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Autore: AsanoLight    01/09/2014    2 recensioni
«Hirato ed io aspettiamo un figlio»
Intercorse un silenzio di tomba. I presenti si scrutarono uno ad uno, cercavano risposte nei vicini di tavolo, e si davano vicendevolmente pizzicotti. Era un sogno; tutti ora se lo auguravano.
Ma quel pancione non poteva essere un cocomero.
Genere: Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Mpreg
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Tokitatsu era ancora a terra senza sensi e Kiichi ora lo punzecchiava con un rametto.

«Che fai?!», Akari si rizzò dalla rabbia e in un riflesso le strappò di mano il legnetto.

«Che domande. Gli faccio un massaggio d’agopuntura»

«Con un rametto?!»

«Ehi, non si arrabbi! Questo è quello che passa il convento!»

Sollevò gli occhi al cielo alla ricerca disperata di comprensione.

Se solo fosse andato con Tsukitachi. Ma che diavolo gli era saltato in mente?!

Aveva mandato suo- ... insomma, aveva mandato Hirato, incinto, in giro con un fenomeno da baraccone, uno che per come beveva poteva fare concorrenza a Malocchio in un’improbabile romanzo fantasy su maghetti dai dubbi orientamenti sessuali e con una predisposizione a finire coinvolti in situazioni di pericolo pari a quella che la signora in giallo ha di far avvenire un omicidio ovunque lei vada.

«Ci siamo giocati Tokitatsu», rimarcò con più decisione Kiichi, sbuffò quando il dottore le rifilò un’altra delle sue occhiatacce, «Non mi guardi così. Lei vorrebbe essere un buon padre?, ma non mi faccia ridere. Con quello sguardo truce farebbe piangere la sua prole dopo nemmeno due secondi di vita»

Ha parlato tata Lucia”, avrebbe gradito obiettare il caro ricercatore ma sapeva che sostenere un’argomentazione con Kiichi era come tirare una palla contro un muro di gomma e, sfidando le leggi della fisica, perfino rischiare di ritrovarsela spalmata sulla fronte senza conoscerne l’esatto motivo. «Io non ho mai detto che volevo diventare padre», disse scusandosi, ma non c’era prova o evidenza che potesse tornargli comoda per il suo caso, «Non volevo fare il genitore, né dieci anni fa, né adesso né mai. Lo so che non sono tagliato»

«Ha paura?», scorse un bagliore di interesse nelle cerulee iridi di Kiichi e se l’orgoglio non glielo avesse impedito, avrebbe potuto quasi tranquillamente rispondere di sì. Meglio non consegnare informazioni preziose tra le mani di una viziatella manipolatrice di nemmeno sedici anni; non poteva sapere di quali prodigi maledetti sarebbe stata capace quella dannata una volta ottenuti i suoi succulenti materiali per produrre gossip degni di una rivista per la sala d’attesa della Torre di Ricerca. Se si fosse lasciato sfuggire qualche parola di troppo, avrebbe potuto perfino ritrovarsi sulle bocche delle infermiere e sulle labbra di dottori e ricercatori della clinica, da mattina a sera si sarebbe discusso del prode Akari-sensei, il dottore di ghiaccio, incapace di gestire una situazione banale come quella di divenire padre.

O forse, era lui a credere che gli altri la considerassero banale.

Forse, il fatto che chiunque fosse venuto a conoscenza dell’avvenimento gli avesse riso in faccia non l’aveva di certo aiutato a farsi una buona idea della faccenda.

Tokitatsu era sdraiato inerme sul suolo, incosciente.

«Dobbiamo farlo rinvenire», convenne Akari dopo una lunga ‘meditazione’, troppo intento a valutare i rischi della lingua biforcuta della mocciosa per potersi curare del povero disgraziato supino sui sampietrini della strada di Vantnam, «Kiichi. Mi serve del ghiaccio»

«Prenderlo a ceffoni non va bene?», chiese l’azzurra rimboccandosi le maniche divertita, l’idea di poter infierire su un uomo che non fosse Jiki fomentava il suo lato di dominatrice, «Altrimenti posso usare la falce che utilizzo per combattere o c’è sempre la frusta di Jiki che dovrebbe essere efficace per-»

«Ghiaccio», sibilò il dottore e cercò di respingere il brivido di paura che lo scosse quando ipotizzò la sorte del misero ministro della difesa, preso a frustate senza un’apparente motivo –non che... alcune se le sarebbe meritato, nella modesta opinione di Akari, «Inventati qualcosa. Chiedi nei bar...»

