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Autore: hiromi_chan    30/08/2014    8 recensioni
Un drago decaduto propone una sfida a Merlin e Morgana: il primo dei due che riuscirà a portargli il cuore umano di un Principe dei Draghi si vedrà esaudito un desiderio come ricompensa. In occasione del duello si aprono nuovamente le porte che collegano il regno della magia con la Terra. Merlin si lancia nella sfida per poter mettere piede nel mondo delle misteriose creature umane e dare una svolta alla sua vita, mentre Morgana ha in serbo dei piani più oscuri.
L'ignaro Arthur, erede al trono inglese, viene coinvolto nella gara come bersaglio diretto. Ma come possono gli stregoni, che per natura non conoscono l'amore, riuscire a catturare un cuore umano che palpita e prova emozioni? E se poi Morgana decide di fare le cose in modo letterale e di riportare a casa quel cuore su un piatto d'argento, cosa farà Merlin?
Era profondamente egoista, l'amore degli esseri umani. Pretendeva di possedere il cuore dell'altro, pretendeva di possederlo tutto, alienando da esso qualunque altra cosa non appartenesse a quel sentimento.
[Merthur]
ATTUALMENTE IN REVISIONE.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Drago, Merlino, Morgana, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Note iniziali:

“Cuori” ha compiuto un anno! Non posso credere che sia passato così tanto da quando ho iniziato a scrivere questa storia... fin'ora è la cosa più lunga e complessa che io abbia mai portato avanti. Mi ha accompagnato nel corso di una serie di momenti difficili e, un po' come un figlio (xD) mi ha dato gioie e dolori. Ogni tanto penso che, se l'avessi scritta tutta insieme invece che pubblicare i nuovi capitoli a mano a mano, il risultato finale sarebbe stato diverso da quello che state leggendo. Comunque non posso che ritenermi soddisfatta e, guardandomi indietro, il cuore mi batte forte per l'orgoglio per tutto il lavoro che c'è stato.

Leggere i vostri commenti mi fa provare sempre qualcosa di speciale. Molti mi hanno detto che questa fiction coinvolge dal punto di vista emotivo; personalmente, credo che sia una delle cose più potenti che si possano dire a uno scrittore... quindi, grazie ancora a voi per avermi accompagnato in questo viaggio. Adesso che siamo quasi arrivati alla conclusione, poi, ho tanto bisogno che mi teniate la mano virtualmente xD

Me lo lasciate un regalino di compleanno? Voglio leggere i vostri commenti!

 

Alcune comunicazioni di servizio prima di lasciarvi al capitolo:

-confermo che in totale i capitoli saranno 20, più un eventuale extra a rating rosso inserito al di fuori della storia, dato che non mi andava di modificare il rating generale. So che così farò felici molti di voi, ammettetelo ù-ù

-ho revisionato il primo capitolo, eliminando gli errori e sistemando l'impaginazione (oh, mamma... all'inizio il nostro Merlin era così ingenuo che mi è quasi venuto da piangere!). Una volta conclusa la fiction, è mia intenzione portare avanti con calma la revisione per eliminare gli errori e uniformare tutto dal punto di vista dell'impaginazione.

Intanto, però, anche per festeggiare il compleanno di “Cuori”, ho realizzato delle immagini di copertina che potete trovare inserite in tutti i capitoli tranne il decimo. La prima funge anche da copertina in generale per la storia. Non è il massimo, ma ha un senso... gli specchi, il riflesso... no? XD

-se volete vedere Merlin e Morgana che fanno i tarocchi e vestono i panni di due investigatori psichici, potete trovarli nella mini long in tre capitoli Howling Ghosts. Cliccate qui.

-ho creato una pagina FB dove verranno segnalati gli aggiornamenti alle mie storie e dove riporterò i miei scleri in fase creativa e altre cosine del genere. Lì ho inserito anche un album per raccogliere le copertine di CM, in caso i collegamenti scadessero o le immagini si visualizzassero deformate per qualche motivo. Se vi va, venitemi a trovare qui.



 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

La mattina del primo Gennaio, nonostante il mal di testa post-sbronza, Merlin si risvegliò con un sorriso indecente stampato in faccia.

L'amato dopobarba di Arthur si prese il diritto di essere la prima cosa a solleticargli i sensi. Lo stregone si mosse cauto, scoprendosi accoccolato tra le braccia del Principe; era incastrato alla perfezione sotto il mento di Arthur, una gamba buttata sopra un regale e tornito fianco, a inchiodare a sua volta al letto l'altro. Ogni articolazione era sciolta nella pace di un calore dolce. Arthur russava placidamente, soffiandogli sui capelli con ogni respiro, e fuori un paio di uccellini cinguettavano nelle prime luci dell'alba.

Merlin si sentì contento di aver provato, almeno per una volta, cosa significasse svegliarsi stretto alla persona che ami.

Riguardo alla notte appena passata, ricordava un paio di cose sul proteggere Arthur e il dichiarargli il suo amore che era sicuro non fosse stato molto appropriato dire; ma si scoprì niente affatto pentito di averle dette.

Alzò un po' la testa, trovando un Arthur sereno e immerso nel mondo dei sogni. Aveva circondato il collo di Merlin con un braccio, e l'altro l'aveva appoggiato intorno alla sua vita.

Dèi.

Lo stregone si sfilò a malincuore dalla sua stretta, impegnandosi per non fare nessun movimento brusco che lo potesse svegliare. Chissà come ci riuscì e, con il cuore che scoppiava, fece il giro del letto in punta di piedi. Era meglio uscire subito di lì, non farsi prendere dai ripensamenti o dai dubbi, o dai rimorsi o... se avesse esitato, non sarebbe più riuscito a lasciare Arthur, lo sapeva.

Arrivò fino alla poltrona, ma poi si fermò – quindi fece un totale di quattro passi. Cavolo.

Si morse la lingua, ma non poté fare a meno di tornare dal suo principe addormentato; si chinò su di lui e gli lasciò un bacio sulla tempia, sfiorandogli con le labbra la pelle, i capelli. Ecco, solo questo. Solo questo – così, se avesse dovuto ricorrere alla soluzione estrema, almeno avrebbe potuto dire di aver baciato Arthur in quel modo.

Se parlare con il drago fosse risultato infruttuoso e Merlin avesse dovuto scegliere l'altra opzione...

Arthur non l'avrebbe capito, ne era sicuro. Era così impetuoso e ottuso, non avrebbe mai potuto fermarsi a ragionare abbastanza da comprendere le motivazioni dello stregone. Quindi, un altro bacio.

Vivi felice.

Arthur, nel sonno, grugnì qualcosa di simile a “mmmhlin” e poi si voltò su un fianco, stendendo le braccia.

