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Autore: darkrin    30/08/2014    4 recensioni
Klaus per l’ennesima volta si chiese cosa avesse fatto per meritarsi tutto quello: nessuno sterminio di massa, nessun genocidio potevano giustificare una cosa del genere. / O di Klaus, Caroline e del mostro sotto al suo letto.
(Established Klaroline - Future!fic - Fluff ma che più fluff non si può - NOW A THREE-SHOT BECAUSE I SAID SO)
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Caroline\Klaus, Klaus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 A BFan, blonde985 e a chiunque abbia voluto un seguito.




Seconda Parte


 
 
Klaus riuscì a resistere per ben tre giorni, prima di presentarsi a casa di Bonnie Bennett con l’espressione più nera che anima umana avesse potuto immaginare.
- Miss Bennett – esordì con tutta l’eleganza che aveva acquisito fingendosi un principe nel Rinascimento e lasciando che ogni parola risuonasse nell’aria come una già avvenuta condanna alla tortura eterna, come secoli prima aveva insegnato ai migliori inquisitori, - penso sia giunto il momento di parlare, da soli. –
Calcò le ultime due parole con particolare violenza, come a far capire che quello che aveva da dire era inadatto alle orecchie di una bambina.
- Klaus, sto facendo del mio me… - Bonnie iniziò, ma Klaus alzò immediatamente una mano a fermarla e scosse il capo.
- Evidentemente, Miss Bennett, non è abbastanza e sappiamo tutti e due che lei lavora molta meglio sotto pressione. Ricorda quando ha brillantemente risolto quel piccolo problema dei miei ibridi in meno di un pomeriggio? Non penso sarebbe certo stata così efficace se non ci fosse stata la testa di Tyler in ballo. Lei che ne dice, hmm. –
Il tono di Klaus era calmo e sereno e Bonnie sapeva che voleva dire che era disposto anche ad ucciderla lì sulla soglia della sua abitazione, se fosse servito a fargli ottenere il suo scopo.
- Penso sia giunto il momento, quindi, di fronte al suo innegabile fallimento, di ricordarle che so dove abita sua madre e che, casualmente, in quella stessa zona abita un vampiro che sarebbe disposto a qualsiasi cosa pur di rientrare nelle mie buone grazie. Quindi capisce che se per caso gli giungesse voce che mi farebbe piacere che ad Abbie Bennett venisse, non so, spezzato un braccio o strappato il cuore, non penso farei in tempo a fermarlo. –
- Sto facendo del mio meglio – sibilò, scandendo ogni sillaba, come fosse un incantesimo per farlo cadere morto ai suoi piedi.
- Tre giorni, Miss Bennett, ha altri tre giorni prima che a sua madre accada un qualche sfortunato incidente. Spero per Abbie che questo non sia davvero il suo meglio. –
Klaus si era già allontanato di qualche passo, quando la voce della strega lo raggiunse.
- Caroline sa che sei venuto qui? Se farai del male a mia madre, lei non te lo perdonerà. –
- È una sfortuna che Caroline sia attualmente una bambina e non sappia cosa sia meglio per lei. A noi adulti a volte tocca prendere decisioni spiacevoli. Lei è una madre, dovrebbe saperlo meglio di chiunque altro. Quando Caroline sarà tornata adulta capirà che questa era la cosa giusta da fare. –
- Sai benissimo che non è così – gridò alle sue spalle, ma Klaus era già sparito dal suo portico.
 
 
 
