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Autore: Mirmiria    31/08/2014    1 recensioni
Sono sempre stata una ragazzina problematica, me ne rendo conto, ma mica è colpa mia.
Siete voi i maniaci che se la prendono con i miei capelli rossi.
Si, rossi, non avete mai visto dei capelli di questo colore? No?
MA PER PIACERE! SARETE ANDATI DAL PARRUCCHIERE ALMENO UNA VOLTA NELLA VITA, EH!?
Pensate che io sia strana vero? Si?
Ah, perché un tizio che se ne va in giro con una pelliccia assai discutibile vi sembra normale, eh? Si?
Brutti bastardi! Sapete che vi dico? Fate un po’ come vi pare, io non vi conosco, addio.
Deborah è una ragazza all’apparenza come le altre, in realtà ha alle spalle un’infanzia da schiava presso un Drago Celeste. A distanza di anni medita ancora vendetta, ma non ha la più pallida idea di come un bel pirata dai capelli blu, di nome Eustass, le sconvolgerà la vita!
Hello, people!
Spero vivamente che vi piaccia, che dire, buona lettura!
Enjoy:D
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gold D. Roger, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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~La Furia Dai Capelli Rossi~

Chapter One: La furia dai capelli rossi

 

La prima cosa che notai furono i capelli rossi.
Ciocche di un rosso brillante, quasi innaturale, che sembravano non voler seguire nessuna legge di gravità. Ognuna aveva una direzione diversa e, nel complesso, davano vita a una folta zazzera cremisi che le sfiorava le spalle e che, nel complesso, stonava non poco con la carnagione pallida della ragazza.
Gli occhi erano azzurri, cerchiati da profonde occhiaie scure, indice del sonno arretrato, mentre le labbra esangui si distinguevano appena.
Indossava una camicetta di jeans annodata sotto il generoso decolté, da cui s’intravedeva il reggiseno rosso, e con le maniche arrotondate fino ai gomiti. 
Portava degli shorts con i bordi sdruciti e stivali neri, lucidi come liquirizia, che le sfioravano le ginocchia.
Pareva estremamente stanca.
-Mamma mia…Sembro uno zombie…- mormorai, guardandomi ancora allo specchio e cercando di domare, invano, il groviglio di nodi che avevo in testa.
-No seriamente, sembra che un porcospino abbia preso il posto dei miei capelli!- dissi con tono esasperato –Basta! Non ho voglia d’incavolarmi di prima mattina!- urlai, lanciando con odio la spazzola sul letto.
Mi voltai cercando di calmarmi, evitando così una morte assai dolorosa per la lastra di vetro che mi si parava davanti.
Rovistai un attimo nel beauty case appoggiato sul comodino, tirando fuori a casaccio una marea di oggetti, creme; ombretti; smalti dai colori più variopinti; matite…Tutta roba che la mia carissima amica Ayame –che uno di questi giorni farà una brutta fine se non si decide a smetterla di farsi gli affari miei!- mi ha regalato ma che, questo è poco ma sicuro, finirà per marcire là dentro.
-Ah-ha!- esclamai trionfante, mentre il mio caro rossetto emergeva dai meandri più oscuri di quella specie di prigione insieme alla sua fida compagna matita-per-gli-occhi nera.
Tornai a specchiarmi cercando di reprimere l’istinto omicida nei confronti del povero mobile e mi truccai abbastanza velocemente.
Ora le mie labbra avevano una colorazione leggermente più scura dei capelli, ma non per questo meno intensa e gli occhi…Sì, sembravano veramente quelli di qualche morto, ma non avevo tempo, e soprattutto voglia, di armeggiare con il fondotinta, quindi lasciai semplicemente perdere.
Recuperai gli occhiali da sole e uscii dalla finestra, senza nemmeno rimettere in ordine il casino di cosmetici che ora invadeva il mio letto.
Ero in ritardo, come sempre del resto.




