché mi sento in colpa. Insomma, non si dovrebbe mai voler toccare il petto del fratello del proprio uomo.
Ingiustificabile.
Scorretto.
Eppure.
 
“…Mr. Jamie…”
Spencer lo ha appena nominato ed improvvisamente il mio udito si sensibilizza.
Perché gli ha dato quest’appellativo?
“E’ tanto che non lo si vede”
“Lavora un casino”
Non riesco a sentire cosa risponde Spencer, la sua voce è un farfuglio.
Io non lo vedo da anni” La voce di Sierra mi raggiunge squillante.
“Come cazzo hai fatto a non vederlo?” Spenk ha alzato i toni di diverse spanne, è incredulo.
“Smettila di dire “cazzo”.”
“Ricordo che è un gran figo, questo sì. Va meglio?”
“ Che è mezzo sociopatico te lo ricordi pure?”
“Spenk!” Tracy lo ammonisce in un trillo.
“Che cazzo ho detto?”
“Non dire caz-“
“Tranquilla, Tracy. Sono anni che glielo sento ripetere.”
“Cazzo?” La domanda sonora di Spencer mi fa sorridere.
“Vuoi smetterl-“
“Che Mr. Jamie è sociopatico.” Roahd sembra esasperato.
Be’, ma è vero.”
“Un sociopatico scopa quanto lui di solito?” Roahd, improvvisamente, si accoda ai toni goliardici di Spencer.
“Mio fratello no-“
“E’ un sociopatico a cui piace divertirsi, se capisci che intendo. ” Spenk sembra aver appena svelato il segreto dei templari.
“Se è ancora come lo ricordo, chi se ne frega se è psicopatico.”
“SOCIOP-“  Ancora una volta sento la voce di Robb fallire nel suo intento.
Sierra, sta’ buona tu!”
“Non fare il fratello geloso.”
“Certe cose non puoi dirle davanti a me. Tipo dire che vuoi farti qualcuno.”
“Non l’ho detto!”
“L’hai sottinteso, però.”
“Chissà dov’è finita quella Sierra timida che conoscevo…” La voce di Spenk è una litania.
“Siete degli idioti.” Tracy si è rassegnata e la sua voce adesso li canzona giocosamente.

“Avete finalmente finito di sproloquiare su mio fratello?”
“Perché non gli hai detto di venire?”  Sierra sembra colta da un’illuminazione.
“Gliel’ho chiesto ieri al telefono. Ma a quanto pare oggi ha da fare.”
“Starà scopando.”
“Spe-“
“Sicuro.” sentenzia Roahd.

Sono divertenti, ma non riesco a riderne, perché quella che adesso mi stritola le viscere è una morsa a cui mi rifiuto di dare un nome.

 

