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Autore: Teyra Five    28/08/2014    16 recensioni
Lei è Clarissa Moore, una ragazza di diciannove anni.
Lui è Cameron Way, un ragazzo di ventidue anni.
Lei studia lingue all'università.
Lui studia psicologia.
Lei lavora in una biblioteca, ama leggere e scrivere.
Lui ama disegnare.
Lei è timida, ingenua.
Lui è freddo, diffidente.
Lei è insicura di se stessa, ha una bassa autostima, alcune volte quasi assente. Non ha mai avuto relazioni con i ragazzi.
Lui è consapevole del suo fascino, ma preferisce la solitudine.
Lei ha dei semplici occhi marroni che nascondono miliardi di sentimenti.
Lui ha gli occhi grigi, come le nuvole, e contengono un passato più scuro del nero.
Lei vuole aiutare lui.
Lui vuole aiutare lei.
Riuscirà Clarissa a far entrare un raggio di luce nel mondo buio di Cameron?
Riuscirà Cameron a creare un mondo perfetto che Clarissa ha sempre sognato?
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Capitolo 25
Darker than black

Non è amore.
L'aveva detto lui stesso che non era amore.
E' qualcos'altro.
In effetti, sì, su questo non mi ha mentito.
Ma fa paura.

Mi gira la testa. E' come se tutti quei disegni girassero attorno a me. Ho la sensazione di essere su una giostra, una di quelle pericolose, una di quelle che ti dà l'adrenalina non appena la guardi. Eppure un sentimento di autodifesa rimbomba ancora più forte di me.
Quali altri segreti ha Cameron? Cosa mi nasconde ancora?

Persa nei pensieri non sento nemmeno la sua voce.
Sussulto quando mi accorgo che è tornato a casa.
-Clary, sei in casa? -mi chiama salendo le scale.
Non rispondo.
Per un attimo la sua voce mi sembra gelida, come quella di un fantasma.
Il mio cuore smette di battere per qualche secondo. A passi pesanti scendo le scale del solaio. Apro la porta con una mano e subito incontro gli occhi grigi di Cameron, sorpresi ed inquietanti.
-C-c-che ci fai...lì? -balbetta fissando la mia mano sulla porta del solaio.
-Dobbiamo parlare -dico semplicemente.