-Ayame, dobbiamo parlare-
-Proprio adesso mamma? Guarda che ci sono dei clienti!-
-Non importa, ti chiedo un solo minuto, credo che Lauren ce la possa fare anche da solo, no?-
La ragazza si voltò verso il biondo che stava riempendo alcuni calici e, riluttante, tornò alla conversazione –Va bene, ma sbrigati-
-Ho intenzione di mandare via Deborah. E non potrai più frequentarla.-
-Cosa? Mamma, non puoi farlo!-
-Oh si invece! Quella ragazzina mi sta dando un sacco di problemi! Fa scappare tutti i clienti, da quando è tornata gli incassi sono notevolmente diminuiti!-
-Questo non mi sembra un buon motivo- replicò fredda la ragazza –Hai mai pensato che forse nella vita ci sono cose più importanti di un’osteria? Non puoi cacciare via Deborah, sarà anche problematica e farà scappare via i clienti, ma tu sai meglio di me che ha bisogno di quei soldi!-
-Non è un mio problema! Se adesso devo anche pensare agli altri siamo a posto!-
-Tu non capisci!- urlò infine Ayame, strinse così forte le mani che le nocche sbiancarono in fretta, mentre il viso diventava paonazzo –Deborah non ha nessuno. Nessuno, te ne rendi conto, oppure non t’importa nemmeno di questo, eh!?-
Non lasciò alla donna il tempo di replicare, si girò facendo ondeggiare la chioma candida, e si diresse a passi spediti verso il bancone.




La nave procedeva a una velocità costante, il vento era favorevole e il mare pareva solo una placida distesa di blu. Le cose procedevano per il meglio.
-Quanto manca ancora, Bill?-
-Meno di cinque minuti, Capitano! L’isola è praticamente a due passi e possiamo ormeggiare direttamente in porto perché, per quanto ci risulta, il villaggio è così piccolo che la Marina non ha inviato nemmeno un plotone!-
-Bene, allora procedi come stabilito.-
Il ragazzo annuì tornando al timone mentre la ciurma si preparava a scendere.
-Capitano William! Terra a tribordo!- gridò la vedetta e il ragazzo si limitò ad annuire impercettibilmente, mentre scrutava con gli occhi ambrati la siluette scura che pian piano si avvicinava.




Per miracolo non caddi di faccia.
Sono sempre più convinta che le radici lo facciano apposta. A far inciampare la gente, intendo.
Finalmente arrivai al villaggio, mi buttai a capofitto lungo la discesa e mi fiondai per le stradine lastricate investendo un paio di persone.
-Non è possibile! Quella ragazzina porta solo guai!-
-Una delinquente, ecco cosa! Proprio come sua madre…!-
Arrestai la mia corsa frenetica e mi voltai verso le due vecchiette che stavano parlando tra loro pensando di non essere ascoltate. Cominciai a camminare nella loro direzione sfoderando il sorriso più angelico di cui fossi capace.
-Ho sentito bene signora? Ha parlato di mia madre?-
Indietreggiò poggiandosi sul bastone nodoso, finchè non toccò la parete dell’edificio alle sue spalle. La presi per il bavero della maglia alzandola senza il minimo sforzo.
-Non me ne importa niente se è vecchia, ma un’altra parola su mia madre e giuro che l’ammazzerò con le mie stesse mani, intese?-
Vedevo l’espressione sadica del mio viso riflessa nei suoi occhi terrorizzati. Mollai la presa e la vecchia cadde sulla strada, la bocca contorta in una smorfia di dolore.
-Buona giornata, signora!- dissi, cambiando di nuovo espressione e ricominciando a correre in direzione dell’osteria in cui lavoravo. Al mio passaggio una madre coprì il volto del proprio bambino, mentre l resto dei passanti abbassava lo sguardo o mormorava qualcosa, molto probabilmente insulti.
Bastardi.




Nonostante fosse solamente una piccola città, le strade erano gremite di gente e un brusio sommesso riempiva l’aria circostante.
Le case erano piccole, basse, costruite con pietra chiara che richiamava il colore delle stradine.
-Mi scusi buon uomo!- chiamò William, mentre il fabbro armeggiava con la serratura del suo negozio.
-Apro fra due ore, quindi vi tocca aspettare!-
-Oh, non è per quello, saprebbe indicarci una buona locanda?-
L’uomo si girò, scrutandoli con un sopracciglio inarcato. Si prese tempo per rispondere, accendendo la sigaretta che teneva fra le labbra.
-Siete pirati eh? Se volete mangiare andate da Kyoko. Sempre dritto fino alla piazza e poi a destra-
-La ringrazio- soffiò il ragazzo, tirando la bocca in un leggero sorriso che non preannunciava nulla di buono.
-Molto probabilmente Jaén e i suoi pirati si trovano lì. Ho sentito che hanno un complice, un certo Lauren, o qualcosa del genere- disse Bill, grattandosi il pizzetto biondo –Siamo in anticipo, non hanno ancora commesso nessuna strage.-
-Beh, visto che ci siamo scomodati per arrivare fino qui, potremmo anche unire l’utile al dilettevole.- rispose William, mentre varcavano la soglia del locale –Chissà che quest’isola non ci riservi qualche sorpresa…-