«Non posso muovermi»

«Che cosa?!»

«Sei stato tu a dirmi di non spostarmi di qui perché sono minorenne. Altrimenti mi avresti lasciata a Tsukitachi, ricordi?»

No. Non ricordava.

Maledetta trama nonsense”, borbottò tra sé e sé, Kiichi inarcò appena il sopracciglio conscia di essersi lasciata sfuggire una confessione che il dottore aveva probabilmente rivolto a se stesso. Nel momento in cui riuscì a trovare le parole giuste per chiedere delucidazioni, Akari la interruppe: «Lascia perdere quello che ti ho detto. Puoi spostarti da sola se porti dietro con te la frusta di Jiki e prometti solennemente che non la utilizzerai per fare del male alla gente»

Kiichi mise il broncio irritata.

«Così non va... Non posso neppure usarla per punire i criminali della città?»

«Chi ti credi di essere, che devi punire i criminali? Superman?»

«Posso volare anch’io e non sono neppure allergica alla kriptonite»

«Sei violenta ed irascibile e hai fatto di Jiki una poltiglia. Sarà fuori gioco per almeno un altro capitolo!»

«Ho fatto il bene per la società»

«Hai frustato un tuo compagno!»

Kiichi fece spallucce.

Quel solo gesto suggerì ad Akari che la famigerata palla lanciata contro il muro di gomma stesse per rimbalzargli contro, e ora come non mai la vedeva terribilmente vicina alla fronte.

«Una persona che crede che i bambini nascano sotto i cavoli non merita di esistere»

Ed ecco la perla di saggezza della nostra ragazza. Dannazione, non voglio più vivere su questo pianeta. Ma chi mi ha fatto diventare ricercatore?”

«Te ne prego», odiava dirlo, ma Kiichi era l’unico essere vivente dotato di un apparente cervello pseudo-funzionante nell’arco di almeno un chilometro e non aveva altri che lei su cui fare affidamento –purtroppo, «Trovami del ghiaccio. Prendilo da dove ti pare ma portamelo»

«Uffa... che lagna, Akari-sensei...»

La ragazzina si era già allontanata con gli occhi rivolti al cielo, oramai troppo distante perché le sue lamentele sull’ingiusta sorte e il senso della vita potessero raggiungere le orecchie del ricercatore. “Voglio sperare che quella smorfiosa non combini danni. Con Jiki livido dalle bastonate, non ho neppure una spalla su cui appoggiarmi o che possa compiangere la mia situazione o sforzarsi di comprendermi, quando certi idioti se ne escono con cretinate di questo calibro. Sento che un episodio dei Griffin in un cross-over con American Dad avrebbe avuto più senso di quest’intera discussione”

Tokitatsu continuava a non dare cenni di vita, respirava appena tramite la fessura disegnata dalle sottili labbra, una piega dal vago sorriso ebete, niente a che vedere con quello del fratello minore Hirato, sbruffone e tracotante, ma pure dolcemente bastardo.

Tirò un malinconico sospiro.

Quanto aveva rimpianto in quei giorni la manata modestia di Hirato e la sua inesistente umiltà? Ogni ricordo legato alla virilità del comandante vittorioso e dominatore della seconda nave si dissipava e scemava nel sorriso da chioccia che cova nel suo caldo nido, e già lo stomaco gli faceva la bile e la voglia di mangiare andava altrove e svaniva all’immagine di quel pancione, che non era adipe, non era uno scherzo. Quella ‘cosa’, era sua.

«Tokitatsu», lo chiamò ripetutamente ma non sembravano sortire qualche effetto le sue parole. Si sentì inevitabilmente preso per i fondelli quando il ministro aprì appena la bocca e la saliva gli grondò come pioggia dai tetti nel bel mezzo di un temporale da un angolo della bocca, copiosa come il Po in piena (ma sapeva per lo meno dove si trovava il ‘Po’?).

«Tokitatsu», questa volta non c’era comprensione né disperazione nel tono del ricercatore, c’era solo la voglia di dargli i ceffoni che aveva negato a Kiichi, uno ad uno, con tanto di interessi, «Maledizione, torna tra di noi! Come pensi che possa farcela da solo io?! Sono anche impantanato con una smorfiosetta di–»

 

«LAAAAARGO!!!»

