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Autore: Evander    31/08/2014    2 recensioni
Finlay sedeva sul pavimento sporco.
Chissà se fuori risplendeva il sole o la luna. Aveva perso la cognizione del tempo. Da quanti giorni era lì? Forse da mesi. Il tempo scorreva lentamente — o velocemente? Inizialmente aveva tentato di contare i giorni. Una stanghetta solitaria era incisa nel muro. Era buio come la pece. Quel giorno si era svegliato con una pagnotta stantia sul pavimento. Normalmente era sempre sveglio quando portavano il cibo. Non quel giorno. La prese in mano e nonostante la muffa la divorò. Chissà da quanto tempo non mangiava. Forse da settimane. L’unica cosa che sapeva a proposito era che aveva ancora fame. Presto o tardi sarebbe stato nella condizione di essere capace di mangiare carne umana. Peccato che non ci fosse nessun’altra anima umana in quella cella — oh, forse un’anima sì, lo spettro di qualcuno morto in quella cella.

{fantasy/medievale • il rating potrebbe salire }
Genere: Angst, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ostaggio del tempo

Si vive solo due volte: una volta quando si nasce e una volta quando si guarda la morte in faccia

Ian Fleming, Si vive solo due volte

Finlay sedeva sul pavimento sporco.

Chissà se fuori risplendeva il sole o la luna. Aveva perso la cognizione del tempo. Da quanti giorni era lì? Forse da mesi. Il tempo scorreva lentamente — o velocemente? Inizialmente aveva tentato di contare i giorni. Una stanghetta solitaria era incisa nel muro. Era buio come la pece. Quel giorno si era svegliato con una pagnotta stantia sul pavimento. Normalmente era sempre sveglio quando portavano il cibo. Non quel giorno. La prese in mano e nonostante la muffa la divorò. Chissà da quanto tempo non mangiava. Forse da settimane. L’unica cosa che sapeva a proposito era che aveva ancora fame. Presto o tardi sarebbe stato nella condizione di essere capace di mangiare carne umana. Peccato che non ci fosse nessun’altra anima umana in quella cella — oh, forse un’anima sì, lo spettro di qualcuno morto in quella cella. Non si era quasi mai mosso in quella prigione minuscola — soltanto il percorso dal suo solito posto a dove, come aveva imparato, gli lanciavano il pane — per il terrore di trovarvi qualche scheletro. Quando era piccolo sua madre gli raccontava molte storie — molte di queste facevano paura. E quando l’eroe finiva in prigione c’era sempre almeno uno scheletro adagiato lì. Non voleva raggiungere il triste destino di Renn il  Forte o di Sefton il Coraggioso. Secondo le storie di sua madre, l’anima di un dannato aveva rubato il corpo prima a Renn e poi a suo figlio Sefton. Finlay rabbrividì. Ormai i pensieri scoraggianti erano gli unici a essergli rimasti, pensò amaramente. Quelli felici e speranzosi erano rimasti fuori dalla cella. Sospirò. E sentì qualcuno armeggiare con la porta. Una luce fievole comparve alla sua vista, ma per i suoi occhi rimaneva troppo forte

«Vieni» borbottò una voce. Forse apparteneva a chi aveva aperto la porta. Forse c’era più di una persona. Finlay cercò di alzarsi. Le sue gambe erano deboli, siccome lui era stato costretto a rimanere immobile per molto tempo. 

Non aveva mai preso ordini in vita sua. Lui era sempre stato quello che li dava, gli ordini. Eppure era abituato, chissà come, a riceverli da loro. Si chiese di nuovo da quanto tempo fosse lì dentro, chiuso in una cella scura. Suo padre si stava preoccupando per lui? Probabilmente no, si disse amaramente. Sarebbe già stato incredibile se avesse notato la sua sparizione. 

Cadde. Tentò di rialzarsi di nuovo, sentendo una risata fredda come ghiaccio, appartenente a qualcuno vicino alla porta. Lo stavano deridendo. Appena raggiunto il pieno delle sue forze, si disse Finlay, li avrebbe fatti pentire delle loro risate, li avrebbe fatti decapitare dalla Giustizia del Re. Alzatosi, nonostante gli arti deboli, rimase in piedi, appoggiandosi al muro per non cadere di nuovo, scatenando l’ilarità di chiunque avesse riso. 

