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Autore: fuoritema    30/08/2014    2 recensioni
{69esimi Hunger Games; OCs; guerra; triste; un po' introspettiva}
***
Camminò a ritroso ancora e ancora, gli occhi aperti come per captare ogni singolo cambiamento del paesaggio, ma il fantasma continuava a incombere su di lui. Era alto quanto bastava per farlo sentire inquieto, perché ricordava – e ne era certo – che Volpe fosse ormai più bassa di lui. Forse la morte rendeva più alti o forse la sua mente gli stava giocando dei brutti scherzi. Il ragazzo strizzò gli occhi nuovamente, convenendo che la seconda ipotesi era la più probabile se non voleva cadere nel sovrannaturale.
"I fantasmi non esistono, idiota."
E i fantasmi non esistevano fino a prova contraria, ma gli Strateghi sì: tra tutte le diavolerie che potevano aver inventato per terrorizzare i Tributi, quella poteva benissimo essere la vincente.
***
I 68esimi Hunger Games visti da Tributi di distretti totalmente diversi. Una delle edizioni dimenticate, una delle edizioni che hanno troncato la vita a ventitré giovani. Perché ci sono giochi a cui è meglio non partecipare.
Mai.
Genere: Avventura, Guerra, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Altri tributi, Finnick Odair, Presidente Snow, Tributi edizioni passate, Vincitori Edizioni Passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'We are not iron children, our shields are shattered glass '
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(XII)
If I seem dangerous, would you be scared?
 


