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Autore: DonnaInRosso    01/09/2014    0 recensioni
Classificata Terza al contest indetto da IMmatura, "I'm scared: il contest delle fobie."
L'umanità è in pericolo, messa alle strette da qualcosa di cui essa stessa è l'artefice.
Genere: Avventura, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Underworld

Tu-tum, Tu-tum, Tu-tum.

E ancora il mio cuore quello che sento battere? Non ho coscienza del mio essere, mi sento leggera, incorporea. Non riesco ad aprire gli occhi, sono la mia fiamma vitale, evanescente, immateriale. Tu-tum, Tu-tum.
Eppure quello che sento è proprio il battito di un cuore. Sarà ancora il mio?
« Perché l’hai portata qui Christopher? Se ci scoprono possono mandarci fuori! La sua foto è su tutti gli schermi. »
« Non potevo lasciarla morire Paige. »

Queste voci... da dove provengono?
« Saremo noi a morire allora! »
« Calmati adesso. Va pure resto io qui. »

Apro gli occhi.
Sulle prime l’unica cosa che noto è il liquido rosso nel quale fluttuo. Provo a muovere le mani e i piedi e sento di riacquisire il controllo del mio corpo, poco a poco. Abbasso lo sguardo sul mio petto e resto pietrificata: sono completamente nuda e dal mio costato s’irradiano decine di fili colorati con all’estremità vari elettrodi e rivelatori lampeggianti. Urlo dal terrore ma mi rendo conto che sulla bocca indosso una mascherina e ho tubi giù per la trachea e cannule nasali infilate su per le narici. Mi dimeno in preda all’ansia, tentando disperatamente di liberarmi da quel groviglio di sonde e fili.
Poi qualcosa attira la mia attenzione.
Una sagoma opaca e poco nitida si avvicina con circospezione e mi guarda.
« Sei sveglia » dice e la sua voce arriva attutita, distante.
Quella che sembra una mano si allunga su un lato e comincia a digitare un codice su un tastierino. Sento un clic sinistro e un attimo dopo sono fuori dalla mia prigione, scaraventata via dalla forza del getto d’acqua che mi circonda. I fili che mi imprigionano si strappano via dalla pelle lasciando macchie rosse, mentre la maschera vola. Mi tiro a forza il tubo rimasto in gola e mi ritrovo a sputare sangue sul pavimento.
Tossisco vistosamente e tento come posso di coprire le mie nudità. Una mano mi protende un asciugamano troppo piccolo e fatico a tenderlo per bene in modo da coprire quantomeno il busto e le natiche.
« Tranquilla, non voglio farti del male » dice la stessa voce di prima, che adesso ha acquistato un volto.
« Chi sei tu? Dove mi trovo e perché ero chiusa in una cazzo di gabbia di vetro! »
« Sei nel mio laboratorio. Mi chiamo Christopher Parsons e sono uno scienziato. Quando ti ho trovato, avevi ingoiato molta acqua, i tuoi polmoni erano saturi. Sono intervenuto quanto prima e... beh sei ancora viva. Inoltre hai una ferita da arma da fuoco alla spalla e hai perso molto... »
« Lavori per la Robotic Corporation vero? » mi sento intontita, la stanza gira tutta e ho la nausea.
« Si. Ma non voglio farti del male. Ti ho portato a casa mia, non alla Robotic. Chi ti ha sparato?
»
« Cosa hai fatto hai miei polmoni? » Con le dita della mano destra tento di tastarmi la schiena ma non avverto nulla di strano
« Ho drenato il liquido che avevi ingoiato con un apparecchio elettronico. Non lascia cicatrici ed è molto efficace. » La sua voce è pacata ma sicura.
« Come ti sei ferita al braccio? »
« Parli proprio come uno di loro. Chi mi ha sparato dici? Uno dei tuoi amichetti. Un Guardiano. Hanno uno spiccato senso dell’umorismo loro. Anzi avete. » Sfioro con le dita il punto dove quel lurido ammasso di latta mi ha colpito; la ferita non è ancora guarita del tutto, ma sembra essere in buone condizioni.
« Questo non è possibile. Un robot non può recar danno ad un umano, anche se esso stesso fosse messo in pericolo. » L’uomo che dice di chiamarsi Christopher si siede a terra. Il suo bel viso ambrato è ora segnato dalla preoccupazione e i suoi occhi color ghiaccio sembrano essersi velati di tristezza.
« Invece è proprio così. Quei cosi sono impazziti tutti. Ci faranno fuori uno ad uno se non interveniamo. L’Eletta vuole sottometterci. O questo o la morte. »
Faccio per alzarmi ma ho la testa pesante e perdo l’equilibrio, cadendo tra le braccia di Christopher.
« Sei ancora molto debole, ti porto in camera. » Fa’ per prendermi in braccio, ma io mi rifiuto e mi appoggio a lui quel tanto che basta a sostenermi. Ci incamminiamo in un corridoio stretto e mal illuminato alla fine del quale c’è una stanza dove intravedo un’umile branda. Dalle finestre del corridoio vedo l’esterno della casa.

