Sound of Emerald.
Fuori dalla
tenda la guerra imperversava. Erano arrivati in massa alle porte del
castello e Tiara non sapeva proprio cosa fare se non aggrapparsi al
suo cavallo e correre all'accampamento. Nascosta, aspettava il
segnale dei superiori per poter cominciare quell'ultima battaglia.
Se
lo sentiva così come le batteva il cuore che sarebbe stata
l'ultima.
L'odore acre della piana disseminata di piccoli vulcani spenti le
perforava le narici.
La
serva assegnatale stava mettendo in ordine la tenda da molto tempo,
ormai, e Tiara voleva solo uscire e recuperare quel vigore perso con
il regno pacifico dei due sovrani della Luna.
“Serva,
aiutami.”, le ordinò avvicinandosi all'armatura
che, bianca come
la neve, aspettava di essere indossata.
Si
infilò con forza il busto con lo stemma del suo regno sopra
la cotta
di maglia. La serva le strinse gli spallacci mentre, con sguardo
affilato, Tiara si osservava allo specchio.
La
pelle scura, quasi nera, risaltava sotto il bianco dell'armatura e la
spada, ormai fissata dietro le sue spalle, risplendeva di un alone
candido. I capelli color platino legati in una lunga treccia e gli
occhi rossi ridotti a fessure.
Si
guardò le lunghe dita affusolate, ricoperte dai guanti
placcati,
pensando a quanto sarebbe stato bello riabbracciare l'elsa della sua
spada, dopo tanto tempo. I lunghi artigli che appartenevano alla sua
gente non le erano mai piaciuti, ma aveva imparato a sfruttarli in
battaglia per ferire il nemico. Morsi e unghiate l'avevano difesa in
allenamento quando veniva disarmata.
Guardò
fuori dalla tenda ed udì il corno che le dette il via libera.
“Che
la Regina della Luna ci protegga.”, disse montando sul
cavallo nero
come la pece che la stava aspettando.
Più
correva verso la guerra e più si sentiva viva, ma qualcosa
la
turbava.
Il
vento le scompigliava i capelli ma non era quello a farle chiudere
gli occhi: il ricordo persistente di due mani che la sfiorano, che la
toccano e che la rendono vulnerabile; un amore che non doveva
esistere in quei tempi così duri e che adesso si ritrovava a
dover
combattere. Gli occhi gentili del mago, del suo mago, adesso la
guardavano dall'altra parte del campo mentre lei se ne stava di
fronte ai suoi soldati. Avrebbe voluto fare un discorso di
incoraggiamento, ma la voce non si degnava di uscire dalla sua gola.
Il
mago indossava la sua umile tunica nera con lo stemma reale, lo
stesso di Tiara, solo di colore diverso. La loro storia, il loro
amore, non poteva cedere sotto quei campi, sotto quelle spade e sotto
quelle lance.
La
loro voglia di costruirsi una casa insieme, di vivere per conto loro
e sorridere al mattino aspettando il momento giusto per avere dei
figli. Lei li aveva sempre immaginati più simili al suo
mago, ad
Astor. Così belli e candidi, non con la sua pelle nera,
bruciata
dall'avidità dei Khromae.
Avrebbero
avuto poteri come lui, ma si sarebbero completati con l'allenamento
di arco e spada, come la madre. Ma purtroppo i suoi sogni si
infransero quando nacque Deio, un ragazzetto mingherlino con poca
attitudine alla magia e ancora meno per l'allenamento di forza.
Astor
e Tiara, però, lo amavano immensamente.
“Deio,
l'atto che sto per compiere lo faccio solo per te.”,
sussurrò
Tiara toccandosi il petto.
Il
momento che lei stava aspettando era vicino, doveva scattare e
correre ad abbattere le prime linee, anche se c'era lui. Fu quando
una lacrima le cadde da una guancia che capì quale fosse il
suo vero
destino.
Al
suono della tromba batté gli speroni sui fianchi del cavallo
e si
diresse verso Astor senza sfoderare la spada. Dietro di lei, altri
due generali le urlavano di armarsi e di prepararsi, ma fu fiato
sprecato. Quando fu vicino a lui, l'unica persona che poteva
aiutarla, lo fece aggrappare alla sella e cominciò a correre
verso
la Piana dei Templi.
