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Autore: Luine    29/08/2014    1 recensioni
Quando mi hanno regalato questo diario per il mio dodicesimo compleanno, non credevo che mi sarebbe stato tanto utile. Credevo che sarebbe rimasto intonso come quando l'ho scartato. E, invece, eccomi qui a scrivervi sopra e a raccontare la mia (strana) vita.
Mi chiamo Ken Iccijojji, vivo a Tokyo con i miei genitori, Videl e Gohan, e con mia sorella maggiore, Pan.

Kenny ha dodici anni, una sorella maggiore alquanto turbolenta e una situazione familiare decisamente movimentata. A causa del terrore di sua madre di vederlo diventare come Pan, si ritrova iscritto in una scuola speciale per ragazzini problematici che già da subito si rivela essere una vera e propria caserma militare.
Tra paure, insegnanti molto duri, amici fidati e misteriosi, incomprensioni, equivoci e risate, si snodano le vicende di Kenny che come valvola di sfogo ha il suo diario, sul quale annota le sue più intime paure e i fatti di vita quotidiani, cercando di convincere se stesso che, forse, poteva andare peggio.
[ Dragon Ball, Digimon 02, Gundam Wing, What a mess Slump e Arale, e altri ]
Genere: Comico, Commedia, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le lezioni al primo anno.

Pan vuole scappare... e Arale non vuole mollare.



Sono arrivato nello spogliatoio dove gli altri si stavano cambiando. Alex era ancora in mutande e, piuttosto incavolato, stava parlando di Bra. «Io te lo dico, Frankie, quella lì ti vuole dare una bella ripassata di anatomia. È da ieri che ci prova. Ancora un po' e ti si presenta nuda nella doccia!»

«Ma noi non studiamo anatomia.» ha commentato Matt. Avrei obiettato anch'io così, se non fosse stato che avevo il fiatone e avevo un problema più urgente.

Alex, però, non si è accorto di me e si è girato verso Matt. «Ishida, rubi le battute a Kenny?» e, a dispetto del suo malumore, ha cominciato a ridere. «Te lo ricordi, Frank? Ma che vuol dire limonare? Ah, è troppo divertente! Ah, Kenny, sei qui!» ha aggiunto, quando mi ha visto. «Dov'eri finito?»

«Già, non vorrai arrivare in ritardo alla prima lezione!» ha esclamato Trowa, con una certa severità.

Ho dovuto fare altri due profondi respiri prima di poter parlare: «Pan!» è stato tutto ciò che ho esclamato, con una certa agitazione, ma gli altri non hanno colto. Hanno improvvisamente perso interesse, come se avessi disatteso tutte le aspettative. «Pan sta andando a rubare un Mobile Suit!»

Trowa ha alzato la testa, Alex che stava indossando i pantaloncini si è fermato, Frank si è fermato con la mano sullo sportellino dell'armadietto e ha girato la testa guardandomi da sopra il braccio. Matt non ha dato segno di vita, gli altri hanno interrotto l'annodamento delle stringhe delle scarpe da ginnastica. Poi sono scoppiati tutti a ridere contemporaneamente. Alex era quello che si stava divertendo di più: si è piegato su se stesso e ha cominciato a battersi il palmo della mano sul ginocchio.

«Ma... ma...» ero senza parole. «Ragazzi!» li ho richiamati. «Pan sta per rubare un Mobile Suit!»

Alex ha dovuto aspettare che la crisi di risate gli passasse per venire verso di me. Mi ha dato una pacca sulla spalla e, ancora ridacchiando, si è tolto una lacrima dall'angolo dell'occhio. «Sei uno spasso, amico mio!»

«Oh, Iccijojji, ma secondo te dove lo va, tua sorella, a prendere un Mobile Suit?» Trowa aveva un sorriso che somigliava di più ad un ghigno e mi parlava come se fossi un completo cretino.

«Sta andando verso l'hangar!» ho gridato. Mi sembrava importante far capire la gravità della situazione, ma tutti avevano quello strano sorriso, come se li stessi prendendo in giro. «Ha detto che vuole scappare e che sparerà chiunque provi a fermarla!»

Alex si è passato le mani sul viso, secondo me per riprendere contegno, più che per vera disperazione.

«Dobbiamo fare qualcosa! Se non facciamo qualcosa, rischia di essere espulsa! Ragazzi! »

Tai ha sogghignato. Joe, invece, ha sbuffato. «Non sarebbe male, sai?» ha detto. «Finalmente ci libereremo di quella maniaca che non capisce niente di arte!»

«Ma se facesse del male a qualcuno...» ho insistito.

Frank era l'unico che era rimasto più serio di tutti ed è stato lui a parlare: «Ken, qui dentro le mura dell'accademia non ci sono Mobile Suit funzionanti. Gli hangar di volo sono più che altro delle officine dentro cui si aggiustano i Mobile Suit, figuriamoci se li tengono, dove ci sono gli alunni. Ci fanno lezione gli ultimi anni. Pensi che Pan potrebbe, anche con tutta la buona volontà, e avendo anche la fortuna di trovarne uno funzionante, prenderlo così o saperlo manovrare? Ci vogliono anni di addestramento per guidare uno di quei cosi. Io starei tranquillo, fossi in te, e mi cambierei per la lezione.»

Mi sono grattato la nuca, dubbioso. «E se lei ci riesce?» mia sorella mi ha sempre stupito. Non c'erano motivi per cui non potesse avere la fortuna di trovare un Mobile Suit funzionante, pronto per tornare ai depositi dove stanno le armi che vanno, e di azionarlo in qualunque modo. E non tanto per farlo volare, o qualcosa del genere, ma perché potrebbe innescare un'esplosione e andarci di mezzo anche lei. «E se lo trova?»

«Senti, se riesce a trovare un Mobile Suit che funziona» ha detto Alex. «e lo aziona in qualunque modo, io vado nudo nell'ufficio della Une. Te lo giuro. E poi vado a baciare la Noia sulla bocca.»

Non mi ha consolato. E vedere gli altri che annuivano e fischiavano la loro approvazione non mi ha fatto per niente piacere. Ho spinto via il mio amico che mi sbarrava l'uscita e ho cominciato a correre in direzione dello spogliatoio delle ragazze: se c'era una cosa di cui ero sicuro era che Arale non mi avrebbe riso in faccia come i ragazzi.

E il destino, una volta tanto, mi ha favorito. Proprio mentre stavo per imboccare il corridoio che portava allo spogliatoio, le ragazze mi sono comparse davanti, tutte in pantaloncini e maglietta. Bra stava bevendo da una borraccia e, proprio mentre stava per riporla, invece di coprirla col tappo, se l'è versata sulla maglietta. Poi ha cominciato a gridare come un'isterica, e Mimi e Sora lo hanno fatto subito dopo di lei. «Accidenti come sono sbadata!» ha gridato Bra. «Adesso guarda qua! Mi si vede tutto il reggiseno! Sembro nuda!»

In effetti, era vero: tutta l'acqua era finita sulle sue tette e potevo vedere benissimo il suo reggiseno di pizzo. Mi sono chiesto per un attimo perché gridasse tanto, quando era stata lei a buttarsi addosso l'acqua del tutto consapevolmente, ma poi l'ho scartata e ho visto Arale che stava arrivando con l'aria più annoiata che mai.

Ha lanciato un'occhiata storta a Bra e poi, vedendomi, mi ha sorriso. «Kenny, che faccia! Che ti è successo? E perché non ti sei ancora cambiato? La lezione...»

«Pan è andata a rubare un Mobile Suit!» ho gridato, tutto d'un fiato, tanto che anche Bra e le sue amiche hanno smesso di gridare per la maglietta bagnata.

Arale ha inarcato le sopracciglia. Non era la reazione che mi aspettavo: credevo che mi avrebbe travolto come il solito uragano che era e mi avrebbe detto che non avevamo un minuto da perdere. Invece, del tutto tranquillamente, mi ha chiesto: «E dove l'avrebbe trovato un Mobile Suit da rubare?»

