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Autore: clepp    02/09/2014    6 recensioni
Quel ragazzo era così... fisico. Preferiva esprimere a gesti ciò che voleva dire con le parole e quello era un aspetto di lui che a Gwen faceva impazzire. Lei era abituata a parlare, a confrontarsi con le persone, a litigare, urlare, sussurrare e discutere. Lui era il suo esatto opposto, così calmo e pacifico, così gentile, silenzioso delle volte e riservato, ma mai scontroso o schivo: era il perfetto equilibrio tra l’essere troppo e l'essere troppo poco.
SOSPESA
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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06
Ruined Comics






 
Josef non faceva altro che tirarsi giù la manica della felpa rossa in maniera quasi innaturale da quando suo padre Bruce era entrato in casa e si era seduto sulla poltrona al lato del divano. Il bambino cercava di stare il più distante possibile da lui: nella testa rimbombava ancora il suo tono di voce alto e imponente contro quello piccolo e morbido della madre.
Bruce gli stava parlando di una partita di calcio che Josef era stato obbligato a guardare quando invece avrebbe preferito rimanere in camera a finire di leggere il suo nuovo fumetto. Stava disperatamente cercando di seguire il filo del suo discorso, ma Josef faticava a rimanere concentrato quando qualcosa non gli interessava. La mano destra continuava a spingere la manica della felpa fino al polso in maniera compulsiva, quasi avesse paura che questa si arrotolasse e mostrasse parte del braccio.
«Josef,» lo richiamò il padre, il tono di voce duro e allo stesso tempo annoiato. «Mi stai ascoltando?» gli chiese sporgendosi verso di lui con lentezza.
Josef sussultò all’improvviso e spostò lo sguardo dal viso del padre al colore scuro del tappeto su cui erano poggiati i suoi grossi scarponi. Annuì flebilmente e il ritmo con cui si toccava la felpa sembrò aumentare.
«Ecco qua!» la voce calda di Gretel riempì il silenzio della sala e i muscoli di Josef si rilassarono impercettibilmente.
La bionda poggiò sul tavolino un vassoio sul quale giaceva un piatto stracolmo di biscotti al cioccolato. Con un sorriso che voleva mandare via la tensione del momento, Gretel si sedette accanto al figlio, anche lei a debita distanza dall’ex compagno.
Dopo che avevano litigato, la settimana prima, il comportamento scontroso di Bruce sembrava essersi intensificato ancora di più nei confronti del figlio. Non era ciò che voleva Gretel e, come era solita fare quasi sempre, si incolpò per aver permesso una cosa del genere.
Avevano litigato per un motivo sciocco, futile: Gretel si era stufata di dover obbligare Josef a vedere delle stupide partite di calcio così che poi ne avrebbe potuto discutere con lui e Bruce si era scaldato senza motivo. Aveva cominciato ad inveirle contro sottolineando l’importanza di infondere al bambino quel tipo di educazione, altrimenti sarebbe venuto su tutto rose e fiori per colpa sua.
«Josef,» la voce dura di suo padre lo richiamò una seconda volta. Josef si obbligò a portare lo sguardo sul viso dell’uomo anche se era l’ultima cosa che voleva fare.
«Ti ho fatto una domanda.» continuò in un modo che solo lui aveva il coraggio di usare con un bambino piccolo come Josef.
Gretel guardò prima suo figlio e poi l’ex compagno.
«Ci sono i biscotti, Bruce.» replicò cercando di mantenere la conversazione su un livello civile. Il biondo strinse le mani attorno ai braccioli della poltrona e non disse niente. Per quanto potesse essere severo, a volte riusciva a darsi dei limiti.
Josef giocherellò per l’ultima volta con la manica della felpa prima di sporgersi verso il tavolino e prendere un biscotto dal piatto stracolmo. Lo stesso fece Gretel, che lanciò un’occhiata folgorante a Bruce per intimarlo di fare lo stesso. Questo non lo fece.
«Come va la scuola, Josef?» chiese invece e il bambino si mosse scomodamente sul divano, osservando malinconicamente il suo biscotto non ancora toccato.
Si schiarì la voce prima di rispondere: «Bene, papà.» rispose flebilmente. Bruce sporse la testa in avanti.
«Alza la voce, Josef.» scattò e Gretel gli lanciò un’altra occhiataccia.
