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Autore: AsanoLight    30/08/2014    2 recensioni
«Hirato ed io aspettiamo un figlio»
Intercorse un silenzio di tomba. I presenti si scrutarono uno ad uno, cercavano risposte nei vicini di tavolo, e si davano vicendevolmente pizzicotti. Era un sogno; tutti ora se lo auguravano.
Ma quel pancione non poteva essere un cocomero.
Genere: Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Mpreg
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Tsukitachi prese sottobraccio il comandante e si allontanarono dal gruppo sulla via per il parco di Vantnam. Non era la prima volta che vi facevano scalo, potevasno dire di conoscere abbastanza bene quella piccola cittadina, o forse, erano le vie dei suoi centri commerciali e i nomi dei negozi agli angoli a venire particolarmente noti ai combattenti della prima e della seconda nave. Certamente, per una persona come Tsukitachi, che non vedeva neppure la differenza tra un armadillo e un armadio, perché pronunciati entrambi sembravano piuttosto simili, Vantnam era la città che poteva vantare di conoscere meglio delle sue tasche, sebbene lui, le tasche del giubbotto, non sapeva neppure come fossero fatte, dato che -come sempre diceva, le bottiglie del brandy avevano forme troppo varie o grandi per poterci entrare.

«A cosa stai pensando?», domandò stringendo il braccio del corvino. Hirato accettò malvolentieri quella cortesia. L'ultima persona con cui voleva passare del tempo era quell'idiota con i capelli rossi. Era incinto, aspettava un figlio e anziché ricevere supporto morale dal principale responsabile, si ritrovava abbandonato a se stesso (contava veramente così poco Tsukitachi?), senza neppure una spalla su cui piangere. Akari poteva lamentarsi quanto voleva sull'ingiustizia della sua condizione, ma non era lui quello che avrebbe dovuto mettere la creatura al mondo.

Il parco oramai non era più molto distante, con i suoi begli alberelli verdi curati e i fiori splendidi, c'era una vegetazione così variopinta e rigogliosa che una foresta amazzonica poteva tranquillamente fargli concorrenza. Non che- anche il giardino di Jiki si sarebbe rivelato un degno avversario, quando non veniva distrutto da una certa ragazzina con preoccupanti manie di protagonismo.

«Penso all'infinito», rispose Hirato sovrappensiero.

«L'infinito...», Tsukitachi alzò gli occhi al cielo, scrutando le nubi e cercando di intravedere, tra un cirro e l'altro, l'azzurro del cielo, «L'infinito... tipo... il cielo?»

«”L'infinito... tipo” la tua idiozia», replicò pungente il corvino.

«Certe volte penso che tu mi sottovaluti troppo, Hirato», appoggiando le suole sulla morbida erba dell'aiuola e ignorando completamente il divieto grande quanto una casa all'entrata del parco, Tsukitachi si fece strada per l'immensa distesa edenica di verde trascinando sottobraccio il comandante incinto come un padrone fa con il cane quando non ha voglia di camminare, «Su, su! Vieni e rilassati un po'! Dev'essere impegnativo essere una do- un uo-... ... portare in grembo una creatura! Chissà quante volte avrai pensato a come verrà al mondo e come sia stato possibile e cosa farai una volta che sarà nato e-»

«Non fingere di capirmi», era freddo il tono di Hirato e per un attimo Tsukitachi pensò fosse entrato nuovamente nella sua modalità di sbalzi d'umore, una tale abilità che ricordava vagamente l'entrare nella "Zona" dei personaggi di un certo anime di giocatori liceali di pallacanestro, e aveva sudato freddo, quasi ghiaccio, quando l'ipotesi della situazione gli aveva sfiorato la mente, «Non parlare come se capissi tutto. Già non capisci niente nella norma, fa di non peggiorare la situazione. Tu non puoi immaginare cosa significhi non sapere cosa succederà. Detesto ammetterlo- ma non sono al culmine della mia tranquillità»

