Prologo.
Il ragazzo prese a correre a perdifiato, mentre si inoltrava fra i corridoi del seminterrato dell’istituto.
Era solo e non sapeva dove potersi nascondere in modo da non farsi scovare da quel folle.
Tutti i suoi compagni di squadra se ne erano già andati da un bel pezzo, subito dopo gli allenamenti extra che, quella sera, avevano avuto termine solamente alle 22.00, proprio mentre lui stava facendosi una doccia.
Gettò un rapido sguardo alle sue spalle e imprecò, vedendo l’uomo alto e mingherlino, vestito di un camice bianco da laboratorio e con una mascherina che gli copriva metà del volto e che dunque impediva di capirne l’identità, stargli alle calcagna.
Arrivato alla fine del corridoio, si ritrovò di fronte la porta d’uscita d’emergenza quella che, secondo il regolamento, sarebbe dovuta essere sempre aperta e pronta all’uso.
Si schiantò letteralmente contro la maniglia e la girò, tornando più volte a lanciare sguardi ansiosi e timorosi a quell’individuo che avanzava sempre più.
-Maledizione!- esclamò, tirando a sé con tutte le forze e intuendo che quel bastardo aveva sicuramente previsto quel suo tentativo di fuga e aveva sbarrato ogni uscita.
Deciso a non arrendersi, il giovane si guardò attorno e provò un certo sollievo, misto ad una flebile speranza, nello scorgere una porticina laterale che era del tutto spalancata.
Prese rapidamente fiato e si lanciò in un’altra corsa disperata verso quell’altra zona dell’edificio, augurandosi che si trattasse dell’uscita d’emergenza.
Varcò la soglia il più in fretta possibile e, dopo un breve tratto nell’oscurità, le sue iridi grigie come le nubi temporalesche vennero accecate per un istante dai fari puntati sul campo da football.
Era esattamente sotto gli spalti.
Non era proprio ciò che avrebbe voluto che fosse, ma era consapevole dell’esistenza di ancora un’uscita, usata molto di rado e all’estremità opposta del campo, curato e in preda alla furia del sistema di irrigazione.
Si voltò nuovamente indietro e sospirò sollevato,quando si rese conto che quell’oscura figura era svanita e che, al suo posto, vi era solamente la mascherina.
Inevitabilmente, un lieve sorrisino trionfante gli affiorò sulle belle labbra rosee e carnose al punto giusto, mentre si chinava un momento per afferrare quell’oggetto tanto inquietante quanto insolitamente affascinante.
Fu un errore.
Infatti, nell’esatto momento in cui si rialzava, l’uomo in camice ricomparve proprio dietro di lui e lo afferrò per la collottola della polo, conficcando i suoi terribili e malefici occhi neri come la pece su di lui, mentre lo scrutava con un misto di odio e follia.
L’ultima cosa che il fanciullo vide fu il sorriso perfido e udì anche la sua voce in un sussurro appena percettibile.
-Beccato-
E poi non ci fu più nulla.