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Autore: Sheylen    30/08/2014    2 recensioni
A tutti è capitato di scegliere la strada sbagliata, di credere ad una menzogna, di seguire la massa per convenienza. Anche Ras ha fatto questi errori, quando aveva 21 anni e viveva nel suo Paese. Ma il rimorso e l'Esercito l'hanno costretto a scappare, prima verso il Congo ed ora in Sudan. Sono passati sette anni dal suo grave errore, ma il destino è un ciclo: ti ripresenta le tue paure proprio quando credevi di essere fuggito abbastanza lontano da non rivederle mai più...
Prima classificata al contest "AAA Protagonista cercasi" di Miriam_Kasinaga
Vincitrice dei premi "Miglior Film" e "Migliori effetti speciali" al contest Oscar EFPiani 2015 di Frandra
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il ritmo spezzato



   
La Jeep viaggiava pigra, la lancetta del tachimetro non superava mai il 40.
Nel deserto funziona così, non importa dove stai andando o quanta fretta hai: devi rispettare i tempi delle dune. Non hai nemmeno la possibilità di accelerare di tanto in tanto, se no l'auto rischia di sobbalzare troppo e le gomme ti abbandonano nel giro di qualche ora. Si deve mantenere sempre lo stesso lento e snervante ritmo, sotto il sole che fiammeggia e circondati dal metallo che scotta.
Ghali suonava assorto il suo piccolo bongo. Se l'era costruito da bambino con chissà quali scarti recuperati nelle discariche, quando ancora viveva nella Repubblica Democratica del Congo. Durante gli anni l'aveva perfezionato sempre di più, e sembrava quasi un bongo vero, con la pelle tirata decentemente e bloccata da una fascia di cuoio e nastro adesivo.
Si inventava dei ritmi tutti suoi, batteva come un forsennato e alcune volte componeva anche qualche rima da cantarci sopra, ma doveva aver intuito di saper usare meglio le mani che la voce. Durante i primi mesi l'avevo trovato particolarmente fastidioso, forse per via di quella ostinata sociopatia che mi divertivo ad ostentare, e più volte avevo sentito l'impulso di legargli le mani così strette da non lasciarle nemmeno tamburellare con i polpastrelli, ma con il passare degli anni avevo capito che sarebbe stato inutile: avrebbe trovato in ogni situazione il modo di produrre ritmo.
 ̶  Conosci la canzone del macellaio e della nigeriana?  ̶  mi chiese dopo essersi illuminato, facendomi sentire il motivo a mezza voce. Scossi la testa, riportando lo sguardo sulla strada. Non appena ebbe ricevuto la mia risposta, Ghali iniziò a cantare una serie di versi talmente osceni che scoppiammo entrambi a ridere.
 ̶  Non puoi aver avuto una bella adolescenza senza un bel gruppo di amici e questa canzone!  ̶
 ̶  Non direi proprio: noi certe cose, invece di cantarle, le facevamo con le ragazze  ̶ commentai tirandogli una spallata. Continuammo a stuzzicarci come ragazzini ancora per qualche minuto, dopotutto era uno dei sistemi migliori per allentare la tensione senza svuotare il pacchetto di sigarette.
Poi, attirando all'istante la nostra attenzione, il GPS iniziò a lampeggiare.
Fermai immediatamente la Jeep, toccando con l'indice il touchscreen. Non credevo in nessun dio, ma in quel momento forse, se ne avessi avuto uno, avrei pregato.
Lo schermo rimase bianco. La lucina rossa lampeggiava. Avevamo perso il segnale.
Ghali smise di suonare, spense e riaccese il navigatore, ma non cambiò nulla. Afferrò il cellulare, uno di quei modelli degli anni 90 che prendono dappertutto, e digitò rapidamente un numero.