Vicino alla porta v’erano quattro guardie, egualmente vestite e armate. Un quinto uomo — il quale indossava solamente una tunica di cuoio — teneva tra le mani una torcia. Finlay sentì il calore della fiamma riscaldarlo. Sentì le sue guance divenire improvvisamente calorose, probabilmente anche rosacee per via del sangue che vi affluiva. «L’anfitrione desidera vederti» disse una delle guardie. Aveva una voce piatta, meccanica. Finlay annuì con decisione. Bene, pensò. Finalmente potrà spiegarmi tutta questa storia. Poi farò giustiziare anche lui. 

Nonostante le gambe doloranti, si incamminò in mezzo alle quattro guardie per quel sentiero tortuoso, su per varie scalinate, arrivando a un punto in cui il pavimento era liscio e lindo. Seguivano tutti e quattro l’uomo con la fiamma. Finalmente arrivarono all’aria aperta. Era buio, dunque necessitavano ancora della torcia.

«Perché il mio ospite desidera vedermi nel cortile?» domandò Finlay. La cosa gli sembrava alquanto strana, ma dalla persona che l’aveva fatto rapire non poteva aspettarsi altro. La brezza notturna lo faceva tremare. Indossava ancora i vestiti di quando era stato rapito, ed erano ormai lerci e rovinati, pieni di strappi, e comunque troppo leggeri per essere indossati la notte, all’aria aperta. Non riuscì a riconoscere il bordo cremisi della sua tunica. Desiderò che fosse per l’oscurità, ma sapeva che non era così. Quella tunica era una delle sue preferite. Sospirò. Ne avrebbe fatta fare un’altra uguale — o quasi — appena finita quella faccenda. Stranamente, “quella faccenda” non lo spaventava, né lo rendeva triste. Lo irritava parecchio, però, che qualcuno avesse anche solo osato tentare di fare ciò. Avevano sfidato lui e suo padre — probabilmente l’uomo più potente del reame — e l’avrebbero pagata. Finlay poteva giurarlo sul suo onore. «Non farti troppe domande» ribatté una guardia. Era quella che l’aveva deriso. «Il tuo Signore sarà qui molto presto, e a lui potrai domandare tutto ciò che non ti vieterà.» Era un permesso che non gli si addiceva — nessuno può vietarmi niente — ma dovette accettarlo in silenzio. 

La fiamma si faceva sempre più fievole. Il calore sempre meno. Finlay si chiese che ore fossero. Pensò di domandarlo, ma per non sentire la voce irritante della guardia che gli aveva parlato, evitò. 

«Ecco qua» sussurrò una voce. «Il mio caro e gradito ospite.» Finlay s’irrigidì. Avrebbe voluto sputare parole velenose contro l’anfitrione, avrebbe voluto aggredirlo fisicamente, ma non riuscì a fare nessuna delle due cose. Il battito del suo cuore gli risuonava forte nel petto. Delle dita gelide gli si appoggiarono sulla spalla. «Immagino vorrai chiedermi qualcosa, Finlay della casa Errelyn, terzo del suo nome.» Finlay riuscì quasi a vedere il sorriso dell’uomo dietro di lui. «Ma temo non farai in tempo» aggiunse con noncuranza. «Mi dispiace: le tue domande mi interessano molto, e desidero davvero sapere cos’hai da dirmi, ma il tempo scorre» l’uomo schioccò le dita «troppo in fretta. Mi porterò questo cruccio nella tomba.» 

Finlay non fece in tempo a comprendere cosa volesse davvero dire il suo ospite che una mano coperta dal guanto di un’armatura gli coprì la bocca. Gli parve di sentire la voce dell’uomo che diceva diceva, con tono calmo: «sarebbe stato bello conoscerti», mentre un pugnale scivolava sulla sua gola. Il cadavere di Finlay cadde nella polvere con un sordo tonfo. Qualcuno si sfregò le mani. Il pugnale insanguinato venne lasciato cadere a terra. Il Lord ordinò che la sua testa fosse accuratamente staccata dal corpo.


Salve! 
Dovrei imparare, una buona volta, a finire le mie lon attuali prima di inizarne nuove. Ma vabbè.
Questa non è la mia prima storia originale su questo sito, ma è la mia prima storia fantasy, ed è la mia prima long originale (se non si conta la storia comica che ho poi cancellato). È una storia cui sto lavorando da un po' di tempo, e spero qualcuno l'apprezzi.
Credo che nel prologo tutto sia chiaro. Forse presto metterò un banner.






 

 

  
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