Klaus non fece in tempo a varcare la soglia di casa prima di trovarsi tra le braccia un ammasso di un metro e trenta di capelli biondi e guance paffute. Non aveva ancora sollevato da terra quel fagotto di bambina, che sua sorella si era già sbattuta la porta alle spalle dopo aver sibilato un sentito: - Mi devi tutta la nuova collezione di Armani – così piano che solo lui era stato in grado di sentirla.
Klaus sospirò e strinse Caroline con un po’ più forza contro il suo petto.
- Mi sei mancato – la bambina pigolò contro la sua guancia, mentre gli stringeva le mani intorno al collo.
Quello era parte del problema. Non che Caroline sentisse la sua mancanza, no, quella era una cosa di cui Niklaus Mikaelson era lieto e che, a sentir lui, era anche giusta e dovuta. Il problema era che non poteva stare sempre con Caroline perché era l’Ibrido Originale e c’erano certi doveri a cui doveva attendere senza portarsi dietro una bambina (minacciare Bonnie Bennet e nutrirsi primi fra tutti) e nessuno dei suoi fratelli sembrava essere in grado di occuparsi di Caroline come doveva.
La prima volta che l’aveva lasciata da sola con Rebekah, era stato richiamato mezz’ora dopo da una bambina in lacrime e una sorella isterica.
-Caroline è insopportabile – era sbottata sua sorella.
- Mi ha dato della putt… putt… puttana - aveva balbettato Caroline, con gli occhi gonfi e le guance rosse.
- Come faccio sempre – aveva gridato Rebekah e Klaus aveva dovuto trattenersi dallo spezzare il collo a sua sorella.
La prima volta che l’aveva lasciata con Elijah, suo fratello si era stupito delle lamentele di Rebekah e aveva detto che Caroline era stata bravissima e non aveva quasi mai pronunciato parola e che non si era mai mossa, dal punto del pavimento in cui l’aveva trovata quando Klaus li aveva lasciati da soli. L’ibrido aveva sospirato, aveva preso in braccio la bambina con le gambe anchilosate e aveva promesso al fratello che sì, certo che l’avrebbe richiamato nel momento del bisogno. Caroline l’aveva guardato con la fronte corrugata e, quando era certo che suo fratello fosse sufficientemente distante, aveva ghignato:
- Per fortuna non ne avremo mai più bisogno. –
Il volto della bambina era stato illuminato da un sorriso splendente e Klaus si era chinato a baciarle la fronte, facendola scoppiare a ridere e contorcere tra le sue braccia.
La prima volta che l’aveva lasciata con Kol non c’era mai stata perché era Kol e sarebbe morto prima di lasciare Caroline con lui. Anche lasciarla da sola o, peggio!, con uno dei membri della Scooby Gang di Mystic Falls era altrettanto fuori discussione.
- Nessuno di loro è in grado di proteggerti – aveva sibilato, quando lei gli aveva detto che poteva rimanere con Elena o con Stefan.
La bambina aveva roteato gli occhi.
- Non c’è nessun pericolo – aveva borbottato, poco convinta, ma Klaus era stato irremovibile. Solo al pensiero di lasciare Caroline con Elena o Stefan, qualcosa gli si era stretto nel tempo e un’ombra gli era calata sugli occhi. C’era stata una volta in cui Caroline sarebbe stata in grado di leggere e riconoscere quell’ombra, gli avrebbe preso il volto tra le mani e gli avrebbe sorriso e assicurato che non sarebbe andata da nessuna parte, per nessun motivo, ma la Caroline bambina era stata distratta dal cartone che stavano guardando e Klaus aveva stabilito che non l’avrebbe mai lasciata da sola con uno dei suoi amici.
Quindi l’unica possibilità era rimasta lasciarla con sua sorella. Prima o poi avrebbero imparato a convivere.
 
 
 