Ci misi così tanta enfasi nella mia entrata che scardinai la porta, ritrovandomi faccia a faccia con Ayame, che mi guardava incredula.
-Deborah! Per l’amor del cielo, hai scardinato la porta!-
-Si, ho notato, ma tanto era vecchia, quindi non è un problema!- dissi, facendo spallucce mentre la mia amica mi guardava incredula.
-Sai, hanno inventato le maniglie per evitare che la gente apra le porte a calci!-
-Oh, ne ero all’oscuro, scusami!-
-E smettila di sghignazzare! Mi dai sui nervi!- sbottò indignata.
-Come, così?- e continuai, schivando uno straccio bagnato e dirigendomi verso il bancone –Spostati idiota, e fila in cucina! Meno vedo il tuo muso, meglio è!- dissi rivolta a Lauren che, scocciato, mi lasciò il posto.
-Deborah, dovresti essere un po’ più gentile con lui-
-Ma sei scema? Quello lì non mi piace, non so dirti perché, eppure non riesco proprio a fidarmi! Credo che forse lo accoltellerò.-
-Ehi!-
-Oh, andiamo! Posso farlo passare per un incidente!- mi giustificai, beccandomi una pezza bagnata tra i capelli –Ok, va bene, come non detto-
-Brava. Ah, mia madre ha detto che ti deve parlare quando torna…-
Mi limitai ad alzare lo sguardo. Quella donna era la perfidia fatta persona e ancora non avevo capito come Ayame potesse essere sua figlia.
Kyoko era brutta, troppo alta e secca come un chiodo, più piatta di una tavola da stiro e con degli spaghetti al posto dei capelli di un colore che ricordava vagamente quello della cacca.
Ayame invece era l’esatto opposto. Piccola, minuta, aggraziata, con due occhi verdi e una chioma candida, liscia.
Insomma, è bella da far schifo, e nonostante sia la mia migliore amica –oltre che l’unica- non posso non provare un pizzico di invidia. Ah, e credo che sia stata adottata.
-Ehi, guarda quelli!- mi sussurrò, dandomi una leggera gomitata –Carini per essere dei pirati, eh?-
Scossi la testa. Nel locale erano appena arrivati dei pirati. Si accomodarono su uno degli ultimi tavoli senza dare nell’occhio.
Il ragazzo che guidava il gruppo era giovanissimo, avrà avuto la mia età, forse qualche anno di più.
Metteva i brividi solamente a guardarlo. E non perché fosse tanto alto quanto muscoloso, anche se non mi dispiaceva affatto la vista di quegli addominali scolpiti, ma c’era qualcosa di inquietante in quella figura così pacata.
-Forse è un pochino inquietante, il ragazzo con i capelli blu, intendo- mormorò Ayame, mentre lo fissava di sottecchi.
-Secondo me è la pelliccia- risposi, scrutando l’indumento con fare critico.
Aveva un cappotto rosso scuro, con il colletto e i polsi di pelliccia estremamente vistosi, ed era l’unica cosa che indossava oltre ai pantaloni neri e agli stivali che gli arrivavano ai ginocchi.
-Io direi più il bazooka…Fa quasi paura…-
-Beh, forse hai ragione. Però, cavolo, anch’io vorrei avere un’arma così!-
-Sei scema? Che cosa ti passa per quella test…ah! Sta guardando in questa direzione…- Ayame abbassò subito lo sguardo concentrandosi con eccessiva foga sul calice che stava pulendo –Smettila di fissarlo!-