«Bene, papà.» ripeté con voce poco più decisa.
Bruce roteò gli occhi e incrociò le braccia al petto: più passava del tempo con suo figlio, meno riusciva a capirlo. Era l’esatto opposto di lui quando era un bambino, sempre pronto a giocare e a fare disastri, sempre con un pallone in mano o qualche amico accanto. Così i bambini dovevano essere, secondo lui, non come quello che aveva davanti, sempre rinchiuso in camera a leggere qualche fumetto e a guardare qualche stupido film di fantascienza.
«Domani sera c’è la partita più importante del campionato.» continuò allora, cambiando argomento. «Ricordati di fargliela guardare, Gretel.» si rivolse alla bionda intenta a sorridere gentilmente a Josef e a mangiare il proprio biscotto.
Ecco perché suo figlio era una vera e propria femminuccia, la colpa era della madre. Con i suoi modi sempre troppo gentili, con i suoi sorrisi, le sue cure, non faceva altro che rovinare quel bambino. Le uniche cose di cui aveva veramente bisogno erano degli amici maschi e di un pallone da calcio, nient’altro.
«La guarderà se ne avrà voglia,» ribatté la donna duramente, spostando l’attenzione di nuovo su di lui. Era incredibile come la sua espressione cambiasse da Josef a Bruce, sembrava quasi che ci fossero due persone diverse nello stesso corpo.
«La guarderà punto e basta.»
Josef ricominciò a toccarsi la manica della felpa, stringendo forte il tessuto e abbassandolo fino a quasi coprire l’intera mano. Lo sguardo basso era fisso sul suo biscotto intatto. Udì Gretel rispondere a suo padre e subito dopo la  sua voce tonante farsi sempre più alta. Riuscì soltanto a vedere il gesto di sua madre che gli diceva di andare in camera prima di alzarsi e fare come gli aveva detto.
-
Gli occhi di Zayn erano semichiusi e puntati sulla nebbiolina che vagava disperdendosi davanti a lui. Con la sigaretta incastrata tra i denti, allungò una mano e la agitò all’interno della nuvola di fumo, facendo in modo che questo si muovesse con più rapidità. In sottofondo udiva la voce di Louis che parlava al telefono con un qualche nuovo cliente.
Erano le quattro del pomeriggio e sull’agenda non era segnato alcun appuntamento, per quel motivo Zayn si era sdraiato sul lettino e si era acceso una sigaretta. Non avrebbe dovuto fumare in negozio, come gli aveva ripetuto una decina di volte Louis, ma fuori faceva troppo freddo e lui era troppo stanco per alzarsi.
Zayn iniziò a canticchiare un motivetto sconosciuto mentre pensava e ripensava a quello che era successo due giorni prima.
Gwen era decisamente una ragazza inusuale: forte, decisa, arrogante, ansiosa e completamente folle. Era esagerata in ogni sua azione, ingigantiva qualsiasi cosa e si arrabbiava per niente. Ma era bella, odorava di buono, ed era intelligente. Simpatica, arguta e piena di carisma.
«Dovrei chiamarla?» la sua voce uscì prima che lui potesse pensarci. Louis si interruppe per un attimo, preso alla sprovvista, poi continuò a parlare al telefono.
Zayn aspettò che lui finisse la sua telefonata prima di porre nuovamente la domanda.
«Dovrei chiamarla?» chiese ancora, a voce più alta ma meno decisa. Forse stava parlando più a se stesso che all’amico.
In risposta ottenne del silenzio: Louis probabilmente si stava appuntando la data, l’ora e il nome del cliente che aveva appena telefonato. Solo dopo qualche minuto rispose.
«La mora dell’altra sera?» chiese, ma la sua sembrava più una domanda retorica. Zayn annuì.
Fu sorpreso di ricevere in risposta un secco “si”.
«Tu dici?» chiese piegando la testa di lato mentre il fumo usciva lentamente dalla sua bocca.
«Si, Zayn.» sospirò Louis. Si alzò dalla sedia e fece il giro della scrivania, fermandosi ad un passo dall’amico. Con un gesto veloce gli rubò la sigaretta dalle mani e, dopo aver preso un tiro, la spense nel portacenere accanto al lettino. «Si, dovresti farlo.»