- Dove sei stato? – gli domandò la Caroline bambina stretta intorno al suo collo.
Klaus sospirò: - Da nessuna parte. Com’è andata con Rebekah? Dalle condizioni della casa, direi che è andata meglio dell’ultima volta, hmmm.–
L’ultima volta che le aveva lasciate da sole, Caroline e Rebekah avevano deciso di fare dei biscotti al sangue, perché Caroline odiava berlo dalla sacca o dal bicchiere, ma a metà dell’opera, le due avevano litigato e quand’era tornato, Klaus le aveva trovate ricoperte di fumo e circondate da una cucina esplosa.
Caroline poggiò le mani sulle sue spalle e fece forza per allontanarsi leggermente da lui e guardarlo negli occhi.
- Bugiardo. Dove sei stato? – domandò con la fronte corrugata.
Klaus chiuse gli occhi e pensò a quando non era costretto a mentirle.
- Klaus – lo chiamò, con una voce sottile e spaventata?, posandogli le mani sulle guance e accarezzandogli gli zigomi con i pollici. – Klaus, cosa hai fatto? -
- Avevo degli affari di cui occuparmi. –
- Che tipo di affari? –
- Niente di cui tu debba preoccuparti, tesoro. –
- Klaus. –
- Caroline – ghignò.
- Sei, uuuugh, insopportabile quando fai così – sbottò esasperata dandogli un pugno contro la spalla. Klaus notò distrattamente quanto fosse piccola la sua mano contro il suo corpo. Quanto fosse fragile contro la sua pelle.
Gli posò le mani minuscole contro il collo per costringerlo a guardarla negli occhi e Klaus lasciò che gli voltasse il viso come desiderava.
- Perché non vuoi dirmi dove sei stat… -
La vide sbarrare gli occhi e spalancare le labbra in un comico oh, mentre la realizzazione la colpiva come un fulmine. C’era un solo motivo per cui Klaus poteva desiderare di nasconderle qualcosa ed era se si trattava di qualcosa che lei non avrebbe mai approvato e non c’era niente che avrebbe odiato più che scoprire che Klaus era andato a minacciare uno dei suoi amici. E come poteva essere stata così irrimediabilmente stupida? Klaus gliel’aveva detto, le aveva detto che l’avrebbe fatto e lei non gli aveva creduto. Si era illusa che sarebbe stato paziente, che per lei si sarebbe trattenuto.
Klaus vide l’ombra calare sul volto della bambina e sentì le mani di lei discendere dal suo collo alle sue spalle e spingere in un inequivocabile gesto che voleva dire: mettimi giù e fallo ora. Per un attimo ebbe l’istinto di rifiutarsi di accondiscendere, ma un’occhiata all’espressione sul volto di Caroline lo fece desistere. La depose a terra con un sospiro.
- Caroline – iniziò, ma lei lo interruppe con un sibilo e un gesto brusco della testa.
- Sei incredibile – sbottò. – Davvero, davvero incredibile. Ti avevo chiesto di non fare niente, di fidarti di Bonnie – Klaus non poté trattenere la risata incredula e amara che gli lasciò le labbra e Caroline gli lanciò un’occhiata di fuoco. – O fidarti almeno di me. Bonnie è una mia amica e sta facendo tutto il possibile per riportarmi indietro, ma è difficile. L’ha detto lei. -
- Se l’ha detto Miss Bennet, allora deve essere assolutamente vero – sibilò, con scherno.
- Non ti ho detto di fidarti di lei. Ti ho chiesto di fidarti di me – gridò.
- Oh, tesoro, non desidererei altro, ma l’avere giudizio non è esattamente il tuo forte in questo periodo. –
- Cosa intendi? – sussurrò, con labbra tremanti e occhi lucidi.
- Hai otto anni, Caroline. Otto anni e passi le tue maledette giornate a guardare cartoni e hai paura di mostri che non esistono – ringhiò. – Direi che il giudizio, ultimamente, non è proprio il tuo punto forte, hmmm. –
Già mentre le parole lasciavano le sue labbra, Klaus sapeva che questa volta, Caroline non l’avrebbe perdonato, ma era giornalmente costretto a confrontarsi con una bambina, che era stata maledetta da una strega per colpa sua e che era così piccola e fragile e impressionabile, che Klaus non si sarebbe sorpreso se un giorno fosse rientrato e avesse trovato la casa vuota perché uno dei Salvatore era finalmente riuscito a convincere Caroline che il suo posto non era lì. E c’era solo così tanto, che l’Ibrido Originale poteva sopportare.
Rivoleva la sua Caroline. Ed era disposto a far cadere teste e strappare i cuori dell’intera popolazione di Mystic Falls pur di riaverla indietro. Dio, era disposto a mettere a ferro e fuoco l’intero pianeta, se fosse servito!
Per un attimo sperò che Caroline non desse peso alle sue parole, ma una sola occhiata agli occhi spalancati e al volto pallido della bambina gli fecero capire che era una speranza vana.
 