Calma il battito.
Maple si portò una mano al petto e, stringendo forte la sua maglietta, indietreggiò per osservare i Favoriti dalla parete ghiacciata. Era vuota, come tutte le altre. La ragazzina aveva provato a romperla, ma ai suoi pugni non aveva dato neppure segno di star cominciando a cedere: nessun suono, nessuna crepa. Ricordava che Thor, durante l’inverno nel loro distretto, le aveva spiegato che i punti senza aria, se toccati, non emettono suono; e Maple credeva ciecamente alle poche dritte che le aveva dato suo fratello prima di entrare nell’Arena.
Fatichi pure a dire che è morto.
Il Tributo del sette scosse la testa, concentrandosi sui ragazzi che stava osservando da un pezzo. Ormai viveva a scrocco: appena loro se ne andavano, prendeva cibo e viveri dalle sacche sparse per la grotta, in piccole quantità cosicché non se ne accorgessero. Blight le aveva consigliato di fare così e la piccola, silenziosa come una volpe, rubava ai Favoriti di quell’Edizione con un sorriso sulle labbra. Sì, perché i Capitolini non dovevano vederla triste. Maple si passò una mano sulle labbra, curvandole verso l’alto nuovamente. In quei giorni non riusciva ad essere felice, sebbene fosse l’unica tredicenne ancora in “gara.” Aveva sentito il cannone per la piccola del dodici solo due giorni prima, mentre dormiva – più che altro cercava di prendere sonno – e si era decisa a contare i Tributi ancora in gara. Erano rimasti in dieci tra i ghiacci, dieci giovani più grandi di lei che l’avrebbero potuta spezzare come un bastoncino se solo avessero voluto. E se solo l’avessero trovata. Sorrise all’ultimo pensiero, crogiolandosi nella sua bravura a nascondino.
«Hurry, fai tu la guardia?»
Maple fece un passo avanti e, prendendo dei bei respiri regolari, decise di avanzare verso i Favoriti. Non aveva dimenticato quello che aveva fatto capelli blu – forse non l’avrebbe mai dimenticato – e aveva continuato a ripetersi la promessa che aveva fatto più a se stessa che a Thor. Lo avrebbe ucciso, ma non doveva avere fretta. Dopotutto, a nascondino, se ti muovi troppo presto, non riesci a vincere.
«Sì, la faccio io.» Hurricane non sembrava particolarmente chiacchierone, ora, come se il freddo si fosse portato via la parte restante della sua voce. Giocherellava con un bastoncino, facendo dei cerchi nella neve mentre sembrava assorto nei suoi pensieri. “Chissà quali” si chiese tra sé e sé la piccola, arrivando alla conclusione che forse sarebbe stato meglio non farsi domande: meno pensava a lui, meglio era. Non voleva stabilire il benché minimo legame con lui e solo pensare al perché fosse così silenzioso, l’avrebbe fatta avvicinare all’assassino di suo fratello.
È il momento giusto.
Maple socchiuse gli occhi all’ennesimo soffio di vento, che le scosse la felpa presa alla Cornucopia. Non aveva idea di quando attaccarlo, anzi: era terrorizzata da quell’idea. Eppure qualcosa dentro di lei le ordinava di avanzare. Guardò verso Hurricane, sapendo che quella poteva essere la sua unica opportunità, poi rivolse il suo sguardo alla parete ghiacciata che la sovrastava. Gocciolava leggermente, forse per la temperatura che pareva starsi alzando di giorno in giorno.
Plic, ploc.
La ragazzina coordinò i suoi passi alle gocce, per non farsi sentire da nessuno. Aveva giocato spesso a nascondino, nel suo distretto, e sapeva che non doveva avere fretta: era quello che fregava tutti. Ad un certo punto – presto o tardi che fosse – ogni bambino non riusciva più a trattenersi e si metteva a correre; il rumore attirava quello che stava contando e “Tana!”. Il problema era che gli Hunger Games non erano come nascondino, si chiamavano Giochi ma non lo erano. Se ti beccavano, eri morto. Maple lo trovò quanto mai comico, eppure non rise. Ogni suo muscolo era teso, attento a muoversi nel momento opportuno. Anche i suoi nervi erano tesi allo stremo, resi fragili da quel pericolo che aveva intenzione di correre. Trattenendo il respiro, si andò a mettere perfettamente dietro al ragazzo con i capelli blu, il respiro sincronizzato al suo. C’era una sottile lastra di ghiaccio davanti a lui, talmente sottile che si potevano vedere dei pesciolini muoversi sinuosi tra le stalattiti, mentre nella mano destra di Maple c’era un coltello. Non aveva mai pensato che sarebbe stato così difficile: la sua arma minacciava di cadere ogni secondo che passava, anche se tenuta stretta dalle sua dita sottili. Fu questione di un attimo e Hurricane si girò, gli occhi fissi in quelli di lei. Il Tributo del sette avrebbe giurato che ci fosse del terrore, in quel momento, poi lui si aggrappò con tutte le sue forze alla ragazzina. Tirava unghiate, graffi, calci, ma la superfice dove aveva posato i piedi si ruppe con tanti piccoli crack, una piega dopo l’altra.
“Vendetta” si disse Maple, ma quel suo pensiero non ebbe il tempo di tramutarsi in parole.
 