 

« Dunque è questa Underworld. »
« Non eri mai stata sotto la superficie? »
« No, non ero mai scesa agli inferi. »
Entriamo in camera e nell’angolo della stanza nascosta dal corridoio, c’è un grande letto a due piazze.
« Io mi sistemerò sulla brandina, tu accomodati pure sul letto. È più comodo. »
« Andava bene anche la branda. Da dove vengo io dormiamo sul cemento di qualche vecchio edificio non ancora crollato del tutto. Casa mia non ha neppure il tetto. »
« Qual è il tuo nome? »
« Codice 1143 »
Forse dice qualcosa, forse no, non ricordo, perché comincio a vedere acquoso e d’un tratto mi sento sfibrata, debole e moribonda.
Chiudo gli occhi e mi addormento all’istante. 

 

Quando riemergo dal mio stato catatonico, i raggi del sole non filtrano più attraverso l’acqua e tutto è più buio e cupo. Sul comodino di fianco al letto, c’è una tazza fumante con un liquido rosato all’interno e un biglietto che dice:
“Bevimi tutto.
P.S. sono buono e ti farò bene.” 
Butto giù il contenuto della tazza tutto d’un sorso.
Trovo una tuta subacquea su uno sgabello e la indosso con riluttanza. Il tessuto aderisce troppo alla pelle, rendendo evidenti curve che di solito preferisco nascondere, ma di certo non posso andare in giro nuda. Mi metto in piedi e mi sento più stabile, meno fiacca, l’intruglio deve aver funzionato.
Percorro il corridoio in cerca di Christopher, ma vengo attratta da un profumo invitante che appartiene ad un ricordo passato, di cui ho solo vagamente il sentore. Entro in una stanza che riconosco come una mensa e vedo una donna di spalle, intenta a preparare da mangiare. Mi ricorda mia madre.
« Ciao » le dico per non spaventarla, ma lei si volta di scatto impugnando un forcone e gridando come una forsennata. « Non osare avvicinarti, mostro! »
Non faccio in tempo a voltarmi che Christopher è già sulla soglia con un’espressione allarmata. « Che sta succedendo qui. Paige abbassa quel forcone! »
« Hai portato il demonio in casa nostra! Ci farai cacciare tutti.  Lei è un’estranea!» si ferma sull’ultima parola quasi sputandola fuori con disgusto, piuttosto che gridando semplicemente. Eppure siamo entrambe fatte di carne e ossa, siamo nate, cresciute e moriremo, probabilmente uccise dallo stesso morbo che lei protegge ed io odio con tutta me stessa. E nonostante ciò lei considera me il nemico.
Ha l’aria di una disperata timorata di Dio, in un mondo dove Dio è andato a farsi fottere da un pezzo.
« Sarà meglio che vada, tua moglie ha ragione. Per voi è pericoloso che io sia qui e poi su c’è qualcuno che mi aspetta. »
Mi avvio in cerca di un’uscita, seguita da Christopher.
« Ehi aspetta ti prego. Paige non è mia moglie! Lei era smarrita e sola come te prima che la trovassi. »
« Ma cosa fai realmente nella vita tu eh? Raccogli relitti umani sul fondo dell’oceano? Io non sono sola, ho un compito da assolvere in superficie, ci sono persone che necessitano del mio aiuto! Quindi lasciami andare. »
Sembra dispiaciuto per avermi paragonata ad una squilibrata mentale, ma non demorde.
« Se torni ad Up Town ti daranno la caccia. Qui sei al sicuro. »
« Io DEVO tornare. C’è una bambina di sette anni che morirà di fame e di freddo se non ci sono io che bado a lei. » Pensando al volto di Julia mi si stringe il cuore e devo trattenermi dal commuovermi.
Alza le mani in segno di resa: «OK. D’accordo mi arrendo, ma lascia che ti scorti fin su in superficie. Se non hai la giusta attrezzatura moriresti annegata, senza contare che hai bisogno di una guida per orientarti. »
È praticamente un estraneo ma mi ha già salvato la vita una volta; non posso che affidarmi a lui.
« D’accordo. Muoviamoci. »
Torniamo nel laboratorio e Christopher prende da un cassetto un aggeggio fluorescente, un ovale grande quanto una biglia di metallo.
« Se vuoi tornare su viva devi indossare questo. Ti permetterà di respirare in acqua anche senza boccaglio. »
Dall’ovale spuntano dei piccoli prolungamenti argentei ai lati che fanno assomigliare quell’affare ad un ragno fluorescente. Deglutisco rumorosamente, odio tutto quello che ha a che fare con le macchine schiaviste, ma a quanto pare quello è l’unico modo che ho per respirare una volta uscita da qui. Gli faccio segno di proseguire e lui poggia il ragno metallico alla base del collo in corrispondenza della trachea, poi aggiunge un anellino di ferro all’interno di una narice.
« Bene, ora possiamo andare da Walt. »
« Chi? »

  
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