Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: __Di    31/08/2014    3 recensioni
In amore, c'è bisogno di un cuore di stagno che si possa rimaneggiare, rimodellare, c'è bisogno di una testa di marmo che possa reggere il colpo, durare. I sentimenti possono cambiare, sì, ma possono anche durare nei secoli, duri e forti come delle catene di quel ferro buono che neanche le tenaglie più forti possono spezzare.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Iitai koto wa asu ie


1. Au wa wakabe no hajime 






Nel momento in cui il terreno respinge il suo corpo, si accorge che è finita.
Respira appena, a stento, gli occhi sgranati dal dolore e dalla fatica.
Le dita della sua mano di carne cercano frenetiche l'elsa a forma di drago della sua spada. Se non dovesse riuscire a recuperarla, sarà morto prima del prossimo colpo, senza neppure avere la possibilità remota di difendersi. Si copre il collo con la mano, non è una ferita enorme, ma potrebbe essere più grave. Quella al fianco, quella alla gamba, quelle sì che sono gravi ma... perdere molto sangue dal collo può essergli letale.
Morire da guerriero non può essere male, se hai vissuto come un guerriero. In fondo è sensato, e lui ha sempre pensato che avrebbe reso onore al nome di suo padre, morendo così, con Ginryu in pugno.
Però, pensandoci bene, non può fare a meno di ammettere che, no, quella non è proprio la fine che si augura ora, in questo mezzo istante in cui il respiro gli resta spezzato in gola.
Morire come un guerriero, come un vero guerriero, ora non ha più senso.
L'aria ghiacciata che viene dal bosco, gli rabbrividisce il viso.
Chiude gli occhi per un secondo. È arrivato a un punto di nostalgia tale da associare all'aria fredda, il tocco delle dita gelate del mago.
Quando batte le palpebre e i suoi occhi si abituano alla luce, tutto quello che ha intorno è porpora. Sarà la luce del sole che muore oltre gli alberi, ad ovest, o la neve che riflette il colore del cielo, oppure è perché oramai è in terra e si sta dissanguando, lì, con una grossa ferita che ha spappolato la sua armatura.
La magia che l'ha colpito era maledettamente potente, pure se non è un grande esperto in materia, se n'è accorto subito. E pure se dovessero arrivare in tempo, i soccorsi non serviranno a molto, farà la fine della maggioranza dei suoi compagni.
Chiude ancora gli occhi, ma solo per richiamare un buon pensiero nella sua mente, solo per trovare respiro e pace, e morire serenamente, dopotutto. Ha questa idea ambivalente in testa: vuole morire come un guerriero, guardando in faccia chi lo ucciderà, ma vuole anche rivedere il mago, vuole che sia il mago l'ultima cosa che vedrà. Pure se è solo nei suoi pensieri.
Il potere analgesico del solo pensare a lui gli fa passare ogni cosa. Allenta la presa sul suo collo e sospira a lungo, per poi passare a coprirsi il fianco. Lui, lui che ha sempre sperato, che ha sperato fino a ieri, fino a quando questo mago assassino l'ha colpito, ora ha smesso di farlo. La speranza è ciò che fa più paura in punto di morte, tutto il resto scivola addosso, tutto, tranne l'amarezza del rimpianto.
Ne è passato tanto di tempo, dall'ultima volta che l'ha visto. Anche se il tempo è un concetto del tutto relativo, lui è un po' ingrigito e... , è passato un bel po' di tempo.
Avrebbe potuto avere una vita felice, magari breve, ma felice. E l'unica cosa che avrebbe reso la sua vita migliore di quella che ha avuto fino a questo momento, sarebbe stato il mago. E invece ora muore in là con gli anni e senza neppure un giorno di esclusiva e indiscutibile felicità. Gran bella fregatura. Come è una fregatura grande e grossa morire ora, con un mago assassino davanti, ma nella sua testa il suo pazzo e stupido mago, con questa specie di cretina e inutile ambivalenza nel suo ultimo minuto.
E avrebbe tante parole da dire, ma nessuno le ascolterebbe, e certo non può essere un mago pazzo a sentirle quelle parole che non ha avuto il coraggio di dirgli, quelle sue ultime parole. O per lo meno non un mago pazzo qualunque.
I passi si fermano, un lungo sibilo gli fischia nelle orecchie. Non è il vento, sembra piuttosto il sospiro antico del tempo. Sì, è giunta la sua fine.
Ginryu gli era scappata dalle mani, quando quella specie di sfera incandescente l'aveva colpito. Gli aveva maciullato il braccio di latta ed effettivamente non era riuscito più a rispondere agli attacchi.
Non poteva più difendersi, si limitò ad aprire gli occhi, a guardare la fine che gli arrivava in faccia.
Aveva amato il mago, in effetti lo ama ancora, sinceramente e con tutto il cuore, ma quell'amore si era fermato tempo prima, ed era rimasto congelato nel suo petto. Dov'è ancora, ghiacciato, per quanto sia caldo il suo corpo.
E ora sarebbe morto senza avergli mai detto di amarlo. Senza avergli mai fatto capire che, , il posto giusto era solamente al suo fianco e che non l'avrebbe mai fatto stare male. Ch'! Che razza di pensieri da fare prima di morire.
Una luce abbacinante entrò nel suo campo visivo, prepotentemente, costringendolo a chiudere di nuovo gli occhi. Inalò a fondo e sentì odore di menta e neve.
Non ha sentito nulla. Solo un boato violento.