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Il vento soffiava sempre più forte, facendo muovere le cime innevate degli alberi mentre una figura incappucciata avanzava nella neve. I suoi capelli erano legati in una morbida treccia bianca, lunga fino alla vita, cui alcune ciocche bianche erano sfuggite. Era da tanto – troppo – tempo che Mahinete stava camminando sul ghiaccio: le gambe le facevano male per lo sforzo e alla minima pressione sarebbero miseramente cedute. Già le era successo varie volte, di cadere, bagnandosi la giacca, e non era stata un'esperienza piacevole. Raika avrebbe detto che era «facilmente mimetizzabile nella neve», con quei capelli bianchissimi che si ritrovava. Se ne sarebbe uscito con una delle sue battute, accompagnato dalla sua solita risata sincera mentre avrebbe cercato di rialzarla. Ormai Neth lo conosceva troppo bene per non sentire la sua mancanza. Era stato un errore allearsi con lui, un errore premeditato, un errore cui la ragazza del quattro era voluta andare incontro. E ora ne stava subendo le conseguenze.
“Potrebbe benissimo averti abbandonata.”
L'albina scosse la testa, chiudendosi la giacca alla bell’e meglio con le braccia sottili. Raika non l'aveva abbandonata, era solo andato da qualche parte per seguire un qualcosa che... Più ci pensava, più sembrava ridicolo e più quell'idea si faceva posto nella sua mente – insieme al freddo, ovviamente. Non era più tanto sicura di quell'alleanza, ora come ora, eppure un minimo ci sperava, altrimenti non sarebbe andata avanti a cercarlo. Prima di perderlo di vista, l'aveva notato muoversi verso la grotta, come abbagliato da qualcosa – o qualcuno. Sembrava stranito, preoccupato: Mahinete non era riuscita a capire esattamente come si fosse sentito il suo alleato, anche se aveva rivisto quella scena in sogno. Ricordava solo che in quel momento c'era tanta nebbia, il vento soffiava forte e lei si era sentita come in dovere di star zitta, anche se Raika si era girato chiedendole cosa avesse detto. Era stato strano, e l'albina era certa che c'entrassero gli Strateghi.
D'un tratto si trovò davanti alla grotta, dove un ragazzo se ne stava appoggiato alla parete con un coltello in mano. «Raika!» esclamò appena lo riconobbe, e andò verso di lui. Poi si fermò di scatto: qualcosa nel suo sguardo non la convinceva per niente.
 