Idiota. Meraviglioso, meraviglioso idiota.

Era l'ultima volta che lo vedeva? Non era così, vero? No, non era così. Pensarlo non avrebbe aiutato affatto Merlin, quindi no. Si convinse che non sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbe visto. Comunque, un altro bacio ancora, portando le dita sopra i suoi capelli, senza toccarli. Piano. Per darsi coraggio. Per salutarlo – solo nel caso in cui...

Vivi.

Arthur non avrebbe capito, era vero. Ma, con il tempo, avrebbe dimenticato.

A quel pensiero, Merlin trovò la forza per lasciare le stanze del Principe. Chiuse la porta dietro di sé e insieme abbassò le palpebre. Poi prese un respiro, staccò la schiena dal suo appoggio e iniziò a camminare senza guardarsi indietro.

Il corridoio era avvolto nei primi raggi tenui dell'alba; sfumature bianche e rosate mescolavano tra loro i contorni degli arazzi, dei quadri, delle finestre. Nessun addetto alla sicurezza in giacca e cravatta se ne stava alle camere, nessuna cameriera si muoveva a passo veloce, le braccia cariche di panni o detergenti. Forse tutti dormivano ancora, o forse ciò era incredibilmente improbabile ed era proprio magia, quella che permeava l'aria facendo sì che Merlin si ritrovasse solo.

Le sue gambe si muovevano quasi per volontà loro, spingendolo con determinazione lungo le scale e poi fuori dal palazzo.

Uno strano calore a sinistra, contro il suo petto, lì... lo stregone infilò la mano sotto la camicia, e quando la estrasse trovò tra le sue dita Mini-Kilgharrah.

“Tipico,” mormorò, sogghignando. E, notando che qualcosa lo guidava perché imboccasse una via di sassolini ormai familiare, aggiunse, “Dove mi porti? Alla serra delle rose?”

Mini-Kilgharrah sbatté la coda sul suo palmo, puntandola poi in avanti. Merlin alzò gli occhi al cielo. Qualcosa di positivo nel ritrovarsi con i poteri agli sgoccioli c'era: essere colpito da un incantesimo che ti comandava i movimenti gli dava meno fastidio del previsto, dato che riusciva a percepire la magia a malapena. I suoi sensi, comunque, erano recettivi a sufficienza per permettergli di notare come la serra fosse circondata da un'aura potente. La sua pelle fremette per i brividi proprio come era successo nella Caverna dei Mille Giorni.

Ripensando alla persona che era stata quando aveva messo piede nella caverna per la prima volta, Merlin si sentì sopraffare da un senso d'amarezza. Il nodo in cui gli si era stretta la gola era così forte che, quando entrò nella serra e vide Morgana, si sentì dispiaciuto pure per lei.

Il suo volto dal pallore mortalmente severo era incorniciato da capelli selvaggi. Le labbra erano esangui, gli occhi iniettati di un odio lucido. Anche lei, in qualche modo, non era più la stessa.

“Che ti è successo?” le disse, scuotendo la testa.

La strega alzò il mento, fiera. “Sono cresciuta.” Lo disse come se avesse voluto mettergli le mani al collo e stringere forte.

Per reazione a quella pulsione d'allarme, la postura di Merlin si indurì totalmente. Com'erano diversi ora, tutti e due...

Il drago non diede loro occasione di temporeggiare oltre; la miniatura vibrò tra le mani dello stregone, iniziando a diventare sempre più calda mentre si espandeva. Merlin la appoggiò sul pavimento, indietreggiando poi di qualche passo. Nel giro di pochi secondi l'immagine di Kilgharrah prese forma. Il corpo possente occupava gran parte della serra; aveva piegato il dorso per poter fissare i due contendenti, gli sbuffi sulfurei che venivano esalati dalle narici a intervalli regolari. Le punte delle ali ripiegate erano sbiadite e si confondevano con le rose blu, rivelando la natura illusoria dell'animale.

“Il tempo concessovi per la prova dei nomi è concluso, duellanti,” ruggì, facendo schioccare la lingua tra le fauci. “Siete usciti vincitori nella ricerca delle vostre origini?”

Merlin annuì; si accorse che Morgana, giallastra in volto, aveva stretto le labbra in un taglio e aveva mosso appena la testa, come se un movimento eccessivo avrebbe potuto farla vomitare.

“Il triplo patto va rinnovato,” proseguì Kilgharrah, imponendo allo stregone di tornare a lui. “Come io scoprii un fianco per voi, facendovi partecipi della mia vera natura, voi dovrete scoprire un fianco per me,” ricordò. “E scoprirlo anche uno all'attenzione dell'altro.”

Strega e stregone si voltarono lentamente per fissarsi in tralice. Morgana sembrava sul punto di voler incendiare la serra, le mani strette a pungo e le rose dietro di lei appassite di colpo.

“Il mio nome è Emrys,” disse subito Merlin, senza staccarle gli occhi di dosso.

Tempo da perdere non ne avevano; era una sfida, quella che invece avevano.

“Emrys,” ripetè poi con convinzione, rivolgendosi al Grande Drago.

L'animale parve assaporare la notizia come un frutto delizioso. Annuì con gravità, le iridi gialle che lampeggiavano di magia. Dopo spostò il muso in direzione di Morgana, in attesa.

Il labbro della strega tremò visibilmente, andando a scoprirle i denti. Fu con un ghigno ironico e cattivo che buttò fuori, la voce graffiata, “Pendragon!”

Merlin la fissò, il viso ferreo nella confusione più totale, e il drago – il drago si mise a ridere. Lo stregone, allibito, fece scorrere lo sguardo da Kilgharrah, che sputava scintille ridendo tra le fauci, alla strega, sempre più livida.

“Non lo capisci, sciocco? Sono una Pendragon!” tuonò Morgana verso lo stregone. “Faccio parte di quella famiglia, lui... quell'uomo...” e strinse forte gli occhi, la bocca, il viso intero.

Merlin combatté l'istinto di fare un passo verso di lei, ma l'altra lo sorprese rialzando la testa di scatto. “No, non ti azzardare a fare domande. Se sei talmente stupido da non capire la situazione, sono solo affari tuoi. Nessuno ha tempo per questo... non è vero?” Lentamente spostò il volto verso Kilgharrah, che sbatté le palpebre come un grosso cane pigro.

Merlin cercò una risposta nel suo muso, la mente che tentava di giustificare in qualche modo la notizia appena appresa.