 ̶  Pronto, sono Ghali, ho bisogno di parlare col Capo... No, non ho tempo per la lista d'attesa... Abbiamo per le mani quasi mezzo milione di dollari, siamo ad almeno 60 chilometri dalla prima città dopo il deserto e il GPS si è rotto, decida lei se è il caso di scomodarlo...  ̶
Parlò per qualche minuto in un dialetto che non capivo, anche se dal tono potevo intuire il discorso. Era quasi inquietante vedere una persona come Ghali, sempre allegra e serena, sputare al microfono del cellulare quelle parole furenti.
 ̶  Il Governo sta creando scompiglio in città, le milizie hanno già giustiziato un gruppo di civili, o almeno così dicono  ̶  spiegò, dopo aver chiuso la telefonata.  ̶  Cercano di mandarci qualcuno entro domani, hanno pochi mezzi ma dovrebbero recuperare qualcosa di nascosto. Se non fosse stato per i soldi ci avrebbero lasciati a crepare sotto il sole, poco ma sicuro.  ̶ 
Annuii, guardando con la coda dell'occhio lo sportello che conteneva la valigetta nera con il denaro. L'avevamo nascosta come da prassi, senza voler nemmeno sapere da dove arrivava.
Il nostro lavoro era portare delle casse sigillate in un magazzino dall'altra parte del Sudan, scaricarle, prendere i soldi e tornare indietro. Questo facevamo da quattro anni, cinque volte al mese, alcune volte anche sei. Non volevamo sapere cosa contenevano, chi le usava e come: ci bastavano i soldi per comprare il cibo e tirare avanti. Non avevamo nemmeno incontrato Labaan, il Capo, sapevamo della sua esistenza solo perché la sua voce ci dava gli indirizzi e gli orari attraverso il telefono, la paga ci veniva consegnata a casa in un pacco alla fine di ogni viaggio, insieme ad una licenza di soggiorno mensile. Era quel foglio di carta ciò che ci impediva di prendere i milioni di dollari che trasportavamo ogni settimana e scappare: se i soldati ti trovano senza una licenza valida, vieni giustiziato all'istante, senza troppe cerimonie.
Ghali agguantò subito il bongo, disegnando sulla pelle dei cerchi sempre più grandi, e dando di tanto in tanto qualche colpo. Io ne approfittai per girarmi una sigaretta.
Nel deserto il nervosismo si accumula cento volte più in fretta che in città, soprattutto quando sai di non avere abbastanza acqua per resistere a lungo. Avevamo giusto una tanica di scorta, sette litri al massimo da dividere in due. In media bastano per circa quattro ore, noi dovevamo farli durare almeno quindici.
 ̶  Prima volta bloccato nel deserto, Ras?  ̶  mi chiese Ghali con un sorriso tirato, avvertendo immediatamente il mio umore. Anche se ci conoscevamo da quasi sei anni, l'argomento "origini" per me era sempre stato tabù, ma lui aveva un'indole troppo curiosa per non tendermi di tanto in tanto dei trabocchetti.
Scossi la testa, la sigaretta tra le labbra. Il mio Paese era lontano dal Sahara.
Ghali inclinò la testa pensieroso, come analizzando le varie possibilità. In fondo, potevo anche aver vissuto in un paese vicino al deserto ma senza esserci mai entrato.
Passò almeno mezzora ad elencare una serie di Stati, aspettando invano una mia risposta.
 ̶  Allora sei del Gabon? O dell'Angola? Perché considerando che sei arrivato nel mio Paese nel '95, e avevi, quanto? Ventidue anni? Non devi essere arrivato da troppo lontano, non hai nemmeno i lineamenti di uno dell'estremo Sud. E, mannaggia a me, non ricordo nemmeno che accento avevi quando ci siamo conosciuti!  ̶ 
 ̶  Non ho mai avuto un accento spiccato: avevo uno zio che abitava dalle tue parti che in inverno veniva a stare da noi, per questo conoscevo bene la tua lingua  ̶  lo consolai, lanciandogli il mozzicone di sigaretta contro. Lui lo schivò prontamente, ma non riparò il bongo. Urlò quando vide la cenere sporcare il suo prezioso strumento.
 ̶  Fallo ancora una volta e mi tengo tutta l'acqua per me!  ̶  mi avvisò, scuotendomi la tanica davanti agli occhi. La infilò sotto alla Jeep, come per nascondermela, e riprese a suonare spensierato.
