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Autore: lookafterzay    02/09/2014    3 recensioni
-Ho già abbastanza casini qui, non ho bisogno anche del tuo contributo- disse fredda.
Il ragazzo rise. Era così stupida, a volte.
-Ma io non voglio essere uno dei tuoi casini, Els. Voglio essere la tua occasione per riscattarti e far vedere chi sei.-
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum Hood, Luke Hemmings
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quando Ella entrò in aula magna, la riunione, se così si vuol chiamare, tenuta dalla direttrice era già a metà.
Nessuno si accorse di lei, per fortuna. Lei era la classica ragazza da parete. Osservava tutto e tutti da lontano, ma nessuno si accorgeva di lei e della sua presenza. Si rifugiava nei suoi sogni, tra le pagine del suo diario, che custodiva gelosamente, dove scriveva più che altro citazioni di film, quei pochi che aveva visto il venerdì sera quando tutti si riunivano nella sala grande, di libri, provenienti dall’enorme biblioteca della scuola, perché lei non aveva altro da scrivere. Non scriveva di lei, non c’era nulla di interessante da scrivere. Non scriveva della sua famiglia, lei non ce l’aveva. Questo la distingueva dalle altre ragazze. Prima di trasferirsi, letteralmente, in quella scuola, viveva in un orfanotrofio vicino. Le suore l’avevano accudita fin da quando era in fasce, ma ad Ella non importava più di tanto. Bisogna essere riconoscenti nella vita, ma le suore non potevano fare altrimenti. Come potevano lasciare una bambina di appena pochi giorni fuori al freddo? Semplicemente non potevano, ecco tutto. Anche quando stava in orfanotrofio, non interagiva con gli altri bambini. Stava per conto suo mentre osservava tutto intorno a lei. E quando la spronavano a fare qualcosa, a giocare con gli altri, si chiudeva a riccio. Perché aveva paura di non riuscirci, di essere allontanata, abbandonata. In fondo la timidezza è composta dal desiderio di piacere e dalla paura di non riuscire. Sicuramente l’abbandono da parte di sua madre aveva condizionato tutto il resto. Ancora oggi si chiedeva perché mai non l’avesse voluta. Ci sono donne che farebbero di tutto per avere un figlio o una figlia, allora perché sua madre l’aveva abbandonata? Ella cercava sempre una risposta, ma non la trovava.
Troppe domande ma nessuna risposta. La notte queste cose la divoravano. Non riusciva a dormire e allora pensava, pensava, pensava. Pensava fino a tarda notte e poi la mattina si addormentava fra una lezione e l’altra. A volte veniva scoperta e mandata dalla direttrice, altre volte era fortunata. Fortuna che durava poco, visto che in bagno la aspettava il Trio delle Streghe. Le aveva chiamate così, per riderci su, anche se non aveva nessuno con cui ridere di questa cosa.
Fin da piccola Ella aveva una fervida immaginazione, come tutti i bambini, e una vivace intelligenza. Già a quattro anni sapeva scrivere e a cinque leggere. Le è sempre piaciuto studiare e imparare cose nuove. Per questo a tredici anni, finita la terza media, le suore la mandarono in questo istituto. All’inizio Ella era contenta, era un posto di un certo calibro, le suore avevano faticato per mandarla lì, era il loro orgoglio. Ma poi la contentezza svanì.
Tutti la guardavano dall’alto, la vedevano inferiore e il Trio delle Streghe trovò la sua nuova vittima, e unica tra l’altro.
Il sua diario era il suo unico amico, l’unico di cui si potesse fidare.
-Allora- la direttrice interruppe i pensieri di Ella -come sapete, ho un annuncio molto importante da farvi. Molte persone mi hanno consigliato di allargare l’istituto anche ad allievi maschili.-
A quel punto nessuna ragazza riuscì a trattenersi. Volarono commenti di ogni genere, tra cui apprezzamenti, molti apprezzamenti.
La direttrice riportò il silenzio con un colpo di tosse.
-Bene, vedo che la notizia è stata apprezzata. Dunque, dopo varie riflessioni, ho deciso che questa è la cosa migliore da fare. Già da oggi alcuni ragazzi prenderanno posto qui, tra cui il figlio del Signor Hemmings, il quale, come sapete, ci fornisce i fondi per l’istituto.-
-E quanti ragazzi verranno oggi?- chiese una ragazza in terza fila.
-Prima di tutto signorina Banks, si alza la mano prima di porre una domanda,- la direttrice guardò in modo severo la ragazza- e secondo, una trentina. Sicuramente domani ne verranno altri.-
Tutte annuirono, come se la direttrice avesse risposto alla loro domanda. Tutte, tranne Ella.
La sua mente vagava senza sosta. Ragazzi all’istituto? Mai era successa una cosa simile. Poi ripensò ai tre ragazzi in segreteria. Loro erano sicuramente nuovi allievi, quindi Ella avrebbe rivisto il ragazzo dalla pelle ambrata. Arrossì violentemente al ricordo e alla battuta del ragazzo in questione.