“La strega delle Terre Desolate è nel giusto, giovane stregone; non resta più molto,” disse Kilgharrah, la solennità intrisa di qualcosa di più sottile, sofferente... autentico. Senza alcun preavviso poi alzò il collo, le squame che si muovevano come accompagnando il suo ingoiare. Solo che Kilgharrah non stava ingoiando: sembrava proprio stesse facendo l'esatto opposto e, abbassatosi di colpo fino a far toccare la testa sul pavimento, con un rumore gutturale sputò la miniatura del drago tanto familiare a Merlin.

“Che sta succedendo?” esalò lo stregone, sempre più frustrato.

“Piantala di fare quella faccia sperduta,” lo ammonì Morgana. “Il drago di plastica è un veicolo, no?”

Oh.

Frammenti di noiose lezioni pomeridiane all'Accademia riemersero nella memoria di Merlin. Ricordava più o meno che un veicolo fosse un oggetto capace di collegare le creature magiche in modo indissolubile. Tramite un manufatto del genere si creava una linea a doppio filo tra i soggetti coinvolti, i quali potevano penetrare gli uni nelle coscienze degli altri.

Doveva essere esattamente questa la magia per cui nessuno aveva visto il drago durante il ballo di Natale; tutto era successo solo nella testa di Merlin e Morgana, nelle loro anime.

Ah, era stato davvero stupido a non considerarlo, e del resto aveva avuto altre cose a cui pensare, ma...

“Ma è magia che si avvicina ai sentimenti,” disse Merlin, piegando la testa. “Il veicolo deve avere come base d'appoggio dei sentimenti per creare un collegamento tra le anime, e...”

E se per lui, sempre più umano, tutto ciò era possibile, come potevano aver usufruito del veicolo anche Morgana e lo stesso Kilgharrah?

“Quel piccolo drago è un pegno d'amore, giovane stregone,” disse la creatura, ergendosi di botto fino a far scomparire la cresta oltre il soffitto. “Quell'oggetto ti è talmente caro, il suo significato è per te talmente profondo che, senza accorgertene, hai trasferito in lui parte dei tuoi sentimenti. Sentimenti di cui io e la strega ci siamo serviti come appoggio esterno per poter utilizzare i collegamenti del veicolo stesso.”

“Senza sporcarci le mani ed intaccare la nostra magia,” aggiunse rapida la strega, la voce come un colpo di spada.

Merlin poteva leggere la severità nello sguardo ferino di Kilgharrah e il ribrezzo in quello di Morgana, ma li sostenne entrambi con fierezza.

Gli occhi, però, gli pizzicavano un po' per la rivelazione.

La schiena di Arthur mentre lui lanciava alle sue spalle il regalo di Mordred, e poi Merlin che lo afferrava al volo...

Senza che lui se ne fosse reso conto, erano riusciti a servirsi del suo cuore e di quello di Arthur una volta in più.

“Per questo, durante il ballo, avevi detto che non avremmo avuto molto tempo,” disse, quasi un'accusa al drago. “Usare un veicolo è una pratica magica che si avvicina troppo ai sentimenti. E' troppo pericolosa per poterla portare avanti a lungo.”

Adesso capiva davvero perché Kilgharrah avesse richiesto i loro nomi. Ogni volta in cui aveva sfruttato il veicolo per un'apparizione, aveva rischiato grosso; aveva solo voluto una conferma della serietà delle intenzioni dei duellanti, dopo aver visto Merlin vacillare difronte ai suoi sentimenti per Arthur. Lo stregone comprendeva le sue ragioni, eppure la rabbia iniziava a montare nel suo stomaco e a fargli sudare il collo.

“Perché proprio questa tecnica, e perché hai rischiato tanto invece che essere onesto con me, invece che parlarmi con franchezza?” si ritrovò a urlare, dando sfogo alla collera. Morgana si era rivelata una Pendragon, il tempo a disposizione si stava esaurendo, sì, ma adesso tutto sembrava secondario davanti all'idea che ciò che legava lui e Arthur fosse stato trattato in quel modo. “Perché hai usato così Arthur, non ti bastava volerlo morto? E Morgana?” continuò con lo stesso tono, indicando con il braccio teso la rivale. “Morgana lo so com'è fatta, lo so che non si fa problemi a passare così sopra agli altri, ma credevo che tu...”

Qui si smorzò abbassando le braccia nella sconfitta, il fiume di parole strozzato da un nuovo, gigantesco groppo di rabbia alla gola.

“Che io?” chiese quasi educatamente il drago, mentre la strega aveva tutta l'aria di voler mandare all'inferno entrambi. “La risposta a tutte le domande che mi fai è solo una, giovane stregone: io sono un drago.”

Ed io un Principe dei Draghi, pensò Merlin, più ferito che mai.

“Ora che abbiamo chiarito questo punto,” intervenne Morgana, spazientita, “tanto vale essere completamente onesti con noi, Grande Drago. Considerando che il veicolo avrà ridotto ulteriormente le tue forze, quanto ti resta davvero?” La sua praticità non aveva limiti e, anche se la sua maschera di freddezza si era incrinata in più di un modo, il contrasto con la faccia contratta di Merlin e le sue labbra arrossate per i morsi restava spettacolare.

“Molto poco,” rispose Kilgharrah. “L'utilizzo del veicolo ha consumato grandemente la mia magia e miei giorni. Se sperate ancora di veder esaudito un desiderio, giovani duellanti, non vi restano che tre tramonti prima che la mia magia si dissolva insieme alla mia vita.”

Merlin ingoiò. Nonostante tutto, quasi gli venne da allungare le dita per accarezzare le squame di Kilgharrah, per rassicurarlo e dirgli che non gli avrebbe permesso di passare i suoi ultimi momenti in quella caverna. Doveva significare questo, avere il sangue di un Signore dei Draghi nelle vene: sentirsi irrimediabilmente vicini ai draghi tanto da perdonare persino un atteggiamento che lo stava facendo soffrire in modo brutale.

O forse era soltanto il carattere ereditato da Hunith a spingere Merlin verso i casi disperati, come aveva detto Balinor.

“Va bene, allora,” si decise, un sospiro tremolante ma fiero. “Va bene, andiamo avanti.”

Non aveva senso aspettare ancora; certe cose non sarebbero mai cambiate, e lui avrebbe fatto bene a continuare a dubitare sia del drago che della strega, pur sentendosi intimamente legato ad entrambi.

Era inutile negarlo, poi, ora che erano come non mai tutti e tre sulla stessa barca: ognuno aveva una ragione per temere lo scoccare del tempo limite, sebbene Merlin potesse solo immaginare quali fossero i motivi di Morgana; ognuno sapeva il vero nome dell'altro, una chiave d'accesso ai punti più deboli che poteva portare alla loro distruzione reciproca.