***


Non poi così lontano da quella gita al lago, James rientrò al suo appartamento dopo esserci concesso una corsa anti-stress intorno all'isolato. Quando aprì la porta di casa, non si curò nemmeno di accendere la luce: aveva soltanto voglia di gettarsi sul letto, senza nemmeno preoccuparsi di lavarsi ed eliminare via il sudore che gli imperlava i tratti del viso, il petto e la schiena, che sentiva fastidiosamente umida contro la t-shirt grigia ormai completamente zuppa.
Lottò contro la stanchezza e quasi si costrinse a spogliarsi. Lo fece un po’ per tutta casa, con movimenti fiacchi, il volto contratto, gli occhi fissi verso il bagno. Si muoveva come un automa, perché in realtà era come se non stesse veramente governando i suoi movimenti, o almeno non razionalmente. In quegli istanti - come anche duranti quelli del corsa e quelli della notte prima e del giorno prima ancora – la sua mente era intrappolata e annichilita dal pensiero più orrido che gli fosse mai capitato di partorire. Da quando aveva incrociato Josephine sul pianerottolo di casa dei suoi, James era passato per varie tappe di pensiero. Prima c’era stata la negazione, la negazione del fatto che quel momento fosse realmente esistito. La seconda tappa fu pensare di esserselo immaginato, di essersi immaginato quell’alchimia di sguardi, di essersela immaginata diversa, un’altra donna, una donna che non fosse lei, comparsa lì per il suo piacere, per il suo unico piacere.
La terza dolorosa fase fu quella dell’accettazione, sebbene parzialmente deformata da tentativi blandi di rimozione. Tuttavia, la consapevolezza s’impose, tanto nauseante, pungente ed intrisa del fatto che quel momento era esistito a tal punto da renderlo cieco, intrappolato,sconvolto. Ad ogni modo, la terza fase – l’accettazione – aveva subito una sublimazione ed era sconfinata – senza che lui lo avesse consciamente desiderato -nella smania di replicare quell’attimo; rivoleva quella scossa, quella connessione sfiancante.
Forse rivederla avrebbe distrutto quel momento e lo avrebbe cancellato dalla sua mente, restituendogli la lucidità che gli sembrava di aver perduto, poiché gli era impossibile pensarsi razionalmente vigile quando sapeva di essersi più volte lasciato troppo andare con l’immaginazione; un’immaginazione tanto crudele e impietosa da fargli anche solo pensare alla possibilità di toccarla, di toccare Josephine. Di toccare la ragazza di suo fratello.
Sotto lo scroscio dell’acqua bollente, si convinse di aver sbagliato ad evitarla e quindi ad aver declinato l’invito di Robb. Ma quando questi l’aveva chiamato, l’allarme e l’urgenza di allontanare quella smania gli fecero proferire un “no” secco, senza ammissioni di replica.
Aveva mentito a Robb, propinandogli la scusa ridicola di aver affari da sbrigare, quando invece quel giorno sarebbe rimasto a dormire fino a tardi. Ma cos’altro avrebbe potuto dirgli?
Non ho intenzione di guardare negli occhi la tua fidanzata perché ho paura di esserne attratto? Perché ho desiderato toccarla? Perché ho immaginato di aggrapparmi con le dita ai suoi fianchi?
La sola idea di quella possibilità lo fece rabbrividire, così come il timore di doverla rivedere e non sapersi gestire. Cercava di rassicurarsi considerando la possibilità che la mente si stesse prendendo gioco di lui, facendo leva su quel piccolo momento di intesa che avevano condiviso unicamente per tormentarlo. Probabilmente, rivedendola, non avrebbe sentito nulla che non fosse la solita avversione nei suoi confronti. Tuttavia, per scoprirlo, sapeva di dover correre il rischio di affrontarla.
Solo, sperò che quando fosse successo, lei avrebbe avuto indosso qualcosa di più che un lenzuolo.
Un lenzuolo che adesso, a ripensarci, a ripensare al modo in cui le avvolgeva il corpo, gli fece contrarre i muscoli del basso ventre. Strinse le mani a mo’ di pugno e ne scagliò uno contro la parete del box doccia. Dovette inspirare più volte per trattenersi anche solo dal pensare all’eventualità di scoprirla da qualsiasi stoffa gli impedisse di vederla nuda, offerta a lui.
Poteva sentirsi più malsano e viscido? No. Perché nemmeno nelle sue brame più cariche di lussuria, si era spinto fino a tanto, fino all’impossibile, all’intoccabile. Aveva desiderato molte donne e senza troppi raggiri le aveva ottenute. Quando un desiderio gli s’insinuava in corpo, James non considerava nemmeno lontanamente l’idea di non saziarlo. Per lui, abituato ad ottenere qualsiasi cosa volesse, conquistare una donna non aveva mai costituito un problema. Era capace di una disturbante persuasione subdola, che gli permetteva di ottenere il massimo con il minimo sforzo.
Non era abituato a doversi preoccupare di debellare una voglia che minacciava di sbocciare.
Men che meno avrebbe mai immaginato che questa voglia gli venisse suscitata dall’insignificante fidanzata di Robb.
 