Le orecchie gli fischiano, dolorosamente e gli fa ancora male il fianco, più di prima o come prima. Gli fa male e l'ammette solo a se stesso.
Apre di nuovo gli occhi, il cielo è ancora lì, sopra di lui, arrossato dal tramonto. Batte due volte le palpebre e si guarda debolmente intorno, muovendo piano il collo che è parecchio indolenzito.
È ancora vivo. Ancora per poco, visto come gli si spezza il respiro nella trachea.
L'aria ghiacciata gli schiaffeggia il viso, violentemente e per un istante gli pare di sentire una voce che lo chiama. Squillante e chiassosa. Lui, il mago.
Ah, dovrebbe smettere di pensarci, aveva deciso di smettere di sperare e... invece.
Si maledice in silenzio, per essere ancora legato a quello lì che aveva avuto il coraggio di lasciarlo a Nihon senza possibilità di appello. Nove anni prima.
Qualcuno si affaccia nel suo campo visivo. Fa fatica a mettere a fuoco, è controluce e sembra effettivamente un miraggio. Di nuovo odore di menta, più vicino, intenso e dolce.
Lo fissa meglio e non sa se sperare o meno. Potrebbe essere lui, sì. Il suo mago.
Chiude gli occhi di nuovo. Sta impazzendo, sì. Vedere lui, lì, è assurdo. Folle. Ma è felice, perché anche se potrebbe essere solo nella sua testa, se ne andrà via guardandolo, e andrà bene così.
Vorrebbe parlargli ma la gola gli fa male, le ferite pulsano, soprattutto quella al collo che gli strappa il fiato.
Lui gli sorride, evidentemente gli sta parlando, ma non capisce. Parla in quella sua lingua sconosciuta e in effetti non sa in effetti se la sua voce sia ancora così, come si ricordava.
Lo guarda e risponde al sorriso, dolcemente. «Sei davvero uno stupido.» riesce a dire. «Dovevi restare qua... io─».
Non riesce a dire altro, non è che si stia trattenendo è che proprio gli mancano le forze. Sospira e piano piano si lascia andare.
In fondo è nella sua testa, o forse è davvero lì, ma tanto non vale la pena sforzarsi o dirgli qualcos'altro, perché in fondo morirà e che sia lì o meno, è meglio che quelle parole se le tenga per sé, ghiacciate in gola.
Una luce dorata l'avvolge, calda e abbacinante. È così forte da costringerlo a chiudere gli occhi.
È finita. Sta rendendo l'anima a chi lo ha messo sulla Terra.

 