-Avete altre domande?- chiese la direttrice.
Una ragazza accanto ad Ella con degli occhiali da vista e i capelli corti alzò la mano, e, dopo un cenno con la testa da parte della direttrice, parlò.
-Frequenteremo le stesse lezioni?-
-Ovviamente, non abbiamo spazio per fare nuove classi.- annuì la direttrice, come se la cosa fosse ovvia. -Bene, tornate pure nelle vostre stanze o dove eravate prima della riunione. A domani. E mi raccomando,  un comportamento esemplare e diligenza mi aspetto da voi.-
Le ragazze si alzarono, come segno di rispetto, e videro la direttrice sparire dietro la porta dell’aula magna.
Il disordine regnava sovrano dopo l’uscita della direttrice. Le altre ragazze era euforiche all’idea di avere dei ragazzi all’istituto. Ragazzi che le avrebbero guardate, ammirate, alcuni si sarebbero fatti avanti con loro, certo, in fondo sono sempre i ragazzi a fare il primo passo. Tranne per Clarisse, lei era una ragazza abbastanza intraprendente. Faceva sempre di testa sua, rischiava, non si interessava alle conseguenze, e forse era questa l’unica cosa che Ella le invidiava. Lei, dal canto suo, non aveva mai fatto nulla di eccezionale, nessuna regola trasgredita, niente di niente. Era così calma, stava sempre zitta, anche per questo Clarisse l’aveva presa di mira. ‘’Anche’’, l’altro motivo Ella non lo sapeva e non voleva saperlo. Aveva già abbastanza problemi con Clarisse, non voleva farla incazzare ancora di più. Incazzare. Già, Clarisse era una ragazza incazzata con il mondo intero. Una di quelle ragazze a cui non importa di niente e di nessuno, quasi fosse un automa programmato per odiare. Ed è buffo, perché le uniche persone che odiava in realtà erano Ella e suo padre.
Ella puntò lo sguardo proprio su Clarisse, le tremavano le mani. Quello era un segno, l’avrebbe pestata, ancora. Per questo si alzò di scatto, passando una mano sulla gonna, e uscì in fretta e furia, sperando di non essere vista. Fu fortunata, quel giorno.
Decise di andare nell’unico posto dove poteva stare da sola, in pace.
Dietro l’istituto c’era un piccolo giardino, pieno di alberi e fiori di ogni genere. Era così verde. Le piante erano verdi, le cortecce degli alberi erano verdi, le foglie erano verdi, la panchine erano verdi, anche l’aria che si respirava lì sembrava essere verde. Tutto era verde.
A Ella piaceva il verde, in fin dei conti. Le dava un senso di pace. In un libro aveva letto che il verde simboleggia la perseveranza e la conoscenza superiore. Il colore verde emana un senso di equilibrio, compassione armonia. Trasmette amore per tutto ciò che riguarda il regno naturale favorendo il giusto contatto con la natura.
Fin qui c’era. A Ella è sempre piaciuto stare fuori, a contatto con la natura, le è sempre piaciuto annusare i fiori appena sbocciati, si prendeva per fino cura del picciolo giardino in orfanotrofio.
Lasciò perdere il libro quando lesse che il colore verde infonde un senso di giustizia e grandezza d’animo, tenacia e perseveranza.
Tutte cazzate. Ella non aveva nessuna di queste qualità. Senso di giustizia e grandezza d’animo? Oh sì, soprattutto quando veniva pestata da Clarisse.
Allora decise di lasciar perdere i libri che ti spiegavano il significato dei colori, dei fiori, dei numeri, tra un po’ arriverà qualcuno che ti spiegherà il significato di come vai in bagno. Le posizioni e tutto il resto.
Una miriade di cazzate, questo pensava Ella. Si sedette sotto un albero, tanto bello quanto vecchio, appoggiandovi la schiena e chiuse gli occhi. Era una bella giornata, il sole non era caldo, quel caldo afoso che ti impedisce di respirare, era semplicemente il sole. Un punto colorato nel cielo azzurro.
A volte, Ella si perdeva a guardare il cielo, a guardare le nuvole e a dar loro una forma. Quello è un coniglietto, quello è un drago. Lo faceva spesso, anche ora, nei suoi sedici anni. Beh, sicuramente non lo diceva ad alta voce, l’avrebbero presa per pazza, o l’avrebbero derisa. Questa era la cosa che la spaventava. Essere presa in giro da tutti. Perché lei era una tipa strana, non si fidava di nessuno e tutti la evitavano. Finché non la deridevano e la lasciavano in pace, per lei andava bene. Clarisse era l’eccezione alla regola.
-Sapevo che eri la classica ragazza solitaria, con il muso lungo che si piange addosso.- una voce, seguita da una risata bassa, riscosse Ella dai suoi pensieri.