 

L’urlo fece trasalire il ricercatore.

Kiichi era già pervenuta con il materiale che avrebbe causato il mistico risveglio del malcapitato Tokitatsu ma la pessima mira unita all’impetuosa violenza della ragazzina fece sì che il mezzo curativo che avrebbe dovuto compiere il prodigio si scaraventasse sulla piena faccia del povero ministro.

Tokitatsu si rizzò in piedi di riflesso, raggelato dalla paura ma ancora troppo stordito per poter far uso della parola, e se Akari da una parte avrebbe voluto ringraziare volentieri la smorfiosa, dall’altra non fu molto contento di vedere lo sventurato Yukkin così maltrattato, ridotto ad uno straccio da schiaffare in faccia ad una delle personalità più importanti di Circus non che la meno curata dall’anime.

«Dove hai preso Yukkin?», domandò a primo impatto, dunque, quando lo prese tra le braccia e sentì il gelo oltrepassargli la camicia, lo lasciò cadere per terra sconvolto, «E perché è così freddo?! Dovrebbe essere caldo!»

«Quante domande, Akari-sensei...», ribatté Kiichi in un sonoro sbadiglio, «Questo è un nuovo modello che ci ha mandato l’altro ieri la torre di ricerca. E’ ancora in fase di sperimentazione, ma hanno detto che serve per l’intrattenimento più che per altro»

Come si aspettano che un pupazzo freddo quanto il ghiaccio possa intrattenere?! Non si può neppure abbracciare! –non che io lo farei mai, neppure se fossi da solo nell’ufficio...”

«Effettivamente la sua temperatura è di zero gradi celsius. Ma è tutto funzionale al suo scopo»

«Scopo?»

«Yukkin, fagli sentire»

Il pupazzo si avvicinò al ricercatore e si posteggiò volutamente sullo stomaco di Tokitatsu ignorando i suoi gemiti convulsi al contatto con il gelo.

«Cosa fa un giardiniere in discoteca? Il butta-fiori! Yukkin!~»

«Visto?»

Kiichi si esaltava troppo, o almeno, quella era l’impressione di Akari: «Faceva pena».

«Deve fare pena», concluse l’azzurra annuendo, «E’ un pupazzo di neve; fa freddure. Cosa ti aspettavi?»

No. NO! Questa fa pena davvero!!!”

«Aiuto! Brucia, qualcuno mi tolga questo peso dallo stomaco!»

«Oh... vedo che anche Tokitatsu è in vena di battute e modi di dire», convenne intrigata Kiichi, «Com’è che si dice? Prendere due piccioni con una fava?»

«Che diavolo c’entra con il nostro caso?!», urlò Akari, sull’orlo dell’esaurimento, e una volta liberatosi di Yukkin con un sonoro calcio su una zona che aveva deciso di sua sponte fosse il fondoschiena –anche se non era poi così certo, si piegò poi per aiutare il ministro, «La tua battuta Kiichi, è fuori luogo quanto Yukkin! Mi domando chi sia quel deficiente che abbia fatto una richiesta simile per un pupazzo di neve che fa freddure...»

Tokitatsu mormorò qualcosa massaggiandosi il gelato stomaco e se Akari avesse avuto a portata di mano una corda abbastanza resistente, si sarebbe sicuramente impiccato sul primo albero che avrebbe trovato: «Ma certo... pure io- che razza di domande faccio»

«Cos’è successo?», nella sua innocenza, Tokitatsu si asciugò la saliva che gli era colata nel sonno a bordo della bocca e cercò di rimettere in funzione almeno uno scomparto del suo cervello, per poter interagire civilmente con i presenti, «Dov’è il mio fratellino?»

Ha rimosso il ricordo della presenza di Tsukitachi?”, si chiese senza troppo stupore il dottore, e probabilmente la presenza del comandante della prima nave non era stata l’unica ad essere stata destinata all’oblio nell’ingenua mente dell’ignaro ministro. Si grattò irritato la punta del naso cercando di racimolare pensieri e idee e trovare le giuste parole.

Doveva dirgli che Hirato aspettava un figlio da lui.

Doveva trovare la maniera per dirglielo senza suonare ridicolo né causargli un secondo svenimento.

Doveva prendere la situazione con le pinze o avrebbe rischiato di peggiorare lo stato delle cose.

Scosse il capo con decisione.

 

No.

