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Autore: darkronin    02/09/2014    1 recensioni
Terza e ultima parte (spero) della saga 'L'ira degli Eroi'
Scopriremo, finalmente, come sono connessi tra loro Loki, Thanos e i potenti della Terra e cosa ciascuno di essi nasconda o desideri. Vedremo come i nostri eroi, finalmente riunitisi, finiranno nei guai e cercheranno di uscirne.
- - - - - - Crossover Avengers-X-men col Marvelverse più in generale (come dovrebbe essere in realtà)
- - Altri personaggi secondari aggiuntivi rispetto alla fic precedente: I nuovi personaggi introdotti in quest'ultima parte, per ora, sono solo l'agente 13 Sharon Carter, i gemelli Fenris, Ercole, Sersi, Ares, Danny Rand e Luke Cage, Polaris, Havoc, Ciclope, Sole Ardente, Cable (in minima parte).
+ Riferimenti a World War Hulk, Age of Apocalypse, Secret Invasion, House of M
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Cross-over, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'ira degli eroi'
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19. Truppe d'assalto







Come fantasmi scheletrici, letali e silenziosi, un plotone di robot raccapriccianti invase la prigione. Il ronzio dei loro processori e il movimento meccanico dei servo pistoni  ben oliati era appena percepibile.
- Identificazione intrusi: Mutanti. Affiliazione: X-Men. Operazione: Contenere o Terminare.
- Identificazione intrusi: Superumani. Affiliazione: Vendicatori. Operazione: Terminare.
- Identificazione intrusi: Umani. Affiliazione: S.H.I.E.L.D. Operazione:  Ignorare.
“Adoro quando i robot ti spiegano le loro intenzioni!” ghignò Logan prima di saltare al collo di quello più vicino. Sfoderò i suoi artigli ma quelli, come lame senza filo, scivolarono sulle curve metalliche del robot senza intaccarlo. “Fanculo!” sbottò
“Mi hanno classificato come X-Men??? Finalmente qualcuno che capisce qualcosa” giubilò Deadpool
“Fanculo anche a te!” ringhiò Logan tra i denti, allarmato dalla loro situazione e infastidito dalla stupidità del compare.
“Che succede?” domandò Rogue allarmata
“Adamantio...” replicò lui con un grugnito. “Si va di forza bruta.” la incitò. Mentre lei prendeva il volo, Logan si volse agli agenti dotati di pochi o nulli poteri “Ci pensiamo noi, voi state al riparo finché potete...” Ma le parole gli morirono in gola quando vide un secondo plotone di esseri robotici avanzare nella sala. “Ok, voi liberate gli ostaggi... tanto dovrebbero ignorarvi, per il momento. Forse il computer centrale sta cercando nella banca dati se siete con Osborne o contro di lui”
Nel frattempo, il primo plotone si era ormai attivato e da diversi altri pertugi filtrava un'inquietante luce rossa. Mentre Logan e Ororo impartivano ordini, gli altri aveano cominciato a cercare punti deboli in quelle strutture. Pietro aveva provato a fare entrare in risonanza quelle stupide macchine, rompendole dall'interno, ma non riusciva a trovare la giusta frequenza.
“Giù!” gli urlò Rogers a un certo punto, dall'altra parte della sala. Al velocista bastò una frazione di secondo per capire -e vedere- le intenzioni del Capitano. Il disco gli appariva fermo, sospeso nello spazio buio della sala. Non capiva cosa potesse quello scudo da eroe da cartolina, ma lo assecondò: un'istante prima che lo scudo si abbattesse sul robot, lui si allontanò di un passo, mettendosi al sicuro.
L'istante dopo, la testa dotata di antenne e dall'inquietante ghigno di una zucca di Halloween rotolava per terra, distaccata dal corpo: lo scudo era entrato nella giusta risonanza per indebolire il metallo. Certo, il Vibranio non avrebbe mai incontrato alcun tipo di ostacolo. Ma il robot, in risposta a quell'aggressione, stava già protendendo le mani dal cui palmo si stava sprigionando un intenso bagliore sanguigno, tutto rivolto verso Roger.
“Continua a funzionare!” Urlò il capitano sopra la calca.
Dall'altra parte della sala, anche Rogue era arrivata alla medesima conclusione. La donna usava gli arti disarticolati del robot contro di lui come clave ma quello continuava ad avanzare impietoso. “Anche la testa è armata!” urlò di rimando, pronta a proteggersi con le braccia di adamantio strappate al robot, avendo notato uno strano bagliore in quell'orrenda fessura che fungeva da bocca e, probabilmente, da altoparlante. Ma la fornace che stava per scaricare la potenza di un megawatt contro la donna fu distratta dal contraccolpo di un laser che lo sbalzò lontano.
