Fumetti/Cartoni americani > A tutto reality/Total Drama
Segui la storia  |       
Autore: Female_Weezy    31/08/2014    3 recensioni
*Storia ripostata*
Cinque ragazze, una completamente diversa dall'altra ma hanno una cosa in comune: stanno lottando per
una vita migliore. Tutte e cinque si ritroveranno a vivere nello stesso appartamento e nonostante le incomprensioni
e le discussioni, alla fine riusciranno a volersi bene come sorelle.
Courtney, Anne Maria, Gwen, Dawn ed Heather presto scopriranno cos'è la felicità.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anne Maria, Courtney, Dawn, Gwen, Heather
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Le guerre scritte nei polsi”.

Gwendolyne “Gwen” Fahlenbock, 17 anni, studentessa di liceo artistico.
Altezza media, pelle cadaverica, capelli neri mechati di blu acconciati in un caschetto spettinato, grandi occhi neri truccati di un nero pesante,labbra blu di rossetto, fisico un tempo magro, ora anoressico, stile dark.
Una ragazza dal carattere forte e scorbutico, ma la società di oggi le ha fatto perdere questo carattere, trasformandola in un’autolesionista e vittima di bullismo.

Come?
Così.

Perché Gwen non aveva amici? Forse perché era strana e dark? Forse perché era silenziosa? Forse perché amava la solitudine e odiava le persone? Forse perché aveva scelto l’artistico perché amava davvero disegnare e non perché in un liceo “si ha più probabilità di diventare popolari?”
Si, molto probabilmente per questo, dato che se non sei come la società ti vuole sei una merda emarginata.  Gwen era sempre stata presa di mira per lo stile, e il modo di fare. La ragazza all’inizio rispondeva con insulti e pugni, infatti, dopo aver lanciato un destro sul naso di Missy Williams, la capo cheerleader, le ragazze lasciavano in pace, non sempre, ma almeno nella maggior parte dei casi.
Coi maschi, soprattutto armadi giocatori di rugbry era più difficile. La ragazza veniva presa a pugni nei bagni e lasciata lì sanguinante, solo perché era diversa.
Col tempo si era trasformata in un’acida ragazza scorbutica e introversa. Più evitava la gente e meglio stava, ma non era così facile. Le prese in giro, le sparlate alle spalle, i pugni, i calci, il sangue, i graffi, gli insulti gratuiti.
Gwen apparentemente sembrava che se ne fregasse, data la testa alta che portava e la dignità che cercava di mantenere, ma  appena arrivava a casa si chiudeva in camera, si levava quel felpone nero tre volte la sua taglia, senza scritte, numeri o abbellimenti vari, e, dopo aver preso il temperino della matita degli occhi levava la lametta e la conficcava nel polso bianco, lasciando strisce di sangue.
Il dolore la faceva piangere, ma poi non lo sentiva nemmeno più, il male le impediva di pensare alla sua orribile condizione.
Ormai erano tre anni che andava avanti così, pugno dopo calcio, presa in giro dopo insulto, la ragazza aveva ormai le braccia completamente piene di cicatrici, dai polsi a poco prime delle spalle, le gambe dalle caviglie alle cosce, e ora si lacerava anche la pancia scheletrica. Eh si, perché Gwen era anche anoressica. “Sei un’obesa di merda” “Una palla di lardo del cazzo, dimagrisci invece di fare la grossa” e altre frasi varie,Gwen per dimostrare il contrario mangiava, si ficcava due dita in gola e poi vomitava, a volte si rifiutava di mangiare,inoltre si era tolta da tutti i social network, e almeno un po’ così era meglio.
Ma la decisione di andarsene successe in un giorno particolare.
Quella mattina Gwen si svegliò, ricacciando indietro le lacrime, al pensiero di un’altra giornata di merda, ma alla fine si alzò, camminando a testa bassa come uno zombie, e si diresse in bagno. Dopo essersi tolta il pigiama si osservò per un attimo nello specchio, vedendo braccia, gambe e stomaco lacerati. Il suo ventre era un ammasso di ossa, così come il resto del corpo, impressionante.
Quella mattina optò per un felpone taglia L grigio, sembrava da uomo, e dei jeans abbastanza larghi e gli scarponi neri. Si truccò alla bell’e meglio coprendo tutta la palpebra superiore di ombretto nero e mettendosi uno strato enorme di matita in quella inferiore.
Prese la cartella nera e corse fuori, non mangiando e ignorando i suoi, tanto, secondo lei, loro nemmeno si ricordavano di avere una figlia, si limitavano a farle trovare il pranzo pronto e basta.
Mai una parola d’affetto, mai andati oltre il “ciao”, della sua condizione orribile non sapevano niente sebbene era evidente dato che la sua faccia era coperta in parte da lividi viola, non sapevano niente della sua vita , se usciva non le chiedevano dove andava e quando tornava, indifferenza pura, menefreghismo totale.