«Ma non capisci?» ho gridato. «Perché nessuno vuole ascoltarmi? Pan sta andando all'hangar di volo a rubare un Suit!»

«Chi sta andando a rubare un Suit?» la voce del Salvini seguita da tutta la sua persona era proprio l'ultima cosa che mi sarei mai aspettato. Non volevo coinvolgere i professori, ma ormai era cosa fatta. E i ragazzi stavano uscendo dallo spogliatoio, pronti. Alex aveva ancora i lacci delle scarpe sciolti.

«Ma niente, professore!» ha esclamato. «Kenny è convinto che sua sorella possa rubare un Suit solo perché lei gliel'ha detto. Ma ha presente Pan Iccijojji, no?»

Il Salvini ha corrugato la fronte. «E' proprio perché ce l'ho presente che mi preoccuperei, se non fosse che non è successo niente.» poi ha guardato me e mi ha sorriso con la bonarietà che lo contraddistingue. «Tranquillo, giovanotto, i Suit della base sono super sorvegliati, e poi quelli interni all'accademia sono pochi e tutti quanti in fase di riparazione. Penso che vi ci faranno fare un giro l'anno prossimo, col professor Marquise, per Materiali per la Costruzione di Macchine. E poi quelli in riparazione vengono chiusi tutte le notti negli hangar, e gli viene anche tolta la batteria. Questioni di norme di sicurezza. Quando hanno finito di essere aggiustati, vanno al deposito, con un camion. Non prendono mai il volo e, speriamo, non debbano farlo tanto presto. Vai a cambiarti, dai, e cominciate a fare qualcosa.»

«Ma...»

«Sbrigati o mi costringi a metterti una nota! Non mi va di fare la parte del professore cattivo.»

Così sono entrato nello spogliatoio sbottonandomi svogliatamente il colletto della camicia e mi sono seduto su una panca di fronte al mio armadietto. Mi stavo slacciando la scarpa destra, quando mi sono messo a riflettere sulla storia dei camion: quanto avrebbe potuto metterci Pan a salirci su e nascondersi finché il Suit non fosse stato portato nel suo deposito, funzionante e anche corredato di batteria? E in cosa consisteva la sorveglianza speciale di cui parlava il Salvini?

Non ho resistito: ho riallacciato in tutta fretta la scarpa e, senza riabbottonarmi il colletto della giacca della divisa, mi sono diretto correndo e senza indugio verso l'uscita principale. Avrei salvato Pan, a qualunque costo. E da solo.


Mi sono diretto agli hangar insieme ad un gruppo di ragazzi del terzo anno che stavano andando a fare lezione. Non si sono accorti di me, e neanche Sark, il professore di fisica subacquea che li stava accompagnando. Anche perché eravamo tutti una massa di divise nere e io sono anche abbastanza piccolo per passare inosservato.

Sono sgusciato via quando loro hanno svoltato verso l'aula di fisica, verso l'hangar 14, dove sta Pioggia di Fuoco. Ero sicuro che le altre officine non potessero essere lontane, anche perché anche il Suit che mi ha fatto vedere Zack Marquise si trovava proprio lì. Immaginavo che, dopo aver sentito la storia, Pan non avesse potuto resistere all'idea di vederlo con i propri occhi. Così è là che sono andato e, proprio come l'altra volta, c'era Pioggia di Fuoco collegato a fili e gente che lavorava con la sega e la fiamma ossidrica nel petto del grande Suit bianco.

Le pedane a ridosso delle pareti erano di freddo metallo e in alcuni punti erano prive di balaustra, lì dove, ho intuito, ci dovranno essere alloggiati i Suit che devono essere sistemati, ma mettevano comunque una certa paura perché si trovavano ad un'altezza considerevole e cadere da lì non sarebbe stato indolore.

Ho tentato in tutti i modi di scacciare dalla mente Pan che cadeva da lassù e ho cercato di convincermi che non avrebbe potuto penetrare lì dentro senza che nessuno se ne accorgesse: tutti avevano delle tute da lavoro grigie con il simbolo dell'aquila stampata sul petto ed erano per la maggior parte uomini adulti, quindi immaginavo che una ragazzina in nero sarebbe spiccata molto più del necessario.

Non credevo nemmeno sarebbero stati tutti così calmi e tranquilli a lavorare e a guardare i progetti che, forse, erano gli stessi che avevo visto anch'io quando Marquise mi ha portato a vedere Pioggia di Fuoco, all'inizio dell'anno, se ci fosse stato un estraneo. Eppure, mi dico solo adesso, quella gente che lavorava avrebbe potuto sbattersene altamente di chi entrava. In fondo, è un'accademia militare e come tale ci sono un sacco di ragazzi che vanno avanti e indietro.

Ma in quel momento, l'assoluta mancanza di altri Suit e di buchi o armi spianate mi ha persuaso che Pan non doveva essere lì, così mi sono limitato ad andare altrove.

Mi sono avvicinato al capanno che più probabilmente lei avrebbe scelto: quello con la serranda abbassata e una porta laterale, dove, su entrambe, c'era scritto: “Vietato l'ingresso ai non addetti”. Mi ero convinto che Pan dovesse essere stata attirata dallo stesso cartello, però, memore della casa degli specchi alle giostre, mi sono sentito un po' dubbioso.

Comunque mi sono avvicinato. La porta era bloccata e, per sbloccarla, serviva un badge che, ovviamente, non avevo.

Così mi sono guardato intorno. Non stava passando nessuno e sembrava che nessuno mi avesse intenzione di cercarmi. Mi chiedevo solo che cosa sarebbe successo se qualcuno mi avesse beccato a gironzolare lì intorno e che cosa avrei potuto raccontare. Cominciavo a pensare che dire la verità avrebbe attirato solo altre risate su di me.

Mi sono infilato tra il capanno misterioso e un altro, uno stretto vicolo in cui non batteva il sole e faceva più freddo che mai. Mi sono stretto nelle spalle e sono arrivato in fondo. Lì, ho visto che c'era solo un altro capanno, però aveva finestre e una porta chiusa.

La finestra era aperta, per cui mi sono avvicinato tenendomi accucciato e ho sbirciato all'interno. Era una classe, corredata di banchi, lavagna e cattedra. Il professore era di fronte a questa e scriveva con un gesso alla lavagna.

Era Sark.

«E come, mi auguro, avete studiato a meccanica razionale, per indicare il movimento in un fluido viscoso, bisogna inserire nell'equazione di Newton il coefficiente beta...»

Mi sono allontanato, confuso abbastanza da quella sequela di parole incomprensibili. È stato allora che sono andato a sbattere contro qualcosa che mi ha mandato a gambe all'aria. Ho chiuso gli occhi, quando ho visto una mano grossa come un elefante avvicinarsi pericolosamente veloce alla mia faccia. Pensavo che mi avrebbe staccato la testa, invece mi ha solo preso per la giacca, all'altezza della spalla e mi ha trascinato via, all'ombra.

Ero pronto a vender cara la pelle, quando, socchiudendo gli occhi, ho visto la bandana arancione della mia sorellona presentarsi davanti ai miei occhi. «Ah, ma allora non ci tieni alla tua faccia!» mi ha apostrofato. «Beh,» ha detto, dopo averci pensato un po'. «al tuo posto, non ci terrei neanch'io.»

«Pan!» ho esclamato, sollevato. «Ti cercavo!»

«Ma va'!» ha risposto lei, sarcastica. «Pensavo volessi ascoltare la lezione di quel torturatore di Sark, guarda.»

Ero così felice di vederla che mi sarei gettato tra le sue braccia, se lei non mi avesse spinto di nuovo contro il muro.

«Ma che cazzo fai?» mi ha domandato. «Non mi toccare con quelle manacce!»