“Si chiama Enchephalo-Beam... e quello stronzo sta usando le mie armi!” ringhiò Stark comparendo nella mischia. “Ok! L'ho copiato dal distruttore Asgardiano mandato al seguito di Thor qualche anno fa...” si giustificò poco dopo, sentendosi lo sguardo penetrante del dio pungergli la schiena.
“Sai cosa è successo?” domandò Rogers raggiungendolo. Per quanto poco potessero contro quelle macchine da guerra, gli agenti S.H.I.E.L.D. si erano rifiutati di mettersi al riparo. Jessica, Sharon e Raven armeggiavano intorno alle manette dei prigionieri, protetti da un campo di impenetrabile generato da scariche ininterrotte prodotte da Ororo.
“Osborne ha rubato progetti, idee che avevamo anche solo nella testa a me, Pym, Reed e Dio solo sa a chi altro”
“C'è un modo di fermare queste macchine?” domandò ancora Rogers mentre Bucky, lì affianco, non lesinava i colpi sferrati dal suo arto bionico: Cyborg contro Robot, difficile prevederne l'esito.
“Certo!” replicò l'altro osservando il lavoro di squadra tra Rogue, Pietro e Logan: i primi due staccavano a forza pezzi della macchina, chi a colpi di pugni, chi svitando i fermi che tenevano insieme la corazza, mentre il secondo recideva tutto ciò che svolgeva il compito di tendini e muscoli. Nonostante tutto, i singoli pezzi restavano attivi e cercavano di colpire gli aggressori con quei maledettissimi fasci di energia. “Apritemi un varco al torace!”
“Fosse facile...” ringhiò qualcuno dalla folla.
“Io, io, io!” si sbracciò Deadpool “Una spada al carbonadio può tutto!”
“Cretino! Tutto contro un mutante! Nulla contro un robot di Adamantio! Serve il vibranio! Per quello lo scudo di Cap, dove passa, recide come un bisturi!” lo rimbeccò Wolverine che insisteva nello scontro tra la lega adamantina dei suoi artigli e quella della corazza del robot.
“Detto, fatto!” sbottò Clint. “Vibranio, giusto?” chiese mentre caricava una punta al suo arco, dopo aver riposto la katana.
La freccia sibilò in aria, lasciando la corda tesa a vibrare per il contraccolpo. Il cuneo si aprì un varco nella corazza. Prima che il robot avesse modo di capire cosa stesse accadendo, il motore in miniatura issato sulla scocca cominciò a emettere un leggero ronzio e la vibrazione così scaturitane riuscì ad amplificare le crepe che si erano venute a creare nella corazza.
A quel punto, Tony si scagliò contro il robot danneggiato, assestò un pugno direttamente nella spaccatura e penetrò all'interno con uno sbuffare di stantuffi e pistoni che gli conferivano maggiore potenza distruttiva. Quindi aprì il palmo e liberò la fatina, in cui si era trasformata Janet, che stringeva in pugno “In bocca al lupo” mormorò prima di ritrarsi.
Non era chiaro se bastasse infettare un androide o dovessero operare singolarmente per ciascuno nello stesso modo: l'avrebbero scoperto presto.
All'interno del robot, Janet si fece strada tra cavi, schede madri, microprocessori, fusibili e condensatori. Una giungla tecnologica rischiarata appena dagli inquietanti relè che, qui e là, si accendevano secondo un complicato schema coreografico ma che riuscivano a schiarirle la via quanto bastava. L'essere così piccola, inoltre, la rendeva quasi cieca ed Hank aveva studiato dei dispositivi di supporto alle loro forme miniaturizzate: occhiali dalle lenti composite, dispositivi audio che amplificassero le loro voci e rendessero la frequenza umana percepibile anche dalle loro piccole orecchie. L'esempio che le aveva fatto il marito, nello spiegarle la necessità di quei dispositivi, era stato di tipo biblico. La pupilla o il canale auditivo erano come la mitologica cruna dell'ago in cui sarebbe dovuta entrare la famigerata corda e non il più famoso cammello -come aveva replicato lei a suo tempo- che, invece, era diventato sinonimo di ignoranza.
La cosa che era stata poi ripresa dagli appartenenti a quella strana cricca del club dei piccoli geni della scienza -a cui appartenevano Henry, Tony e Reed- e che usavano per insultarsi vicendevolmente al punto che gli estranei non capivano perché illustri scienziati si dessero del cammello a vicenda al posto di usare improperi molto meno velati. Janet sorrise al ricordo e riportò la mente alla spiegazione offerta dal marito.