Gwen aveva capito di essere un errore, si era sempre sentita di troppo in quella casa sebbene fosse la sua.
Si lanciò le cuffie nelle orecchie e camminò fino al liceo, entrò, ed ovviamente era la prima ad essere in classe. Non che fosse una secchiona. Andava male in tutte le materie a parte disegno e storia dell’arte, era la migliore, portata per il disegno, sarebbe potuta diventare un’artista.
Dopo che la classe si iniziò a riempire, andarono in palestra per educazione fisica, e la prof nemmeno si arrabbiava più vedendo Gwen per i corridoi che disegnava rifiutandosi a gran voce di cambiarsi con le altre e fare lezione.
Mezz’ora dopo passarono un gruppo di ragazze in felpine di gran moda e leggins neri, che la squadrarono e ad una di loro scappò una risata. Gwen alzò gli occhi e disse “Qualche problema?” quelle filarono dritto, le stupide bamboccie non erano un problema troppo grosso per lei.
Non quando l’ora finì e, Tony Black, uno dei più “famosi” della scuola e capitano della squadra di basket, la prese per le spalle e la sbattè al muro: “ Fahlenbock, sempre a saltare ginnastica? Hai paura che possiamo scandalizzarci vedendo il tuo grasso?” Gwen quasi rise, ma preferì rispondere
“A te che cazzo te ne frega, Black?” quell’altro in risposta le mollò un pugno nello stomaco, sapeva benissimo che era anoressica, ma torturarla psicologicamente era una goduria.
“Adesso te la facciamo fare noi una lezione di ginnastica, stupida troia” Gwen si spaventò seriamente, per la prima volta. Metà della squadra di basket stava negli spogliatoi, non troppo vestiti, mentre aspettavano Tony con Gwen.
In pratica le saltarono tutti addosso, e questa volta fu quasi fatale per la ragazza, quasi non respirava più dalle botte che stava ricevendo. Quando si sentì un livido umano, gli altri smisero di picchiarla e le divaricarono le gambe, e con la coda nell’occhio ( ormai pesti) vide uno di loro con l’iphone in mano che stava registrando.
Quando sentì uno strattone ai jeans Gwen si spaventò per davvero, e , con il poco di forza che le rimaneva, sferrò un calcio nella faccia di colui che aveva sopra, e gli altri ragazzi, presi dal panico andarono a vedere dove l’avesse colpito, e Gwen ne approfittò per strisciare fuori.
Si chiuse a  chiave nel bagno dello sgabuzzino del bidello, rimanendoci quasi due ore, mentre cercava di disinfettarsi e curarsi quelle botte atroci.
Ancora una volta la vita l’aveva fottuta, non perché l’avevano pestata a sangue, ma perché quella era la volta buona che lasciava questo mondo di merda. E invece no. Altro tempo, altra sofferenza.
Anche se era la quarta ora Gwen  uscì di nascosto dallo stanzino e prendendo l’uscita di emergenza scappò fuori dalla scuola, tanto nessuno si sarebbe accorto di lei, se non se ne erano accorti in due ore.
Corse fuori, e, dopo aver corso a caso per le strade della città, raggiunse la periferia, e, stremata, si accasciò sul ponte. Guardò in basso, c’erano vari metri che la dividevano da quell’acqua agitata, per via del vento, e bassa.
Perché non buttarsi? L’avrebbe fatta finita. Addio scuola, genitori, dolore, sangue, vomito, sofferenza, persone.
L’idea la eccitava follemente, ma sentì la paura quando si mise in piedi sul ponte. Decise di non pensarci, chiudere gli occhi e saltare.
Mancava poco alla fine, quando una folata di vento le fece arrivare qualcosa in faccia, e stavolta non era un oggetto pesante. Un giornale, abbastanza sudicio.
Si chiese il motivo di tutto ciò, quando una scritta catturò la sua attenzione : "23esima strada, condominio 9, appartamento n.5, ultimo rimasto, Toronto periferia città. Affitto poco costoso."
Decise di prendere in considerazione l’idea, e tornò a casa. Ovviamente i suoi non c’erano, e arrivarono la sera verso le 22.


Sua madre aprì la porta della sua camera, mentre Gwen ritagliava il giornale con l’indirizzo.
“Ah, sei qui.” Disse la donna vedendola.
“Si.” Rispose, e la madre richiuse la porta della camera.
“Si, addio, mamma, se così posso chiamarti” pensò la ragazza, tirando fuori da sotto il letto una fune, fatta di lenzuoli legati tra di loro.
Non sarebbe andata a scuola la mattina seguente, sua madre non l’avrebbe trovata in camera, così come non avrebbe trovato qualche centinaio di dollari che tenevano da parte per le loro stupide vacanze.
“Addio. Addio a tutti, merde!” urlò Gwen, mentre correva di nuovo verso la periferia con uno zaino in spalla e l’indirizzo della casa in mano.
 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > A tutto reality/Total Drama / Vai alla pagina dell'autore: Female_Weezy