E ciò nonostante... Arthur era più importante di tutto, era superiore a tutto.

Il drago, come percependo la risoluzione finale dello stregone, si drizzò nello splendore della sua posa più maestosa. “Mi ritengo soddisfatto nell'aver appreso i vostri veri nomi, miei contendenti,” disse, e se non fosse stata una creatura imprevedibile e un po' doppiogiochista, Merlin l'avrebbe definito quasi fiero di lui e Morgana. “Con questa prova di abilità, acume e tenacia, vi siete guadagnati il diritto di pormi i vostri quesiti,” continuò. “Parlate, dunque, e io risponderò.”

Morgana avanzò inequivocabilmente di due passi, bloccando Merlin prima che potesse aprire bocca. I suoi occhi erano sgranati in modo un po' folle. “Il Diamante del Giorno,” esordì, una violenza nelle parole come se si fosse trattenuta a forza dal pronunciarle fino a quel momento. “Come funziona veramente? Non sono ancora riuscita a capirlo. Le sue potenzialità si sono modificate nel tempo e ciò mi confonde. Potrei aiutarti prima, se sapessi usare a mio vantaggio questo strumento.”

Merlin rizzò le orecchie mentre la rivale, imperterrita e scattante, ripeteva, “Come funziona?”

“Il Diamante del Giorno ti fa vedere ciò di cui hai più bisogno,” disse Kilgharrah con aria definitiva.

Ciò di cui aveva più bisogno... oh, era sempre stato Arthur.

Con il cuore stretto com'era in una morsa languida all'immagine del Principe addormentato, lo stregone si accorse appena che l'espressione di Morgana si era fatta ancora più allucinata.

“Questa informazione ti è d'aiuto, strega?” chiese il drago.

“Per niente,” ribatté lei troppo in fretta, arretrando per tornare nella sua posizione affianco a Merlin.

Lui non era affatto convinto della reazione di Morgana, che ora scoccava sguardi affilati alla sua volta e a quella di Kilgharrah. Non l'aveva mai vista così nervosa; era un segno chiarissimo dell'avvicinarsi della fine dei giochi.

Merlin prese un grosso respiro, mettendo da parte le strane storie su Morgana Pendragon, sforzandosi di accantonare il pensiero della morte che avanzava inesorabile verso il drago.

Si concentrò sulla sua priorità, le vene che pompavano sangue nelle tempie, la consapevolezza dell'importanza della domanda che stava appesa alle sue labbra. Dalla risposta che avrebbe ottenuto si sarebbe decisa la sua sorte... ma allora perché non aveva paura?

“Io voglio conoscere le parole della maledizione che ha sterminato la tua razza,” disse a Kilgharrah. “Voglio le parole esatte. Sapresti recitarmele?”

Le occhiate febbrili di Morgana addosso a lui, in passato, l'avrebbero agitato; adesso non c'era più spazio per quel tipo di tentennamenti. Adesso non c'era più spazio per altro che non fosse la salvezza di Arthur, non era così?

Il drago squadrò il volto rigido di Merlin piegando appena il muso enorme. Non doveva essersi aspettato quella domanda. Fin dal principio, Kilgharrah si era impegnato affinché i suoi duellanti sciogliessero la maledizione riportandogli il cuore di un Principe dei Draghi. Che ci fosse un altro modo era davvero poco probabile secondo lui, e dal fuoco che divampò nelle sue pupille aguzze lo stregone seppe di aver destato la sua curiosità.

Tra strega, stregone e drago passò qualche secondo carico di silenzio e tensione pressante. Poi Kilgharrah parlò e lo spazio si allargò intorno a loro in una manciata di attimi che bloccarono il respiro di Merlin.

Che nessun drago mai più i cieli possa solcare.

Gli ultimi giorni in reclusione li condanniamo a scontare.

Che la speranza di tornare a volare

sia sepolta nel fondo della prigione speculare.

Che un Principe dei Draghi in una lacrima debba morire,

ché senza il suo cuore umano nessun drago i cieli potrà più solcare.

Le parole dell'antico incantesimo ronzarono confusamente nelle orecchie di Merlin, ultime ancore di salvezza che si incagliavano negli angoli della sua memoria.

Morgana prese a ripetere a voce bassa la formula, gli occhi sgranati cerchiati da lividi viola.

“Che cosa te ne farai, adesso, ti questa vuota malia?” crepitò Kilgharrah.

Merlin fece qualche passo all'indietro, avviandosi verso l'uscita. Lo sguardo fisso sul drago, disse, con una sfacciata sicurezza che non sapeva da dove nascesse, “La userò per salvare tutti quanti.” Era diventato bravo, a mentire.

Poi si voltò, scartando Morgana, diretto oltre la serra.

“All'alba del terzo giorno, la Regina del Lago aprirà nuovamente i portali,” tuonò la voce del Grande Drago nel suo cervello. “Al tramonto dello stesso terzo giorno mi dovrà essere offerto il cuore umano di un Principe dei Draghi.”

Merlin si liberò di un sospiro che era rimasto intrappolato nella sua gola, gli occhi che gli pizzicavano per le punture di dolore che sentiva lungo il corpo – angoscia, la magia che si ribellava alle sue intenzioni, la mente ferma che teneva a bada il resto con fatica.

Forza, Merlin... forza.

Quando imboccò la via laterale che portava al labirinto, correva. Sapeva bene cosa stava per fare, oh, se lo sapeva.

Aveva guardato nel diamante di nascosto, mentre Gaius e suo padre si davano la mano e parlavano del Regno e dei tempi che ormai non esistevano più; aveva raccolto con disperazione ogni briciolo di magia, forte dell'assenza di Arthur che, per assurdo, le aveva donato un nuovo e breve slancio di vitalità. Aveva interrogato l'oggetto magico stretto nel suo palmo e nella pietra lucida era apparso il labirinto. Merlin quasi era scoppiato a ridere nervosamente, quasi si era fatto scoprire.

Il labirinto... ma sì, del resto si era sentito sicuro da subito che Gaius ne avesse tenuta qualcuna, sia in vece della sua storica curiosità per gli oggetti magici, sia perché nel Regno era stato un medico, e i medici non buttano mai via le medicine... nemmeno quelle amare.

Un giardiniere, poi, dove mai avrebbe potuto nascondere qualcosa se non nel fitto di un labirinto?

Merlin imboccò l'ingresso di quel dedalo di foglie intrecciate in alte mura, il cuore che martellava nel petto. Poteva giurare di riuscire a sentire il fiato che entrava e usciva dai polmoni direttamente nei timpani; quel ritmo veloce lo guidava mentre faceva scorrere il palmo contro i rametti sporgenti. Svoltò un angolo, non era quello giusto, non sentiva che lo fosse, tornò indietro, un'altra via, a destra, no, di qua, un grido – un grido!

