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Autore: Cai_97    30/08/2014    1 recensioni
Perdere significa sopravvivere, vincere gli Hunger Games, avere sensi di colpa... Desiderare di essere morto nell'Arena, al suo posto.
Vincere significa morire. Per lui, per tutto ciò che gli devi.
Ma per morire bisogna lottare, scegliere.
"L'affetto o la vita? Quale è la tua priorità?" Quanto sei disposta a dare?
Che gli Hunger Games abbiano inizio.
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Allora questa è una versione rivista e modificata diùegli Hunger Games della Collins, ma segue comunque il suo filo conduttore.
I personaggi sono in parte inventati.
So che l'amore potrebbe sembrare l'argomento principale della fan fiction, ma non è affatto così, e lo potrete appurare solo leggendo... Questo vale anche per il titolo, lo capirete andando avanti nella lettura!
Beh... Che dire, spero vi piaccia! :)
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Finnick Odair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti! Piacere, io sono Camilla.
Questi saranno Hunger Games diversi da quelli che conoscete. Sarà diverso lo svolgimento della trama, di alcuni personaggi(la maggior parte) ma seguirà comunque il filo conduttore dettato dalla Collins.
Mi farebbe molto piacere se poteste recensire, anche per aiutarmi nella scrittura e correggermi quando secondo voi sbaglio. :)
Spero vi piaccia!
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1° Capitolo- “In fondo è semplice...non me lo perdonerò mai.”
 
Quando l’alba inizia a sorgere, sono già sveglia da una buona mezz’ora. Mi aggiro per il distretto, osservando i preparativi per questa, che sarà una giornata terrificante.
Penso che tutti, o almeno la maggior parte degli abitanti del mio distretto siano già svegli. Il nostro è un distretto mattiniero. La nostra risorsa principale è la pesca.
Tutta Panem ci conosce e ci ammira per la nostra grande forza di volontà, e la nostra dedizione nel lavoro… o almeno è così che ci piace pensarla.
Ogni mattina i nostri padri si alzano all’alba per andare a catturare pesci, la loro giornata consiste, fondamentalmente, in questo.
E’ così che funziona nel Distretto 4, ma non oggi, nel giorno della mietitura. Oggi ognuno è costretto a tirarsi a lucido, per presentarsi nel miglior modo possibile in piazza.
Ogni anno, ogni 26 Settembre, alle 10:00 di mattina.
Ad ogni passo cerco di tranquillizzarmi, in fondo sono così tanti i ragazzi qui, perché dovrei uscire proprio io? Pensarlo però non mi aiuta, infatti, cambio metodo.
Osservo le case attorno alla strada in cui sto camminando. Le luci sono(ancora) accese, e da alcune proviene un odore di caffè, che mi fa soltanto venir voglia di vomitare e non risulta affatto invitante.
 La strada si estende per lunghezza, porta al mare ed è piena di ghiaia che più in là si trasforma in sabbia d’orata.

Tempo dopo decido di dirigermi verso la piazza principale. Quando arrivo, è tutto pronto per il giorno della mietitura. Il giorno che tutta Panem teme, a parte Capitol City, ovvio.
 Sono settantaquattro anni che due ragazzi,(all’inizio un maschio e una femmina, ora è indifferente) vengono strappati alla propria famiglia, ai propri amici e al proprio distretto e vengono portati in un’arena a combattere, finche uccidendosi l‘un l’altro non ne rimane uno solo. Più sangue c’è e più loro sono contenti.
Una volta sentii mio padre discutere con altri due signori su quale essere umano pensi di fare una cosa del genere, avrò avuto sui sette anni.
Credo di essere arrivata ad una conclusione, solo molti anni dopo. Quelli di Capitol City non sono umani e non sono capaci di provare i sentimenti che proviamo noi.