«Perché sei così sicuro?» scattò Zayn con voce seccata. Si tirò su a sedere e si passò una mano tra i capelli corti.
«Perché le pochissime volte che mi hai posto questa domanda, quella ragazza era da chiamare.» replicò Louis, sedendosi sulla sedia accanto al lettino e prendendo in mano la macchinetta dei tatuaggi, smontando gli aghi sporchi che aveva usato una decina di minuti prima.
Zayn grugnì in risposta e tornò giù, appoggiando la schiena sul lettino con un tonfo. «Stronzate...» mormorò sovrappensiero e la sua mente cominciò a vagare agli anni passati quando era più piccolo e più inesperto in fatto di donne. Aveva avuto due ragazze serie in tutta la sua vita, una l’aveva mollato perché non era “in grado di sopportare più la sua mania per i tatuaggi” e l’altra l’aveva tradito con uno dei ragazzi più popolari della scuola. Zayn non ci aveva particolarmente sofferto, soltanto per orgoglio e per il fatto che quelle ragazze erano davvero delle fighe. Ci teneva, certo, ma non nel modo in cui è giusto tenerci.
«Vi ho visti andare via insieme l’altra sera,» continuò Louis, tutto concentrato sugli aghi da pulire, ancora una volta con addosso gli occhiali di Zayn. «Sono quasi sicuro che non abbiate fatto niente. Perciò è una di quelle ragazze da chiamare.» il tono di voce lieve e indifferente che stava usando mandava Zayn in collera. Odiava quel suo lato così saccente e sotuttoio. Sbuffò seccato e si passò di nuovo la mano tra i capelli.
«Come sai che non me la sono portata a letto?» chiese roteando gli occhi.
Louis si fermò per un attimo dal pulire gli aghi con uno straccio e gli lanciò un’occhiata sinistra. «Lo so e basta.» rispose e Zayn decise di far cadere l’argomento.
Si alzò dal lettino e si stiracchiò le braccia. «Io vado Louis, quando hai finito di pulire gli aghi ricordati di ritirare i disegni nel quaderno prima di chiudere tutto.» non sapeva nemmeno perché glielo stesse ricordando dato che il puntiglioso Louis non avrebbe mai dimenticato niente. Lui infatti annuì appena e si tolse gli occhiali per passarli a Zayn.
«Sarebbe ora di andare a fare una visita oculistica.» mormorò sbuffando.
Fin troppa gente stava usando i suoi occhiali, da Louis a Gwen e anche se la cosa non gli dava fastidio, erano comunque i suoi occhiali da vista. Che se li comprassero!
In realtà, che Louis se li comprasse! Gwen poteva indossarli quando voleva.
Gwen. Cosa doveva fare? Avrebbe dovuto chiamarla? Oppure aspettare ancora qualche giorno giusto per non sembrare un disperato? Che giorno era? Lunedì... nessuno chiama di lunedì per chiedere un appuntamento, è da sfigati.
Zayn mantenne la stessa espressione crucciata, sopracciglia inarcate e naso arricciato, fino al parcheggio dove stava la sua macchina. Ci entrò e accese immediatamente il riscaldamento, sfregandosi le mani per darsi un po’ di calore.
L’avrebbe chiamata. Non voleva sprecare un’occasione del genere. Tirò fuori il telefono e cercò nella rubrica il numero di Gwen: doveva ringraziare il piccolo Josef se adesso poteva chiamarla.
Aspettò qualche secondo prima che dall’altra parte della cornetta un fruscio indicò che Gwen aveva risposto.
«Pronto?»
Ogni volta che sentiva la sua voce scopriva una sfumatura diversa da quelle che aveva ascoltato la volta precedente. Adesso per esempio, era rauca e frettolosa, Zayn riusciva a percepire la confusione nel suo tono di voce.
«Gwen? Sono io, Zayn.» disse e cominciò a giocherellare con le chiavi della macchina già inserite nel quadro. Dall’altra parte della cornetta si sentì un rumore indistinto e subito dopo quello di una portiera sbattere.
«Oh,» rispose, «Ciao.»
Zayn udì il motore di un auto accendersi e di nuovo un rumore indistinto.
«Ti disturbo?» chiese, perplesso.
Gwen non rispose subito.
«In realtà,» disse e fece una pausa. «Si.»