«Per un attimo ho pensato che volessi Pioggia di Fuoco!» le ho confessato, sollevato che non lo avesse fatto.

«Ma chi? Quel rottame? Ne cerco uno che funziona, razza di cretino che non sei altro! Però devono essere tutti in quel posto chiuso a chiave...» ha fatto un cenno verso il capanno chiuso. «Devo entrarci.» ha specificato, guardando con desiderio verso l'ingresso.

«Ma non si può!»

Pan ha arricciato le labbra. «Grazie al cazzo. Per questo devo prendere il badge della Une!»

«Il badge della Une?» ho ripetuto. Quella faccenda cominciava a farmi venire i brividi.

«Pezzo di scemo!» ha risposto lei, piena di disprezzo. «La Une è la direttrice, sicuramente avrà i privilegi di accesso più alti. Non li guardi mai i film d'azione?»

A dire il vero non avevo pensato ai film d'azione. I film sono l'unica cosa che non mi passano quasi mai per la mente, anche perché quando ho a che fare con la realtà, per esperienza personale, so che non andrà mai come in un film, dove i protagonisti si salvano sempre. E io so una cosa: se prendiamo il badge della Une e qualcuno ci scopre in un'area non autorizzata, ci crivella di colpi e butta i nostri cadaveri ai cani. «Pan... torniamo dentro, qui fa freddo... e poi se perdiamo la lezione con quella nuova sono guai! Hai sentito che Alex diceva che è difficile!» ho tentato, ben sapendo che avrei dovuto sudare sette camicie per convincerla.

Invece Pan ha sbuffato e mi ha lasciato di stucco quando ha detto: «Sì, va beh, andiamo.» e poi ha aggiunto: «Tanto dopo abbiamo la Une, no?» cosa che mi ha fatto capire il vero motivo per cui si è arresa praticamente subito. Avevo i brividi.

«Ehm... sì.»

Lei ha sorriso in modo inquietante. «Ottimo. Muovi quelle chiappe flaccide che ti ritrovi.» e, senza aspettarmi, si è diretta a passo spedito verso la caserma.


Quando sono entrato in classe, nell'aula 20 dove facevamo anche teoria dei gradi, tutti sembravano particolarmente eccitati all'idea di cominciare con la chimica. Trowa parlava con Tai Yagami e Arale dei libri di testo più buoni per prepararsi ad un corso di questo tipo, mentre Bra si era seduta vicino a Frank e si stava contemporaneamente sistemando i capelli e parlando con lui. Le sue amiche erano lontane, qualche posto più indietro e ridacchiavano tra di loro mentre guardavano la loro amica.

Gli altri sembravano tutti sfiancati. Mi sono chiesto che cosa avesse fatto fare loro il Salvini per renderli così poco reattivi a quell'ora di mattina. È anche vero che erano le nove ed eravamo svegli dalle cinque, però doveva essere stata un'ora difficile, quella passata, se già stavano in quelle condizioni.

«Ehi, Kenny!» non appena Alex mi ha visto mi ha fatto un cenno per dirmi di sedermi accanto a lui.

«Sì, arrivo.» gli ho detto, però ho raggiunto Pan che era all'ultimo banco con l'aria annoiata. «Pan, non puoi prendere il badge della Une!» le ho detto, senza preamboli. Lei, come risposta, si è infilata il mignolo nell'orecchio e ha cominciato a ruotarlo prima da una parte e poi dall'altra. Poi lo ha tolto, ha guardato, si è impastata il cerume sul polpastrello e si è girata verso di me, sorridendomi con un fare innocente che non avrebbe convinto nessuno.

«Hai detto qualcosa, Kenny?»

Ho sospirato. Mia sorella mi ha fatto un cenno per dirmi “sciò”.

«Vai, vai dai tuoi amichetti fottuti, vai.»

Ho fatto quello che diceva. Tanto è inutile parlare con lei, certe volte. Mi sono seduto di fianco ad Alex e mi sono girato verso di lui, sporgendo poi un braccio sul banco vuoto dietro al mio.

«Ah, eccoti!» mi ha detto il mio amico, con un sorriso incoraggiante. «L'hai ritrovata, alla fine, eh?»

Ho guardato Pan e poi di nuovo lui, preferendo non rispondere. «Salvini mi ha messo una nota?»

Alex ha alzato le spalle. «Ma figurati! Non si è manco accorto che non c'eri! Quello non si accorge se gli casca il parrucchino e si accorge che mancavi tu? Kenny, sii realistico!»

«Salvini porta il parrucchino?» ho chiesto, impressionato.

«Sì, oggi gli è caduto e ci ha anche camminato sopra un paio di volte, prima di rendersi conto che aveva freddo alla testa e... dai, non fare quella faccia! A volte capita di essere pelati!»

Ma io non stavo facendo una faccia strana per i capelli del Salvini: stavo guardando Bra che si era tolta la giacca della divisa e si era sbottonata i primi tre bottoni della camicetta, facendo sì, di nuovo, che si vedesse bene il reggiseno. «Oggi fa un caldo, vero, Frank?» e intanto si sventolava con le mani. Lui sembrava trovare sempre più interessante la punta delle proprie dita che lei.

Mi chiedo perché si comportasse così. Gli ha dato fastidio per tutto il giorno e stasera ci ha anche confessato che aveva paura a tenere la porta aperta, perché lei poteva entrare a violentarlo.

«Perché a me queste cose non capitano mai?» ha domandato Alex, incredulo.

«Perché non ti lavi, ecco perché! E perché sei uno sfigato pazzesco.» ha risposto Bra, sporgendosi davanti a Frank, poi è tornata a guardare lui, con un sorriso stucchevole. «Pensavo che oggi pomeriggio potremmo studiare insieme, che ne pensi? Non ho proprio capito le derivate e mi hanno detto che il programma si sta facendo ancora più difficile. Che ne pensi, Frank? Invece di fare ginnastica, dopo mi dai qualche ripetizioncina?»

«Ehm... non credo... non credo che...»

«Tutti in piedi! Saluto!» ha gridato una voce sconosciuta, la proprietaria della quale poi ha anche sbattuto la porta dell'aula. Frank ha tirato un sospiro di sollievo. «Non ho mai visto una classe più indisciplinata della vostra!» e questo perché Bra si è rivestita in tutta fretta prima che la professoressa potesse girarsi e guardarci bene in faccia. Poi mi chiedo che cosa avrebbe detto di noi e sulla nostra disciplina. Il bello è che, quando ho guardato la mia compagna di classe, aveva anche l'espressione più innocente del mondo, come se non si fosse mai spogliata.

In classe, comunque, era calato un lungo e teso silenzio. La professoressa, una donna alta e bionda vestita dello stesso blu della Noin, con le sopracciglia diramate come quelle di Frank e del generale, aveva lo sguardo glaciale di un assassino su commissione. Se la Une metteva soggezione, lei era probabilmente la versione femminile di Sark.

«Mi chiamo Dorothy Catalonia.» ha dichiarato, con voce forte e sicura, con l'aria di provare un certo orgoglio per il suo stesso nome.

Ho sentito Alex che borbottava qualcosa come: «Ti prego, no.», come se stesse provando paura, per qualche motivo. Non mi sono girato a guardarlo solo perché la Catalonia guardava nella nostra direzione.

«Sono la vostra insegnante di chimica, una materia molto importante per la vostra formazione e che, nel corso della vostra carriera militare e di studi vi servirà per affrontare molte delle materie che studierete nei prossimi anni. Perciò, insieme a matematica, algebra e geometria, che studierete in questa parte dell'anno, sarà fondamentale per passare al secondo. Il suo peso sarà pari al trenta percento del totale delle prove, matematica e algebra costituiranno il quaranta percento e il restante trenta percento tutte le altre materie, quindi storia, geografia e attività motoria. Come futuri soldati e potenziali costruttori di Suit, o addirittura progettisti, mi aspetto il massimo da ognuno di voi, perciò se i vostri voti saranno inferiori a sette decimi, frequenterete delle lezioni aggiuntive il sabato pomeriggio, questo finché non raggiungerete una preparazione sufficiente. Questo significa che il sei è da considerarsi insufficiente.»