Bisognava, quindi, far sì che la corda in questione si assottigliasse alle dimensioni di un filo, per poter essere ingugliata e, quel tipo di conversione, era ciò che la loro tecnologia, studiata su imitazione degli organi degli insetti -che erano fatti a quel modo per un motivo ben preciso- rendeva possibile.
Le forme che avevano ripreso avevano un che di artistico e Janet si sorprendeva sempre nello scoprire come la natura avesse tanti pattern così tecnologicamente avanzati e moderni, belli ed eleganti e funzionali. Non serviva guardare all'arte per avere ispirazione. I campioni di Henry erano più che sufficienti a stuzzicare la sua fantasia. I prototipi stessi, per quanto nulla avessero di artistico, avevano una certa armonia pur nella loro semplicità funzionale. Principio che era poi alla base della natura stessa.
Anche il paesaggio alieno e metallico in cui si era infilata aveva qualcosa di affascinante. Non fosse stata concentrata a cercarne il cuore per sabotarlo, avrebbe apprezzato la simmetricità degli elementi, la ripetitività degli schemi, l'apparentemente casuale fioritura di cavi e il loro intrecciarsi e diramarsi. Hank parlava spesso anche di come lo stesso schema delle connessioni sinaptiche si potesse trovare nella ramificazione di un albero o in un diagramma sullo studio delle attività sociali umane. Era davvero affascinante come la casualità potesse essere, alla fine, ordinata in schemi precisi e ripetitivi, sempre gli stessi, dal macrocosmo al microcosmo.
Finalmente, individuò la piattaforma quadrata, il cui bordo era frastagliato da innumerevoli zampette saldate a una piastra smeraldina, venata da ruscelli di un verde più chiaro.
Come previsto dal marito, Osborne aveva davvero poca fantasia e aveva lasciato inalterato ogni più piccolo dettaglio, nel timore che questo potesse compromettere l'esito finale delle sue macchine. Il cuore della struttura continuava a chiamarsi Alkema.
Janet si inginocchiò e posò a terra (o era su una parete? A quelle dimensioni la gravità diventava relativa) lo zainetto che aveva assicurato sulle spalle e ne estrasse un dispositivo grande come un atlante e che, nella sua forma, ricordava un pettine gigantesco dove il vuoto tra i denti era colmato da strisce metalliche. Era ironico pensare che, in dimensioni reali, non era più grande e leggero di un tasto del suo portatile.
Non perse tempo a contemplare l'oggetto (a casa, davanti a un microscopio, avrebbe avuto tutto il tempo che voleva): cercò l'alloggiamento e incastrò il pettine-flashdrive nella sua fessura. L'unico segno che confermò che quella cosa stava funzionando in qualche modo, fu il leggero ronzio che, dopo un sussulto d'assesto, soppiantò quello originale.

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Il momento era arrivato. Lo sentiva sibilare nell'aria e nel rombo del terreno sotto i suoi piedi. La quiete prima della tempesta stava cedendo il posto a quell'ansia ficcante, quell'adrenalina positiva, quella prontezza di riflessi che precedeva la battaglia.
Dopo ci sarebbe stato solo l'istinto forgiato da duri allenamenti e da anni di pratica oltre a una naturale propensione alla calma ragionata. Si sarebbe fatta scudo della sua nomea anche se, contro il suo avversario, sarebbe stato del tutto inutile: Thanos era superiore a questioni di facciata come un ruolo o un'appartenenza razziale.
Stava assicurando il mantello sulle spalle quando Heimdall si annunciò e, dopo il suo invito, si manifestò nella stanza. A differenza dell'alloggio del padre, arredato con il gusto e la raffinatezza propri degli Aesir che, per quanto lui professasse il contrario, trasparivano da ogni suo gesto, quello di Hela era ridotto al minimo: le pareti erano tinte di rossi cupi e drappeggiate con pesanti tende di lana, abbinate che rammentavano il calore dell'inferno nonostante la sua dimora affondasse nelle nebbie impenetrabili. Ma era il meglio che poteva ottenere in quel posto per sentirsi a proprio agio.
Altri inferni avevano la caratteristica di essere perennemente ghiacciati ma tutti avevano in comune una sola cosa, come i deserti: erano vuoti, sterminati, claustrofobici nella loro spaziosità. Invitavano alla disperazione o alla meditazione coatta, l'una e l'altra o l'una causa dell'altra a seconda dei soggetti. La sua stanza rispecchiava questo modo di vedere la vita, al di là del colore e dei materiali scelti per decorarla.
Heimdall le porse l'elmo ricco di ramificazioni come il palco di un cervo. Maggiori erano le ramificazioni, maggiore il valore della bestia “Thanos è qui!” le disse solo.