Zayn trattenne a stento un sorriso: quella franchezza era uno dei suoi tanti difetti che davvero gli piaceva. Anche lui era così, schietto e limpido come l’acqua, perciò apprezzava quella caratteristica anche in lei.
«Allora ti richiam-»
«Cazzo!» Gwen lo interruppe di colpo e sembrò quasi che il telefono fosse caduto per terra o dovunque lei si trovasse. «Cazzo, cazzo.» ripeté più volte prima di riprendere in mano il cellulare e rendere la sua voce più nitida.
«C’è qualcosa che non va?» chiese Zayn, confuso e allo stesso tempo leggermente preoccupato. «Gwen se stai guidando dimmelo così riattacco immediatamente.» non gli piaceva l’idea che lei guidasse con il cellulare in mano, era una cosa che non sopportava.
«Sono già le quattro e cinque, cazzo.» sbottò e Zayn poteva quasi immaginarla se socchiudeva un po’ gli occhi.
«Sei in ritardo per qualcosa?» domandò inevitabilmente, mordendosi la lingua poco dopo. Dall’altra parte della cornetta nessuno rispose e i suoni arrivarono attutiti per qualche secondo, dopodiché la voce di Gwen ritornò chiara.
«Si, Josef è uscito da scuola cinque minuti fa, e io ho ancora venti minuti di strada fino alla scuola. Cazzo!»
Zayn dovette allontanare il telefono per non rimanere sordo da quell’ultima imprecazione.
«Posso passare a prenderlo io.» propose cauto, per paura che lei prendesse quell’offerta nel verso sbagliato. «La scuola è a cinque minuti da qui. Se mi sbrigo anche tre.»
Ancora silenzio dall’altra parte. Zayn riusciva a sentire il rumore delle macchine che arrivavano dal telefono e il respiro leggermente irregolare di Gwen.
«No, no. Ci manca solo che ti vede fuori scuola! Non preoccuparti, cercherò di sbrigarmi. Ciao Zayn.» e riattaccò, senza dargli il tempo di salutarla.
Zayn gettò il telefono sul sedile del passeggero e fece partire la macchina. Prima di immettersi nella strada, però, non poté fare a meno di ripensare a ciò che Gwen gli aveva appena detto.
Josef era uscito da scuola già da cinque minuti, sette adesso, e Gwen ci avrebbe impiegato ancora venti minuti per raggiungerlo. In quel lasso di tempo sarebbe potuto succedere di tutto, e Josef avrebbe potuto pensare qualsiasi cosa. Zayn non voleva intromettersi di nuovo in quella famiglia e soprattutto non voleva peggiorare la situazione con Gwen, non ora che si erano “riappacificati”. Ma non poteva nemmeno tornare a casa con il pensiero di Josef solo davanti alla scuola con la paura di essere stato dimenticato. Non dopo averlo conosciuto e aver capito quanto in realtà quel bambino fosse disperatamente solo.
Con un sospiro, al semaforo in fondo alla strada quando solitamente girava a destra per tornare a casa, svoltò a sinistra. Riusciva già a sentire gli insulti di Gwen per non averla ascoltata.
-
Zayn parcheggiò in uno dei tanti posti vuoti nel parcheggio di fronte alla scuola elementare di Boston. Spense l’auto e prima di scendere diede un’occhiata in giro. Il cortile della scuola era deserto, fatta eccezione per un gruppo di quattro o cinque mamme appostate fuori dal cancello intente a chiacchierare e spettegolare. Non c’era traccia di nessun bambino biondo dall’aria infelice o impaurita.
Scese dall’auto e s’incamminò verso l’entrata della Barkley Elementary School, guardandosi sempre intorno per riconoscere il bambino. Superò il gruppo di mamme le quali non risparmiarono delle occhiatine curiose nella sua direzione: cosa ci faceva un ragazzo tatuato in quel modo in una scuola elementare?
Zayn le ignorò e andò avanti. Nel cortile non c’era traccia di Josef. Decise di entrare nell’istituto.
Salì i gradini e spinse la grande porta in vetro che portava nell’atrio principale. Fece vagare lo sguardo tutt’attorno e quando lo puntò davanti a se riuscì a scorgere la piccola figura di un bambino alla fine dello stanzone. Aveva capelli biondi ed era chino per terra, intento a raccogliere qualcosa.
Zayn fece qualche passo nella sua direzione e capì che era Josef quando vide per terra due fumetti.