Questo ha sollevato molte proteste da parte della classe, soprattutto da parte di Alex. «Ma professoressa!» ha detto, alzando la voce sopra le altre e così facendoci tacere. «Il sabato lo usiamo per studiare quello che non abbiamo potuto durante la settimana! Abbiamo lezione tutti i giorni fino alle sei del pomeriggio! Come facciamo a venire anche alle lezioni aggiuntive?»

«Per evitarle, basta che vi impegnate al massimo. E ora aprite i quaderni, cominciamo immediatamente la lezione.»

«Ehm, mi scusi?» Arale ha alzato la mano.

La Catalonia l'ha incenerita con lo sguardo. «Un'altra regola che imparerete molto presto» ha dichiarato. «è che io detesto essere interrotta quando parlo. Per cui, qualunque siano le domande che avete da fare, se avete dei dubbi su quello che dico e non vi è chiaro, appuntatevelo da qualche parte sul quaderno e, quando avrò finito la lezione, sarò disponibile a fugare i vostri dubbi. Quindi, alla fine di ogni lezione, mi riserverò dieci minuti per rispondere ad una domanda ciascuno, per chi ne avrà. Tutto chiaro? Quindi lei, soldato, qualunque sia la sua domanda, può aspettare fino a fine lezione. Aprite i quaderni. Cominciamo con le definizioni fondamentali.»

Ho visto Arale, scontenta, perdere il suo consueto sorriso e rivolgere una smorfia alla schiena della Catalonia, la quale aveva preso un gesso e ha cominciato a tracciare strani simboli alla lavagna.


«Io lo sapevo.» ha detto Alex, quando la Catalonia è uscita dalla classe. Sarebbe arrivata la Une, di lì a poco, e quindi quelli di noi che non avevano preso i soliti posti dell'inizio dell'anno, si sono dovuti spostare. Persino Bra, ma l'ha fatto a malincuore, perché, sospirando, ha detto “a presto, Frank” e si è dileguata tra le sue due amiche. Frank non se l'è presa e penso che neanche l'abbia sentita, perché stava dando retta al nostro amico. «Lo sentivo... è il suo nome!»

«A fare cosa?» ha replicato Arale, scontenta, buttandosi al mio fianco. «Le volevo solo chiedere quando ci sarebbero state le esercitazioni in laboratorio! Era una cosa che interessava tutti e hai visto che cosa ha fatto alla fine, quando nessuno ha osato farle una domanda su quello che ha spiegato? Ha ripreso a spiegare, perché nessuno aveva domande! Piuttosto che chiederle qualcosa, mi cavo un occhio, la prossima volta.»

«Possiamo chiedere a qualcuno del secondo anno.» ha proposto Frank, con un sorrisetto. «Dato che Alex non ha la minima idea di come funzioni.»

Lui ha alzato le spalle. «Senti, Frank, io sarei per non seguirla proprio, questa materia! Non mi piace, lo sai... e non mi piace neanche quella, se devo proprio dirtela tutta. E il suo nome mi dà i brividi.»

«Perché?» ha voluto sapere Arale, sconcertata.

Alex si è agitato sulla sedia. «Beh... sapete chi è Dorothy, no?» abbiamo tutti scosso la testa. Lui ha continuato, a malincuore: «E' la protagonista del mago di Oz. Io odio il mago di Oz. È la storia più inquietante che abbia mai sentito... voglio dire, quella storia delle scarpe e poi l'uomo di latta che vuole il cuore e poi quegli altri... secondo me, il mago di Oz era un trafficante di organi e Dorothy una pazza assassina che ha ammazzato la strega del nord per un paio di scarpe... e quindi ogni volta che sento il nome Dorothy io vado fuori di testa!»

Abbiamo guardato Alex per alcuni secondi, credo per assimilare la notizia. Poi, senza che ci fossimo accordati, ma con una sincronia inquietante, siamo scoppiati a ridere senza ritegno.

«E dai! Non ridete! È una cosa seria!» protestava il nostro amico.

Frank era quello che rideva più di tutti. Probabilmente se non ci fosse stato il banco di fronte a lui sarebbe crollato a terra e si sarebbe rotolato di qua e di là e questo ci ha fatto ridere ancora di più. Alex, invece, se l'è presa, perché si è stretto nelle spalle e, con la fronte corrugata, ha borbottato: «Begli amici!»

In quel momento, è arrivata la Une. Sembrava incazzata già di primo mattino e vedere noi che ridevamo, forse, non ha contribuito a renderla più ben disposta nei nostri confronti. Proprio il modo migliore per cominciare il trimestre. Ma l'idea di Alex che aveva paura della storia del mago di Oz era così divertente che ci ha accompagnato con le risate durante il pre-lezione, durante il quale la Une ha guardato il registro, controllato le materie che avevamo avuto e detto qualcosa a proposito di quello che saremmo andati a studiare. Ho cercato di smettere, ma i miei tentativi erano inutili e anche premere le mani davanti alla bocca ha avuto lo stesso effetto di un bicchiere d'acqua per fermare la febbre. Arale era piegata in due, Frank cercava di nascondersi sotto il banco, con scarso successo e questo contribuiva a farci ridere più che mai.

«Norimaki, Iccijojji, Kushrenada, vorreste essere così gentili da mettere a parte pure noi dei motivi per cui state ridendo?» ha chiesto la Une, arcigna.

Non ce l'abbiamo fatta.

«N-niente, lady Une.» ha balbettato Arale, dopo un po'.

«C-ci scusi.» Frank si è passato una mano sotto gli occhi. Aveva le lacrime.

«Non ci vedo niente di così divertente. Smettetela o sarò costretta a mettervi una nota.»

Forse è stato per la nota, ma la ridarella è finita in un secondo. Ho inspirato più volte, ma avevo sempre un mezzo sorriso idiota stampato sulla faccia. Ho cercato di non guardare Arale o uno degli altri perché altrimenti sapevo che avrei ripreso.

Ma quello non ha dato fastidio alla Une, perché, anche se mi ha scoccato un'occhiata assassina, ha ripreso a guardare il libro di testo. «Come dicevo, abbiamo svolto gran parte del programma. Adesso dobbiamo solo finire di parlare di alcuni trattati tra Terra e Colonie e poi potremo passare agli argomenti successivi che, al contrario dell'anno scorso, saranno legislazione ed economia. In queste vacanze, al contrario vostro, nessuno dei vostri insegnanti è stato con le mani in mano. Ho avuto un colloquio personale con il ministro della difesa e, insieme al Generale Treiz Kushrenada, abbiamo concordato che è giusto che i nostri studenti abbiano delle conoscenze in tal senso e che non si limitino a imparare nozioni ingegneristiche avanzate. Per cui, dalla settimana prossima, cominceremo insieme ad occuparci di queste cose.»

Il sorriso è definitivamente scomparso dalla mia faccia.

Di nuovo, come è successo con la Catalonia, abbiamo cominciato a protestare. Anche Pan.

«Che coglioni!» ha gridato.

«Perché, lady Une? Pensavo che avremmo continuato con la storia!» ha protestato Trowa.

«Già la storia è una barba spaziale!» ha esclamato Alex, coprendo le voci degli altri. «Lady Une, ma che ci importa della legge?»

«Proprio lei parla, Ramazza!»

Arale mi ha dato una gomitata, come se volesse dirmi qualcosa.