«Beh... Hirato, non prenderla a male... ma-», notò il comandante portarsi le mani al pancione una volta sedutosi sulla panchina e venne scosso da un brivido -se di disgusto o altro non seppe dirlo, quando lo vide massaggiarlo con movimenti calmi e circolari nei soliti comportamenti che Akari usava rimproverargli. Tossi appena e cercò di riprendere le redini del discorso: «D-Dicevo... E' normale che tu non ti senta tranquillo... ma come è entrato dovrà anche uscire, non pensi? O-Ovviamente, se sapessimo come ha fatto ad entrare sarebbe più facile...»

No, non andava bene. L'occhiata torva del corvino in quel momento non lo rassicurava affatto, anzi, vedere tanto astio concentrato su di lui con il solo sguardo e confrontarlo con l'amore e la cura dei massaggi sul pancione gli sembrava un insolito indice di disturbo bipolare da donna in gravidanza. "...So cosa significa per lo meno 'bipolare'?", il pensiero attraversò come un fulmine la mente di Tsukitachi, partendo da un estremo del cervello e giungendo rapidamente all'altro, ma nel momento in cui ebbe la piena certezza di aver realizzato il significato di 'bipolare', Hirato si era piegato in due sulla panchina strozzando un gemito di dolore.

«Oi! Tutto bene?», Tsukitachi si precipitò all'immediato addosso al comandante e gli diede una pacca sulla spalla con energia, «Stai soffocando?, respiri?»

«Come potrei soffocare?!», Hirato si mise le mani al pancione, esasperato fino alla cima del suo capello, «Ti fai troppi problemi. Sono un uomo, saprò come gestire la situazione»

"Ma se cinque secondi fa eri una sventurata donna dimenticata dal resto del mondo!"

Oramai ne era più che convinto. Hirato era bipolare.

Senza sapere cosa potesse significare o da dove avesse tratto quell'alquanto dotto termine, poteva dire tuttavia che gli stava a pennello e nessuno gli avrebbe mai strappato dalle mani e dalla mente la certezza che il comandante della seconda nave avesse qualche serio problema fintanto che era non solo in stato 'interessante' ma perfino fuori dalla norma. «Se dici di essere capace di gestire la situazione, voglio avere fiducia in te. Non che-...», mormorò a fior di labbra prendo a sua volta posto sulla panchina, al fianco del corvino, e contemplando il cielo a sprazzi azzurro e a sprazzi bianco, che pareva più che altro dipinto dalla mano di un imbianchino ubriaco -perfino lui sarebbe stato capace di una simile opera d'arte, «Ho creduto molte volte in te e nei tuoi poteri. Ti ho lasciato andare a Rinol, perché sapevo che avresti potuto sostenere il peso della missione senza problemi. E poi- anche quella volta che hai salvato Gareki e quella ragazzina, Tsubame, da quel Varuga... Sei sempre stato capace di fare cose fenomenali e straordinarie...»

«T-Tsukitachi...», Hirato si portò le mani al grembo bofonchiando il suo nome, ma avrebbe centinaia di volte preferito quello di Akari.
Maledirlo, se possibile.

«Oh! E poi, se contiamo anche quanto abile tu sia nel combattimento! Abbiamo speso molti anni insieme a Chrono Mei. Ti ricordi quella volta che siamo fuggiti dall'accademia e il preside ha fatto una sfuriata contro di noi? E poi è arrivato Akari-chan e tu hai addossato l'intera colpa su di lui! Prendi questa situazione come una sua piccola vendetta! Occhio per occhio, dente per dente!»