Gli si avvicinò lentamente, studiando prima la situazione: il suo zaino era buttato per terra e dall’apertura erano fuoriusciti quasi tutti i libri, molti dei quali si erano aperti, piegando le pagine. Anche l’astuccio era stato aperto e il contenuto riversato sul pavimento. Un pennarello era senza tappo e Zayn capì perché: sulla copertina di uno dei fumetti era stato scritto “perdente” con quello stesso pennarello nero.
I suoi muscoli raggelarono ma continuò a camminare verso il bambino, incapace di fermarsi, incapace di non aiutarlo.
«Josef!» mormorò piano, per non spaventarlo. Il bambino alzò gli occhi azzurri e indifesi verso di lui e Zayn rimase senza fiato: non aveva mai visto tanta tristezza in occhi così belli e innocenti. Erano lucidi, ma non c’erano lacrime a rigare le sue guance paffute. Con un fremito, Zayn pensò che probabilmente non era la prima volta che aveva dovuto gestire quel genere di situazione.
Con cautela si chinò davanti a lui e gli sorrise calorosamente, allungando le mani verso un paio di libri per risistemarli nello zaino.
«Hai un gran bello zaino, lo sai?» gli disse, con il tono di voce più gentile che riuscisse ad usare. Non era il caso di chiedergli cosa fosse successo, perché era chiaro. Il modo migliore per affrontare la situazione era farlo distrarre per un attimo da ciò che era appena successo.
«Grazie.» rispose lui flebilmente, così tanto che Zayn faticò a sentirlo.
«Io ne avevo uno verde, ma faceva davvero ribrezzo. Non era un verde scuro, ma uno di quei verdi brillanti che ti abbagliano quasi. Me l’aveva comprato mia madre, e non potevo di certo rifiutare di portarlo. Così ogni giorno mi presentavo a scuola con questo zaino verde fluo e tutti mi pregavano di comprarne un altro perché quello li accecava ogni volta che passavo davanti a loro.» si sforzò di ridere ma la risata gli uscì naturale quando anche Josef si aprì in un debole sorriso. In un attimo le grandi mani di Zayn avevano ritirato tutto nello zaino e nascosto il fumetto pasticciato in tasca senza farsi vedere. Si portò lo zaino in spalla al posto di Josef e si alzò dal pavimento, porgendogli una mano per fare lo stesso.
«Zia Gwen ha avuto un imprevisto ma dovrebbe essere qui a momenti. Vuoi andare fuori ad aspettarla?»
Josef annuì appena e, a capo chino, seguì Zayn fino all’uscita.
Quando furono fuori al freddo, Zayn vide Josef fermarsi di colpo e subito dopo riprendere a camminare.
«Cosa c’è?» chiese curioso. Il biondo scrollò le spalle e indicò con un gesto vago della mano il gruppo di donne di fronte a se. Zayn vide che in mezzo a loro c’erano due bambini che prima non aveva neanche notato: erano entrambi alti e fin troppo robusti per la loro età. Non ebbe bisogno di fare altre domande perché aveva già capito tutto.
Ci volle tutta la sua forza di volontà per non andare incontro a quei ragazzini e riempirli di schiaffi fino a fare entrare in quella loro grossa testa sproporzionata il concetto di “rispetto”.
Stava quasi per dire a Josef di lasciare perdere e di ignorarli, perché erano solo degli stupidi bulletti che non avrebbero concluso niente nella loro miserabile vita, ma uno dei due si voltò verso di loro e fissò la sua attenzione su Josef. Lentamente, gli angoli della sua bocca si alzarono verso l’alto e la sua espressione si fece divertita.
Zayn strinse gli occhi. Prese la mano di Josef e lo guidò giù per i gradini, diretto verso il gruppo di donne. Non appena scesero l’ultimo scalino, la figura affrettata di Gwen comparve dal cancellone aperto e richiamò lo sguardo di Zayn che era rimasto puntato sul bulletto per un tutto il tempo.
La ragazza stava quasi correndo e il suo respiro era irregolare.
Indossava un paio di jeans, una camicia verde scuro e un cardigan pesante. I suoi capelli erano stati raccolti in una treccia a lato e i suoi occhi grigi si spostarono prima su Josef e subito dopo su Zayn. La sua espressione si irrigidì inevitabilmente.