Cam mi segue nella stanza. Mi siedo sul bordo del letto e abbasso lo sguardo sulle mie mani, sulla loro pelle secca e le unghie rovinate. Vorrei che fosse il mio unico problema.
-Perché...-mi schiarisco la voce- perché non mi hai detto la verità? -chiedo, ma non ho il coraggio di guardarlo in viso.
-Di che parli, Clarissa? -domanda dopo qualche secondo di esitazione. Lo guardo per una frazione del secondo e noto la confusione nei suoi occhi.
-Lo sai di cosa parlo...-sussurro. Mi sposto una ciocca di capelli dietro l'orecchio e fisso le gambe lunghe e magre di Cam. In un altro momento, avrei sicuramente fatto una serie di pensieri poco opportuni sulle sue parti del corpo.
-Non ti ho mai mentito -dice.
A quel punto mi alzo dal letto, veloce come un lampo, e mi avvicino a lui.
-Mai mentito?! -urlo con una voce strozzata- Non mi hai mai mentito? Stai mentendo pure adesso, Cameron! Perché non hai ammesso di essere stato al centro di salute mentale?!
Cam sbarra gli occhi e apre la bocca. Mi sembra di vederlo morire. Come se l'unico raggio di luce nei suoi occhi scuri e nuvolosi, sparisse in un secondo. Come se si spegnesse. Del tutto. Per sempre.
Noto il suo labbro inferiore tremare, e le mani pure.
Assomiglia ad una statua di cenere, se la tocchi con un solo dito o ci soffi soltanto, si rompe e non ne rimarrà più nulla.
La mia rabbia sparisce a quella vista. Se è vero quello che dice Damiano, ed è sicuramente vero, vuol dire che Cameron non è completamente guarito: il suo ''amico'', infatti, mi ha detto pure che Cam aveva pagato per uscire dall'ospedale.
Dovrei farci più attenzione.
-Chi te l'ha detto? -riesce a dire sussurrando.
-Te l'avevo pure chiesto, Cameron -lo guardo, delusa- se non te l'avessi chiesto, non mi sarei arrabbiata così tanto, perché dopotutto ci conosciamo da poco e non sei obbligato a raccontarmi delle cose così personali...ma...quando te l'avevo chiesto...-mi scende una lacrima lungo la guancia, ma la asciugo subito con la mano- mi avevi assicurato che non era così...perchè? Perché non mi hai detto come stavano le cose?
Cam abbassa lo sguardo. Le ciocche di capelli neri come la notte ricadono sulla fronte. I suoi occhi si spostano da un lato verso un altro un paio di volte, poi riprende a guardarmi in faccia.
-Non saresti rimasta con me -ammette.
-E secondo te...ora...rimango...? -mi sfugge la domanda.
Ed è come se l'avessi ucciso con quella domanda.
-Clarissa...-sussurra il mio nome avvicinandosi. Una strana paura sembra scoppiare nei suoi occhi, nel suo sguardo. Cerca di afferrarmi per la mano, ma mi allontano da lui andando a sbattere contro il muro.
-Cosa sono tutti quei dipinti, Cameron? -mormoro con il cuore in gola- E' questo quel sentimento di cui mi parlavi? Quel sentimento che non sapevi come chiamare? Lo so io come si chiama. Ossessione.
-Clary, non devi aver paura di me...-cerca di assicurarmi e deglutisce forte. Tenta di avvicinarsi di nuovo, ma io metto la mano sulla maniglia della porta.
Non posso più restare qui.
Per lo meno in questo momento. Voglio restare da sola. Voglio pensare. Voglio capire se ho bisogno di una relazione del genere. Voglio sapere se voglio stare con una persona non del tutto sana e che non prova la stessa cosa che provo io.
E quindi non posso rimanere con lui. Devo uscire. Almeno per qualche ora.
-Io...Clary, ti prego...-allunga la sua mano tremante verso di me.
Ma io apro la porta e scappo.
-Non puoi andartene! Hai promesso! -sento il suo urlo prima di lasciare la casa.

Mi stringo nel mio cardigan a righe nere e grige.
Ogni cosa mi ricorda Cameron.
Perfino questo cardigan.
Righe grige, come gli occhi di lui.

Ho preso un autobus per andare in città. Non è l'ultimo, con quello tornerò a casa.
Perché so che tornerò. Devo. Non posso lasciarlo.
E non perché gliel'ho promesso, ma perché lo amo.
Con tutta me stessa, con ogni singola cellula. Non mi interessa dove è stato prima, all'orfanotrofio, all'ospedale psichiatrico...cioè, ovvio che voglio sapere tutto di lui, soprattutto visto che il suo passato ritorna comunque nel suo presente. Ma voglio costruire un futuro perfetto per lui, in cui potrà lasciare per sempre i demoni del suo passato e pensare a qualcosa di nuovo, di reale.
Ma mi ferisce il fatto che non si fidi di me.

Cammino per le stradine di Treviso osservando il cielo che diventa pian piano sempre più scuro. C'è sempre più gente fuori, più rumore, più risate, più parole. Ma io non sento nulla, come se fossi in un mondo a parte.
Mi sento chiamare per nome da una voce femminile e familiare. Mi volto lentamente e quasi pigramente.
Jenni è davanti a me, con addosso un paio di jeans attilati e un maglioncino giallo molto colorato. I suoi capelli rossi sono raccolti in una coda di cavallo alta a parte qualche ciocca sfuggita. I suoi occhi verdi come l'erba mi fissano, quasi preoccupati.
-Hai un aspetto da schifo, Clarissa -dice, ma non sento una nota ironica nella sua voce.
Non dico nulla guardando un uomo che prende in braccio il suo bambino, come nel cartone ''Il re leone''.
-Cosa ti è successo? -mi chiede Jenni mettendo una mano sulla mia spalla.
Sorpresa sposto lo sguardo su di lei. Mi inumidisco le labbra prima di parlare.
-Va tutto bene.
-Questo lo dici a qualcun altro. Senti, lo so che difficilmente puoi fidarti di me, ma...insomma, volevo chiederti scusa. Per come mi ero comportata...insomma, non sono così stronza come sembro -fa spallucce sorridendo leggermente.
-Scusami anche tu, Jenni -ricambio il sorriso e mi allontano educatamente.