Se c'era una cosa che Hito detestava, era che sua sorella gli stava sempre appiccicata. Qualsiasi cosa facesse, Mahinete era sempre dietro di lui, che lo seguiva goffamente. A nulla valevano le sue proteste: la bambina gli veniva lasciata in custodia, in un modo o nell'altro. Hito avrebbe tanto voluto che - anche per poco - quella piccola peste lo lasciasse in pace mentre nuotava o andava a mangiare dei dolci con i suoi amici. Persino durante le partite di calcio, che erano talvolta improvvisate sulla spiaggia, Mahinete insisteva per giocare e combinava casini, uno dopo l'altro. E Hito non poteva farci nulla.
“Dài, portala con te” era intervenuto suo padre, come sempre a favore della principessa dai capelli bianchi, conosciuta anche come Mahinete. La bambina aveva annuito convinta, puntando i piedi per terra, ma suo fratello le aveva rifilato un'occhiataccia. “E' tua sorella. Ringrazia il cielo che non ti lascio anche Ari” aveva aggiunto Nautès, indicando con un gesto della mano il bimbo scalzo che stava camminando per casa. E così, anche quella volta, la principessa aveva vinto e gli era toccato portarsela sugli scogli.
«Neth, datti una mossa! Altrimenti arriviamo tardi!» urlò verso la bambina che si era fermata a raccogliere una conchiglia. Mahinete scrollò le spalle, sbuffando alla spinta che le diede suo fratello per farla andare più veloce.
«Se ti muovi, ti faccio fare un tuffo.»
«Davvero?» chiese sorridendo.
«Davvero.»
Hito si maledisse da solo, perché la bambina, ora, stava correndo veloce come il vento per quella promessa. «Dannazione. A me e alla mia stupida linguaccia» sussurrò tra sé e sé, mentre l'albina corricchiava felice, sporcandosi i piedi scalzi di sabbia. Ecco: un'altra cosa che a lei veniva permessa era non mettersi le scarpe, anche grazie alla sua bravura sul non farsi beccare. Mahinete era furba, e questo gli doleva ammetterlo.
«Neth, dove stai andando? E' da lì che dobbiamo tuffarci» esclamò il ragazzo, indicando gli scogli con un dito mentre l'albina, che stava andando verso delle rocce molto più basse, li fissava sbalordita.
«D-da lì?» chiese, stranita.
«Sì, da lì.» Hito salutò con un cenno i suoi amici, nascondendo la sorella con il busto.
«Ciao!» Neth si piazzò davanti a lui e qualche ragazzino sghignazzò al vederla.
«Non farmi fare figure di merda» sbottò il più grande, mentre Mahinete cercava di assimilare, con la fronte aggrottata, la parolaccia detta dal fratello. 
«Questa è mia sorella» la presentò spiccio, «e ora muoviamoci a salire. Dix e Conn sono già su?»
Di risposta un ragazzo dai capelli rossi si tuffò di testa dallo scoglio, subito seguito da uno con i capelli biondi. «Erano su» rispose Mahinete, e si portò una mano allo stomaco in subbuglio per la paura.
«Ma è tanto alto» sussurrò l'albina, ma Hito la spinse avanti. «Non fare la femminuccia: se non vuoi, non lo fai. Niente lagne.»
La bambina si sedette sulla sabbia, lasciando che l'acqua le bagnasse la camicia che portava come copertura. Guardò la cima dello scoglio, deglutendo rumorosamente. Nel frattempo, suo fratello si era andato ad aggregare ai suoi compagni di classe e lo schiamazzo che facevano stava via via salendo.
«Vengo con te!» urlò la bambina e, corsa fino al biondo, ficcò la mano nella sua. «Però mi devi insegnare ad arrampicarmi.»
Hito si zittì di colpo: non aveva affatto previsto che le sarebbe venuta voglia di tuffarsi da là in alto. Si maledisse nuovamente, mentre pensava a cosa fare. Lui era bravo nelle arrampicate, molto bravo, ma sua sorella? Era sangue del suo sangue, certo, ma con quelle braccine non sarebbe andata tanto lontano. Era deboluccia, però doveva aver ereditato un po' della sua bravura certamente.
«Te l'insegno io, tranquilla. Innanzitutto devi cercare un punto d'appoggio e mai ­– dico MAI – appoggiarti alla cieca da qualche parte senza di aver provato prima che sia solida.»
Mahinete aveva aggrottato la fronte in modo buffo, come per captare le informazioni e immagazzinarle.
«Va' prima tu» le comandò, «se cadi, ti prendo io. Ah... Non guardare giù.» La bambina scosse la testa e, per una volta, Hito fu felice che quella fosse sua sorella. Anche se era incerta, proseguì testarda fino a che uno dei ragazzi già su le prese la mano per farle fare l'ultimo pezzo.
«Fratellone... Io ho... ehm... paura di buttarmi.»
Il biondo si dovette trattenere per non mollarle uno schiaffo dietro alla testa. «Come hai paura?! Ora ti devi buttare per forza.»
«Voglio scendere!» Mahinete puntò i piedi per terra, rischiando di cadere in acqua.
«Puoi scendere solo se ti tuffi.»
«Ma io... io...» piagnucolò lei.
«Tu niente. Ci tuffiamo insieme, okay?» chiese e la piccola gli tese la mano incerta.
«Okay.» Pochi secondi dopo e, soprattutto, poche urla dopo, i due fratelli erano in acqua a schizzarsi l'un l'altra.
«Hito... ehm...»
«Che c'è ancora?» sbuffò il ragazzo, leggermente preoccupato.
«Vorrei farlo di nuovo.»
Hito ne era sicuro: quella bambina stava cercando di ammazzarlo, in un modo o nell'altro.
 