«Ti avevo detto di non v-» incominciò ma una semplice, eloquente occhiata di Zayn la fece tacere in un attimo. Senza nemmeno pensarci due volte la sua attenzione si spostò nuovamente su Josef, il quale non riusciva nemmeno a sforzare un sorriso.
«Cosa è successo?» scattò immediatamente e la sua mano si allungò verso Josef per abbracciarlo.
«Niente,» rispose Zayn. Voleva davvero fargliela pagare a quello stupido bambino, ma adesso che Gwen era arrivata, non gli pareva il caso di affrontare la situazione in quel momento. Non dopo che aveva visto cosa poteva fare quella ragazza se qualcuno toccava Josef. Probabilmente avrebbe preso quel bambino per i capelli, senza nemmeno dare peso al  fatto che fosse davanti a sua madre, e l’avrebbe obbligato a chiedergli scusa. Doveva ammettere che quell’immagine lo faceva in qualche modo sorridere.
Zayn sapeva come gestire la situazione perché era in grado di controllare il suo nervosismo e parlare civilmente anche se dentro stava ribollendo, ma Gwen no.
Lei gli lanciò un’occhiata confusa, chiedendogli implicitamente cosa fosse successo, ma Zayn chiuse la questione scuotendo la testa.
«Ho proprio voglia di una cioccolata,» disse invece, battendo le mani e sorridendo verso Josef. «E scommetto che ne vuoi una anche tu, ometto.»
Gwen non poté evitare di irrigidirsi nell’udire quella proposta: si era detto che voleva Zayn lontano dal bambino, e già si era pentita di aver abbassato la guardia qualche sera prima a causa dell’alcol, ma non poteva opporsi proprio in quel momento, quando non sapeva che cosa stesse succedendo e l’unica persona che poteva informarla fosse proprio lui.
Non trattenne un sorriso quando l’espressione triste di Josef si incrinò un po’, lasciando spazio ad un flebile sorriso.
«Cioccolato sia, allora.»  
-
Dopo aver riportato a casa la sua macchina, Gwen e Josef salirono su quella decisamente più sportiva di Zayn che li aveva seguiti fin sotto casa.
Il tragitto verso il bar del centro fu silenzioso e quasi imbarazzante. Gwen era troppo presa a pensare a cosa fosse successo a Josef per poter aprire bocca, mentre Zayn aveva capito che non era il caso di parlare perché sapeva che non avrebbe ricevuto risposta da nessuno dei due.
Gwen aveva un vago ricordo dell’odore che impregnava i sedili di quella macchina. Aveva indossato per tutto il tragitto dal bar a casa gli occhiali da vista del ragazzo, perciò i suoi occhi erano rimasti chiusi e non aveva potuto vedere molto, ma l’odore di pelle e di fumo che aleggiava in macchina le era entrato dentro. Non poteva credere di essere stata così stupida da aver accettato di uscire con lui e di averlo perdonato per essersi messo di nuovo in contatto con Josef quando lei gli aveva specificatamente detto di non farlo. In qualche modo, però, nel profondo – molto nel profondo – era quasi stata felice di aver bevuto quella sera, perché se non l’avesse fatto probabilmente non avrebbe mai avuto il coraggio di mettere da parte per un attimo il suo orgoglio e fare il primo passo.
Decise che quella era l’ultima volta che beveva. Odiava non avere il controllo della situazione e dei suoi impulsi: era quasi sicura che avesse quasi cercato di baciarlo.
Il ricordo le fece portare una mano in fronte e scuotere debolmente la testa. Idiota.
Zayn le lanciò un’occhiata ma non disse nulla.
Quando arrivarono davanti al bar Zayn li lasciò davanti all’entrata del negozio mentre lui andava a parcheggiare.
Gwen si strinse nel cappotto e alzò il colletto del giubbino di Josef così da non fargli entrare nessuno spiffero di vento.
«Mi dispiace di aver tardato, Josef.» gli disse.
Josef rimase in silenzio con lo sguardo puntato sulle sue scarpe, come sovrappensiero. Solo dopo qualche secondo alzò le spalle e abbozzò un debole sorriso nella sua direzione.
Gwen non poté evitare di sentirsi in colpa: qualunque cosa fosse successa era successa a causa del suo ritardo.
«Non fa niente.»