Era stato un lamento, quello che gli era sembrato di sentire per un attimo? Un pianto di... drago? Merlin voltò la testa per guardarsi intorno, freneticamente. No, la proiezione di Kilgharrah doveva ormai essere scomparsa, il legame del veicolo si era spezzato. Si era sbagliato di certo...

Riprese a correre, il nervosismo e la determinazione glaciale che lottavano dentro di lui più di prima, e alla fine...

Si fermò di botto, oscillando per l'equilibrio perduto. Il punto era quello, l'aveva visto, lo sentiva. Allungò la mano nelle profondità di una parete erbosa, le dita che si graffiavano, le unghie che si alzavano, fino a quando... eccole!

Eccole.

Eccole...

 

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Quello era indubbiamente Arthur Pendragon, Principe di Galles, un cappellino nero in testa e un bambinetto imbronciato arpionato alle sue spalle come un fottuto gatto. Accanto ai due c'era un altro ragazzo, un orecchio a sventola ben visibile dal mezzo profilo.

Nella foto successiva, il Principe di Galles parlava con una ragazza bionda piuttosto scarmigliata; la stessa che era venuta a infastidirlo quella sera al pub insieme ad Orecchie a Sventola, reclamando il suo diritto a vedere le foto in cui era ritratta e altre stronzate simili.

“Ma scusa un attimo, com'è possibile che tu sia in possesso di questa foto?” grugnì, portandosi l'immagine vicino alla faccia tanto da lasciarci sopra un alone col fiato. “La memoria della mia fotocamera si era rivelata danneggiata, e non avevo visto nessun altro quella sera al Rising Sun che avrebbe potuto fare qualche scatto.”

Valiant, la bocca arricciata in una smorfia, alzò lo sguardo incredulo sulla vecchia che aveva davanti; si soffermò sul suo volto nascosto da uno scialle scuro, le rughe ben visibili nonostante il suo patetico tentativo di occultarle. Tsè. Voleva forse fargli credere di essere pure lei una reporter d'assalto? A chi voleva darla a bere?

“Ho i miei mezzi e i miei contatti,” gracchiò la vecchia, la voce un cigolio ispido. “Quello su cui deve concentrarsi, giovanotto, sono i soggetti nella foto,” aggiunse, tamburellando con un dito ossuto sul volto della bionda formosa.

“Sì, la conosco quella. Ma cos'ha a che fare con-”

La vecchia fece scorrere un'altra foto sotto il suo sguardo; era una di quelle recenti del gran ballo alla residenza reale. In mezzo alla folla, in un angolo a destra, la stessa ragazza stretta in un abito giallo pareva confabulare con Orecchie a Sventola.

“Mh, c'è qualcosa sotto,” ragionò Valiant, strizzando gli occhi. “Lo sguattero del Principe, accanto a lui in ogni momento...” sillabò, avvicinando alle altre un'immagine che ritraeva Pendragon spalla contro spalla con lo stesso ragazzo, il giorno del discorso tenuto da Hatchards. “...lo sguattero che poi porta persino dentro il palazzo una sua... complice?” chiese, alzando la testa di scatto.

La vecchia annuì gravemente.

“Ah-ah, lo sapevo che nascondeva qualcosa, il furfantello! L'avevo sentito a pelle, con quella faccia da schiaffi e quei modi irrispettosi!”

La rabbia salì al cervello di Valiant al vago ricordo, annebbiato dall'alcool, della presunzione con la quale quel ragazzetto aveva tentato di raggirarlo. Qualunque cosa fosse riuscito a fare, la sera che aveva trafficato con la sua fotocamera, gli era costata la prima pagina promessagli dal suo redattore. Valiant si era ritrovato con una lavata di testa epica e una dose di nervi da scaricare su quella stupida faccia non appena ne avesse avuto l'occasione; e lui era un uomo che non dimenticava i torti e gli affronti subiti, no.

Senza contare che il cambio radicale avvenuto di recente nei comportamenti di Pendragon Junior aveva fatto languire parecchio le sue offerte di lavoro. A nessuno importava più di tanto se l'erede al trono inglese se ne andava a spasso innocentemente con il suo valletto; qua ci voleva qualcosa di succoso per riportare in auge la sua carriera. Ci voleva uno scandalo bello fresco, ed era proprio ciò che la vecchia gli aveva promesso, quando l'aveva contattato perché la raggiungesse in quel tugurio.

Se solo si fosse data una mossa e si fosse spiegata...

“La nobile famiglia per la quale presto servizio da tanti anni è molto legata ai reali,” riprese lei (finalmente!). “Solo per questo, vede, richiedo l'anonimato più totale. Sono dubbi innocenti, quelli che attanagliano i miei signori e che mi hanno spinta per fedeltà ad agire per conto loro...”

Valiant alzò le mani in aria, andando a colpire la bassa lampadina che penzolava dal soffitto di quel maledetto scantinato lurido. Imprecò, sfregando con l'altra mano la parte lesa. “Va bene, va bene, ho recepito, vecchia. Falla breve.”

“Sono giunte all'orecchio dei miei signori delle voci che girano negli ambienti della servitù,” mormorò con fare cospiratorio. “Lei saprà bene, immagino, come funziona il passaparola. Un amico di una cameriera che lavora part-time anche-”

“Vecchia,” disse Valiant annoiato, strisciando le unghie contro il legno rovinato del tavolino. “La mia pazienza ha un limite. Sputa il rospo in tutta onestà ed io, sempre in tutta onestà, vedrò che posso fare. Non mi scandalizzo facilmente. Con Orecchie a Sventola e il Principino triste ho un conto in sospeso.”

Un lampo sinistro passò d'improvviso negli occhi verdi della donna. Valiant dovette mettercela tutta per bloccare i brividi nei quali si era accapponata la sua pelle.

“Pare che la famiglia del ragazzo abbia contratto dei gravissimi debiti con certi gruppi di persone poco pulite. Lui stesso è piuttosto famoso per dei furtarelli commessi nelle case delle famiglie presso le quali ha precedentemente preso servizio – ma si sa, i giovani sono ingenui, non l'avrà fatto con cattivi propositi.”

Le sopracciglia di Valiant si sollevarono come quelle di un lupo che ha puntato un agnellino succulento. “Stai forse insinuando che...”

“Non insinuo nulla,” sferzò la vecchia, ritirandosi sulla sedia. La luce fioca della lampada penzolante illuminava ora solo le sue iridi fredde e taglienti. “Sono i fatti che parlano, giovanotto. Le foto che ha scattato lei stesso testimoniano una vicinanza insolita tra il nostro beneamato Principe di Galles e un servo. Le pare mai possibile, mi dica, una cosa del genere?”