Lei annuì. Lo sapeva. Ed era pronta.
Si era preparata a quell'incontro e sapeva che solo uno di loro ne sarebbe uscito vincitore. Ma prima aveva un altro incarico, affidatole da suo padre. Strinse le labbra cianotiche per la determinazione. Se questo era il desiderio di suo padre, il re degli inganni, fare chiarezza nella propria posizione ad Asgard, l'avrebbe accontentato. Sua madre non le aveva detto nulla, al riguardo, ma serviva fedelmente la casata reale degli Aesir. A lei non era mai stato fatto alcun male. Eppure era una Jotunn e ora la curiosità divorava anche lei: chi aveva sconvolto in quel modo gli Jotnar, storicamente assoggettati alla bella Freyia, la Vanir fattasi Aesir, a cui era stata dedicata addirittura una statua nel centro di Utgardr, la capitale di Jötunheimr.
Hela uscì dal suo accampamento e vi trovò le truppe schierate in ranghi precisi e ordinati. Aspettavano solo lei. Vide la bella e bionda Amora occhieggiare il suo accompagnatore. Non per reale interesse, come poteva esercitarlo su di lei un uomo scostante e irrequieto come Thor, ma solo perché il dio Bianco rappresentava la più magnifica delle sfide: era l'unico Aesir che non si piegava ai suoi sortilegi. Questo da un lato la rendeva furiosa, dall'altra alimentava il suo spirito competitivo. Davanti ad Amora, nella fila opposta, Surtr, il nano demoniaco che aveva contribuito a produrre le loro armature di invincibile Uru.
Il volto cereo di Hela non lasciava trasparire alcuna emozione e l'elmo, che le copriva parzialmente la faccia, le infondeva il coraggio dato dal poter celarsi ad occhi indagatori.
Giunta alla fine del lungo corridoio umano, avvertì un frusciare di mantelli, tramestio di armi e cozzare di corazze, mentre le truppe si volgevano, in sincrono, a seguirla. Si fermò sul crinale formato dai resti del Bifröst, la via tremula dai molti colori, o, come amava chiamarlo lei, Asbru, il ponte degli dei. E attese.
Lo spazio infinito dei tre fiumi cosmici (Kormt, che lambiva Asgard, Kerlavgar, il fiume centrale e principale, maestoso e pieno di vita, e del suo effluente Ormt) si estendeva, spettrale e placido e sensuale davanti a lei. Adorava quel paesaggio, scuro come la pece e rischiarato da luci vive di una miriade di colori lontane anni luce. Amava tutto ciò, così diverso dalla sua dimora, e avrebbe protetto il gioiello che era Asgard dall'ingerenza di Thanos a qualunque costo.
La quiete del luogo ormai disabitato che era Asgard venne turbata dall'improvvisa apparizione di una singola nave aliena. La fusoliera era affilata ma i bordi erano morbidi e sinuosi, come se fosse stata scolpita dal flusso di innumerevoli correnti cosmiche che l'avevano modellata a piacimento per renderle il più possibile agevole il passaggio nei loro meandri in un tempo pressoché infinito di eoni.
Non avanzò oltre. Non si diresse al cuore del recinto degli dei con intenzioni ostili, come già tempo addietro aveva fatto il suo predecessore, l'elfo oscuro Malekith di Svartalfaheimr, anche se era palese la volontà di conquista da parte dell'invasore.
La nave si abbassò e attraccò. Dal fianco di metallo si snodò una passerella organiforme costellata di scintillanti luci azzurre a delinearne la sagoma, nera su fondo nero.
Dal varco appena creatosi la figura possente di un uomo dalla pelle violacea ci materializzò con sublime atteggiamento sfrontato. Avanzò di un passo, lasciando che la luce delle stelle ne delineasse i tratti massicci e quasi grotteschi. Alle spalle di Hela, l'esercito spianò le armi, pronto a intervenire al minimo cenno di pericolo. Per ora, forse, i due avrebbero solo parlamentato.









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Ok, io sto finendo i capitoli di riserva e qui, tra una cosa e l'altra, non riesco a trovare il tempo per sedermi e scrivere un capitolo... -_-
Non temete, non vi lascerò a secco!
Dunque...
Lasciando i Vendicatori a sbrogliarsela (e tanto per non far fare la figura del fesso, ecco che pure Tony è stato turlupinato), rivolgiamo la nostra attenzione a Hela per un attimo -così chiudiamo un altro GRANDE discorso lasciato in sospeso dal film-
Che dirvi? :D aspettate e vedrete :3
   
 
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