Io, invece, ho alzato la mano. Non so come mi sia venuto il pallino di farlo, o di chiederlo. La Une mi ha dato il permesso di parlare e, forse perché era una cosa che non si vedeva tutti i giorni, io – io! – che alzavo la mano, tutti si sono zittiti subito. «Lady Une,» ho detto. «non studiamo il Sanc Kingdom?»

«Oh, che coglioni!» è stato il commento di mia sorella. «Ci mancava solo il paramecio che le dà suggerimenti!»

La reazione degli altri è stato uno sguardo vacuo. Trowa è l'unico che si è girato verso di me, con un'espressione curiosa stampata sul viso. La Une, invece, è quella che mi ha stupito più di tutti: è diventata dello stesso colore della sua divisa, ma non per la rabbia. Sembrava più sconcertata che altro.

Ed è stata anche la prima volta che l'ho sentita esitare. «I-il Sanc Kingdom.» ha ripetuto.

«Sì, lady Une.» ho continuato, imperterrito. «Non ne parliamo?»

Lei si affrettata a ridarsi un contegno. Si è schiarita la voce. «Non c'è molto da dire, Iccijojji.» ha dichiarato. «E' un paese che ormai non esiste più. La guerra di liberazione delle colonie, come dovrebbe aver studiato, fu molto sanguinosa, e il Sanc Kingdom fu uno dei tanti stati terrestri che venne bombardato. Il caso fu più eclatante di altri perché, essendo piccolo, ci furono maggiori danni rispetto a quelli riscontrati in altri paesi con maggiore densità territoriale. Tutto qui. Abbiamo già parlato della guerra di liberazione e non mi sembra il caso di tornare indietro ad argomenti conclusi lo scorso trimestre.»

«A me, però, risulta» ha insistito Trowa, con un certo tono polemico. «che il Sanc Kingdom fu distrutto. Non che subì semplicemente dei danni, lady Une.»

«Come ho detto, era un piccolo stato.» ha risposto lei, acida. «E ora basta con questa discussione! Abbiamo un lungo programma da portare avanti. Consegnatemi i vostri compiti per le vacanze e cominciamo la lezione.»

«Ma...» ha provato Trowa.

«Dica un'altra parola, soldato Burton, e le metterò una nota.»

Trowa si è lasciato andare sullo schienale della sua sedia, sconfitto. E nessuno ha avuto il coraggio di aggiungere altro.


«Questa storia è sospetta.» ha dichiarato Arale, quando ci siamo seduti al tavolo del pranzo. C'era dello spezzatino con i piselli. Non è la cucina di mia madre, ma abbiamo riscontrato un netto miglioramento rispetto a quando c'era Pan, che si è seduta al mio lato destro e succhiava il suo pezzo di carne come se fosse un ghiacciolo. Aveva lo sguardo puntato su Alex che, forse accorgendosi del suo sguardo, teneva il proprio fisso sul piatto.

Mangiava i piselli, lui, e ogni tanto scoccava un'occhiata al tavolo degli insegnanti dove, per la prima volta da quando avevo cominciato a frequentare la mensa, era apparsa anche la Catalonia. Il fatto che si chiamasse Dorothy doveva averlo inquietato parecchio più di quello che aveva detto a noi. Arale ha visto Heero che passava e, dato che ci è passato vicino per farci un saluto, lei lo ha afferrato per la giacca e lo ha costretto a inginocchiarsi tra lei e Frank.

«E' una cosa veloce?» ha chiesto Heero. «Dovrei mangiare anch'io...»

«Ecco, prendi qui.» Arale gli ha preso un piatto pulito dal centro del tavolo e lo ha riempito di spezzatino e piselli. Glielo ha messo davanti senza troppe cerimonie, e poi gli ha dato anche il suo cucchiaio.

Heero ha sospirato. «Fammi almeno prendere una sedia.» e così è andato a prendersene una vuota vicino ad Alex che ha trascinato di nuovo di fronte al piatto che Arale gli aveva riempito.

«Insomma,» ha continuato la nostra amica, una volta che anche Heero si è seduto. «oggi Kenny ha fatto una domanda alla Une...»

«Ah, bravo.» ha risposto Heero, ma con l'aria di uno che non gliene fregava niente. «E allora?»

«Non è questo il punto!» ha replicato la mia amica, con fastidio. «Il punto è che gli ha domandato del Sanc Kingdom e del motivo per il quale non ne abbiamo parlato durante le lezioni di storia. E lei... si è un po' agitata.»

«Un po'?» le ha fatto eco Alex, scettico.

«Un po' tanto.» si è corretta lei.

Heero ha annuito, ma ha continuato a mangiare come se niente fosse. Dall'espressione che aveva sembrava che non avesse ascoltato una parola.

«Perché tanto imbarazzo sul Sanc Kingdom?» ha insistito lei. «E perché liquidare così una faccenda che ha dell'interessante dato che, come mi sono ricordata proprio un attimo fa, qui c'è un Suit che è del Sanc Kingdom? Yuy, ma ci stai ascoltando?»

Lui ha inghiottito. «Sì, Norimaki, ti ascolto. Ma che ti devo dire?»

Lei ha scosso la testa, contrariata.

«Kenny sa tutta la storia.» Alex ha fatto un cenno verso di me.

«A dire il vero, non ne so poi molto...» ho specificato. «so solo che c'era un principe e una principessa... e che sono morti nel bombardamento... forse.»

«Non può essere una coincidenza.» ha concluso Arale.

«A voi non sfugge nulla, eh?» ha commentato il responsabile del nostro piano con un sorriso storto. «Vedete, giovani Sherlock, è che il Giappone è in parte responsabile per quello che è accaduto.»

Ci siamo sporti verso di lui per saperne qualcosa di più, quando la voce di Pan ha interrotto Heero che aveva aperto la bocca per spiegarci meglio.

«Senti, chi se ne frega.» ha tagliato corto. «Possibile che siate tutti malati di 'sto cazzo di Sanc Kingdom? Ma fatevi una vita, sfigati di merda!»

Ci siamo tutti girati verso di lei. Heero aveva l'aria sconcertata. «Scusa, Iccijojji, ma stavamo facendo un discorso tra di noi.»

«Ah certo, un discorso tra di voi!» lo ha scimmiottato lei. «Questo cretino si preoccupa di un posto morto e tutti quanti dietro come i pecoroni. Smettetela di parlare di cose vecchie e pure morte! Tu, topo di fogna,» e ha guardato Alex. Il mio amico non ha capito che parlava di lui e così si è girato per vedere se c'era qualcuno alle sue spalle, ma quando ha visto che non c'era nessuno, si è indicato come per dire: “chi, io?”. «Sì, proprio tu. Hai detto che sei un ex galeotto, no?»

Frank ha sbuffato.

Heero, invece, ne ha approfittato per alzarsi. «Sì, sentite, io me ne vado al mio tavolo. Avete cose più importanti di cui...»

«Sì, sì!» lo ha interrotto mia sorella. «Vaffanculo.»

Lui non ha detto niente. Si è allontanato dopo un cenno di saluto a noialtri, decisamente irritato. E allora Arale si è girata verso Pan. «Ma lo sai che sei una grandissima maleducata?» l'ha apostrofata. «Stavamo facendo un discorso interessante e tu...»

«Me ne sbatto i coglioni dei vostri pseudo discorsi seri. Vaffanculo pure tu, io devo parlare con il topo di fogna... come cazzo di chiami...»

«Mi chiamo Alex, non topo di fogna, e comunque di quello che devi dire non me ne fotte una mazza, ci sei?» si è alzato pure lui. «Io comincio ad avviarmi in palestra.»

«La verità» ha detto Pan, con aria di trionfo, interrompendolo dal sistemare la sedia sotto il tavolo. «è che sei solo un quaquaraqua. Ti fai tanto il grande ladro, ma in realtà sei solo un coglione che gli piace vantarsi. Scommetto che se ti chiedessi se sei bravo nel taccheggio, tu diresti subito di sì, no?»