“No, affatto,” disse Valiant, toccandosi il mento. Era così facile seguire il filo dei pensieri di quella donna... era davvero tutto così logico e lampante... ma certo...

Destra, sinistra, destra, sinistra, oscillava la lampada. Il puzzo che permeava lo scantinato aveva invaso le sue narici e sembrava conficcarglisi dentro al corpo, annebbiandogli i sensi.

“Il ragazzo deve aver avvicinato di proposito il nostro ingenuo erede al trono per approfittarsi di lui, per trarre vantaggio dalla sua posizione e dalla sua ricchezza,” continuò la vecchia.

“Certo che sì, deve essere così,” convenne Valiant, annuendo ancora e ancora.

“Tutti sappiamo quanto Arthur Pendragon sia facilmente impressionabile, privo di una sua autentica personalità. Grazie all'aiuto della sua complice, che fa parte della combriccola del duca Gwaine Green, il ragazzo deve essersi inserito tra le amicizie intime del nostro principe.”

“Ma sì...”

“Gli avrà fatto il lavaggio del cervello, portandolo dalla sua parte!” concluse la vecchia, una forte nota di trionfo mentre batteva il palmo sul tavolo.

“Il lavaggio del cervello,” ripetè a pappagallo Valiant.

“Va fermato, prima che attenti gravemente alla vita del principe,” aggiunse lei, allungando il busto per avvicinarglisi.

In un momento lo soverchiò con la sua presenza. Valiant non riusciva a staccarsi da quello sguardo che reclamava tutta la sua attenzione; le pupille della donna si strinsero in un'espressione violentemente potente, carica di una forza impensabile.

Va fermato, sì, va fermato...

“Va fer- aspetta,” si bloccò il reporter, rinsavendo da quel turbine di esaltazione. “E io che ci guadagno? Non me ne frega un bel niente della famiglia reale, proteggere il principe non è compito mio.”

“Ci guadagni il titolo di salvatore della patria, sciocco!” strillò la vecchia, afferrandolo per il colletto della camicia. Le mani nodose e secche stringevano la stoffa in una morsa sorprendente, senza che ci fosse il minimo accenno di tremolio.

Valiant storse la bocca, allontanando il collo di lato.

“Anche se quelle voci non fossero vere,” proseguì lei, il tono basso carico di una rabbia malcelata, “potresti raccogliere le prove di certe preferenze di Arthur Pendragon e avresti comunque la tua notizia.”

Che stava dicendo, adesso, la vecchiaccia?

Valiant corrucciò le sopracciglia.

“Dèi, non capisci niente! Il futuro re predilige la compagnia degli uomini, chiaro?” sbottò, scrollandolo. “Il nostro ragazzo deve essersi approfittato di questa preferenza per i suoi scopi personali, dato che la bionda nelle foto è chiaramente la sua compagna.”

Ecco la notizia! Valletto seduce l'erede al trono per mettere le mani sulla sua ricchezza...

“Che schifoso,” disse il reporter, un sorriso untuoso che gli apriva la faccia in due, piano.

“E tutto ciò di cui hai bisogno sono delle piccolissime prove che confermino fino a che punto quel malfattore si sia conquistato le simpatie e l'affetto di Arthur Pendragon,” disse la donna, ringhiando tra i denti il nome del nobile.

Valiant di nuovo non riusciva a staccarsi dai suoi terribili occhi verdi, che lo richiamavano pretendendo tutta l'attenzione di cui disponeva. Non c'era altro da fare se non darle ascolto. Bisognava eseguire i suoi ordini.

“Che cosa dovrei fare per raccogliere queste prove?” mormorò, ormai del tutto sotto l'effetto ipnotico della magia.

Lei stirò le labbra esangui in un sorrisetto spaventoso. “Sai, dicono che difronte al pericolo un uomo riveli le sue priorità.”

 

ʘ

 

 

La residenza reale si stava svegliando solo adesso; Merlin poteva sentire i rumori lontani dalle cucine che iniziavano ad attivarsi per svolgere le mansioni mattutine. Una cameriera affacciata alla terza finestra dell'ultimo piano prese a far sventolare uno straccio per la polvere.

Per tutti non era che il principio di una giornata qualunque, ma per lui era cambiato il mondo intero. Con l'animo pesante e la mente ferma accelerò ancora un po' i suoi passi, fino a che la vista di qualcosa di inaspettato non lo bloccò: sulla stradina di ciottoli che portava alla dependance, già impeccabile in giacca e cravatta e con un paio di scarpe lucide ai piedi, c'era il Re in persona.

Probabilmente nemmeno lui si aspettava di incontrare qualcuno lì a quell'ora, perché si fermò. “Mervin,” disse stoicamente. “Anche tu sei dedito alle passeggiate mattutine, allora.” L'espressione austera che sfoderava sempre in presenza dello stregone pareva un po' meno annoiata del solito.

“E' Merlin,” lo corresse lui, piegando la testa in un cenno.

“Merlin, davvero? Che nome assurdo,” disse, pratico ma di sicuro anche ben deciso ad imporre la sua presa in giro.

Merlin si risolvette a ignorarlo; non aveva intenzione di sfaldare lo stato di concentrazione in cui si trovava, quindi fece per continuare per la sua via.

“In ogni caso, volevo parlarti,” lo bloccò Re Uther, ponendoglisi davanti anche se era chiaro che lui aveva altri piani.

In quel frangente, lo stregone sentì di capire come non mai da dove Arthur avesse ripreso certi modi di fare; allo stesso tempo, il solo pensare al suo principe lo ammorbidì tanto che Uther si approfittò della sua momentanea stasi per continuare a parlare.

“La natura del legame che c'è tra te e mio figlio non mi entusiasma,” disse, senza tanti giri di parole. “Non la condivido.”

In un'altra occasione, Merlin avrebbe incrociato le braccia al petto e avrebbe dato sfogo a tutte le sue frustrazioni. Però c'era qualcosa in quel momento, nella postura più legnosa che avesse mai visto sfoderare dal Re, che lo convinse a restare ad ascoltarlo.

“Ovviamente sarà un problema che si riproporrà in futuro, e non oso nemmeno immaginare che razza di scandalo ne verrebbe fuori se la cosa raggiungesse orecchie pericolose,” continuò l'uomo. “Il pensiero che un servo sia entrato nelle... grazie di mio figlio, be', non posso dire che mi piaccia,” aggiunse, e dèi... era imbarazzato, adesso? Oh, sì, era chiaramente a disagio.