Zayn arrivò giusto in tempo. Entrarono nel piccolo bar caldo e andarono a sedersi in uno dei pochi tavoli liberi in fondo alla stanza. Lui ordinò tre cioccolate con panna per tutti e tre mentre Gwen cercava di creare un contatto visivo con Josef per capire cosa provasse.
«Devo andare in bagno,» si alzò il bimbo all’improvviso. Senza aspettare una risposta si diresse verso la toilette.
Gwen cominciò a giocherellare con il piccolo menu lasciato sul tavolo. Zayn la stava guardando. Lo sguardo terribilmente serio.
«Mi dispiace di non averti ascoltato.» disse, attento, dosando con cautela le sue parole.
Gwen alzò lo sguardo verso di lui e si morse l’interno della guancia: cosa doveva fare? Essere arrabbiata con lui per non averla ascoltata o esserne invece grata?
Sospirò pesantemente e si sistemò la treccia sulla spalla.
«Puoi dirmi cosa è successo?» gli chiese, il tono di voce incrinato e quasi supplichevole.
Fu il turno di Zayn di sospirare. Si sedette meglio sul divanetto in pelle e puntò le iridi sfumate in quelle chiare di Gwen, inumidendosi le labbra prima di cominciare a parlare.
«Sono arrivato a scuola e Josef non era fuori in cortile.» iniziò. «Così sono sceso dalla macchina e sono entrato dentro. Alla fine dell’atrio ho visto un ragazzino chinato sul pavimento e all’inizio non ero sicuro fosse lui. Poi mi sono avvicinato e l’ho riconosciuto.» fece una breve pausa, prendendo un respiro profondo. «Per terra c’era il suo zaino e sparsi attorno c’erano i suoi libri. Il contenuto dell’astuccio era stato gettato sul pavimento e sopra uno dei suoi fumetti qualcuno ha scritto “perdente”.» con un gesto lento tirò fuori dalla tasca il fumetto pasticciato e lo porse a Gwen. Lei lo accettò con mani tremanti e quando lesse ciò che era stato scarabocchiato sulla copertina, il sangue iniziò a ribollirle nelle vene. Odiava i bambini, li detestava. Erano così subdoli, cattivi. Come potevano fare una cosa del genere ad un ragazzino come Josef?
«Gwen,» la richiamò Zayn. «Tu sapevi che a scuola è preso di mira?» le chiese incrociando le mani sul tavolo. Lei scosse debolmente la testa, stringendo tra le dita il fumetto.
«Non credo sia la prima volta. La sua calma sta ad indicare che ci è abituato.» continuò lui cautamente.
Gwen chiuse gli occhi e si morse il labbro inferiore: doveva dirlo a Gretel quella sera stessa. Non era una cosa da prendere alla leggera, soprattutto con tutti i problemi che aveva Josef.
«Io non...» bisbigliò. «Che schifo.» esalò in un respiro forzato. Stava cercando di controllare la sua rabbia, ma non era facile, non quando l’unica cosa che voleva fare era tornare a scuola e cercare chiunque avesse fatto quella cosa e fargliela pagare.
«Già.» concordò Zayn.
Il loro discorso fu interrotto momentaneamente dall’arrivo delle tre cioccolate calde. Gwen si guardò attorno per controllare se Josef fosse uscito dal bagno.
«Aspettiamo ancora un paio di minuti. Se non arriva vado a cercarlo.» propose Zayn, l’intonazione della sua voce rassicurante e il suo sorriso caloroso. «Lasciamogli un po’ di tempo.»
Gwen non l’avrebbe mai ammesso ma era grata che fosse lì in quel momento. Era grata che fosse andato a scuola a prenderlo e l’avesse rassicurato mentre lei non c’era. Gli era grata, con tutta se stessa. Tutti i dubbi che aveva avuto su di lui, le sue cattive intenzione, la sua falsa bontà, erano stati spazzati via dalla realtà dei fatti. Era davvero uno dei ragazzi più gentili e buoni che avesse mai conosciuto. Aveva un cuore grande, poteva scorgerlo sotto il tessuto della maglietta bianca.
«Se avessi bevuto un po’, probabilmente in questo momento farei cadere la facciata da ragazza orgogliosa e ti ringrazierei.» mormorò abbassando lo sguardo sul fumo sprigionato dalla cioccolata calda. «Ma dato che sono perfettamente lucida, non lo farò.»