-E perché? Hai detto tu che è carino, no?-
Si era girato, quasi avesse sentito la mia battuta sul suo abbigliamento. I nostri sguardi s’incrociarono giusto il tempo per capire da dove veniva quella strana inquietudine.
Il suo sguardo era qualcosa di micidiale, due occhi ambrati che, nonostante fossero coperti da alcune ciocche scure, sembravano poterti scavare nell’anima.
Tirò le labbra in un sorrisetto che non preannunciava niente di buono, e poi tornò a parlare con quello che forse era il suo vice, un ragazzotto biondo scuro con il pizzetto e una cicatrice su un occhio.
-Allora, chi va a prendere le ordinazioni?- chiesi, mentre in quell’esatto momento la Signora Kyoto stava rientrando.
Io e Ayame ci scambiammo uno sguardo e poi, sbuffando, andai in cucina.
-Di nuovo in ritardo Deborah!-
-Si, buongiorno anche a lei signora…- risposi, ignorando completamente la domanda. Ormai ero abituata alle strigliate.
-Vabbè, ormai non è più un mio problema! Ho deciso che da questo esatto momento sei licenziata, ragazzina! Raccatta la tua roba e vattene-
-Cosa!? Non può farmi questo!-
-Non replicare, mi hai già causato fin troppe grane!-
E se ne andò, traballando sui suoi ridicoli tacchi.
L’armadietto in legno che mi si parava davanti era veramente ben fatto. Levigato con maestria, era perfetto. Troppo.
Lo mandai in frantumi con un pugno ben assestato, mentre le nocche cominciavano a sanguinare e la mia rabbia cresceva a dismisura. Rovesciai pentole, piatti, scagliai i bicchieri sulle pareti e mandai in frantumi qualsiasi cosa finisse tra le mie mani.
-Siamo nervosetti eh?-
-Stai zitto!- ringhiai, mentre Lauren continuava a tagliare delle verdure.
-Non sei nella posizione di potermi dare ordini, Deborah.- si fermò, abbandonando il coltello e avvicinandosi –Sai, ora che te ne vai, il nostro piano riuscirà alla perfezione.- mormorò, prendendomi il mento tra le dita. Lo spinsi contro il tavolo.
-Di che cosa stai parlando?-
-Ma come, pensavo che ci saresti arrivata. Il capitano mi ha ordinato di fare piazza pulita di questo patetico villaggio, a cominciare dalla tua cara amica Ayame…-
-Non provarci, o giuro che ti stacco la testa!-
-Ragazzina, è inutile. Prova a fare un passo falso e bum! Ti faccio saltare in aria come se nulla fosse. Rassegnati, nessuno ti crederà mai.- continuò, estraendo una pistola dalla tasca dei pantaloni.
-Sei un mostro!-
-No, non io, ma tu. Esattamente come tua madre!-
Afferrai il coltello che di solito usavamo per tagliare la carne che si trovava sul ripiano, dietro di me. Lo nascosi dietro la schiena.
-Ripeti quello che hai detto se ne hai il coraggio- lo minacciai e lui scoppiò a ridere divertito.
-Sei un mostro, dai ridicoli capelli rossi, e solo per questo ti dovrebbero bastonare. Un mostro, proprio come lo era tua madre.-
Impugnai più forte il coltello e sistemai gli occhiali da sole a mo’ di cerchietto cercando di domare almeno un po’ quelle ciocche ribelli. Ghignai quasi per istinto.
-Se pensi che una pistola mi possa fare fuori, beh, ti sbagli di grosso-