Nello stato di morte-non-morte in cui si trova, non saprebbe definirlo meglio neppure volendolo, Kurogane, che è bravo con la spada ma non con le parole, ha tutte le percezioni alterate.
Intorno a lui è tutto buio, anche se la luce che l'ha inghiottito era forte e abbagliante, ora è solo buio. C'è un lieve tepore, un tepore innaturale da sentire se si è morti, ma più che normale se si è vivi. Sì, è mezzo morto, o forse più morto che vivo. Insomma, non è in una bella situazione e in effetti c'era da aspettarselo, con una ferita che per poco non gli tranciava di netto l'arteria carotidea e un'altra che probabilmente gli ha fatto giocare qualche sorta di organo interno, tanto bene non può certo stare. L'ovvia traduzione di tutta questa serie di intoppi è, a ragion veduta, la morte, la sua nello specifico.
Non gli è mai fregato granché di cosa si potesse sentire una volta che sei una sorta di cadavere, o quell'anello mancante tra il vivo e morto, ma ora ci sta sinceramente pensando. Ognuno ne avrà la propria percezione, sì. Per lui, in questo momento, si è presentata con una specie di fluttuazione con tanto di propriocezione alterata, come nella prima fase del sonno, quando proprio prima di precipitare nel sonno più profondo, si ha la sensazione di cadere giù, liberamente, senza neppure l'attrito dell'aria a rallentare, solo un qualunque pavimento o materasso a fermare la caduta. Ecco, per lui, però, ora non c'è nulla a trattenere quel suo strambo fluttuare dei sensi, è leggero, malgrado la sua mole.
Gli pare di sentire la sua voce, da qualche parte nelle sue vicinanze.
No. Non è vero che è finita.
L'ottundimento che gli grava addosso e la prova che forse un pezzetto di lui, chissà quanto grande e forte, è ancora attaccato alla vita.
Qualcosa lo solleva, qualcosa lo respinge a terra, come quel colpo che l'ha sbalzato indietro veemente e letale.
Poi, una luce, una lontana lontana che piano piano diventa sempre più forte e immanente.