«Tsukitachi... p-per favore ascoltami un at-»

«Che poi, francamente, se devo essere sincero, c'è sempre stato quel ‘non so che’ di ambiguo tra te e Akari-chan sin dal primo istante! Ricordo quando gli avevi regalato i cioccolatini il giorno di san Valentino... e ogni volta che venivo a cercarti per farci quattro chiacchiere eri sempre in giro con lui, o in biblioteca o in laboratorio tra intrugli di ogni genere! Manco fossi stato un alchimista!», il comandante della prima nave si perdeva divertito nel flusso delle memorie dei bei vecchi tempi, lasciandole diluire come liquido in provetta nell'ovattata ma impalpabile morbidezza delle lontane nuvole, i cirri del suo passato, quelli a cui sempre aveva rivolto domande a cui mai aveva ottenuto risposte, «T-Tsukitachi-», già, com'erano belli i tempi andati, quando ancora tutto rientrava nella perfetta normalità e loro non erano nient'altro che ragazzini spensierati che avevano deciso di combattere per salvare il mondo dai Varuga, senza curarsi che da almeno cinquant'anni centinaia di supereroi, mecha, robots e tartarughe mutanti ninja avevano già deciso di sconfiggere il male e salvare il pianeta da nemici dai mille volti e improbabili psicopatici dalle insolite manie.
Eppure, lui, a parte fronteggiare Varuga che somigliavano vagamente ai troll delle Witch... non ricordava di aver affrontato altri generi di avversari.
Chissà che avrebbe fatto, se anziché ritrovarsi faccia a faccia con un Varuga, gli si fosse accidentalmente parato di fronte un esercito di guerrieri supersayan biondi ossigenati pronti a conquistare il mondo. Forse avrebbe avuto qualche possibilità, con il braccialetto di Circus e una modesta quantità di buona fortuna.

«Tsukitachi...», Hirato era piegato in due nei limiti che il pancione gli consentiva, e le gote paonazze e la fronte sudata e il sudore che colava a fiotti dalla fronte fino agli occhiali, che oramai gli erano scesi sino alla punta del naso, non parevano affatto indice di buona salute, «Tsukitachi!»

«Uhm? Cosa c'è, non ti senti bene?»

«Ti sembra la faccia di uno che sta bene questa?!», Hirato urlò come non aveva mai fatto in vita sua, il baritono ch'era in lui era finalmente volato libero.

Tsukitachi deglutì pesantemente, come se al posto di un bolo di saliva, si fosse improvvisamente ritrovato tra il palato e la lingua un macigno di almeno tre tonnellate. O un camion con annesso rimorchio. «Beh... non per contraddirti, Hirato...», sollevò una leggera obiezione, con un tono che qualunque marito avrebbe compreso dovendosi rivolgere alla propria moglie incinta, e capì solo allora quanto avrebbe preferito trovarsi al posto di Akari anziché tenere a bada una fiera indomita come Hirato, «...ma poco fa mi avevi assicurato che stavi bene e che- che non avevi bisogno di altro... perché sei un-»

Il livore della faccia del comandante parlò per lui e Tsukitachi sentì quel macigno trovare un comodo posto nello stomaco, e chissà quando se ne sarebbe liberato!

«Tu... AH!»

Cercò di controbattere il corvino, al quale le solide e infallibili argomentazioni non mancavano mai, ma una fitta tremenda lo costrinse ad abbandonare ogni proposito, piegato in due dalla sofferenza. Non voleva mostrare quella faccia al compagno di una vita, quel ragazzo che l'aveva sempre visto con il sorriso sulle labbra o la spietatezza nel combattere -o meglio, non era lui quello che l'avrebbe dovuto vedere in quello stato.

Ma qualcosa nel suo grembo o giù di lì si agitava, e premeva, e soffocava, e lui se ne stava ancora su quella dannata panchina, tra quei disgustosi fiorellini a cui sembrava non importare nulla dei suoi atroci dolori, e quell'idiota al suo fianco che invece non capiva niente, niente delle sue fitte, niente di quel contorcersi dentro di sé, di quel convulso e inspiegabile agitarsi, niente di quelle-

 

«CONTRAZIONI!»