 
«Raika?» chiese l'albina, non nascondendo il velo di preoccupazione che aveva la sua voce. Indietreggiò, mentre osservava i movimenti del suo alleato. Il Tributo del nove si era avvicinato barcollante, come facevano alcuni uomini di ritorno dalla locanda dove avevano certamente bevuto, e aveva allungato la mano verso di lei, nel suo sguardo si annidava qualcosa di strano.
«Cos'hai?» Tutt'un tratto la paura si impossessò dell'albina, facendole tremare le gambe: una vocina interna, subdola, le suggerì di scappare a gambe levate, ma Neth si sentiva ancorata per terra.
«Ha detto che devo ucciderti
«Chi?» Questa volta l'albina strinse il coltello che portava appeso alla cintura.
«Ha detto che devo ucciderti» ripeté lui, in trance. I suoi occhi azzurri vagavano alla ricerca di un modo per intrappolarla, e la sua bocca si piegò in un sorriso maligno quando vide la lama. Sembrava schernirla con lo sguardo, come per dire: “che ci vuoi fare con quella? Uccidermi?”
Raika continuava ad avanzare mentre i pensieri vagavano sconnessi nella testa della ragazza. Colpirlo, era quella la cosa giusta da fare? O forse doveva attendere che si sbilanciasse per catturarla? Mahinete non lo sapeva: ogni teoria formulata fino ad allora, sembrava essere sparita dalla sua mente. Non riusciva neppure a pensare per bene.
«Raika... Sono Neth, ricordi?» chiese in un ultimo, vano tentativo di dissuaderlo dal suo compito. Intanto la nebbia s'innalzava. «La pecorella» tentò nuovamente.
Il ragazzo parve rallentare, per poi riprendere più veloce di prima. Ormai i tentativi non bastavano più.
Il coltello s’inficcò sulla parete di ghiaccio, a pochi centimetri dalla sua testa, lasciandogli un taglio che in breve tempo assunse una sfumatura purpurea. Ma Raika non si fermò. «E' solo un trucco degli Strateghi» disse lei, impugnando un altro coltello con la mano tremante. «Ti supplico.» Quella volta fu lui a colpirla, a prenderle la maglietta con un gesto fulmineo e rivoltala come una preda tra le braccia. Solo allora Mahinete si accorse che alla sua maglietta mancava una striscia di stoffa, la stessa che le era caduta ai piedi il primo giorno nell'Arena. Tentò un'ultima volta, con voce flebile.
«Ti prego
 
 


Angolino dell'Autrice:

Comincio col dire che mi dispiace terribilmente di non aver aggiornato fino ad ora, ma avevo calcolato che in Toscana (dove sono stata in vacanza dal 7) ci fosse internet, e invece non c'era. Poi... beh... Mi sono dimenticata di passarmi questo capitolo sul portatile .-. Avrei dovuto aggiornare prima, lo so, eppure non riuscivo a finire il capitolo e questo periodo di stacco mi è servito sia per scrivere questa long che la mia prima originale. Forse aggiornerò e pubblicherò con più frequenza, forse no. Però ho parlato con la creatrice di Maple e quella di Sigma – le mie due cugine – che mi hanno dato qualche dritta sul loro passato e sui personaggi che sono legati a loro. La piccola ha persino cercato di farmi creare un fidanzatino per Mape, mentre la più grande ha letto varie OS senza il mio permesso – e facendomi incazzare, aggiungerei.
Ora però vi lascio, che devo fare i compiti (sì, li faccio a quest'ora) e recensire per uno stato di recensioni del gruppo “The Capitol.” Ah, fate attenzione all'acqua che cade dal soffitto, che è importante.
Ciao a tutti e grazie per aver letto :D Un ringraziamento speciale va a Bolide Everdeen, che – l'ho scoperto adesso – ha messo la mia storia tra le sue consigliate per questo fandom. Sei gentilissima <3 Grazie <3

PRESTAVOLTI (perché ne ho cambiata la maggior parte)
- Maple Bark
- Mahinete Frost
- Hito Frost
- Raika Swift

 
Talking Cricket ®
 
 PS: I due stupidi che si sono buttati dalla roccia nel flashback, Dix e Conn, sono OC di Alaska__ e compaiono nella storia “Semplici pedine dei loro giochi”, poi il primo fa varie comparse in altre storie sempre sue. Tra l'altro, è persino il Mentore di Mahinete – insieme a Finnick. E' un losco, dolcioso tipo dai capelli rossi <3
 
  
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