Aprì di scatto gli occhi e si guardò intorno. Il ragazzo dalla pelle ambrata era davanti a lei, con le braccia incrociate e un sorriso sghembo sul volto. Gli occhi scura la scrutavano. Ella non disse nulla, rimase zitta, ma i suoi occhi continuavano a cercare quelli del ragazzo.
-Posso sedermi con te?- chiese lui, indicando un punto accanto a Ella. Lei annuì impercettibilmente, che male c’era, infondo?
Il ragazzo si sedette e continuò a fissarla. -Perché non parli?-
Ella si strinse le spalle, perché non parlava?
-Non parlo con nessuno, perché dovrei parlare con te?- chiese, quasi senza accorgersene.
-Hai parlato! Con me!- il ragazzo esultò. -E’ bello parlare.- rise.
-Allora tu devi essere un tipo che parla tanto.- poggiò una mano sulla fronte per proteggersi gli occhi dal sole e per guardarlo meglio.
-Lo sono.- sorrise. -E forse non dovrei vantarmene, dato che sono stato pestato per la mia lingua lunga.- rise, buttando indietro la testa.
Ella lo osservava. Come si osservano le cose belle, quelle speciali, come si osserva un libro di cui hai tanto sentito parlare e adesso non vedi l’ora di scoprirlo, di leggerlo tutto d’un fiato. E lei voleva leggere quel ragazzo, voleva sapere di più su di lui.
-Sono Calum, comunque, Calum Hood.- le porse la mano, che Ella strinse tentennando.
-Ella Mason.-
Mason era il cognome di sua madre, non che Ella l’abbia mai cercata, semplicemente non era interessata alla donna che l’aveva abbandonata, tutto qui.
-Allora Ella Mason, come mai sei qui?- chiese Calum.
-Sono qui da quando avevo tredici anni, prima vivevo all’orfanotrofio.- riprese a guardare il cielo.
Gli occhi acuti del ragazzo erano sempre attenti, erano avidi di scorgere ogni movimento, così come lui era avido di sapere.
-Capisco.- annuì. -Bella merda.-
-Già. E tu perché sei qui?-
Calum rise. -Problemi ai piani alti.-
Ella lo guardò confusa, non aveva la più pallida idea di cosa stesse dicendo.
-Nulla di importante, capricci di un adolescente.- spiegò lui.
-Anche i tuoi amici sono qui?- chiese Ella, alludendo ai due ragazzi che erano con lui in segreteria.
-Allora non hai fissato solo me, ti sei accorta anche di loro.- la ragazza arrossì, mentre Calum rise ancora una volta. Perché rideva sempre?, pensò Ella. -Comunque sì, anche loro sono qui. Capricci adolescenziali.-
-Perché ridi sempre?- chiese allora.
Calum si voltò verso di lei, tra tutte le cose che poteva chiedergli, lei scelse proprio questa domanda. Pensò quanto fosse strana quella ragazza.
-Non lo so. Mi piace ridere, rende tutto meno schifoso, credo.- rispose.
-Forse hai ragione.- sospirò. -Viviamo in un mondo schifoso, questo mondo schifoso e debole. E’ uno schifoso film dell’orrore.-
-Hai un’idea ben precisa del mondo.-
-Dico ciò che penso.-
-Ti sbagli.-
-Come?-
-Ti sbagli.- ribadì il moro. -Scommetto che non hai visto nulla di quello che c’è là fuori.-
-No, e allora?-
-E allora?- chiese, quasi scioccato. -Hai sedici anni, stai perdendo tutto ciò che c’è di bello alla nostra età. Quello là fuori è il mondo vero, fatto di persone, di negozi, di stronzi, anche, ma non è questo istituto del cazzo o l’orfanotrofio dove hai vissuto per tredici anni. Quindi svegliati, perché la vita è adesso, e se non ci pensi ora a viverla, te ne pentirai.-
Ella rimase colpita da quelle parole. Aveva ragione Calum? Una parte di lei voleva fidarsi, voleva davvero credere alle sue parole, ma le risultava difficile, come con tutti.
-Sarà, ma io sto bene qui.- disse portandosi le ginocchia al petto. Anche se portava la gonna non se ne preoccupava, le calze che indossavano le ragazze erano talmente spesse da poter vivere in Siberia.
-Tu non stai bene qui.-
-E tu cosa ne sai?- lo sfidò.
-Io penso che tu sia convinta di stare bene, perché ti accontenti di poco, ti accontenti di stare seduta qui a non fare nulla, mentre tutto intorno a te va avanti. Il mondo va avanti, va veloce e tu stai indietro.-
Calum pronunciò quelle parole guardando la ragazza negli occhi grandi e marroni.
-Okay, qual è la conclusione?- chiese Ella mentre il ragazzo si alzava. Non voleva che se ne andasse.
Calum si girò, la guardò l’ennesima volta e sorrise. -La conclusione è che io ti farò vivere.- poi se ne andò, lasciando Ella più confusa di prima.
   
 
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