Quello che ora ha davanti è un incubo, o per lo meno per lui lo è diventato in questi anni, il sogno di un ricordo doloroso e massiccio. È con lui, quella sera, semplicemente, di nuovo.
Si ricorda la scena, ha sperato di aver smesso di doverla rivivere continuamente nei suoi sogni. Sì, questo è un incubo. Il suo peggior incubo. E forse è ora di sciogliere il nodo che gli ha fermato le parole in gola, forse è giunto il momento di lasciarsi andare e perdere tutto, anche se non ha granché da offrire a chi raccoglierà la sua anima. Quel sogno non lo vuole vivere ora, non vuole vedere quello che la sua mente ha ricostruito di vecchi ricordi, anche perché stava proprio morendo in pace poco fa, quando l'aveva visto un'ultima volta. Perché ora la sua testa vuole fargli ricordare di come... argh! se n'è andato?
Perché è debole, ecco perché. Non solo fisicamente. E s'incazza con se stesso, pure ora che è mezzo morto.
Ma non può fare a meno di sognare, ora. Tomoyo gliel'ha detto, prima di morire, tutti sognano. E non ha la forza di opporsi a quello tsunami che è quel sogno, ci ha già provato quando era fisicamente stabile, figurarsi ora che non ha neanche tutto questo fiato.
Lui sta in un angolo, sta sempre in quell'angolo, ha lo sguardo vuoto mentre si riveste. Gli occhi blu persi in un'area remota della stanza, con nella testa chissà che cosa. Il kimono ampio e candido come la neve, sembra quello di una sposa – si ricorda di averlo pensato anche nella realtà – è  sempre lo stesso di ogni incubo, gli sta bene anche se ampio, forse è quello che Kurogane preferisce, per questo continua a sognarlo vestito a quel modo. È largo quel kimono bianco, troppo per quel suo esile corpo, decorato morbidamente con dei fiori di loto ricamati dello stesso colore della seta, i risvolti e l'obi lisci fanno risaltare ancora di più la sua figura. Sì, è sicuramente quello il suo kimono preferito anche se ormai a forza di sognare quella scena, quel giorno, dovrebbe odiare sia lui che quel maledetto kimono.
Kurogane non parla mai in quei sogni, si guarda semplicemente il suo mago rivestirsi e guardare altrove. Eppure vorrebbe andare lì ogni volta, vorrebbe scollarsi da quel materasso su cui sta sdraiato con solo i gomiti a tirargli su la schiena, e vorrebbe correre verso di lui e abbracciarlo, fargli dimenticare quegli stupidi pensieri che gli ottenebrano la testa e tirarselo di nuovo a letto. Spogliarlo, poi, e farsi scegliere per tutta la vita. Ma i sogni non sono la vita vera, e lui questo non l'ha mai fatto e gli ha permesso di voltarsi e guardarlo con quegli occhi vuoti, un leggero sorriso cordiale a curvargli le labbra. Cordiale. Cordiale e falso come quello che usava con gli altri. La trama del sogno è sempre la stessa, potrebbe recitarla ad occhi chiusi: lui si riveste, lo guarda, sorride (cordialmente), e poi sparisce. Sempre in quest'ordine, come avvenne a suo tempo.
Quindi il mago punta i suoi occhi su di lui, sorride appena, cordiale e freddo insieme. «Io vado via, Kurogane. Non resterò qui...».
Questa la sua risposta a una domanda che gli aveva posto nel letto, poco prima, abbracciati, mentre l'amava e si nutriva dell'amore che lui provava. Che lui diceva di provare. Sì, perché uno non prende e se ne va via completamente a caso senza neppure provare a spiegare le proprie ragioni! Ma lui non è come gli altri esseri umani normali, è uno con una serie di problemi mentali più grande del monte Fuji, per non parlare di tutte quelle turbe emozionali.
E Kurogane in quei sogni non riesce a fare nulla, è inerme e incapace di muoversi verso di lui. Perché nei suoi sogni è un debole, perché quando si tratta di lui è un debole e calpesta la sua stessa dignità senza neppure provare a rimboccarsi le maniche e sistemare la situazione. Eppure, eppure nella realtà ci aveva provato, e se avesse solo avuto il coraggio di dirgli chiaramente cosa provasse, cosa volesse da lui, forse... non era stato abbastanza chiaro, non era stato abbastanza insistente, non era stato per niente persuasivo. Se l'era fatto scappare. Nella realtà, aveva semplicemente grugnito un qualche insulto al suo ordine, gli aveva chiesto di restare e lui gli aveva sorriso di nuovo amaramente e aveva scosso il capo. Poi aveva promesso soltanto che sarebbe tornato a trovarlo, ogni tanto. E che se ne faceva delle sue visite? Un bel niente, o forse...
Certo, fosse stato un tipo un po' più dolce, fosse stato almeno un po' più tenero con lui, probabilmente sarebbe riuscito a tenerlo con sé. Forse erano state le imprecazioni a farlo scappare o forse il suo modo di fare. Aveva cercato di capire dove fosse il problema ma aveva capito, gradualmente che, no... non era lui il problema
Fosse stato prima del viaggio, fosse accaduto prima di conoscerlo, non si sarebbe mai piegato a quello che era accaduto dopo la sua partenza. Non avrebbe mai accettato neanche la sua partenza.
Secondo lui era stato il gioco per tenersi compagnia per un po'. Ma poi anche il secondo viaggio era finito e non aveva senso continuare quella specie di relazione. Eppure quello stupido mago gli diceva ogni giorno che l'amava, continuamente. Lo ripeteva tante volte da farlo sembrare vero. E per Kurogane? Uno che si taglia un braccio per portarsi appresso quello di cui poi, per un po' di tempo, era diventato amante certo ha un modo particolare di corteggiare, ma naturalmente qualche sentimento per lui lo nutriva. E in effetti anche adesso che sta cercando un modo meno cretino di morire, senza straziarsi il cuore di nuovo, magari. Smettere di respirare semplicemente sembrerebbe ben più edificante.
Ora ci pensa, perché sì sta effettivamente pensando anche se sta morendo, o forse ci sta pensando perché sta morendo, gli rode una cosa in particolare, anzi, lo fa proprio incazzare a morte: non è mai riuscito a trattenersi, mai. Eppure era uno disciplinato, eh! Ogni volta che il mago era tornato a trovarlo, se l'era portato a letto: il loro capitolo non poteva dirsi chiuso, in effetti, perché se fosse stato chiuso quello squilibrato sarebbe andato a farsi fottere e non si sarebbe mai fatto vedere (in fondo era un gran codardo, no?), ma andava a trovarlo, gli portava ninnoli di ogni genere, come se a lui fregasse di quelle chincaglierie, e poi lo guardava.
Kurogane lo conosceva, lo conosceva così bene da poter intendere anche con la luce spenta quale tristezza, quale dolore gli ottenebrasse gli occhi. Aveva capito quasi subito che le sue parole erano vere, sincere, quando diceva d'amarlo, e questo lo faceva incazzare ancora di più: era il classico “ti lascio perché t'amo troppo” e cazzate simili. E ogni volta, ogni santa volta che se lo portava a letto e se lo scopava come se non ci potesse essere un'altra opportunità per farlo, come se già sapesse che l'avrebbe perduto di nuovo di lì a poco, glielo chiedeva. «Vuoi restare qui?». Semplicemente, la voce arrochita dal piacere, e lui ancora tremante e stremato scuoteva il capo, si scusava con la voce rotta e sorrideva falso. Negli anni, il suo sorriso da cordiale era tornato quello falso di un tempo. E poi lo lasciava di nuovo nel letto, ignorava le sue proteste, il litigio che scaturiva dal suo comportamento e svaniva. Poi tornava e la storia si ripeteva, uguale a se stessa, ma sempre più dolorosa.
Questo lo faceva incazzare: il fatto di pensare comunque che gli andasse bene andare a letto col mago e vederlo una volta ogni tanto, solo per avercelo addosso. Era come una storia clandestina e gli andava bene. Era davvero imperdonabile per uno come lui, era ridicolo non si riconosceva più. Ma lui l'accecava, lui non poteva non desiderarlo. Era impossibile.
E poi, si arrabbiava con se stesso perché in effetti bastava dirgli che l'amava e lui si sarebbe sciolto, ma non aveva mai avuto gli attributi per farlo. Perché con quel cretino è meglio dirle chiaramente le cose. Rivelandogli finalmente i suoi sentimenti, con sincerità, col cuore in mano, lui sarebbe rimasto lì, avrebbe scelto di vivere una vita tranquilla con lui a Nihon.
Era stato un coglione e lo è rimasto finora. Merita l'inferno per essersi privato della felicità che avrebbe avuto con quell'idiota.
Il sogno finisce e in effetti sente il respiro spezzarsi e poi rallentare piano piano.
Sì, oltre al sogno sta finendo anche la sua vita.
Mentre il mago sparisce ha la sensazione di chiamarlo, col suo nome e non quello del fratello morto. Lo chiama e lui, per una volta si gira e lo guarda. Tristi i suoi occhi.
Poi sente di nuovo la sua voce provenire da lontano. Un nomignolo, uno qualsiasi dei suoi e poi il suo nome che normalmente incorre nell'orribile destino di essere straziato da quella sua vocina.