Alex l'ha guardata. «E allora? Lo so fare, sì. Qualche problema?»

Lei ha ricambiato l'occhiata. «Il problema è che non ti credo.»

Lui ha fatto spallucce. «Fai quello che vuoi.»

«Quaquaraqua.» lo ha rimbeccato lei. «Ti propongo una sfida.»

Non capivo dove volesse arrivare. Avevo quasi paura di scoprirlo anche perché stava insultando il mio amico in modo anche pesante e non mi andava che lo facesse. «Pan?» l'ho chiamata, ma lei mi ha ignorato bellamente.

Arale ha, invece, guardato Alex. «Lasciala stare.» gli ha consigliato.

«No, scusa, Arale.» ha risposto lui. «Voglio proprio vedere fin dove arriva.» si è sporto in avanti, appoggiandosi sullo schienale della sedia che aveva occupato. «Dai, spara.»

Pan ha sorriso, trionfante. «La Une ha un badge attaccato alla cintura, hai visto?»

Alex si è girato verso la nostra insegnante, mentre io capivo finalmente dove voleva arrivare. Non aveva smesso un attimo di pensarci, dopo un'intera mattinata passata a fare la brava, almeno relativamente. E io pensavo che se ne fosse dimenticata! «Embè?» è stata la risposta di Alex.

«Embè» ha risposto Pan. «se sei davvero il ladro che dici di essere, rubaglielo senza che lei se ne accorga.»

Sono scattato in piedi. «No, Alex!»

«Oppure sei solo un cretino che racconta palle su palle.» Pan ha fatto spallucce. «O, peggio, un cacasotto come questo qui.» e mi ha indicato.

«Pan! Ma non puoi chiederglielo!» ho esclamato.

«Me ne sbatto di quello che pensi.» ha dichiarato il mio amico. «Io non mi metto nei guai. Se la Une mi becca, mi fa espellere e io non ci voglio tornare in prigione per te!» e stavolta se n'è andato davvero. Anche Arale e Frank si solo alzati, tutti e due senza finire di pranzare e se ne sono andati. Io l'ho guardata, mentre lei guardava malevola i miei amici che si avviavano fuori dalla mensa di gran carriera. Non potevo credere che avesse tentato di far leva sull'orgoglio di Alex per indurlo a rubare il badge della Une.

«Che stronzo.» ha pure avuto il coraggio di dire.

«Questa volta hai davvero esagerato, Pan!» le ho risposto, e ho cominciato a correre per raggiungere i miei amici.


Ho raggiunto Alex e gli altri quando ormai erano già dentro lo spogliatoio dei maschi. C'era persino Arale, ma nessuno ha pensato di dirle di andarsene, anche perché eravamo solo noi quattro e nessuno pensava di mettersi in mutande tanto presto.

Alex camminava avanti e indietro come un'anima in pena. Prima di oggi, penso di non averlo mai visto in queste condizioni. È da ieri sera che è un po' strano, prima con la storia delle lezioni, poi con la paura di venire bocciato. Adesso con questo. E stavolta non era niente di divertente come il suo terrore per il mago di Oz. Era tutta colpa di Pan e di quello che aveva detto che gli aveva ricordato la prigione o qualcosa connessa.

Mi sono avvicinato a loro e mi sono seduto sulla panca di fianco ad Arale, la stessa su cui mi ero seduto prima di andarla a cercare solo qualche ora prima, come se solo la mia presenza potesse essere di qualche conforto.

«E dai, Alex, non c'è bisogno che fai così.» gli ha detto Frank che, invece, se ne stava in piedi e lo guardava mentre faceva le vasche tra un armadietto a quello di fronte. «Lo sappiamo tutti come è fatta Iccijojji.»

Ho annuito. «Sì, Pan è arrabbiata perché non voleva tornare in caserma.» mi sono zittito subito, però, quando mi sono accorto di quello che stavo dicendo: che gliene poteva importare agli altri dei fatti di Pan?

«Non è nemmeno la cosa peggiore che ha fatto!» ha continuato Arale, per riempire il silenzio che si era venuto a creare, un silenzio particolarmente imbarazzante. «Pensa alla volta che ha cercato di tagliare la mano di Kenny e che, se non c'era Sark, ora lui aveva un moncherino. Oppure quando ha messo il lassativo nelle uova della Une. Oppure quando...»

Lui non l'ha lasciata finire. Non si calmava in nessun modo. «E se poi fa qualcosa di strano e mi dà la colpa? Se la Une mi espelle, io sono fottuto!» si è girato verso di noi e ci ha guardato con aria smarrita. «La mamma... ieri la mamma mi ha fatto promettere che non sarei tornato in gattabuia! E adesso Pan può rovinare tutto, porca puttana! Io sto cercando di rigare dritto quest'anno, ci sto provando con tutto me stesso e poi arriva lei e rovina tutto! Cazzo, cazzo, cazzo!»

Arale non ha detto una parola, ha fatto finta che non sapesse niente e intanto annuiva comprensiva, ma intanto guardava Alex che dava calci all'armadietto di Tai Yagami. Povero Alex, quante ne ha passate nella sua vita!

Frank ha dato una pacca sulla spalla del nostro amico. «Non è successo niente. E noi saremo dalla tua parte, lo sai. Se succede qualcosa e lei ti dà la colpa, pensi che noi non ti scagioneremmo se sei innocente?»

«E se la Une non ci crede?» Alex ha scosso la testa. «Lei lo sa che sono capace di rubarle il badge. L'ho anche fatto, due anni fa, e se succede di nuovo, questa volta sono fottuto al quadrato!»

Ho sussultato e anche Frank. Arale, invece, sembrava essere al corrente di tutto. Mi chiedevo come fosse possibile che sapesse anche quello. Di certo, negli atti del tribunale non c'erano anche i furtarelli che Alex può aver commesso qua dentro.

Lui non si è accorto di cosa capitava dentro di me e la mia amica. Era solo molto scosso e, come se non riuscisse più a stare in piedi, si è seduto sulla panca di fronte alla nostra e si è nascosto il viso tra le mani. Quella è stata forse l'occasione più brutta della mia vita: vedere un mio amico piangere e non potere fare niente per aiutarlo.

«Dai, Alex!» ha continuato Frank. «La Une lo sa che non lo faresti più!»

«Ma non capisci, Frankie? È la stessa cosa che ho fatto io due anni fa! Se la fa Pan, allora la Une penserà che le ho dato io l'idea! Io volevo essere espulso, ecco perché l'ho fatto e perché non mi sono nemmeno premurato di scoprire il tipo di codice. Mica lo sapevo che c'era la fregatura!» ha inspirato per fare una pausa, poi ha ripreso, senza che nessuno osasse interromperlo: «Mi aveva detto già l'anno prima, quando ho preso l'accetta, che se non avessi rigato dritto sarei stato espulso e così volevo prendere la palla al balzo...»

«L-l'accetta?» ho domandato, inorridito. Se c'è una cosa che non riesco ad immaginare è proprio Alex che prende un'accetta. Il tranquillo, buono e un po' imbranato Alex... insomma... non ce lo vedo proprio con un'accetta.

Lui ha sbuffato una risata. «Sì, Kenny. Ho preso l'accetta che sta in corridoio, sai, quella dell'antincendio. L'ho usata per sfondare le pareti dell'aula della Noin durante la sua lezione.» e qui Arale mi ha dato un'altra gomitata. «I ragazzi si sono subito spaventati, ovviamente, e sono corsi a chiamare la Une che è subito corsa a cercarmi. E così mi ha detto:» si messo impettito e ha puntato un dito verso l'alto, con un'espressione molto simile a quella della Une: «lei, Ramazza, se non riga dritto, sarà espulso in via direttissima. E lo sa cosa accadrà quando questo succederà? Pensa che verrà rispedito a casa come se niente fosse? Nossignore, verrà rimandato in prigione, sì, quella stessa che le è stata risparmiata dal senatore Douglas Kushrenada e dal suo buon cuore.»