C’era stata una volta, quando Caroline aveva ancora diciassette anni e qualcuno in più, in cui Klaus avrebbe baciato via il broncio dal suo volto. Pensò a quanto fosse più facile e più sicura la sua vita, allora; ora che Caroline era una bambina alta a malapena come una sua gamba, Klaus non sapeva cosa fare. Si limitò a guardarla mentre cadeva in pezzi, davanti ai suoi occhi sbarrati e ai suoi arti immobili.
 
- Ti dà così tanto fastidio che io abbia otto anni? – mormorò, con gli occhi gonfi di lacrime, e per un attimo a Klaus parve di vedere di nuovo quello stesso fuoco che aveva avuto quando gli aveva urlato che avrebbe dovuto voltargli le spalle secoli prima. - Nessuno ti ha chiesto di farmi da balia. Potevi lasciarmi con mia madre o con Elena. Sarei stata meglio. –
Klaus sentì qualcosa bruciargli nel petto e serrò la mascella.
- Caroline – sibilò.
Lei scosse il capo, mentre le lacrime traboccavano dagli occhi e le scorrevano lungo le guance arrossate.
- Lasciami stare – sbottò. – Lasciami in pace. Tanto lo so che è quello che vuoi fare da quando mi hanno trasformato. E mi hanno trasformato per colpa tua! –
Klaus strinse i denti e Caroline vide i muri con cui si proteggeva calargli davanti agli occhi e le venne ancor più da piangere. L’uomo rimase immobile a guardarla singhiozzare in piedi a pochi passi da lui, con le braccia distese e le mani strette a pugno accanto ai fianchi.
- Perché non riesci a capire che sono sempre io? – sussurrò con un singulto, sollevando gli occhi su di lui ed improvvisamente era di nuovo così Caroline (la sua Caroline) che Klaus sentì il fiato venirgli strappato fuori dal petto e rimase raggelato sul posto a guardarla voltarsi e correre via da lui e da quella casa.
Solo quando scomparve oltre l’uscio, il fiato gli rientrò nei polmoni con un sibilo strozzato e Klaus si mosse.
 
La raggiunse sulle scale che dal portone portavano al vialetto, che dalla casa raggiungeva la strada provinciale con cui si poteva arrivare Mystic Falls. Le avvolse un braccio intorno alla vita, la sollevò da terra e se la strinse al petto con un unico, fluido movimento.
- Caroline – le sussurrò contro i capelli, mentre lei continuava a singhiozzare e dimenarsi contro la sua presa.
- Caroline – ripeté, incurante del coro di: lasciami, lasciami, vattene, ti odio, lasciami, che si infrangevano contro la stoffa della sua maglietta, insieme alle lacrime.
- Caroline – mormorò, stringendola più che poteva, senza spezzarla ed era così piccola ed era spaventoso.
 
 
 