Osservo a lungo la piazza e mi soffermo sul solito schermo gigante, su cui verrà mandato il solito filmato con i soliti avvenimenti “importanti”, secondo loro, degli Hunger Games.
Ogni anno mentre lo guardo, sento crescere dentro di me rabbia, rabbia allo stato puro e so che non posso fare niente per fermare questo massacro, il che mi fa venir voglia di piangere…ma non lo farò mai, io non piango.
Quando mi dirigo verso casa guardo il cielo, e mi accorgo della presenza di molte, troppe , nuvole. Ne sono certa, tra poco pioverà, e mi piace pensare che anche lui possa essere triste per noi.
 
Casa nostra non è male, ci sono distretti ridotti molto peggio del Quattro! Qui non siamo così poveri, non come lo sono in altri.
Il nostro nido si affaccia sulla spiaggia ma qui è una cosa abbastanza normale, quasi tutti gli edifici hanno una facciata affacciata sul mare, e l’altra affacciata sull’umile strada coperta di ghiaia.
Arrivata a casa apro la porta e vedo mia madre indaffarata a preparare la colazione e mio fratello che cerca di togliere la lische ad un pesce, invano.
Mi dirigo in cucina solamente per dire a mia madre che non ho fame. Sto parlando ma entra mio padre, e dato un bacio a mia madre posa un cesto con una buona quantità di pesci sul tavolo, facendo sobbalzare mio fratello, che si era distratto.
Non mi ero neanche accorta che fosse andato a pescare, questa notte…
 
Salgo in camera e inizio a prepararmi. E’ il quinto anno sia per me, che per mio fratello, e non c’è più bisogno che mia madre venga a dirmi quando devo iniziare a farlo, lo so da sola, ormai.
Poco dopo mi raggiunge Caleb, mio fratello e s’inizia a preparare con me.
Sono le 09:00 a.m., è ora di andare.
 
 Già da una ventina di metri prima, si riesce a percepire il grande caos presente in piazza.
 Bene...la routine di questa giornata si ripresenta puntuale come sempre. Tutte le persone che si conoscono, non si salutano, se non con un lento cenno del capo verso l’alto.
Sento l’ansia prendere possesso del mio corpo ma comunque ordino a mio fratello di stare calmo, anche quest’anno andrà bene.

Veniamo divisi ,maschi da parte e femmine da un’altra, non capisco perché lo facciano, non serve più.
 
 Passano circa trentacinque minuti prima che una voce fastidiosamente stridula invada la piazza, confermando che anche quest’anno la mietitura sia iniziata.
La donna, bassa e grassoccia non fa molte presentazioni e arriva subito al sodo: Benvenuti. Fra poco estrarremo i nomi…-fa una piccola pausa e poi riprende: …di due ragazzi fra i 12 e 18 anni che saranno i “fortunati” partecipanti dei settantaquattresimi Hunger Games.-
Detto questo si avvia lentamente verso una cassa che si trova al centro del palco e, guardandola con un notevole livello di disgusto, ci infila una mano dentro. Esita e poi ne tira fuori un bigliettino.
Si schiarisce la voce, si sente soltanto lei, il pubblico è immobile ,terrorizzato dal nome che questa donna proveniente dalla città stia per pronunciare.
Di nuovo la donna si schiarisce la voce, e in quel preciso istante il mio cuore e il mio cervello si bloccano, riesco a pensare solo a una cosa “Non io, non mio fratello, non…”-
Passano pochi secondi prima che la donna annunci: Hunter Grey!-
“…non Annice, Hunter o Liam”- concludo nella mia testa.
Neanche due decimi dopo mi sento spaesata e confusa, non capsico cosa stia accadendo. Io conosco quel nome, lo conosco bene!
Hunter.
Il sangue mi si gela nelle vene, quando vedo salire sul palco quel Hunter, il ragazzo con cui sono cresciuta, l’unica persona che oltre alla mia famiglia non mi ha mai abbandonato. Il mio migliore amico.
Mi sento svenire, non posso credere che sia proprio lui. 