Il modo veloce in cui aveva sputato fuori il “servo” al maschile e le “grazie” di Arthur era veramente qualcosa di spassoso. Cavolo, Merlin si sarebbe messo a ridere, se la situazione fosse stata un'altra. Invece si limitò a mordersi le labbra, subendo quello che sembrava a tutti gli effetti un discorsino da “padre del tuo ragazzo”.

“Eppure nemmeno sono in grado di negare ad Arthur questo. Anche i poteri di un re arrivano fino a un certo punto,” si giustificò Uther, portandosi le mani sui fianchi.

Merlin si sforzò di guardare con interesse la forma di un cespuglio alla sua destra.

“Non dirò che il cambiamento nei comportamenti di Arthur sia dovuto a te, perché sarebbe assurdo e pretenzioso,” disse il Re, continuando la sua tirata. “Tuttavia, vedo davanti a me un figlio ogni giorno più sereno e più sicuro di sé e motivato. Del resto, non posso che essere felice che non se ne vada in giro a spargere eredi illegittimi per tutta Londra.”

A questo punto Merlin non poté che rivolgergli un sorriso. Sapeva di avere un'aria stanca, le sopracciglia piegate quasi dolorosamente sugli occhi, ma non gli importava. Quello era il padre della persona che amava; gli stava dicendo delle cose imbarazzanti e, in qualche modo, meravigliose. Certo non lo faceva in maniera ortodossa, ma era chiaro che i suoi sentimenti fossero autentici.

Il padre del suo Arthur che gli parlava del loro rapporto... se solo fosse successo in un altro contesto, in un altro tempo...

Lo stregone si sentiva scoppiare il cuore.

“Per quanto sia assurdo dirlo, suppongo che Arthur sia in buone mani con te,” concluse il sovrano, annuendo soddisfatto. “Quindi continua a prenderti cura di lui come stai facendo ora.”

Merlin prese un respiro, la voce gli tremò appena. “Lo farò fino alla fine dei miei giorni,” promise. Un giuramento solenne fatto con gli occhi lucidi, con tutto se stesso.

Se Uther rimase sorpreso dalla sua serietà, o dal modo definitivo con cui pronunciò quella frase, o dal sorriso triste e determinato, si impegnò a darlo a vedere il meno possibile.

Quando sembrava che stesse per congedarlo, però, strinse gli occhi e li puntò direttamente sulle mani di Merlin. “Che cos'hai, lì?” chiese.

Lo stregone si portò le braccia dietro la schiena; le dita si strinsero più forte la presa intorno a...

“E' solo spazzatura.”

“Vorrei ben vedere,” convenne Uther, stirandosi la giacca. “Arthur è allergico alle noci, assicurati che quella roba non arrivi nel suo piatto.”

 

 

ʘ

 

 

Arthur tastò il materasso; c'era qualcosa che mancava, accanto a lui. Addosso si sentiva un teporino languido, un calore che avvolgeva ogni suo muscolo in una carezza. Una carezza... qualcuno gli aveva toccato i capelli, prima, non se l'era immaginato. Qualcuno... Merlin!

Le sue labbra si stirarono lentamente in un sorriso compiaciuto, i ricordi della sera precedente che tornavano a galla. Arthur si sforzò di aprire gli occhi assonnati con l'intenzione di individuare dove si fosse cacciato quell'idiota. Perché non era rimasto lì insieme a lui? Avrebbe potuto perdonargli quella scelta sfortunata solo se si fosse alzato per andare a prendere la colazione.

Quando alzò le palpebre, la prima cosa che entrò nel suo campo visivo fu l'immagine sfocata di un ragazzo in piedi davanti al comodino. Teneva le braccia incrociate dietro la schiena come se fosse in attesa del suo risveglio, e indossava una sciarpa rossa su una maglia blu elettrico... proprio così come sarebbe dovuto essere.

“Che ci fai fuori dal letto?” mugugnò il Principe. “Vieni qui.” D'istinto allungò il braccio, ma ancora prima che potesse maledirsi per aver scoperto tanto le sue intenzioni, l'altro si schiarì la voce.

“Per quanto la proposta mi lusinghi, mio signore, non credo sarebbe appropriato.”

Arthur rinsavì come se qualcuno lo avesse appena schiaffeggiato. Piegò la testa, le labbra che sporgevano sempre più infuori a mano a mano che i contorni di George lo Zelante si facevano definiti. “Tu non sei Merlin,” constatò. Poi ordinò al suo cuore, che era sprofondato fino allo stomaco con un piccolo tuffo deluso, ti ritornare in sé.

“No signore, chiaramente non sono Merlin,” disse George, ed era davvero incredibile come riuscisse a suonare così pomposo anche con così poche parole. “Il vostro valletto mi ha mandato a chiamare perché sia io a prendermi cura di voi per tutto il giorno.” All'espressione torva del Principe aggiunse in fretta, “Dice che ha promesso alla sua amica, la signorina Elena, di aiutarla a ripulire il Rising Sun dopo la festa di ieri notte.”

Arthur alzò gli occhi al cielo, sprofondando con la schiena contro la spalliera del letto.

Tipico di Merlin; solo lui avrebbe potuto lasciarsi convincere a fare una cosa del genere il primo di Gennaio.

“Ieri torna inspiegabilmente ubriaco e ora dichiara senza vergogna di abbandonarmi per andarsene al pub,” si lamentò, scaraventando via le coperte mentre si fiondava giù dal letto.

“Dice anche che, probabilmente, sarà impegnato pure nei prossimi due giorni,” fece presente George.

“E a far cosa?” disse Arthur, sconcertato.

“Non l'ha specificato, mio signore. Il che, se posso, lo definirei davvero un esempio di sconsideratezza unita a una maleducazione allarmante.”

Arthur arricciò la bocca fino a scoprire i denti, passando ad attaccare il guardaroba alla ricerca di qualcosa da mettere che non richiedesse l'aiuto di Merlin. Ma ogni camicia sembrava aver bisogno delle sue mani esperte che lisciassero le pieghe, adesso, ogni maglia andava ripresa e aggiustata secondo il suo gusto, e niente di tutto ciò era mai stato tanto irritante prima d'ora.

Quell'idiota senza criterio, quell'insubordinato con la testa tra le nuvole...

“Sebbene i suoi modi non siano stati molto adatti a un valletto alle vostre dipendenze, sono sicuro che avrà avuto i suoi buoni motivi per comportarsi così, mio signore,” fece per calmarlo George, tentando allo stesso tempo di recuperare le lenzuola buttate a terra e di afferrare al volo un paio di boxer reali.

Il Principe si congelò sul posto, abbandonando il suo processo di devastazione della stanza.