 
***
 
Non sapeva come giustificare quel suo atteggiamento, quella sua scelta avventata, priva di senso, che lo aveva spinto a mettersi in macchina e sfrecciare verso casa dei suoi genitori.
Varcata la soglia d’ingresso, capì di non volersi più tirare indietro. I genitori, come ogni venerdì pomeriggio, erano al circolo, quindi non si sorprese nel trovare la casa completamente assorbita dal silenzio. Decise che li avrebbe aspettati lì, suo fratello e lei. Evitarli era la cosa più stupida che gli fosse mai saltata in mente: quell’assurda idea di desiderare un contatto con lei non era altro che un’assurda idea. Doveva soltanto convincersi di quanto illusoria fosse quella sensazione, e per farlo doveva porsi faccia a faccia col presunto problema.
Percorse i corridoi della casa a grandi falcate prima di dirigersi speditamente verso le scale a chiocciola che lo condussero al piano sotterraneo, dove era situata la biblioteca, il solo posto che durante tutta l’infanzia aveva costituito una piccola isola che non c’è, il rifugio perfetto per contenere le aspirazioni e i desideri di un bambino troppo taciturno perché lo si potesse in alcun modo convincere a giocare coi coetanei del vicinato.
Quando giunse in biblioteca, controllato che niente fosse fuori posto, si lasciò andare sulla sua poltrona preferita, quella che ultimamente anche gli intrusi pretendevano di poter occupare, come se ci potesse appropriare delle cose altrui, così, senza permesso, senza indugi.
Affondò le dita sulla stoffa vellutata dei braccioli della poltrona come a tentare di trattenere quell’impeto di irritazione che lo percosse ripensando a Josephine che più volte in quei giorni si era presa la sfacciata libertà di occupare i suoi spazi, di toccare e tenere in mano per ore libri che in quella casa solo lui aveva toccato. Eppure, quando gli attraversò la mente l’immagine del libro di Neruda tra le mani e le unghie lunghe di Jospehine, si sentì scosso da una specie di scarica elettrica, da un nervosismo tale da fargli contrarre mascelle e pugni e da farlo sollevare dalla poltrona solo per raggiungere quegli scaffali e prendere in mano quel libro maledetto. Non seppe negare a quella copertina il solito sguardo di frustrazione e risentimento, perché per quanto lo amasse, per quanto sentisse che in certo qual modo quei versi avrebbero potuto appartenergli, quel libro non cessava di ricordargli l’unica donna che avesse mai amato, non cessava di essere un suo regalo né di rappresentare l’emblema materiale della loro fine. Di una fine che avevano sempre considerata inevitabile ma che non per questo si era rivelata meno dolorosa.
Il ricordo di lei, ad ogni modo, svanì dopo pochi istanti. Era passato molto tempo. Erano passate molte donne.
James cominciò a sfogliare con foga quelle pagine, spinto dalla smani di trovare la poesia a cui aveva pensato in quegli ultimi giorni, quella poesia che non riusciva a ricordare, ma di cui lo assillavano i versi.E poi eccola, non gli servì leggerla meglio per capire che fosse quella che cercava.
Doveva sottolinearne dei versi per non perdere quei frammenti di se stesso che sentiva di aver rischiato di perdere negli ultimi giorni, da quando la mente aveva deciso di farcirgli i pensieri di immagini indecenti, meschine.
Eppure quei versi parlavano di Josephine. Erano Josephine. E non quella che era sicuro di mal sopportare, ma quella che una notte aveva incontrato al chiaro di luna, bellissima e lugubre nel suo incanto.

XVI
Amo il pezzo di terra che tu sei,
perché delle praterie planetarie
altra stella non ho. Tu ripeti
la moltiplicazione dell’universo.

I tuo grandi occhi  son la luce che posseggo
Delle costellazioni sconfitte,
la tua pelle palpita come le strade
che percorre la meteora nella pioggia.


Di tanta luna furon per me i tuoi fianchi,
 
di tutto il sole la tua bocca profonda e la sua delizia,
di tanta luce ardente come miele nell’ombra


il tuo cuore arso da lunghi raggi rossi,
e così percorro il fuoco della tua forma baciandoti,
piccola e planetaria, colomba e geografia.


James si stupì di non aver mai preso seriamente in considerazione quei versi, i quali adesso gli parevano immensamente vivi, fatti di carne.
Sottolineò quelle parole come se fosse ipnotizzato dal ricordo che gli suscitavano. In quel momento, la sua lucidità malsana lo investì di suggerimenti che mai in altre circostanze avrebbe considerato tanto pericolosi. Ma questi lo erano nella maniera più infima e lui non poté che scagliarsi addosso il suo stesso rimprovero, il suo stesso giudizio perentorio. Tuttavia, gli fu immediatamente chiaro che c’era una parte di lui a cui non poteva intimare di tacere, un parte di lui che mai avrebbe pensato di dover biasimare. Il riguardo e la morale andarono a farsi benedire nel momento stesso in cui decise di chiudere il libro solo dopo aver inserito tra i fogli la matita con cui aveva sottolineato quei versi. Si augurò insanamente che arrivassero agli occhi di Josephine, permettendole così di leggervi un messaggio che lei sola - se davvero quel momento era significato la stessa cosa per entrambi – avrebbe potuto raccogliere, interpretare.
Combattuto in una maniera che faticava a comprendere, lasciò cadere il libro sul tavolino vicino la poltrona. Forse lei avrebbe capito, forse no.
In ogni caso avrebbe avuto le sue risposte, in un modo o nell’altro. Oppure, si sarebbe presto accorto di non volerle, semplicemente perché non interessato. Non fece in tempo ad accostarsi alla finestra che dava sulla serra, che sentì chiaramente la voce di Robb vibrare dal piano superiore.