Mi siedo su un'altalena in un piccolo parco. E' vuoto, non c'è un'anima viva. Sapevo che sarebbe stato così, per questo sono venuta qui.
Mi piace questo posto, anche se trasmette una certa solitudine.
Non posso lasciare Cameron e non voglio farlo. Devo solo pretendere che mi dica sempre la verità e che non mi nasconda più nulla. Questo è tutto ciò che voglio da lui. La fiducia.
Perché in fondo al cuore io ho capito perché Cameron in qualche maniera cercava di nascondermelo: la paura di perdermi. Quasi ogni sera mi ripete la stessa cosa, e quando prima di andare a dormire mi dice questa frase, lo sento sussultare.
Gli ho procurato tutto questo dolore andandomene ora. Sicuramente ha frainteso la mia ''fugga'', ma non avevo né voglia né tempo di spiegargli che ho solo bisogno di stare un po' da sola.
E' malato di mente, Clarissa.
E se sta combinando qualcosa...?

Corro alla fermata. 
Non ho con me il telefono, non so nemmeno che ore siano. Quando passo il municipio, alzo lo sguardo sulla chiesa accanto su cui c'è un grande orologio: mancano solo tre minuti all'arrivo dell'autobus.
Ho freddo e sono stanca, ma sono anche quasi arrivata alla fermata. Vedo il mio autobus, sta per partire e a me manca solo da attraversare la strada. Così, non guardo nemmeno se ci sono macchine o no, e corro.
Qualcuno suona il clackson, qualcuno sta per prendermi sotto. Ma mi aspetta Cameron a casa, non posso fermarmi.
-Aspetti!! -urlo quando l'autobus parte. L'autista guarda fuori dal finestrino e si ferma. Apre la porta davanti e mi fa entrare. Cercando di prendere il fiato, balbetto un ''grazie'' all'autista che mi risponde con un gesto della mano.
Mi siedo accanto al finestrino e mi abbottono il cardigan. Mi pare di essere al Polo Nord.
Meno male che ce l'ho fatta.