-Ascoltatemi tutti! Da adesso in poi se non fate quello che vi dico, farete una brutta fine!-
Nella locanda era scoppiato un putiferio. Un altro gruppo di pirati aveva fatto il suo ingresso nel locale e ora il loro squallido capitano aveva preso in ostaggio Ayame.
Avete presente quegli uomini disgustosi, che si ostinano a portare delle canotte sudice e con una pancia talmente grande e piena di peli da far venire il voltastomaco? Ecco, quel tipo, che si faceva chiamare Jaén, era uguale identico!
Si divertiva a sparare a casaccio, bucando il soffitto tra le risa dei suoi uomini, ma sinceramente non me ne fregava più di tanto.
Insensibile direte, no, la verità è che stavo semplicemente cercando di non morire prematuramente.
Schivai per miracolo un colpo di Lauren e con un calcio ben assestato lo spedii dritto sul bancone, che cedette, e con un altro calcio finì sulla parete in fondo alla sala.
Calò un silenzio tombale.
-Ripetilo di nuovo!- gridai, mentre mi avvicinavo –Su, avanti, ripetilo! O forse adesso non hai più le palle eh?- lo presi per il bavero della maglia.
-Ti prego…Abbi pietà…-
Scoppiai a ridere divertita, sfoderando il coltello.
-Ma come? Non ero forse un mostro, io?- poggiai la lama fredda sul collo, beandomi della sua espressione terrorizzata –Hai fatto il passo più lungo della gamba, e quindi adesso paghi le conseguenze caro mio. Come dice il proverbio; chi è causa del suo mal, pianga se stesso.- Lo guardai un’ultima volta –Muori, bastardo!-
Un solo colpo, secco e netto. Il suo corpo cadde inerme sullo stipite della porta, presto seguito dalla sua testa, in un lago di sangue.
-Bastarda! Questa me la paghi ragazzina, nessuno uccide i miei uomini senza pagarla!- urlò il pirata grassoccio, stringendo la presa sulla mia amica e sfoderando un fucile. Inclinai la testa guardandolo di sbieco, dovevo sembrare assatanata, con la faccia sporca di sangue e un coltellaccio in mano. Stavo già andando verso di lui quando qualcuno s’intromise.
-Sei davvero caduto in basso caro Jaén, se ti fai battere da una ragazzina qualsiasi-
Mi voltai, trovandomi di fronte di nuovo quello sguardo ambrato, il ragazzo rideva, beffardo, facendo dondolare il bicchiere vuoto con le dita.
-Sai, mi è giunta voce che ultimamente tu abbia raso al suolo parecchi villaggi, appropriandoti di tesori di alto valore. E questo non va bene, caro Jaén, per niente. Non puoi rubarmi il lavoro così-
-Non so chi tu sia ragazzino, ma una cosa è certa: fai un solo passo falso e ti ritrovi senza testa!-
-Oltre che rivoltante sei anche un cafone- rispose il blu, mentre continuava a prenderlo per il culo.
-Che vuoi farci, William, da uno così era piuttosto scontato- s’intromise il vice.
-William hai detto…?- disse Jaén pensiero, scrutando il blu –Ecco dove ho già visto la tua faccia! Tu sei quel pazzo visionario del Mare Orientale! E dimmi, caro Eustass, com’è che non porti la corona? Eppure non sei forse il Re dei Pirati?-
Scoppiò in una risata sguaiata insieme ai suoi compagni. Non ho mai avuto tanta voglia di uccidere qualcuno in vita mia.
-Ti credi divertente eh? Però sappi una cosa…- soffiò William, mentre un ghigno sadico si formava sul suo volto. Alzò una mano.
-…Io non scherzo mai-
Fu un attimo, Ayame cadde sul pavimento mentre il pirata si contorceva, urlò straziato da chissà quale dolore e pian piano si accasciò al suolo, seguito dalla mano del ragazzo. Vomitò sangue, che poi iniziò a colare copiosamente dal naso, dagli occhi e persino dalle orecchie.
Con la coda dell’occhio vidi il ragazzo muovere lentamente la mano, guidando il corpo  del disgraziato verso la sua fine. Lo stava torturando e sembrava quasi trarne piacere. Lasciò perdere di colpo e il corpo, ormai senza vita, di Jaén cadde.
-Adesso tocca agli altri- mormorò, e poi si scatenò un putiferio, nemmeno fossimo nel pieno di qualche guerra.
Qualcuno mi prese per il gomito, mi liberai senza difficoltà dalla sua presa con un paio di calci e poi corsi subito da Ayame, che per lo shock era diventata quasi pallida come me.
La rissa, così com’era inizia, finì in fretta. Ora un cumolo di cadaveri si trovava sopra il tavolo e la gente non osava parlare per paura di fare la stessa fine. I pirati tornarono a sedersi al loro tavolo, finendo di mangiare come se nulla fosse.
A ridestarmi fu il grido disumano della signora Kyoto. Mi voltai e per poco non svenne vedendomi imbrattata di sangue.
-Si puo’ sapere che cos’è successo?- gridò, sbiancando alla vista di Lauren decapitato.