 

Avvolto nel silenzio della stanza in cui si trova, Kurogane ringhia un qualche insulto a quel maledetto che l'ha ferito. Se non è morto, quel gran bastardo, lo sarà tra poco. Giusto il tempo di alzarsi e andare fuori di lì.
Apre gli occhi, geme si lamenta. Nel corso della sua vita, di ferite ne ha subite a centinaia, ma queste sono le più dolorose. O almeno così sembra. Negli anni è diventato un tipo piuttosto insofferente, molto più di quanto già non fosse naturalmente, biologicamente, geneticamente eppure dovrebbe essere disciplinato. Eppure è un ninja, lui.
La stanza è immersa in una penombra quasi rilassante, il sole sta nascendo proprio ora, evidentemente è nell'ala sud del castello di Shirasagi, riconosce la trama a cassettoni del soffitto, e la luce ametista dell'alba si irradia dolcemente dall'angolo in basso della trama fitta della tenda invernale che copre la finestra, direttamente alla sua sinistra. È una mattina fredda, gelida. C'è un vento tanto forte da scuotere i rami degli alberi nudi, ne vede le ombre scheletriche allungarsi verso di lui come a carpirlo. L'aria che si incanala in una piccola fessura tra i pannelli di legno, ghiacciata, è affilata come uno stiletto. Probabilmente fuori c'è ancora la neve.
Chiude gli occhi per un momento, nel rabbrividire.
È ancora vivo. Sì. Ora è ben più calmo. Ha trovato la forza di aprire gli occhi (chissà dove, poi?). Ma ciò che importa è che si sia svegliato.
Ha un sapore amaro in bocca, ferroso e dolciastro, come il sangue.
Sente un rumore, uno strepitio e si muove ad occhi chiusi cercando con la mano destra la sua spada sul fianco sinistro. Per ovvi motivi, non c'è.
«Ehi, Yoo... stai tranquillo, è tutto okay.» la voce di Tomoyo, calma e tranquilla proviene dalla sua destra.
Apre un occhio per abituarsi alla luce, e poi l'altro. Pare soppesare la situazione, la guarda e, sì, non era lei che voleva vedere lì vicino.
«Cos'è quella faccia?» domanda dolcemente ed è evidente che sappia già la risposta.
«Ho visto lui.» sospira. «Era qui, vero?».
Lei scuote il capo.
«Stai mentendo. Lui era qui...» risponde semplicemente. «L'ho sentito, l'ho visto... era qui».
Sospira anche lei, stavolta. «Ti ha aiutato lui, sì. Ha ammazzato quel matto assassino».
«Ed è andato via?» domanda.
Scrolla le spalle guarda fuori. «Vorresti vederlo?» domanda.
Scuote il capo. «Non lo so ».
«Yoo... capisco che è una cosa strana, non vi vedete da anni ormai...» farfuglia.
Lui la guarda e sogghigna, beffardo. «Viene a trovarmi, di tanto in tanto.» risponde.
«Come?!» domanda sinceramente sconcertata la principessa, fissandolo con gli occhi profondi. «Per questo non riesci a rifarti una vita? Non riesci a chiudere il capitolo?! Ti ha lasciato... lui è andato via...» dice, il tono della voce simile a un sussurro.
«Come se non lo sapessi da me!» replica fiaccamente, parlare comincia ad indebolirlo. «Ma... ogni volta provo a chiedergli di restare e lui dice una delle sue cazzate... tipo che lo fa per me, che non riuscirebbe a restare con me sapendo che non mi permetterà di fare una famiglia... ma poi ritorna e ricomincia da capo».
«E... non hai provato a dimenticare? Perché non hai cercato di chiudere il capitolo? Perché...» mormora guardandolo. «Yoo, mio dio».
«No che non ho provato a dimenticare. È piuttosto frustrante.» ammette con la voce flebile e gli occhi velati, stanchi. «Ma ogni volta spero che sia l'ultima volta... che resterà la prossima... che─» sospira.
«Dopo tutto questo tempo? Davvero?» domanda e sembra sinceramente rattristata.
«Naturalmente. Volevi questo, no?» mormora. «Quando mi hai fatto cominciare il viaggio... mi sono affezionato e lui è ciò che volevo proteggere».
Lei scuote la testa. «Perché non me l'hai detto?».
Strano che si stia preoccupando così tanto della sua vita sentimentale, in fondo, ne è stata fuori fino ad oggi. Ah, però è stanco, il ninja, e parlare di quella situazione è più doloroso di quelle ferite che gli hanno straziato il corpo. «Affari miei?».
Tomoyo sorride compiaciuta, è effettivamente da lui, la prima reazione da Kurogane, finalmente. «Dovresti parlarci, lo sai, vero?».
«Non lo so.» scuote il capo. «Ora sono stanco.» farfuglia, stiracchiando appena il collo.
«E allora riposati.» annuisce. «Hai perso molto sangue...».
«Cerca di non farlo andare via, mentre dormo... che lui è un gran codardo e─».
La principessa lo guarda, sospira. «Resterà, non preoccuparti, ora riposa... devi riprenderti».
Non ci vuole molto perché si addormenti, non ha nemmeno salutato colei che detiene il suo nome, si limita ad accucciarsi su quel letto ben più comodo del suo e a mettersi a dormire, senza grandi cerimonie, sperando di non sognare granché.