C’era stata una volta in cui una Caroline bambina, non aveva desiderato altro che essere amata dai suoi genitori come vedeva amare Elena, con la stessa gentilezza e dolcezza e calore, ma suo padre aveva un nuovo compagno e una nuova vita e sua madre aveva un lavoro che pretendeva troppo tempo. Caroline era stata lasciata in seconda fila a guardare la vita dei suoi genitori riempirsi di altro da lei.
Crescendo, Caroline aveva deciso che avrebbe fatto di tutto perché i suoi fossero costretti a guardarla e vederla e dirle Caroline, quanto sei brava e quanto sono fiera di te ed è meraviglioso avere una figlia come te. Sei una tale fortuna, poi Caroline era morta e i suoi piani erano stati sconvolti da quella nuova realtà in cui era morta, ma non abbastanza e in cui entrambi i suoi genitori erano stati, improvvisamente, spaventosamente consapevoli di avere una figlia che era altro da quello che volevano.
Caroline aveva imparato a vivere o non vivere e ad essere abbastanza. Aveva recuperato il rapporto con sua madre e quello con sé stessa e aveva trovato Klaus e poi, improvvisamente, si era trovata ad essere catapultata nuovamente nel corpo di quella Caroline bambina che era pronta a fare di tutto per avere un briciolo di attenzione, di affetto, di accettazione e che non le piaceva. Ogni volta che vedeva il suo riflesso, Caroline provava un brivido di vergogna al ricordo di quello che era stata, che era, di nuovo. Perché mai Klaus avrebbe dovuto pensare qualcosa di diverso? Non era una bambina quella con cui si era impegnato – e, sicuramente, non era una Caroline bambina.
Quindi perché Caroline era rimasta così sorpresa quando aveva capito che voleva solo liberarsi di lei? Di quella bambina che era stata e di cui aveva fatto di tutto per liberarsi? E perché faceva così male? Perché non riusciva a smettere di singhiozzargli contro la spalla e di stringere, tra le dita, la stoffa della sua maglietta come a pregare che non la lasciasse andare, che non ascoltasse le sue parole, che capisse che erano tutte bugie e che la Caroline bambina era abituata a mentire.
Devo uscire. È un’emergenza, le diceva sua madre e Caroline sorrideva e rispondeva che andava tutto bene, che tanto lei doveva andare a letto.
Tesoro, purtroppo questo week end non posso venirti a trovare, le cose sono ancora un po’ confuse qui, sai con il trasloco di Steve e l’arrivo della ragazza, ma magari il prossimo, hmmm, ti andrebbe? E Caroline avrebbe detto: Ma certo papà, non ti preoccupare, tanto Elena mi ha invitato da lei sabato sera e non potevo dirle di no.
Quando Klaus le avrebbe detto che non aveva intenzione di averla accanto finché non fosse tornata adulta, Caroline avrebbe solo scosso il capo e l’avrebbe liquidato con una risata strozzata: capisco. Non è per questo che avevi firmato.
Doveva, solo, smettere, di, piangere e Klaus doveva allentare la presa intorno al suo corpo, perché per dirlo doveva guardarlo negli occhi e aveva bisogno di aria per ridere.
 
Klaus si sedette sul suo letto, continuando a stringerla tra le braccia come se anche un solo spiraglio d’aria tra i loro corpi potesse far sparire o spezzare quella bambina che era l’unica cosa veramente importante.
 
- Caroline – continuò a mormorarle contro la tempia, mentre la cullava.
A un certo punto, i singhiozzi diventarono radi singulti, per poi trasformarsi in silenziose strie lungo le guance e Caroline smise di aggrapparsi alla maglietta di Klaus come se ne andasse della sua vita, come se fosse l’unica cosa a tenerla ancora intera. A un certo punto, Klaus sentì il respiro della bambina farsi più profondo e la sentì abbandonarsi completamente contro il suo petto, mentre sprofondava nel sonno.
Non smise neanche per un istante di accarezzarle i capelli.
 
 
 