“Tiara,
che stai facendo?!”, urlò Astor issandosi sul
cavallo.
“Vado
a fare ciò per cui sono nata.”
“Ma
così condannerai migliaia di persone!”
Tiara
sorrise. Astor era sempre stato il più razionale dei due,
quello che
si era sempre fatto prendere meno dalle situazioni, dalle passioni
che lei non riusciva a controllare.
“Che
senso ha vivere una guerra contro ciò che mi è
più caro, quando
posso salvarlo?”
“Tiara,
torna indietro ti prego, dev'esserci un altro modo!”
“Non
far finta di essere cieco! Non ci possiamo salvare se non liberando
Omega, se non dando la nostra vita per spezzare le sue
catene!”,
urlò la donna spronando il cavallo.
“Ma
non vedremo mai quel mondo di pace che tanto sogni.”
“Ma
lo vedranno i nostri discendenti. Tuo figlio è vivo,
è al castello,
e la sua discendenza vivrà felice ricordandoci come degli
eroi.”
Astor
rimase in silenzio e poi chiuse gli occhi. La strinse a sé
un'ultima
volta prima di voltarsi, schiena contro schiena, per difendere la
loro corsa. Qualche soldato a cavallo li stava rincorrendo, ma non
era un grosso sforzo per lui, che ormai invocava la magia per ogni
cosa.
Deio
era la sua motivazione, adesso.
Con
qualche formula, urlata al cielo e tra le lacrime, riuscirono ad
entrare al galoppo nella Piana dei Templi. Lì, al centro,
stava
l'Altare del Sacrificio, in cui solo la figlia di Omega e il suo vero
amore potevano mettere piede. Scesero in silenzio e si guardarono
attorno. Niente volava, correva o nuotava in quei territori morti,
tranne loro e il nero cavallo di Tiara. La terra era poco fertile e
solo qualche albero punteggiava la Piana.
La
donna corse all'Altare e pose un grosso medaglione azzurro al centro
dell'effige del regno di Ateraia. Le pietre che lo adornavano
cominciarono ad assorbire la luce diventando di tre colori diversi:
una rossa, una bianca e una nera.
Guardò
Astor e se lo impresse bene nella mente che ormai non le diceva
più
di andarsene, di scappare e tornare da Deio: un uomo bellissimo, con
le orecchie allungate e i capelli biondi scompigliati dal vento, gli
occhi azzurri e il sorriso fiero di chi sa che sta per morire per il
suo popolo.
“Sei
pronta?”, domandò lui stringendole le mani. Tiara
fece un respiro
e prese il coltello dagli stivali.
“Omega,
io tua figlia Tiara ti invoco per porre fine a questa guerra e per
spezzare il mondo. Salvaci ti prego e noi ti daremo il nostro sangue,
la nostra carne. Semper fidelis Omega.”, disse incidendosi il
palmo
della mano. Così fece anche Astor e lo posizionò
sul medaglione,
vicino a quella di lei. Il loro sangue bagnò l'Altare
insinuandosi
nella roccia scavata, nelle crepe e nei cunicoli che uniti diedero
vita al sigillo del loro regno, ormai scarlatto.
Una
forte luce si innalzò nella Piana fino al cielo ed invase i
terreni
circostanti.
“Io,
Tiara, sacrifico il mio cuore per legare le anime future a questa
terra e a questa passione che mi ha vista vincitrice.”,
sussurrò
Tiara lasciandosi trasportare dalla voce del vento.
Ciao a tutti ^^ Sono Jane e sono
tornata con una nuova storia. Vi chiedo di non giudicarla dai primi
capitoli ma di continuare a leggere e magari di criticare o di
indirizzarmi con i vostri commenti sia positivi che negativi. E' la
prima storia di questo genere che scrivo e spero di non sfociare nei
cliché ^^
Non mi dilungo, aspetto i prossimi capitoli per essere petulante.
Grazie dell'attenzione <3
Jane.