 
 
 
– Jamie deve essere qui.
Robb le indicò la mercedes parcheggiata sul vialetto e inspiegabilmente Jo si ritrovò a pregare che si trattasse di un’allucinazione, purché non significasse che lui era lì. Si sentiva una stupida perché non riusciva a trovare un motivo abbastanza valido per cui avrebbe dovuto rifuggirlo o soltanto evitarlo o addirittura averne timore. Si sentiva una stupida perché aveva passato il pomeriggio a covare un fastidio irrazionale ogni volta che qualcuno lo nominava o anche soltanto accennava al fatto che in quel momento lui si stesse intrattenendo in un rapporto sessuale con chissà chi.
Il fastidio si era poi dissolto tra le maglie della curiosità, una curiosità che adesso la attanagliava, tanto era lo sciocco bisogno di sapere se esistesse davvero la possibilità che lui avesse trascorso la giornata a letto con una donna.
Eppure non avrebbe dovuto interessarle l'uso che James faceva della sua vita. Lui, per Jo, non era nient’altro che un uomo scostante e disturbante che aveva la fortuna di essere il fratello del suo Robb. Quel che faceva della sua vita non era affar suo in nessun modo.
Ma adesso che se lo trovava improvvisamente davanti, la rabbia insensata di qualche ora prima tornò ad incendiarle il petto. Lo guardò cercando nei suoi occhi tracce di passione consumata, appagamento o qualsiasi altro indizio fungesse d’ammissione.

– Pensavo non stareste tornati prima di stasera.
Nel tono della sua voce c’era qualcosa che assomigliava al suono di una lama appena sguainata dal fodero. James aveva i capelli scarmigliati, la barba molto più folta dell’ultima volta, ma curata, dai contorni ben definiti. Indossava dei vestiti che Jo credeva non usasse mai, sebbene fosse sciocco da parte sua pensare che un uomo che usasse indossare camicie e pantaloni laminati non potesse altresì trovarsi a proprio agio con una t-shirt e un paio di jeans.
Era sciocco pensarlo, ma vederlo in quel modo la stupì comunque. Le sembrò quasi un suo coetaneo, un ragazzo in t-shirt del tutto innocuo. Tuttavia, il suo sguardo duro e spigoloso come ogni altra cosa del suo viso, le ricordavano chiaramente che quello che aveva davanti non era un semplice ragazzo, ma un uomo psicologicamente impegnativo. Non la guardava e Jo non riusciva a capirne il motivo, né capiva perché fosse tanto desiderosa che lo facesse.

– Non ci eravamo attrezzati per la sera. Era meglio tornare a casa. E poi Jo era stanca.
Nonostante Robb l'avesse appena marcatamente nominata ed indicata, James ci mise qualche secondo prima di voltarsi a guadarla. Per un istante infinitesimale Jo ebbe come la sensazione che i loro sguardi stessero per agganciarsi come quella notte, ma si rese subito conto che il suo sguardo era denso del solito sprezzante sarcasmo. James aveva le labbra dischiuse, mentre continuava ad osservarla con un sopracciglio sollevato. Si sarebbe detta completamente rinsavita dal proprio stato confusionale nei confronti di James, se oltre al solito disappunto, se oltre al solito fastidio che provava al cospetto della sua aria superba e deliberatamente derisoria, non avesse nitidamente avvertito le contrazioni del proprio stomaco come un chiaro ed angoscioso allarme.
– Ti sei ustionata una spalla. – La avvertì senza nascondere quello che sembrava del sano disgusto.
– Succede. – Voleva spegnere la scintilla sadica che James aveva così radicata in quegli occhi devastanti.
– Succede a chi è sprovveduto.
– Non sono una sprovveduta e non credo che una scottatura mi ucciderà. Ma grazie.

Josephine si accostò a Robb senza meditarlo, naturalmente.