 

Tsukitachi inarcò un sopracciglio e prestò maggiore attenzione alla magnifica faccia del corvino. Era un madido di sudore, si domandò per un istante se era così anche quando con Akari-

«Che fai lì impalato?!», Hirato grugnì, inutile dire che il rosso assisteva ad un raro prodigio, e osservava con inenarrabile stupore quel mistico mutare nell'animo del comandante. Aveva la stizza e il rancore di una donna, ma la forza restava quella di un uomo adulto; l'occhiata belluina con la quale lo stava imputando l'avrebbe potuto uccidere, se fosse stata una lama, «Prendi quel cazzo di cellulare e chiama Akari! Portami da qualche parte! Ho le contrazioni!»

«E dove ti porto?!», urlò di rimando il rosso e cercò di soffocare una risata quando realizzò la ridicolezza della situazione. Hirato non gli diede possibilità di replica, sfilò dalla tasca della giacca il cellulare –conoscendo il compagno e le sue abitudini, era palese che non lo avesse con sé, e glielo sbatté sul palmo: «Chiama Akari. ORA. Ho bisogno di lui»

Tsukitachi sgranò gli occhi, non era il momento più azzeccato per lasciarsi sorprendere, ma quell'ultima frase era riuscito a farlo. Era quello che non si sarebbe mai aspettato dal comandante della seconda nave, quello che forse aveva sempre nascosto agli occhi e alle orecchie di tutti, la verità innegabile, il fatto che ci sarebbe stato un momento nella sua vita in cui non ce l'avrebbe fatta da solo. "Quell'uomo ha una debolezza", realizzò in un tremito d'eccitazione mentre attendeva che Akari rispondesse.

Una catena di squilli senza risposta prima che potesse udire la voce del ricercatore.

Tsukitachi si allontanò da Hirato per parlare e, dopo un urlo dall’altra parte del telefono che avrebbero potuto sentire perfino i vecchietti che sedevano dall’altra parte del parco con il corno, fece ritorno dal compagno con un’espressione da cane bastonato.

«Alzati. Andiamo all'ospedale», convenne aiutandolo a rialzarsi dalla panchina e cercando di tratte le sue intelligenti deduzioni anatomiche dallo stato di Hirato, «Potrebbero essertisi rotte le acque!»

«Tu non sai un benemerito cavolo di nascite, vero, Tsukitachi?!», ringhiò con la ferocia di una bestia il più piccolo, tenendosi il pancione, l'idea che qualcosa, da chissà dove potesse uscirne, bastava a fargli venire i capelli bianchi, «E' una cosa comune tra voi della prima nave, come ho potuto constatare; essere ignoranti in materia di anatomia! Le contrazioni all'inizio sono lente e distanti tra di loro, poi si fanno ravvicina-!»

«Vorrei ricordarti, e ti prego di non odiarmi per questo... che tu non sei una donna», Tsukitachi abbassò di una nota il tono di voce quando pronunciò quell'ultima parola, ma Hirato era troppo preso dal suo soffrire, costretto ad appoggiarsi al compagno, per potersene curare, un motivo in più per il rosso per continuare indisturbato nella sua intelligentissima assunzione, «E che, di conseguenza, non potresti... partorire come una donna...», strinse il braccio del comandante il corvino e non riuscì questa volta a soffocare un gemito di dolore quando sentì una fitta intensa quanto un morso sulla pelle, «Voglio dire!, dopo un giorno portavi già in grembo una creatura di nove mesi! Era ovvio che il rischio che tu potessi partorire fosse incombente!»

«Se era così ovvio, perché non l'hai mai suggerito?!», c'era della rabbia nel tono di Hirato, oltre che un istinto omicida a un passo dal venire messo in atto.

Tsukitachi fece spallucce: «Nessuno mi avrebbe ascoltato, dato che mi date sempre deliberatamente dell'idiota»

«E non lo sei?!»

«E' questo il modo di rivolgersi a chi ti sta portando all'ospedale per farti partorire?!»