Avevamo tirato fuori dalla macchina alcuni teli con cui ripararci dal sole, anche se nel giro di poche ore sarebbe calato e avremmo dovuto difenderci dal freddo. Di cibo non ne avevamo, ma saltare i pasti era elemento di routine per entrambi.
Mi stavo accendendo la terza sigaretta quando Ghali smise di suonare.
 ̶  L'hai sentito anche tu?  ̶
Rimasi immobile, la rotellina dell'accendino sotto la pressione del pollice.
Rumore di motore. E ruote che scalzano la sabbia.
Guardai l'orologio. Erano appena le sei, non erano passate nemmeno tre ore da quando avevamo chiamato i soccorsi. Non potevano essere i nostri.
Raccattammo le nostre cose e salimmo sulla Jeep. Navigatore rotto o meno, dovevamo scappare.
Stavo mettendo in moto quando Ghali si ricordò della tanica d'acqua, aprì lo sportello e scese dalla vettura. Poi qualcuno sparò una raffica di colpi in aria, e ogni cosa parve immobilizzarsi.
Dietro di noi si fermò un furgone scuro, da uno dei finestrini spuntava la bandiera dell'Esercito.
Si avvicinarono cinque miliziani, uno mi fece cenno di scendere e di alzare le mani.
 ̶  Che cosa ci fate fermi in questa zona?  ̶  chiese il più vecchio, sputando per terra.
 ̶  Perché, è proprietà privata?  ̶  lo rimbeccò Ghali, a testa alta. Sapevo che i miliziani gli avevano ucciso due fratelli, ma non era il momento di fare lo sbruffone. Gli feci segno di moderare il tono, notando che uno dei cinque stava già togliendo la sicura al mitra.
 ̶  Stavamo rientrando verso la capitale, ma il GPS ha perso il segnale e ci siamo fermati qui  ̶  spiegai, tentando di rabbonire i soldati. Avevano tutti lo sguardo perso, velato da una patina di droga e odio. Pessimo segno.
Due di loro  iniziarono a parlare in una lingua che non conoscevo, indicando più volte Ghali e la Jeep. Il vecchio continuava a sputare a terra, annuendo di tanto in tanto, e più i due parlavano più le sue labbra assumevano una smorfia ghignante.
 ̶  Io questo l'ho già visto a Khartoum. Sei mica uno di quei figli di puttana che lavora per Labaan?  ̶  iniziò, imbracciando meglio il mitra e avanzando minaccioso verso Ghali. Cercava di provocarlo, gli bastava ricevere un'altra risposta impulsiva e avrebbe sparato.
Avvenne tutto nel giro di un pugno di secondi.
Mi ero affezionato a Ghali, avevamo condiviso sei anni di lavoro e sacrifici, avevamo viaggiato insieme fino al Sudan, era come un fratello minore. Feci per abbassare una mano: dovevo attirare su di me l'attenzione dei miliziani prima che Ghali rispondesse all'offesa. Ma lui dovette interpretare il mio gesto come una dichiarazione di guerra, e spinto da non so quale demone, tirò un pugno al vecchio. Si sentì il rumore dell'osso della mandibola che si rompeva, seguito subito da quello di quattro mitra che scaricavano piombo.
I cinque soldati si voltarono senza fiatare. Dopo che uno si fu tolto lo sfizio di sparare alle ruote della nostra Jeep, salirono sul loro furgone e si allontanarono tra le dune.
Strizzai gli occhi prima di abbassare il capo verso la mia sinistra.
Ghali era a terra, immerso nel suo sangue. Mi guardò facendomi l'occhiolino.
 ̶  Così per un po' non sputa più  ̶  commentò, sorridendo. Guardai le sue dita tamburellare per l'ultima volta nella pozza di sangue che si allargava, poi il ritmo si spezzò.
 
 


Questa storia ha vinto il contest "AAA Protagonista cercasi" di Miriam_Kasinaga (link)


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