– Non riesci proprio a ridere di niente, – constatò l'altro con rassegnazione, avvicinandosi a lei e Robb.
– E con questo che vorresti dire? – Sollevò il mento per evitare che lui pensasse di poterla sovrastare fisicamente oltre che dialetticamente.
– Sei talmente noiosa.
Non sembrò nemmeno pensare a quello che le aveva detto e fece semplicemente convergere tutte le sue attenzioni su Robb, il quale lo guardò rassegnato senza risparmargli un’occhiata tesa a fargli capire di smetterla di parlarle in quel modo.
– Vado a fare una doccia, – disse Robb, scuotendo la testa.
Jo, con disappunto, si chiese se Robb non riuscisse davvero a vedere niente di sbagliato nel modo in cui suo fratello la trattava.

– Sali con me? – Le propose mentre si avvicina alla balaustra.
– Dammi un istante. Ho sete.
Robb fece spallucce e dopo qualche istante sparì dalla sua visuale. James fece per allontanarsi da lei, probabilemente senza capire che Jo aveva creato quel momento per parlargli, per riversargli addosso parte di ciò che aveva trattenuto per non mettere a disagio Robb.
 
– Dove te ne vai? – gli chiese senza riuscire a credere all’effettiva arroganza del proprio tono. Lui non si voltò nemmeno, si bloccò sul posto e infilò le mani nelle tasche dei jeans.
– Cosa vuoi? 
A seguito di un movimento estremamente impercettibile, Jo si ritrovò lo sguardo di lui addosso. Aveva l’aria indisponente ed era evidentemente pronto a mordere.
– Voglio che tu la smetta. – La voce di Jo era bassa, incisiva.
– Di fare cosa? 
Il  finto disorientamento di lui contribuì a renderla un cumulo di nervi; in ogni caso cercò di non manifestarlo.

– Di trattarmi come se fossi una scolaretta che puoi scegliere di sopraffare per il tuo solo divertimento.
– Mio dio, – la provocò, deciso a farla sentire ridicola.
– Stammi a sentire, James. Non so che idea tu abbia di me e sinceramente non mi interessa. Ma io ho ventitré anni e non sono una stupida, quindi non intendo lasciar credere ad un borioso del tuo calibro di potersi permettere tante libertà. La tua supponenza e la tua arroganza usale con le donne che ti porti a letto.

Non poteva davvero averlo detto e probabilmente nemmeno lui riusciva a crederci. Gli occhi di James si fecero neri di rabbia, mentre le si avvicinava con un fare a tal punto minaccioso che per un attimo Jo sentì l’istinto di indietreggiare, ma si sforzò di non assecondarlo.
James era ad uno soffio dal suo viso e per la prima volta Jo percepì tutta l’intensità del suo odore. Un odore forte di bagnoschiuma e profumo misti insieme.
Un odore che le attraversò le narici e le stritolò lo stomaco. Prese fiato, impegnandosi a ricambiare il suo sguardo intenso e severo con uno privo di indizi, granitico. Voleva che la temesse, non che pensasse di poterla schiacciare.

– Voglio che tu capisca bene una cosa, Josephine. – Lo vide deglutire prima di posarle una mano sulla spalla. Sembrava un gesto gentile, ma lei sapeva per certo che non lo era.
– Io con te sto cercando di trattenermi.
Era vicinissimo: il suo alito le sfiorò l’orecchio sinistro, il suo profumo era un pugno alla bocca dello stomaco.
– E se lo sto facendo  è perché mio fratello,  per qualche incredibile ragione, ti ama. – La sua voce era bassissima, roca, accattivante, ma il tono in cui aveva sibilato quelle parole possedeva un che di meschino. Quasi sadico.
– Non mi piaci per niente. Sei spenta e oscura in un modo che mi risulta insopportabile. Sono sicuro che Robb faccia soltanto finta di non accorgersene e chiunque potrebbe facilmente aprirgli gli occhi.
– Quel qualcuno saresti tu?
– In persona. – Tornò a guardarla negli occhi e i suoi occhi erano impietosi.
– Robb mi conosce meglio di quanto tu possa credere. Non pensare di poter esercitare alcun potere sui suoi sentimenti per me.
- Non fare quest’errore, Josephine.– Il suo era più un avvertimento, che un consiglio.
– Quale? Quello di sottovalutarti?
Jo voleva sfidare e sfilacciare la sua disgustosa presunzione.
- Quello di sottovalutare lui e sopravvalutare i suoi sentimenti per te.
– Tu credi di sapere tutto di tutti. E mi fai rabbia. – Nonostante le sue parole gli avessero reso i suoi veri sentimenti, quella con cui Jo si ostinva a proteggersi era un maschera di impenetrabile granito.
James sollevò ancora una volta un sopracciglio, ma stavolta nell’intento di palesare il proprio scetticismo. I loro sguardi continuarono a duellare senza sosta, gli occhi nelle orbite si dibattevano per evitare quella connessione che sembrava volersi ricostituire. Entrambi lo sentivano, era una sensazione semi-sconosciuta che entrambi temevano; che Jo temeva più di ogni altra cosa.
Chiuse gli occhi in uno scatto e, nell’istante in cui li riaprì, lui le aveva già voltato le spalle.
 
