«Tu non sei stanco, Akaashi?»

L'altro si limita ad annuire, sistemandosi il borsone in spalla. Bokuto ridacchia, da un'ultima occhiata alla porta, e muove un passo esitante sulle ginocchia che ancora tremano per lo sforzo.

 

(Solo dieci minuti Akaashi, dieci minuti di muri, solo dieci per favore. Scivolano nelle ore in fretta, anche quando le mani fanno male e le dita iniziano a gonfiarsi.

Akaashi non ha detto nulla, ma Bokuto l'ha guardato di sbieco tutto il tempo.)

 

«Di questo passo riuscirò a fare una schiacciata dritta in pochissimo tempo!»

Akaashi annuisce nuovamente. Gli manca la forza di far altro, sia pur soffiare aria fra le labbra e muoverle per formare sillabe, parole, frasi.

"Certamente, Bokuto-san."

Distrattamente, si chiede come possa Bokuto allenarsi fino a quest'orario indecente e aprire gli occhi il giorno seguente. O semplicemente evitare di fasciarsi le dita, ridurle a pezzi di carne urlanti e incapaci di muoversi.

 

(È da tanto, tuttavia, che non gli chiede di murare per lui.)

 

«Come va il ginocchio, Akaashi?»

La domanda cade nel silenzio. Bokuto stringe le labbra, chiudendo gli occhi per scacciare via i ricordi. Non vuole rivedere Akaashi riverso a terra, i pugni stretti al punto da sembrare bianchi, gli occhi spalancati e quasi vitrei.

Dubita seriamente che chiunque abbia voglia di ricordare il suo grido, che aveva spento ogni suono nella palestra per almeno un minuto.

Pur con la sua limitatissima conoscenza medica,

 

(Bokuto alza la testa quando gli esce sangue dal naso, cerca di tamponarlo con le dita.)

 

Koutaro sa che le articolazioni fragili non sono granché di aiuto, in campo.

 

(Akaashi gli passa i fazzoletti, li osserva macchiarsi di vermiglio mentre gli abbassa il capo.

Lui può solo guardare, paralizzato, mentre l'infermiera scatta in avanti e qualcuno chiama l'ambulanza.)

 

«Mio padre- dovette smettere di giocare a calcio» ed è un sussurro, spaventato quasi, tanto che la sua voce si spezza e deve sospirare prima di poter aprire nuovamente bocca, e quando lo fa il suo tono è tornato quello usuale «quindi suppongo che dovrà essere lo stesso per me.»

 

(I giorni a seguire non parlano.)