Doveva essersi addormentato anche lui, a un certo punto, perché quando riaprì gli occhi il sole era calato fuori dalla finestra e Caroline lo osservava incerta, mordicchiandosi un labbro e torturandosi una ciocca di capelli con le dita. Klaus lasciò andare il capo contro la testiera del letto con un sospiro. Non si era mossa dalla posizione in cui era quando si era addormentata, ma sapevano entrambi che non voleva dire nulla: Caroline era consapevole che se avesse provato ad allontanarsi, Klaus si sarebbe svegliato e l’avrebbe fermata. Era probabile che fosse rimasta immobile nella speranza di essere lasciata in pace e che ora stesse cercando un modo per liberarsi da quella situazione.
- Da quanto sei sveglia? – domandò, con un grugnito.
La sentì agitarsi contro di lui e si pentì immediatamente di aver usato un tono così aspro. Stava per aprire bocca per raddrizzare il colpo, quando la voce morbida e sottile di Caroline lo fermò.
- Un po’. –
C’erano migliaia di cose che voleva dirle e chiederle e – Klaus abbandonò la testa contro la parete e fissò gli occhi sul soffitto. C’erano migliaia di cose che voleva dirle e chiederle e che non sapeva come. Non era lui quello che parlava, tra i due, lui era quello che Caroline capiva senza che dovesse dire una parola; era lei a risanare gli strappi.
Klaus poteva sentire lo sguardo della bambina bruciargli il volto e studiarlo, come se fosse alla ricerca di qualcosa e che cosa, che cosa vuoi? Che cosa stai cercando?, avrebbe voluto urlare, ma rimase in silenzio, immobile con le braccia abbandonate sul materasso.
Ogni minuto in cui Caroline si ostinava a guardarlo in silenzio pesava come un’ora e Klaus si ritrovò a pensare che non aveva mai vissuto tortura peggiore. Infine, qualcosa cambiò nell’aria e, lentamente, la sentì muoversi con un sospiro. Immaginò che l’avrebbe vista alzarsi e si chiese se sarebbe stato in grado di lasciarla andare, questa volta, ma Caroline (che era la sua Caroline e come aveva fatto a non vederlo? A non vederla?) lo sorprese di nuovo.
Sentì la mano minuscola e caldissima della bambina poggiarsi contro la sua guancia e, improvvisamente, l’aria gli invase di nuovo i polmoni insieme ad un senso di sollievo che non pensava avrebbe mai provato. Esalò un sospiro tremulo e finalmente (finalmente, finalmente, Caroline sentì ogni anfratto della sua mente gridare e tremare per il sollievo) abbassò di nuovo gli occhi su di lei e c’era di nuovo quel calore, quella luce che erano solo per lei e Caroline non poté trattenere le labbra dal piegarsi leggermente all’insù.
- Ciao – pigolò e non importava che non fosse così che iniziava il discorso che si era preparata mentre lo guardava dormire e che si era ripetuta lo scrutava osservare il soffitto. Non importava che avessero ancora infiniti problemi da affrontare perché l’unica cosa che voleva fare era rannicchiarsi contro il suo petto e non muoversi fino a quando Bonnie non avesse trovato il controincatesimo corretto.
- Ciao, tesoro – mormorò, prima di chinarsi e baciarle la guancia, la tempia, le palpebre chiuse, la fronte finalmente distesa, mentre Caroline gli si contorceva addosso e rideva, senza fiato, contro il suo collo perché la barba le faceva il solletico. Caroline sentì il sorriso piegargli le labbra, contro il suo zigomo e sentì qualcosa di caldo e leggero riempirle il petto.
 
 
 
- Non possiamo continuare così – concluse, dopo che Klaus le aveva fatto il solletico fino a farla rimanere senza fiato e lei era scappata urlando e gli era saltata sulla schiena e lui aveva fatto finta di essere sorpreso e sconfitto e si era lasciato cadere sul letto e lei gli era rotolata affianco, continuando a ridere, con le mani davanti al volto.
- Hm? –
Caroline girò il capo, per guardarlo guardarla, disteso sul fianco in un angolo dell’immenso letto matrimoniale che lei aveva occupato, stendendosi a quattro di bastoni nel centro del letto (perché era una bambina ed era autorizzata a farlo, grazie tante).
- Non possiamo continuare così – ripeté, scandendo ogni parola.
Un ghigno piegò le labbra dell’ibrido.
- Immagino di no. Dovrai mangiare, a un certo punto. –
Caroline mosse una gamba come a volergli dare un calcio, ma era troppo lontano e la sua gamba era troppo corta e muoversi significava rischiare di perdere il territorio che aveva così valorosamente conquistato, quindi decise che si era mossa solo per sgranchirsi la gamba.
- Non parlavo di questo. Parlavo di me. Di questo – concluse con un borbottio, indicando tutto il suo corpo.
Klaus sospirò, ogni ombra di divertimento scomparsa dal suo volto.
- È per questo che sono andato dalla strega. – Alzò una mano per invitarla a farlo finire, quando la vide aprire la bocca per ribattere. – Non perché mi dia fastidio averti accanto in questa forma. Anche se, devi ammettere, che ha le sue scomodità, hmm. Ma perché tu non vuoi avere otto anni. –
- Certo che non voglio! – sbottò. – Quale persona sana di mente, vorrebbe? Certo poteva essere divertente, il primo giorno, ma sono passate due settimane! – esclamò, oltraggiata dalla sola idea che lui potesse pensare che lei si stesse divertendo.
Il sogghigno che piegò le labbra dell’ibrido le fece capire che doveva esserle sfuggito qualcosa e…
- E poi i bambini hanno un intervallo d’attenzione troppo basso e tu te ne approfitti e uuuugh – grugnì, sollevandosi e lanciandosi addosso all’uomo, con l’unico effetto di farlo ridere quando gli sprofondò la faccia contro l’addome.
- Uuuugh – ripeté contro la stoffa della sua maglietta, mentre Klaus le posava una mano sul capo.
 