Lo sentì ridacchiare e quando parlò era sicura che stesse sorridendo: «Non c’è di che.»
Gwen non poté spegnere il sorriso che era spuntato sulle sue labbra.
Rimasero in silenzio per un po’, mentre entrambi gustavano la cioccolata e lanciavano occhiate costanti al bagno.
«Sono passati cinque minuti.» scattò Gwen dopo poco, alzandosi all’improvviso. Zayn sospirò e la seguì lungo il corridoio verso la toilette.
Prima che lei potesse irrompere con impeto dentro il bagno dei maschi, la superò e gentilmente le posò una mano sulla spalla. Le sorrise e aprì lui la porta del bagno.
La stanza era vuota, ma non silenziosa.
Pesanti singhiozzi arrivavano chiaramente da una delle cabine chiuse, afferrando il cuore di Zayn e stritolandolo come in una morsa. Gwen sentì le gambe vacillare, ma non esitò nemmeno un secondo e seguì Zayn all’interno della stanza, diretto verso la porta chiusa della cabina.
Lui l’aprì con calma, preparandosi già mentalmente a ciò che avrebbe visto.
Josef era rannicchiato accanto al wc, le piccole mani erano premute contro i capelli e il viso era nascosto dalla ginocchia piegate contro il petto. Le spalle erano scosse dai singhiozzi e dal pianto. Non alzò lo sguardo per vedere chi fosse appena entrato, perché già lo sapeva.
Semplicemente si limitò ad avvolgere le braccia attorno le spalle di Zayn e a nascondere il viso nell’incavo del suo collo quando lui lo prese in braccio portandolo verso l’uscita, chiudendogli il mondo fuori solo per un attimo.

 
 








Buonasera a tutti :)
Non potete capire quanto sono felice di aver postato questo capitolo oggi. Credo sia uno dei miei preferiti tra quelli che ho già pubblicato, e spero che piaccia a voi tanto quanto piace a me! Mi sa che è uno dei capitoli più lunghi che io abbia mai scritto nella storia di efp, ahahah
Allora, analizziamo le vicende passo per passo.
Prima di tutto, la scena con Bruce. Come ho detto in precedenza la sua presenza non sarà costante e la sua importanza sarà secondaria, ma avrà un impatto non indifferente nella vita di Josef. Come avrete notato, il bambino si sente davvero impotente quando sta con il padre e presenta segni di costante nervosismo. Questo suo aspetto "morboso" verrà approfondito più avanti.
Successivamente entra in scena il nostro eroe della situazione, mister Malik, che inizialmente è indeciso se chiamare la nostra bella fanciulla, Gwen, ma che poi, spinto dal fedele compagno Louis, decide di farlo. Quando scopre che Gwen è in ritardo e Josef è da solo a scuola, il suo lato buono decide di avere la meglio e quindi va a soccorrere il piccolino.
Spero davvero che la scena tra lui e Josef vi sia piaciuta, perchè io ho adorato scriverla. Volevo far trasparire un po' del carattere del bambino che si, può sembrare debole, ma che in realtà è forte. Basta guardare la sua calma quando Zayn l'ha trovato a raccogliere le sue cose.
Poi arriva Gwen... la nostra piccola, impulsiva Gwen. I suoi pensieri sono contrastanti: cerca di concentrarsi su Josef, ma non può fare a meno di deviare la sua attenzione anche su Zayn. Cerca di nascondere il fatto che sia felice di aver accettato di uscire con lui, ma in realtà non ci riesce proprio. Naturalmente si incolpa per aver permesso che a Josef succedesse una cosa del genere, e questo senso di colpa verrà approfondito soprattutto nel prossimo capitolo!
L'ultima scena mi ha distrutto psicologicamente, nonostante l'abbia scritta io ahahah vi giuro, mentre scrivevo mi immaginavo quel fagottino di Josef che veniva preso in braccio da Zayn e che si rannicchiava contro di lui per trovare un po' di conforto. Stavo male fisicamente ahahah
Spero con tutto il cuore di non aver deluso le vostre aspettative! E come sempre vi ringrazio moltisimo per le belle parole che mi lasciate ad ogni capitolo! Siete fantastici!
Un bacio,
clepp :)




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