Non ho neanche paura di attraversare da sola praticamente tutto il bosco per arrivare dalla fermata a casa di Cameron. Ho solo lui nella testa e questo pensiero mi dà coraggio, mi fa dimenticare il fatto di avere freddo e di essere arrabbiata e delusa.
Quando sono davanti alla casa, vedo le luci accese nella sua stanza. Apro la porta con la mia chiave, quella ce l'ho sempre nella tasca dei jeans.
C'è un silenzio tombale, nessun rumore, soltanto silenzio. Attraverso piano il corridoio e quando metto un piede sul primo scalino, qualcosa di ferro cade rumorosamente per terra facendomi balzare all'indietro ritirando il piede. Respirando forte mi riprendo e salgo di sopra.
Piano mi avvicino alla porta della stanza di Cameron. Un altro rumore simile, ma non forte come prima.
Apro la porta.
Cam è seduto per terra, a gambe incrociate. Guardo la stanza: ci sono dei barattoli di ferro dei tempere, sono tutti rovesciati e mezzi vuoti. Il pavimento, il tappeto, la coperta del letto...tutto è sporco dei colori.
Soprattutto Cameron.
Ha il viso in macchie rosse, verdi, viola e altri colori. Anche i capelli, la maglietta. Colori vivaci. Solo i suoi occhi sono un colore scuro. 
Mi guarda sbalordito, non si aspettava di vedermi di nuovo. Osservo lui e la stanza con gli occhi sbarrati, mentre Cam striscia verso di me e mi abbraccia le gambe.
-Sei tornata...sei tornata...-ripete appoggiando la testa sulla mia gamba destra.
Deglutisco forte.
-Cam...cosa hai fatto...?
-Mi dispiace, Clarissa, mi dispiace. Mi dispiace...
-Cosa hai fatto ora?
Alza la testa per guardarmi. Ha uno sguardo indecifrabile.
-Ho colorato un po'...-risponde come se fosse una cosa normale.
-Ma perché...perché il viso, la stanza? Perché non hai fatto un disegno se volevi colorare?
-Perché i disegni...beh, i disegni sono disegni. Io volevo colorare la mia vita.
-C-c-cosa? -mi abbasso accanto a lui e prendo il suo viso fra le mani.
-Mi sembra che la mia vita sia più scura del nero, Clarissa, senza di te. Te n'eri andata. Volevo che riprendesse un po' di colore.
Mi fissa con gli occhi da cerbiatto, scuri e stanchi. 
Il mio cuore si spezza, riesco a sentire ciò che prova, riesco a sentire la sua mente. Non voglio abbandonarlo, ha bisogno di me: e solo ora ho capito quanto.
Lo abbraccio perché è l'unica cosa da fare che mi viene spontanea. Con una mano intreccio le dita alle sue, con l'altra gli accarezzo i capelli.
Non ho mai capito cosa provava Cameron e cosa continua a provare tutt'ora e mai capirò. Perché nessuno sa cosa senti in realtà, nessuno può conoscerti fino in fondo. Ci sarà sempre qualcosa che sfuggità, anche un minimo dettaglio, ma accumulati sembreranno importanti.
Stessa cosa con Cam: trovo molti pezzi della sua vita, ma tantissimi altri se li tiene dentro al cuore. Alcuni non vuole proprio mostrarmeli, gli altri...beh, non è neanche al corrente della loro esistenza forse.
Già perdere i genitori è molto difficile per una persona. Anzi, per un bambino. Cameron era ancora piccolo quando è successo l'incidente. Si ritiene pure, in qualche maniera, un po' responsabile della loro morte, anche se è una cosa del tutto irrazionale. In più avrebbe voluto morire con loro.
Tutto ciò è già tantissimo per la mente di un bambino, anche di un adolescente e pure di un giovane uomo che è ora.
Ha perso anche un'amica, da quel che ho capito: Aurora. La morte di lei gli ha ricordato quella dei genitori, in un certo modo.
Eppure continua a vivere in mezzo a tutti questi ricordi, in questa casa in cui non ha spostato neanche un quadro lasciando tutto com'era quando ci viveva con la sua famiglia.
Non voglio immaginarmi la sua vita all'orfanotrofio, non voglio pensare a tutte le violenze che ci ha subito. Perché lo so che succedono e credono che gli fosse accaduto qualcosa lì. Questo spiegherebbe la sua completamente assente fiducia verso tutti, i suoi pochi amici che forse è meglio chiamare ''conoscenti'', la sua freddezza verso gli altri.
E in fondo ha ragione, è una vita più scura del nero.
Ma farò di tutto per colorarla al massimo. E non di tempere.
* * * * *
Mi sveglio in camera mia alle sei di mattina.
La sera Cameron mi ha guardata uscire dalla sua stanza con lo sguardo più triste del mondo. Non abbiamo più parlato dell'accaduto, ieri. Ci siamo solo guardati, siamo rimasti a tenerci per mano, per ascoltare i silenzi uno dell'altro.
Mi stiracchio ancora un po' nel letto e poi mi alzo. Apro la porta per andare in bagno e vedo che Cameron è appena salito sul mio piano.
-Sei già sveglio? -chiedo e sbadiglio stringendomi nel mio accapatoio di seta azzurra.
-Sì -risponde, avvicinandosi. E' a petto nudo, la pelle abbronzata brilla ai primi raggi di sole passanti attraverso le tende leggere del corridoio.
Gli guardo il volto: ha le occhiaie piuttosto evidenti.
-Non hai neanche dormito...-scuoto leggermente la testa e gli metto una mano sulla guancia.
Cameron mi prende all'improvviso per il polso di quella mano, stringendomelo molto forte, quasi violentemente. Cerco di ritirarlo e lo guardo confusa. Me lo lascia andare, ma subito dopo mi prende il mento fra le dita costringendomi a guardarlo. I suoi occhi sembrano insicuri, cercano i miei, sconvolti.
-Non devi avere paura di me, Clarissa. Quello che è successo ieri...mi capita solo ogni tanto -fa spallucce- Sono normale, Clarissa, credimi. Qualche volta tutti fanno delle pazzie -mi dice facendo sentire un certo nervosismo nella voce.
-Cam, lasciami andare...per favore -lo prego cercando di divincolarmi.
-Non riesci a perdonarmi, vero? -mi sbatte contro la porta dietro in modo che non possa andarmene.
-Cam...-mormoro il suo nome e la mia voce trema come una foglia al vento.
-Clarissa, avevo paura di perderti. Come fai a non capirlo? Ho sbagliato, ma...ora che non siamo più solo amici...-mi accarezza piano una guancia con il pollice. Sussulto a quel contatto, riesce comunque a farmi venire i brividi con una sola carezza.
-Voglio solo che tu mi dica la verità, d'ora in poi. Facciamo finta che non sia successo nulla -dico per calmarlo un po'.
Non risponde nulla, ma mi mette una mano sul fianco e mi attira a sé per baciarmi.
Ma non è più un bacio come prima.
Sa di confusione.