Per un attimo, la stanza è stata immersa nel silenzio più assoluto. Arale mi ha dato di nuovo una gomitata forte nel fegato, tanto forte che io ho creduto di poter morire di emorragia epatica.

«Sapete,» ha continuato ad un tratto. La sua voce sembrava strana dopo tutto quel silenzio. «credo che se mi avessi conosciuto due anni fa, non saremmo amici, oggi... sarei più come Pan, o come Howard James... però,» si è passato una mano dietro il collo. «quando ho provato a rubare il badge e ad andarmene, l'anno scorso, la Une mi ha solo dato una nota di demerito e così... eccomi qui. Non c'è modo di fuggire da questa prigione, ragazzi... l'unica è darsi un contegno e smetterla con queste cazzate. E poi non è vero che ho cercato di rapirti, Frankie! Volevo solo rubare qualche oggetto prezioso! Mio fratello mi aveva sfidato a entrare in casa tua, mica volevo...»

Frank gli ha messo una mano sulla spalla. «Lo so, Alex.» ha sorriso a mezza bocca. Per un attimo, mi è parso che ci fossero solo loro nella stanza: parlavano di cose che noi, Arale ed io intendo, non sapevamo e che non avremmo dovuto sapere. Mi sentivo uno spettatore involontario, che si era intrufolato nelle loro vite per morbosa curiosità e adesso mi sentivo proprio così: una merda.

Anche Alex ha sorriso. «Già...» ha risposto. Poi ha guardato verso di noi e allora io credo di essere diventato rosso come un pomodoro maturo. «Ragazzi, mio padre è un truffatore, non è un assassino, e nemmeno un mafioso. Lui, coi ricchi, ci ha avuto a che fare solo per spillargli dei soldi, non per usarli in chissà quale altro modo, almeno così dice la mamma. Poi un giorno la polizia lo ha pizzicato e, pur di non pagare i suoi conti con la giustizia, è scappato via e adesso non si sa più dov'è. Forse è andato alle Antille o forse è tornato in America. O magari è andato in Italia dal nonno, e ha sposato un'altra signora Ramazza. Io e Frank ci siamo conosciuti per caso, perché era in casa quando io sono entrato dalla finestra e, invece di stordirlo o di farlo scappare a chiamare i suoi, mi sono messo a giocare con lui. Fine della storia.»

Lei è arrossita. «Ma... ma... come... perché ce lo dici?» ha balbettato, in imbarazzo.

Frank le ha sorriso. «Come se non stessi morendo dalla voglia di saperlo.»

«Ma... ma io...»

«E dai!» le ho dato una pacca sulla spalla come consolazione. Dal canto mio, ero felice di sapere la verità sui miei amici, su come mai si conoscessero da prima dell'arrivo di Frank in caserma. Me li ha resi più vicini, li ha resi, in qualche modo... più veri. Non so spiegarli meglio. «Non fare così. Almeno hai saputo la verità, no? Ci tenevi tanto!»

Credevo che avrebbe sollevato la testa, che avrebbe sorriso o che mi avrebbe portato via per dirmi che era tutta una scusa e che dovevamo fidarci ancora meno di loro, dopo questa pseudo-spiegazione, invece non è successo niente di tutto questo. Le sue spalle hanno cominciato a sussultare e, pochi attimi dopo, è scoppiata a piangere senza ritegno, travolgendoci con le sue grida isteriche.

Quello era peggio che vedere Alex spaventato.

Ho tolto la mano dalla sua spalla, con la paura di aver in qualche modo innescato una bomba, e, come se fosse stata quella a trattenerla, è scattata in piedi ed è corsa via.

«Arale!» ho esclamato, balzando in piedi come se ci fosse stato qualcosa di appuntito sotto il mio sedere. Tutti e tre abbiamo cominciato a correrle dietro, ma lei era sparita al primo angolo. Ho guardato Alex e Frank che sembravano smarriti tanto quanto me.

Frank ha sospirato. Alex ha guardato oltre l'angolo con l'aria timorosa di uno che si aspetti di trovare una bomba. «Non lo so...» ha detto, tornando a guardare noi, che eravamo rimasti dietro il muro. «Non mi piace quando le femmine piangono... mi sa sempre di guerra nucleare...»

«Ma non possiamo lasciarla così. Andiamo dai!» li ho sollecitati. E siamo andati tutti, guerra nucleare o meno. Arale è una nostra amica e, come eravamo stati tutti insieme per Alex, dovevamo esserlo anche per lei. Ma quando l'abbiamo trovata, in fondo alle scale, e ci ha sentito arrivare, quando si è girata, è scappata di nuovo. Non ce la siamo sentita di correrle dietro di nuovo, adesso, perché era evidente da come si era comportata che non voleva averci tra i piedi.

«Ma che le prende?» ha domandato Frank, guardando la sua figura minuscola che si allontanava.

«Beh,» Alex si è grattato la testa. «dicono che le donne fanno così... piangono, ogni tanto.»

«Ma dai!» lo ha ripreso Frank. «Così, senza motivo!»

«Ma non lo dico io!» si è difeso il nostro amico. «Lo dice Martin!»

Frank ha scosso la testa, per niente d'accordo. Anche io non lo ero: Arale è una ragazza solare, pronta a ridere di qualunque cosa e che non si arrende di fronte a niente, neanche all'evidenza, quindi era ancora più strano che fosse scoppiata a piangere senza motivo, quale che fosse la conoscenza di Martin delle donne.

Avevo l'impressione che c'entrasse quello che ci aveva detto Alex a proposito della sua famiglia e di suo padre che era scappato in Italia, ma, se così era, non vedevo perché non essere contenta che il nostro amico stesso avesse deciso di aprirsi con noi.

«Dai, Ken.» mi ha sollecitato Frank, dandomi una pacca sulla spalla. «Andiamo, o perderemo l'ora col Salvini. Ad Arale pensiamo dopo.»

Ho annuito, anche se il mio sguardo ha vagato alla ricerca di una traccia di Arale. Speravo che si fosse calmata e che tornasse indietro con noi, che dicesse che aveva scherzato e che non era successo niente. Ma così non è stato.

Sono stato pensieroso per tutto il resto dell'ora, ogni tanto osservavo il parrucchino del Salvini che, adesso che lo so, mi sembra più un gatto morto che un ammasso di capelli. In effetti, adesso che ci penso, avevo sempre notato che gli facevano difetto sul lato sinistro, ma pensavo che fosse pessimo il suo parrucchiere e non me ne ero mai dato pena.

Arale, comunque, non si è fatta vedere per tutta l'ora e mi sono sentito parecchio solo: lei, di solito, mi sta a sentire quando le dico le cose e certamente avremmo riso un mondo nel vedere il difetto del parrucchino. E mi sono anche sentito un po' uno schifo: insomma, era una dei miei migliori amici e l'avevo lasciata sola ad affrontare il suo dolore, di qualunque cosa si trattasse, perché mi ero fatto prendere dal panico.

Alla fine dell'ora, deciso più che mai a riscattarmi, mi sono rivestito in fretta e, senza neanche abbottonarmi la giacca, sono andato a cercarla. Credevo che sarebbe stato più difficile del previsto, dato che Arale non è Pan e non era mai scappata prima di oggi. Ma, proprio perché Arale non è Pan, sono riuscito a ritrovarla facilmente senza girare tutta la caserma: era seduta sulle scale che portano al primo piano, quello dell'ufficio della direttrice e dell'infermeria. E ora che ci penso... non ho proprio visto mia sorella, al corso di ginnastica.

Ma comunque, tornando al mio racconto, Arale se ne stava tutta piegata su se stessa con l'aria triste e sconsolata e, quando mi ha visto, sembrava che volesse riprendere a piangere. Mi sono comunque seduto di fianco a lei, cercando le parole giuste per consolarla. Solo che non mi usciva niente e, allora, sono rimasto zitto che, forse, è stata anche la cosa migliore.