 
 
- Non puoi comunque andare a minacciare i miei amici – affermò, voltando il capo per guardarlo negli occhi.
Klaus la osservò per un lungo istante, prima di scuotere il capo.
- Non ho intenzione di scusarmi. –
- Lo so, lo so. Solo, non farlo più. È la mia migliore amica e mi fido di lei e… Non posso… Non posso rimanere a guardare mentre minacci la mia migliore amica e… Per favore, Klaus. –
Lui corrugò la fronte e si rabbuiò.
- Non posso promettertelo, lo sai. L’hai sempre saputo… - iniziò, dopo interminabili minuti di silenzio.
- Lo so, lo so, solo… Prova. Per me – mormorò.
Klaus si limitò a riprendere ad accarezzarle i capelli e Caroline chiuse gli occhi, sentendo, sotto l’orecchio, il lento battere del cuore dell’ibrido che si trasmetteva ai vasi che gli percorrevano l’addome.
Caroline sapeva che quel silenzio non era abbastanza, che forse non sarebbe mai stato abbastanza, ma aveva otto anni ed era stanca e, decise, avevano secoli per discuterne ancora, secoli per imparare a scendere a compromessi.
 
 
 
- Devi promettermi una cosa, però. Devi promettermi che non mi lascerai più da sola con Bekah. Ti prego, ti prego, ti prego – mormorò con la mano poggiata sul petto dell’uomo e gli occhi socchiusi. - Non m’importa cosa devi fare o se vorrà dire che dovrò rimanere più a lungo in questo corpo, ma per favore, per favore, per favore. Tua sorella è impossibile – concluse, gonfiando le guance e calcando ogni singola lettera.
Klaus scoppiò a ridere e annuì, distrattamente. Caroline, ghignò, soddisfatta perché aveva accettato subito e perché quel suono, quella risata, li riservava solo a lei ed erano giorni che non li vedeva e non si era neanche accorta che le fossero mancati ora erano di nuovo lì.
Si rannicchiò ancor più vicina all’ibrido, esalando un verso soddisfatto.
 
 
 
- Non voglio mangiare – pigolò, con la testa ancora poggiata contro il suo stomaco. – Non voglio mangiare e non voglio andare in camera. Voglio solo dormire qui. –
- Hai dormito fino a due ore fa – sbottò, sbalordito.
- I bambini hanno bisogno di dormire di più dei vecchi – rispose, con un broncio e Klaus le lanciò un’occhiata di fuoco, che la fece contorcere, preda di un attacco di risate.
 
 
 
- Non me ne vado – affermò con la voce più seria che riuscì a trovare in quel corpo minuscolo, dopo aver placato l’ilarità e Klaus non era certo che lo stesse solo avvisando che avrebbe preso possesso del suo letto per la notte.
- Non me ne vado, quindi vedi di fartelo entrare in quella tua zucca vuota. –
Klaus si sollevò leggermente per sfiorarle la tempia con le labbra.
- Va bene – soffiò contro il suo orecchio con un sogghigno e Caroline pensò che doveva davvero, davvero tornare grande. 















 
Note:
- Non so perché, ma ho sempre la sensazione di aver rotto Klaus, ma A MIA DISCOLPA: è ambientata nel futuro, stanno insieme da tanto (voglio dire, BONNIE HA DEI FIGLI) e quindi.
- Doveva essere schifosamente fluff, POI NON LO SO COSA SIA SUCCESSO, ma almeno è finita bene, no? No? E poi volevo approfondire un po' il disagio della situazione e il fatto che si possa fare buon viso a cattivo gioco solo fino a un certo punto. 
- Ci sarà una terza parte perché è giunto il momento per Caroline di tornare adulta. Non pensate? 
   
 
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