Niente è come prima.
Perfino quando sono in cucina e preparo la colazione, c'è uno strano silenzio. La tv è spenta, Cameron è zitto ed io pure.
Ho cucinato le uova con bacon per Cam: lui riesce a mangiare tutto la mattina, anche dei piatti salati, mentre io al massimo bevo un tè con un biscotto.
Mentre sposto le uova dalla padella su un piatto, Cameron mi abbraccia da dietro e mi bacia piano i capelli. Per un attimo dimentico tutto godendomi il suo tocco. Scende a baciarmi il collo dopo aver spostato i capelli da una parte, poi ritorna sull'orecchio destro. Le sue labbra mi sfiorano a mal appena provocandomi una serie di brividi lungo la schiena. Metto la padella e il piatto e mi abbandono appoggiandomi di più a lui.
-Ti sento così lontana, Clary...non voglio rovinare nulla con te -mi dice piano all'orecchio.
Con gli occhi chiusi rispondo:
-Ma non c'è nulla da rovinare infatti.
-Che intendi dire? -smette di baciarmi per un secondo.
-Che ho capito di cosa parlavi l'altro giorno. Hai detto di non amarmi.
Mi fa voltare verso di lui prendendomi per un braccio. Appoggio entrambe le mani sul tavolo dietro di me e alzo lo sguardo su di lui.
-Non ho detto questo -mi corregge, serio.
Mi mordo un labbro e guardo fuori dalla finestra.
-Hai detto che non sapevi neanche tu cosa provavi.
-Ma non ho neanche detto di provare qualcosa di meno dell'amore. Ho detto ''qualcosa di più''. Non sei contenta?
-Questo ''qualcosa di più'' si può definire ''un po' preso da me''?
Torno a guardarlo: ha le sopracciglia aggrottate, un'espressione grave sul volto ed i suoi occhi sembrano due buchi neri che stanno per inghiottirmi nel vuoto.
-Clarissa -mi rimprovera con un tono di voce che pare un ringhio.
-Non mi piace il fatto che tu mi disegni praticamente tutti i giorni. Quando lo fai? Di notte? Non ti ho mai visto all'opera -mi spiego passando una lingua sulle labbra.
Cameron mi osserva attentamente schiudendo leggermente la bocca. All'improvviso mi ritrovo le sue labbra sulle mie, coinvolte in un bacio che trasmette passione, pur non essendo qualcosa di molto violento o perverso. Si stacca da me e prima di andare a sedersi, mi dice:
-Mi piace disegnarti, ma tu mi piaci di più. Non rivedrai mai più quelli quadri e non ce ne saranno altri.
Lo guardo sbattendo più volte le palpebre e sospiro.
Mi fa andare fuori di testa.