«M-mi dispiace!» ha detto, dopo un po', la mia amica, togliendosi le lacrime dagli occhi. «I-io non... io...» e, come se avesse intuito le domande che avevo in testa, si è girata verso di me. «Oh, Kenny,» i suoi occhi erano sgranati, rossi e lucidi, mentre lucciconi scivolavano sulle sue guance paffute che, di solito, erano sempre tirate in un sorriso. «non mi sono mai sentita così umiliata in tutta la mia vita come oggi!» e, senza pensarci un attimo di più, si è gettata tra le mie braccia, prima di ricominciare a piangere a dirotto.

Da parte mia, ero nel panico. Mi sono guardato in giro in cerca di presenze umane: l'ultima cosa che volevo era che passasse qualcuno e che ci vedesse così e che potesse fraintendere. E poi volevo era un po' d'aiuto, perché non me ne intendo proprio di ragazze che piangono. Nei film, di solito, i ragazzi danno loro le pacche sulle spalle, dicono qualcosa di carino e di epico, ma poi finisce sempre con un bacio... e l'idea mi terrorizzava. Insomma! Non voglio dire che... ma bleah! È di Arale che stiamo parlando!

«Ehm... ma... ma perché ti senti umiliata?» ho chiesto, sperando che si staccasse presto.

E lei, per fortuna, l'ha fatto e io non sono riuscito a trattenere un sospiro di sollievo.

«Beh,» ha risposto lei, asciugandosi di nuovo le lacrime col palmo, tutta demoralizzata. «Insomma... lui lo sapeva che avevo letto gli atti di tribunale!»

«E come, se non gliel'hai mai detto?»

Lei ha messo di nuovo su la sua aria di sopportazione quando le faccio domande sciocche. «Ma insomma! È la mafia, lo vuoi capire sì o no? Quelli sanno tutto!»

«Eh, già...» ho commentato, anche se, a dire il vero, continuavo – e continuo – a non capire.

Arale ha sospirato. «Lui ha voluto farmi sapere che ha capito e che tutto quello che so per lui non conta niente. Anzi, è disposto a dirlo così come viene, perché sa di essere in una botte di ferro!»

«A me sembrava sincero.»

«A te sembrerebbe sincero pure l'assassino con la mannaia grondante di sangue che ti dice che è innocente!» ma poi ha cominciato a scuotere la testa con aria di disapprovazione e mi ha messo una mano sul braccio. «No, scusa, Kenny. È una cosa cattiva da dire.»

«Oh, tranquilla, mi hanno detto di peggio.» e ho sorriso con fare incoraggiante. In confronto, quello era niente in confronto a “paramecio”, anche se ormai alle mie orecchie quello era quasi diventato un nomignolo affettuoso. Penso che mi dispiacerebbe se Pan non mi chiamasse più così.

Lei ha fatto un gesto secco con la mano, come se volesse dirmi di fare silenzio o stesse scacciando una mosca fastidiosa. «Comunque, non ti fidare troppo di Alex. Tutta la storia puzza un po'... a partire dal fatto che lui è stato mandato in casa di Frank per rubare. Anche se fosse vero, quando mai un ragazzino viene arrestato per essere entrato in casa di qualcun altro e viene beccato a giocare col proprio figlio? Magari poteva essere stato Frank a invitarlo, anche se il senatore dice di no. Ma perché dovrebbe dire di no? È questa la domanda che mi frulla! Un bambino non finisce in prigione per essere stato beccato a giocare col proprio figlio, no no.» e qui ha scosso la testa. Ha parlato come una macchinetta, quindi era tornata la solita Arale di sempre, anche se aveva ancora gli occhi un po' rossi. «Dovremo indagare, Kenny!»

All'inizio, ho pensato di dirle di lasciar perdere, ma avevo anche paura che potesse mettersi a piangere di nuovo. Così le ho promesso che avrei fatto il possibile per aiutarla. Per questo adesso non mi sento del tutto in pace con me stesso, anche perché poi, convinto di aver fatto una sciocchezza, pentito di aver tradito anche solo potenzialmente i miei amici, alla fine della giornata, nella camerata dei ragazzi, prima di andare a letto, ho raccontato ad Alex e Frank il motivo per cui Arale aveva avuto la sua reazione.

Eravamo seduti sul letto di Frank, accanto a quello di Alex che se ne stava disteso con le gambe larghe e le braccia dietro la testa, tenendo anche la bocca aperta come se vedesse il più bello spettacolo del mondo proprio sul soffitto grigio topo.

Frank non sembrava più sconcertato, ma piuttosto contrariato. «E' andata in tribunale!» ha esclamato, incredulo e anche un po' indignato. «E' andata in tribunale per farsi i fatti tuoi!»

«E dai, non farla lunga!» ha risposto Alex, con tutta la leggerezza del mondo, anzi, anche un po' più allegro. «Che cosa vuoi che sia? In fondo, se anche gliel'avessi detto prima, saremmo punto e a capo. Spero quasi che venga fuori un casino come quello del semestre scorso! Quanto mi sono divertito!» ha guardato Frank, sorridendo, ma Frank aveva la testa girata dall'altra parte, offeso. Sospirando, Alex si è dato un colpo di reni e si è messo a sedere sul letto. «Frank... dai, che male fa?»

«Che male fa? Credevo che questa storia fosse finita mesi fa!»

Alex ha fatto spallucce, sempre sorridendo. «Io voglio vedere fin dove arriva. Sarà divertente!» e poi si è allungato verso di me, mi ha dato una botta sulla spalla. «Grazie Kenny, mi hai davvero risollevato la giornata!»

È andato a letto poco fa, fischiettando.

Spero solo di non aver fatto l'ennesima stupidaggine...



________________


Eccomi di nuovo, dopo... ben otto mesi. Diciamo che ho avuto molto tempo per scrivere e... per riflettere. ;)

Kenny è arrivato a buon punto, ho scritto una decina di capitoli negli ultimi sei mesi e me ne mancano all'incirca sette. Il punto è che non so se continuerò la sua avventura o la terminerò alla fine del primo anno, perché non scriverò (o non pubblicherò) i seguiti. Questo perché mi sembra che la storia non abbia avuto alcun successo e non lo intendo nel modo in cui fanno alcuni che hanno fior fior di recensioni, ma ancora più letture. Perché sono proprio queste che mancano: le letture. 54 in otto mesi mi sembrano un segnale più che evidente che qualcosa non va.

Ora, io non so se è il fandom che non “tira” o se è la storia in sé, anche se, devo ammettere, a me la storia non fa così schifo, anzi la adoro, ma io sono l'autrice ed è difficile, su questo punto, che sia obiettiva. XD

Cerco di capire che cosa non va, perché i segnali che ci sia qualcosa da questo punto di vista ci sono tutti. Mi manca un feedback di qualunque genere, da qualche capitolo a questa parte. Dal 2009, quando ho pubblicato, ho avuto 4 seguiti, 2 preferiti e 1 ricordato e la situazione è in stallo. Perciò vorrei capire, di quei 54 che hanno acceduto al capitolo scorso, quanti sono effettivamente tornati e quanti hanno aperto e chiuso subito. Ovviamente, chi la apre e chiude subito non può rispondere, ma per coloro che leggono (se ce ne sono): è perché la storia non vi interessa? Non vi suscita niente, è stupida, è per via delle parolacce (come mi disse un ragazzo e, di parolacce, molti non infarcissero i loro discorsi), è troppo lunga, è pallosa? È perché gli aggiornamenti vanno a rilento e avete perso le speranze? Non lo so... mi sono interrogata a lungo e non arrivo alla risposta. -.-''

Grazie in anticipo a chiunque voglia aiutarmi. :)

Luine.

  
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