Cavolo. Aveva fatto qualcosa di sbagliato, la notte appena passata?

“No, no,” pensò, grattandosi la testa. Non sarebbe cascato di nuovo in una delle solite spirali di dubbi che bloccavano ogni pensiero razionale del suo cervello.

Non aveva fatto niente di male; si era comportato in modo educato e rispettoso nei confronti dello stato niente affatto lucido del suo valletto. Si era limitato soltanto a stringerlo a sé...

“Oh, dio,” disse, passandosi le mani sulla faccia.

E se, dopotutto, Merlin non avesse voluto nemmeno quello?

Arthur si voltò verso George, che lo stava squadrando con un distacco impeccabilmente professionale, il naso per aria.

“Ma è impossibile, non è vero?” gli disse Arthur, puntandogli l'indice contro la faccia.

Già, Merlin gli aveva confessato a mezza voce i suoi sentimenti con tante di quelle smancerie sufficienti a far arrossire perfino i protagonisti di quei film tedeschi sdolcinati che gli piacevano tanto. Merlin... se aveva capito bene, Merlin era innam...

E'innamoratodime,no?” chiese conferma a George, un rossore furioso che iniziava a fargli pizzicare tutta la faccia. Dio.

“Parlate di Merlin, signore?”

“E di chi, sennò?” ruggì il Principe.

“Be',” iniziò il domestico con studiata lentezza. Arthur, con una smorfia, gli fece istericamente segno di andare avanti. “Be', dando ragione alle voci che girano negli ambienti della servitù, e supponendo l'affidabilità del giudizio di Sua Altezza vostro padre, senza contare che la cameriera Willie viene considerata da tutti il centro nevralgico delle informazioni che circolano a palazzo, direi-”

“George!”

“Direi proprio di sì, mio signore,” concluse senza scomporsi.

Il Principe fece appena in tempo a rimproverarsi per lo stupidissimo sollievo che gli aveva reso molli le articolazioni alla conferma, quando quella sensazione non si trasformò in una nuova ondata di sconforto.

“Se è questo che prova, allora perché adesso mi sta evitando?” disse, buttandosi sulla poltrona blu. Lo stomaco gli si era ripiegato su se stesso e Arthur, se voleva essere onesto, non avrebbe mai potuto attribuire il gorgoglio vuoto che sentiva alla mancanza della colazione. “Tu, se fossi al suo posto, perché mi eviteresti?” chiese a George, rizzando la testa d'improvviso.

Il domestico alzò un sopracciglio, portando il naso ancora più per aria. “Se io fossi... ehm... innamorato di voi, signore?”

Arthur annuì, mordendosi l'unghia del pollice.

“Be',” iniziò di nuovo, prolungando l'ultima lettera, e Arthur ringhiò ancora il suo nome, spazientito. “Be', direi che mi sentirei a disagio perché voi siete il principe, mentre io sono soltanto un misero valletto.”

Oh. Avrebbe potuto trattarsi di questo? Arthur non aveva mai considerato la faccenda da quell'angolazione e del resto Merlin non gliene aveva dato ragione, visto che se n'era sempre bellamente infischiato della loro differenza sociale. Però, ora che ci pensava, Merlin era anche un idiota sempre pronto al sacrificio personale per il bene di qualcun altro... e se, ora che le voci si erano diffuse per tutto il palazzo, avesse deciso di doversi mettere da parte per evitargli problemi?

Arthur scattò in piedi, colpito dalla folgorazione.

Sì, era molto probabile che fosse andata così. Ormai sapeva bene come ragionava quello sciocco; riusciva a immaginarselo impegnato in mille faccende inutili, mogio mogio, che si riprometteva di non macchiare la reputazione di Arthur.

Il Principe prese a percorrere gli ambienti delle sue stanze a grandi falcate, i pensieri che gli vorticavano in testa frenetici. Ignorò i pressanti richiami di George, che gli scodinzolava dietro, mentre l'irritazione per lo spirito nobile di Merlin gli faceva prendere fuoco il collo (e anche un punto non ben definito proprio lì in mezzo al suo petto che Arthur avrebbe preferito ignorare).

Doveva parlare faccia a faccia con Merlin e chiarire le cose tra loro.

Non credeva che lui, a mente lucida, si fosse spaventato per le conseguenze delle loro azioni per se stesso, di questo ne era più che sicuro. Dio, come avrebbe potuto essere altrimenti? Il valletto era sempre avventato e incredibilmente onesto nell'esprimere i suoi sentimenti, ed era anche coraggioso – molto più di Arthur, a dire il vero.

Il Principe si fermò di nuovo nel bel mezzo del salottino d'ingresso (George gli caracollò addosso, ma venne ignorato), e la priorità apparve lampante: avere Merlin accanto non sarebbe potuto bastare. Bisognava anche proteggerlo, togliergli dalla testa qualunque idea imbecille che prevedesse la loro separazione e... e fargli sapere che Arthur si sarebbe preso cura di lui, così come Merlin non aveva mai mancato di dire che avrebbe fatto per Arthur.

Completamente soddisfatto dal suo brillante processo deduttivo e dalle sue risoluzioni, Arthur si voltò, le mani sui fianchi.

“Andiamo, George, prendimi il completo grigio, i miei doveri di Principe mi attendono,” disse, sfoderando un sorrisetto che avrebbe sciolto anche un sasso.

L'altro boccheggiò per una minuscola frazione di secondo, ma si riprese subito. “Certamente,” disse, fiondandosi verso l'armadio. “Se posso signore...”

Arthur si riaccomodò sulla poltrona, intrecciando le dita dietro la testa. “Sì?”

“Come avete intenzione di procedere, con Merlin?”

Arthur sbuffò una risata dal naso. “Gli darò il suo spazio,” spiegò, facendo oscillare la gamba destra che aveva accavallato sull'altra. “Un giorno o forse due al massimo per rendersi conto della sciocchezza che stava per fare e per pentirsi dei suoi peccati. Poi andrò a liberarlo io dalla sua miseria, accertandomi di ricordargli quanto sia stupido.”

E gli dirò anche che non lo lascerò mai, e che quindi sarà meglio che non si metta in testa di farlo nemmeno lui, per quanto buone siano le sue intenzioni.

George annuì, abbassando la testa, e il Principe rise, ritrovando un'ilarità appena un pochino troppo euforica.

Merlin era innamorato di lui.

Merlin era innamorato di lui e Arthur l'avrebbe tratto in salvo dalla sua idiozia. Tutto sarebbe andato per il verso giusto.

“E' davvero un piano d'azione perfetto,” sospirò, chiudendo gli occhi.

 

 

 

 

 

 

   
 
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