Tutti pensiamo che ce la possa fare ma nessuno ne è pienamente convinto. Conosciamo le sue doti e sappiamo che è uno dei migliori qui ma conosciamo anche i tributi degli altri distretti, e li temiamo. Quelli dell’uno e del due in particolare.
 I genitori degli altri sono felici ma i ragazzi lo guardano esterrefatto.
E’ molto conosciuto e ammirato nel nostro distretto e credo che non vogliano lasciarlo morire, probabilmente qualcuno si offrirà per salvarlo.
Così non succede. 
Mi guardo intorno e vedo suo fratello. Liam piange, ed io provo un dolore che non ho mai provato.
Una fitta lancinante che sembra spezzarmi in due il cuore. Nessuno dei miei amici era mai stato estratto prima d’ora.
Per un attimo mi balena l’idea di offrirmi. Per Hunter. Per chi, se non per lui?
Apro la bocca, sto per offrirmi volontaria. Sto per salvarlo.
 
No. Sono troppo codarda per farlo. Serro la bocca e resto ferma.
<> penso.

“Manca ancora il secondo nome”- è la voce della donna a riportarmi alla realtà, a ricordarmi che non è ancora finita, che Hunter non sarà l’unico a morire.
Questa volta la signora impiega più tempo della volta precedente a prendere il biglietto ed io sento il mio stomaco contorcersi e il mio cuore implodere, nel mio corpo. 
Guardo la donna, di cui sinceramente non mi interessa il nome, che a sua volta guarda il fogliettino tra le sue mani: Abbiamo una donna!-

Ho un pessimo presentimento ma continuo a ripetere che non posso essere io, è già stato estratto il mio migliore amico se uscissi anche io…no, io non uscirò!
L’aria è tesa, nessuno si muove.
Lancio un’occhiata ad Hunter che ha lo sguardo perso,  poi mi guarda, e in quel preciso istante la donnetta dice, con voce gioiosa: Margaret Thompson!- 
Guardo Hunter, affranta ma felice di non essere stata scelta e tiro un sospiro di sollievo…non la conosco neanche quella ragazza.
Inizialmente si mantiene la solita calma; ma poi ci rendiamo conto che nessuno stia salendo sul palco e notiamo gli strani movimenti dei pacificatori di Capitol City.

Dopo un’interminabile attesa torna sul palco la signora di prima e afferma: C’è stato un errore, la ragazza in questione risulta aver compiuto quest’anno 19 anni, perciò, mi pare più che ovvio che non possa essere estratta. Ci scusiamo per l’incomprensione ma sarà d’obbligo l’estrazione di un nuovo nome. - 
Dalla folla parte una grande brusio ma nessuno protesta in alcuno modo.

La donna cammina nuovamente in direzione della cassa di legno e infila completamente il braccio, coperto da stoffa arancione al suo interno; mischia per una decina di secondi ed estrae il foglio.
Senza ulteriori indugi dice: Camilla Lewis!-

E’? Cosa? Perché sono tutti girati verso di me? Cos’è successo? Cos’hanno da guardare? 
La ragazza che ho accanto mi dice: Sei tu, sei stata scelta!- la guardo con aria interrogativa.
Cinque secondi passano, prima che diventi cosciente di quello che ha detto e che, con una calma che non è nel mio carattere, mi avvio verso il palco.
Salgo le scale di legno ai lati di esso e guadagno con fatica il centro. Raggiungo Hunter, il quale mi guarda stupido e triste, e mi gli fermo accanto guardando la marea di gente che ho davanti, non riuscendo a fare altro.
Neanche a dirlo, se non si sono offerti per lui, non si offriranno neanche per me.
Bastano pochi secondi a confermare le mie teorie. Nessun volontario.

La donna felice grida qualcosa, facendomi spostare dall’altro lato e alzando il mio braccio sinistro e il braccio destro di Hunter: “Ecco a voi i partecipanti dei settantaquattresimi Hunger Games!”- ridacchia.
La gente del mio distretto rimane in silenzio.
Guardo Hunter, vedo disperazione e rabbia nei suoi occhi.
Uno dei due dovrà morire e ne io ne lui permetteremo a l’altro di farlo. Costi quel che costi, compresa la propria vita.
 
   
 
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