 

Era ora che si prendesse le sue responsabilità da uomo adulto e maturo.

Era ora che dicesse-

 

«Scusi, ma nessuno glielo ha detto che Hirato aspetta un bambino da Akari-sensei?»

 

Il repentino vibrare di un cellulare stese un velo di disperazione sulla conversazione, anzi, più che un velo, uno di quei teloni circensi pesanti almeno dieci chili, che per sollevarli servivano almeno due persone. Ma in quella situazione, un duo di deficienti non sarebbe bastato a riportare Tokitatsu alla vita una seconda volta, neppure se il valido assistente di Akari fosse stato il prode e logico Gareki, giustamente ancora troppo occupato a tenersi indaffarato per poter prendere parte alle disavventure della combriccola di disgraziati.

Akari notò le chiamate perse e rispose quasi al volo mentre, rassegnato, adottava il metodo suggeritogli da Kiichi e prendeva il ministro a ceffoni nel tentativo (più che altro, vano) di rinvenirlo.

«Che vuoi, Tsukitachi?!», borbottò con voce autorevole, e l’intensità sonora dello schiaffo al ministro si sovrappose per un attimo alle sue parole. Tsukitachi parlò, confessò le sue deduzioni e riferì lo stato di Hirato, aggiungendoci del suo.

«Che sarebbe a dire che si sono rotte le acque?!», urlò bianco dal terrore, tanto che perfino la ragazzina poté ringraziare di trovarsi lì e non altrove, per gustarsi il lato che non aveva mai conosciuto del dottor Dezart, la parte ansiosa che incuteva una macabra dolcezza. Le mani sudate e rosse dai ceffoni e aggrappate ora al telefono, la voce decisa ma tremolante e, ci avrebbe potuto scommettere tutti i soldi che aveva sottratto in maniera illecita dal portafoglio di Jiki, che i neuroni che gironzolavano nel suo cervello di genio si stessero in quell'istante fissando l'uno con l'altro, intrecciandosi e districandosi senza sapere dove cercare una soluzione. E poco le importava se non sapeva cosa succedesse quando si rompevano le acque. “Probabilmente è perché vengono innaffiati i cavolfiori. E quando i cavolfiori vengono innaffiati, poi fioriscono i bambini. Oppure si rompono le acque nel senso figurativo che le cicogne si rompono le scatole di aspettare e portano subito il bambino”. Kiichi non avrebbe capito, né allora né mai e nessuno si sarebbe tantomeno preso la briga di spiegarle la verità.

Ma neppure Akari capiva.

Non capiva come fosse possibile per un uomo che gli si rompessero le acque.

Soprattutto dato che un uomo non aveva...

Ah- lasciamo perdere.

Quando si trattava di Tsukitachi, tutto era possibile.

«Dove state andando adesso?!»

«C-Come dove?!», era impossibile captare lo stato d’animo del rosso dall’altra parte del telefono, la situazione non sembrava mettergli agitazione ma neppure divertirlo come avrebbe dovuto, «All'ospedale! C'è un uomo che deve partorire!»

«E lo porti in un ospedale?!», gridò Akari con voce da tenore, «Non fare un'altra mossa con quell'uomo incinto! Corri subito alla torre di ricerca, pirla!»

Non sapeva ancora bene da dove avesse tirato fuori quell'ultimo insulto, quel lemma che certo non proveniva dal lessico giapponese -ma non importava.

Purché fosse risultato offensivo e gli avesse permesso di infierire contro l'oggetto momentaneo di sfogo della tensione, tutto sarebbe andato bene.

Perfino Yukkin.

 

«Cos'è un tartufo? Una tortina non identificata! Yukkin!~»

 

O forse no.


 




Yukkin, ho finalmente scoperto la tua utilità.
Oltre all'essere un'esplosione di kawaiiezza (?)

Akari è sull'orlo di un esaurimento, Jiki è morto, Tokitatsu poco ci manca e Kiichi fa l'indifferente.
Questo è lo spirito di squadra di KARNEVAL! ;)
Ahahahah scherzi a parte, oramai il momento clou si avvicina! -sfortunatamente per un certo dottore...
Ce la faranno i nostri prodi quasi-genitori a sopravvivere?

io dico di no
*coff coff*

Come sempre, ringrazio uno schiliardo (?) di volte tutti quelli che mi seguono!
Grazie del vostro supporto!

Un profondo abbraccio *v*
AsanoLight~
   
 
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