 
***

Quando giunse l’ ora di cena, Jospehine odiò l’idea di dover passare altro tempo con James. Sapeva che si sarebbe sentita esposta e non voleva dargli la soddisfazione di credere che temesse in qualche modo una sua intromissione tra lei e Robb. Voleva dimostrargli quanto ridicole fossero le sue non troppo velate minacce, e fargli capire che il rapporto che lei e Robb avevano costruito non era affatto vulnerabile come lui si ostinava a credere.
Si sedettero intorno al tavolo di mogano, evitando di proposito di guardarsi. Josephine era troppo arrabbiata con lui per riuscire a fronteggiare il suo sguardo, mentre James – contro ogni sua previsione – desiderava solo che il tempo si precipitasse così che sarebbe potuto andare via prima di cedere all’istinto di guardarla, prima che lei avesse potuto proferire anche solo una parola e prima che la sensazione dell’odore di lei nelle narici diventasse insopportabile.
Ad un certo punto della cena, Susan chiese a Robb e Josephine della loro giornata al lago; Robb raccontò allora degli ottimi stuzzichini di Sierra e di quanto fosse stato edificante ridere e giocare all’aria aperta come degli inguaribili liceali.
– Jamie si è perso una gran giornata, – fece Robb volendo risvegliare l’attenzione del fratello.
– Mi rifarò, sta’ tranquillo, – rispose James con un sorriso tiepido.
– Mi hanno chiesto tutti di te. Soprattutto Sierra. – Lo sguardo ammiccante di Robb provocò l’ilarità dei genitori, i quali cominciarono subito a guardare Jamie con aria complice.
– E’ come penso? – domandò Susan.
– Puoi giurarci, mamma. Ha fatto molti apprezzamenti su di lui. – Robb le fece l’occhiolino prima di rivolgersi direttamente a Jamie. – Potrei fare qualcosa se tu mi dicessi che t’interessa. E’ una gran bella ragazza, del resto.
Josephine trasalì. James gli scoccò un’occhiata seccata.

– Di chi accidenti stiamo parlando? – Una sfumatura di ironia gli colorò lo sguardo e Robb seppe di poter continuare.
– Sierra Cohen, dai! La sorella gemella di Roahd. Quella un po’ hippie, gambe mozzafi— Jo gli conficcò un gomito nelle costole. – gambe. Ha delle gambe, delle braccia. E se ho ben visto ha dei capelli.
– Spiritoso, – fece Jo guardandolo di sottecchi seppur evidentemente divertita.
– La ricordo vagamente. – James sovrastò la voce di Josephine, intento a non concederle spazio in quella conversazione. – Ma se mi dici che apprezza, farò uno sforzo per ricordarla meglio, specie le sue gambe. – Un sorriso impertinente gli distese le labbra.
– Lo sforzo vale la pena. – Lanciato il petardo, Robb posò immediatamente lo sguardo su Josephine per sorriderle sornione.
Lei a stento se ne accorse, e quantomeno fu in grado ricambiare il sorriso rivoltole con uno privo d’espressività. In realtà la sua attenzione si era dispersa nel momento stesso in cui aveva percepito nitidamente la provocazione di James. Quella puntualizzazione ridicola atta solo ad indispettirla.
Si sentì sul punto di lanciargli un’occhiataccia, ma si trattenne, poiché sapeva di non poter rischiare di incontrare i suoi occhi.
Non poteva rischiare semplicemente perché quello che sentiva in quel momento non le piacque. Non poteva guardarlo per il semplice motivo che in mezzo a tutto quello snervante conglomerato di irritazione che le si era piantato sul petto, sentiva chiaramente strisciare il serpente dell’attrazione.
Come accidenti aveva permesso che accadesse?
 
   
 
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