-Non voglio andare al lavoro. Mi sa che mi licenzio -affermo entrando nel salotto. Indosso ancora l'accapatoio di seta e sono già le otto meno un quarto.
-Perché? Qualcosa non va? -chiede Cam scrivendo qualcosa sul cellulare.
-Beh...non lo so. Non ho voglia. Mi sembra di approffittare troppo di Maya anche. Non posso non presentarmi al lavoro solo perché so che c'è lei e ricevere comunque il mio stipendio.
-Troppo onesta -sul suo viso appare l'ombra di un sorriso.
-Può darsi.
Mi avvicino e mi siedo accanto a lui sul divano nel salotto.
Lui sposta lo sguardo sulle mie gambe nude: le fissa per un po' e poi torna a guardare lo schermo del telefono. Noto tutto.
-Allora stai a casa. Tra poco comincia l'università ormai -mi consiglia appoggiando una mano sulla mia gamba. Sorrido.
-Prima pensavo di lavorare anche quando comincia l'università.
-Non ne hai bisogno ora.
-Perché?
-Hai bisogno di soldi? -mi guarda incuriosito.
-Non potresti capire -comincio a tormentare l'orlo del mio accapatoio.
-Capisco tutto, invece. Clarissa, non devi preoccuparti di niente. Abiti con me e avrai tutto quello che vorrai. Basta. E ora non deprimermi con il lavoro perché poco fa ho ricevuto una lettera.
-Lettera? -ripeto inarcando un sopracciglio.
-L'eredità. Insomma, ho ereditato tutte le fabbriche dei miei genitori da tempo, ma per ora ci sono altre persone che ci lavorano, che le gestiscono insomma. La mia è solo proprietà. O almeno lo era. Quando compio i ventiquattro anni, dovrò gestirle io, così hanno voluto i miei genitori. Ma non ci capisco niente dell'economia e robe d'affari, Clarissa! -esclama- Non sono portato per queste cose, rovinerò tutto. Ma non ho neanche intenzione di vendere le fabbriche, sono le unisce cose, insieme a questa casa, che i miei hanno lasciato.
-Circondati da persone esperte, dà loro una buona paga così non dovranno mettersi contro di te o consigliarti qualcosa di poco conveniente per te.
-Hai ragione. Ma, pazienza, ho ancora tempo. Ah, Clary, c'è una personcina che non visitiamo più da tanto tempo.
-Raffaele -pronuncio il nome del piccolo con un sorriso sulle labbra.
-Andiamo?
-Certo!
Mi fissa negli occhi come se ci stesse cercando qualcosa. All'improvviso mi sento esposta, fin troppo. Non capisco perché mi guardi in quel modo. Sale su di me facendomi distendere sul divano.
''Oddio, ora capisco quello sguardo.''

 
Bene, ora capite perché la storia si chiami ''Darker than black''.
Allora, come vi pare?
Secondo me vi ho delusi tutti.
Beh, pazienza.
Mi scuso per l'enorme ritardo e per il fatto di non rispondere alle recensioni: vi ringrazio di cuore tutti quanti, i vostri commenti mi fanno molto piacere e sarò contentissima di riceverne tanti altri. Comunque, cosa pensate che stia per accadere ora? Eh eh, pensate sempre male, allora!
Grazie ancora, e a presto!



  
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