«Tsukitachi! Non mi dire che vuoi veramente-»

«Dove altro potrei portarti?»

Non poteva crederci.

Akari, tra le tante persone che erano presenti in quel momento, l'aveva affidato proprio a Tsukitachi, un uomo che non era neppure capace di far partorire un altro uomo. O per lo meno, di portarlo a partorire. Era lì, in travaglio, con quelle contrazioni a- non sapeva neppure lui cosa, con una creatura nel grembo (o chissà dove) che scalpitava e scalciava per uscire, si stava dannando come un disgraziato, e anziché starsene seduto e rilassarsi era costretto invece a camminare su un prato di fiorellini diretto verso... un ospedale.

E cosa avrebbero dovuto fare poi, in un ospedale?!

Se non avesse avuto troppo a che fare con quei dolori... avrebbe ammazzato Akari.

«Tu... non ti ha sfiorato l'anticamera del cervello l'idea di portarmi alla torre di ricerca?!»

«E' quello che mi ha suggerito anche Akari ma mi sembrava un'idea così stupida. Voglio dire... alla torre di ricerca? E come farebbero a far nascere un bambino?! Non hanno mica ostriche»

Hirato si portò un palmo alla fronte, «Si dice ostetriche... e comunque... Operano combattenti in fin di vita, sarebbero stati capaci di sventrare Nai se gli avessimo dato l'approvazione a farlo e ora mi dici che non saprebbero tirare fuori un figlio da me?!»

«Pensavo avessi valutato questa evenienza...»

La voce del rosso si fece nuovamente bassa e timida, l'insolita prepotenza di Hirato riusciva a tacciarlo come pochi al mondo ne avevano la capacità.

«IO. DEVO. PARTORIRE!», lo strattone prepotente del corvino spiazzò completamente Tsukitachi che oramai non poteva far altro che accondiscendere alle sue richieste, «Tu ora mi porti alla torre di ricerca, senza 'se' e senza 'ma'! Io metterò alla luce questa creatura e poi non ci si penserà più fino alla fine dei tempi! Sono stato chiaro?!».

Annuì mutamente il povero malcapitato, corrucciando disperato le labbra. Attivò il braccialetto di Circus e prendendo tra le braccia come una principessa il comandante incinto, tra lamenti e insulti rivolti più all'aria che a qualche persona di preciso, spiccò il volo.

 

 

"Comunque non pensavo che la faccia paffuta di Hirato potesse essere così carina"

Tsukitachi ebbe solo quel pensiero, volando in direzione della torre di ricerca, lasciando la prima nave incustodita, senza preoccuparsi di chi avrebbe poi dovuto riportarla a destinazione, dato che gli unici in grado di pilotarla erano loro due.

Hirato continuava a lamentarsi. Vederlo mentre si teneva il pancione ora faceva decisamente tenerezza.

 

 

"Non vedo l'ora di vedere la faccia della cicogna..."


Sghignazzando, si allontanava, sino a svanire nel lontano orizzonte.

 



Se Hirato potesse mi menerebbe con tutte le sue energie x'''D

L'ho detto, però! Questo è uno degli ultimi capitoli in cui appare in modalità 'chioccia'!
Lentamente rientrerà nel suo personaggio.... lentamente *coff coff*
Spero che questo sclero possa piacervi, anche se è un puro nonsense *fischietta*

Ho cominciato a lavorare di recente a una parodia sottotitolata dell'anime, per chiunque volesse dargli un'occhiata, ci sono i link per il download degli episodi!

https://www.facebook.com/karnevalparodia?skip_nax_wizard=true&ref_type=logout_gear

Un abbraccio e un bacione a chi mi segue, chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite, da ricordare etc... a chi recensirà e a chi, anche senza farlo, continua a seguirmi!!! Ringrazio moltissimo anche marifer198! Grazie per il tuo supporto! ;)

A presto!

AsanoLight~

 

   
 
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