-Tu!- urlò, puntandomi il dito contro –Sei stata tu, non è vero!? Disgraziata, guarda che cosa hai fatto!- indicò il cadavere di Lauren –Non sei capace di fare niente e ogni volta che qualcuno prova a contrariarti ti ribelli e usi la violenza! Sei un mostro senza un briciolo di cuore! Figlia del demonio, esattamente come lo era tua madre! Sarebbe meglio se fossi morta anche tu con lei e…-
Lanciai il coltello ancora imbrattato di sangue contro quello che rimaneva del bancone, sfiorando di striscio il braccio scheletrico della donna.
La presi per il collo, mentre si divincolava cercando invano di scappare alla mia presa. In quel momento le parole di Lauren mi rimbombarono in testa, beffarde.
Non ero certo tenuta a salvarle la vita. Avrei potuto lasciarla al suo destino, ma è pur sempre la madre di Ayame e non voglio certo privare la mia unica amica di una persona così importante.
-La smetta. Ringrazi sua figlia se adesso è ancora viva perché, per quanto mi riguarda, io l’avrei già spedita all’altro mondo insieme a suo marito tempo fa!-
Strinsi appena la presa, mentre il volto cominciava a diventare bluastro.
-E la smetta di mettere in ballo mia madre. Lei che cosa ne sa, eh? Niente, come tutti. Vuoi non sapete niente di me, non sapete niente di mia madre! Siete solo dei patetici bastardi che appioppano la causa della loro codardia ai morti!-
La lasciai col fiato mozzato, dopo averla mollata di colpo. Mi feci spazio tra i detriti e uscii dal locale.
Appena fui in strada incominciai a correre. In un attimo raggiunsi il limitare del bosco, corsi il più veloce possibile, mentre le lacrime mi offuscavano la vista. Ero talmente incazzata che dovevo rompere qualcosa, incominciai a picchiare gli alberi, spaccandomi le mani, graffiandomi le braccia, rompendomi le gambe.
Non bastava, non bastava. Ho sempre avuto qualche problema a controllare la rabbia e speravo vivamente che Ayame non mi avesse seguito, altrimenti avrei fatto fuori anche lei.
Barcollai seguendo il sentiero, con il sangue che scivolava dalle dita, con i graffi che bruciavano.
Passarono alcuni minuti, poi uscì dal bosco e arrivai ad un promontorio. La vista del mare aiutò a calmarmi.
-Non è giusto- mormorai, guardando la distesa di blu –Anche tu hai ucciso migliaia di persone, eppure non ti chiamano mostro o ‘furia dai capelli rossi’-
Procedetti verso una lastra di pietra rialzata -Dici che non è lo stesso eh?- continuai, rivolta al mio amico blu, mentre mi sedevo di fronte alla lapide di mia madre.
I fiori erano ancora lì, con i loro colori vivaci e allegri. Accarezzai l’incisione del nome e poi i bordi dorati della cornice. La donna mi sorrideva gentile, con capelli lunghi e folti legati in una coda, dello stesso colore dei miei.
Le lacrime non tardarono ad arrivare e cominciai ad urlare dalla rabbia, dalla frustrazione, un urlo talmente selvaggio e spaventoso che non mi riconobbi.
Le dita piantate nei capelli e la fronte ben premuta sul terriccio, rimasi in quella posizione per quella che mi parve un’eternità, singhiozzando di tanto in tanto.
Stavo così male. Non era giusto, non dopo tutto quello che avevo dovuto passare. Avevo lottato per rimanere viva, ma solo per tornare in uno stupido villaggio dove mi volevano tutti morta.
Mi alzai lentamente portando una mano proprio sotto il cuore.
Potevo ancora sentire quello sfrigolio disumano.
Quell’odore di carne bruciata.
Sentivo che stava ancora bruciando.
-È davvero un bel posto, Cherie-
Mi voltai di scatto, guardando incredula il ragazzo che mi aveva parlato. Di nuovo quegli occhi dorati, che mi fissavano leggermente socchiusi.
-Avrei un affare da proporti-




L'ANGOLO DEL SDS!

Si, Dunque, Salve!
Ahahah, scusate il mero tentativo di imitazione, ma visto che siamo in tema, non ho potuto resistere :D
Ringrazio tutti i cari lettori per aver deciso di perdere del tempo con questa fic!
L'idea è nata giusto qualche giorno fa, mentre leggevo il nuovo numero di One Piece. Nelle SBS Odacchi ha disegnato le Supernove con i sessi scambiati (W i genderbender!XD) e alla vista di Kidd non ho potuto fare a meno di pensare -Cacchio, è davvero carina!-
Questione di un attimo, la mia mente era già partita a razzo. -E se Kidd avesse preso il colore dei suoi fantastici capelli dalla madre?-
E quindi eccoci qui. La pazza protagonista di questa storia è...LA SIGNORA EUSTASS! XD
Ahahah, spero vi sia piaciuto come primo capitolo.
Mi raccomando recensite eh!
Mirmiria

   
 
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