 

 

 

Ehilà ehilà!!

Sono sempre io, qui con una ministoria di tre capitoli che pubblicherò presumibilmente ogni domenica sera, da qui alle prossime due settimane! Mi sono fondamentalmente fatto un regalo di compleanno in anticipo nello scrivere questa storiella. Ce l'avevo in mente da un bel po', ma, sinceramente non sapevo come avrei potuto renderla così... sono piuttosto soddisfatto di tutta la situazione qui descritta, anche se voi ora avete solo un assaggio del primo capitolo... Mi raccomando, non disperate! Facendo parte della serie “Storie d'amore, d'incomprensioni, di sciocchi maghi e ninja orgogliosi” di certo non è una di quelle storie assurde e strazianti che vedete di solito... o forse sì? Chi lo sa ??

Lasciatemi aggiungere che il titolo della storia, come quello dei capitoli che la compongono sono tutti detti, o modi di dire, giapponesi.
Nel caso del titolo della storia, “Iitai koto wa asu ie” letteralmente: quello che vorresti dire, dillo domani; è come dire “pensa due volte prima di parlare”, un invito a riflettere bene prima di dire qualcosa – magari d'importante.
Mentre il titolo del capitolo, “Au wa wakabe no hajime” letteralmente: incontrare è l'inizio del separarsi; una cosa piuttosto triste ma anche effettivamente reale, cioè “ogni incontro è il preludio di un addio”; insomma 'na cosetta allegra.

Comunque...
Son contento d'esser tornato e presto aggiornerò anche le multicapitolo lunghe (sperando che la maledizione di Overleven non mi colpisca nuovamente) e intanto presto dovrei pubblicare una one-shot teoricamente fluff, sempre della solita serie.
Bene, mi sa che me ne devo andare, sennò i miei commenti supereranno la lunghezza del capitolo (o della storia in sé, in effetti)... grazie a tutti per continuare a seguirmi e a chi ha letto per aver perso tempo con questa storiella.
Alla prossima domenica!
D.
















   
 
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