Fanfic su artisti musicali > Arctic Monkeys
Segui la storia  |       
Autore: HeySoul    03/09/2014    1 recensioni
Si limitava a studiarla da lontano, qualche volta. In una moviola di capelli disordinati ed espressioni concentrate, di gambe accavallate deliziosamente e i suoi calzini al ginocchio a farla sembrare più giovane.
Genere: Commedia, Generale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Turner, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questo è il capitolo per cui ho cambiato rating. Ci sono solo lievi accenni di violenza ma, a mio parere, non abbastanza per il rosso.
Come sempre, buona lettura!



Chapter Five
 
“You were a stranger in my phonebook I was acting like I knew
'Cause I had nothing to lose.”

 
«Siamo arrivati troppo presto, forse dovremmo tornare semplicemente più tardi.» Matt Helders riusciva ad essere come una piccola coscienza fastidiosa, a volte, si disse Alex. Anche lui, di tanto in tanto, si sentiva d’agire per il suo bene ma quella sera sapeva che l’amico fosse nel torto. Non vedeva Eileen da qualche giorno, niente di preoccupante, solo i rispettivi impegni li avevano trattenuti lontano dal nascondiglio candido di lei, dove erano soliti passare il tempo. In occasione della prima giornata libera che condividevano dopo quel breve periodo di distacco, lei li aveva invitati, entrambi, a cena. Aveva assicurato qualcosa di speciale e della cucina che non li avrebbe delusi. Italiano, aveva ripetuto al telefono. A lui era sembrata un’idea carina, per nulla fuori di posto, ma era quasi sicuro che, anche se avesse promesso loro qualcosa di totalmente imprevisto e strano, sarebbe stato contento di accettare. Voleva stringerla fra le braccia, sentire il profumo di acqua di rose e rivedere il colore dorato dei suoi capelli. Matt aveva accolto quella richiesta con piacere, adulando con qualche parola vaga la ragazza e i suoi modi gentili di fare, ripiegando poi su un discorso sul cibo e sull’educazione nell’accettare gli inviti. C’erano tanti argomenti di cui entrambi avrebbero voluto parlare, tutti riguardanti Eileen, ma nessuno dei due aveva scucito più di qualche informazione vaga. Il batterista percepiva la sensazione di disagio che era evidentemente legata alla storia precedentemente discussa delle chiamate senza risposta nel cellulare di Eileen, e decise in tacito accordo con se stesso di non dover esporre il problema finché l’amico non se la fosse sentita. Alex, dal canto suo, non poteva vantare un quadro intero della situazione, molti pezzi fondamentali mancavano ancora e le sensazioni negative legate a quei pomeriggi di silenzio erano come una ferita aperta, troppo sensibile per essere esposta alla luce.
Nonostante questo i due si ritrovarono ad essere seduti fianco a fianco, sui sedili dell’auto di Matt, quasi maniacalmente tenuta in ordine all’interno e con la carrozzeria sempre lucida. Avevano appena accostato, poco lontano dall’appartamento di Eileen, proprio dove Alex era solito parcheggiare la sua moto in quell’ultimo mese. Ed erano rimasti incastrati in quei dettagli sull’orario e sul disturbo, poiché erano in ampio anticipo e Matthew si sentiva un poco a disagio al pensiero di vedere il proprio amico perdersi in un incontro romantico con la sua ragazza.
«Non dire cazzate, Matt. Da quando ti importa di queste cose?» Il tono di Alex era studiato per quelle occasioni, in una confidenza sviluppata durante tutti gli anni passati assieme, prima sui banchi di scuola e poi in giro per il mondo, con il gruppo. Servendosi dell’indice si sistemò meglio gli occhiali dal sole sul naso, per poi scendere dall’auto senza aggiungere nient’altro. Sentì l’amico sbuffare appena contrariato ma lo vide seguirlo senza l’aggiunta di lamentele.
Il sole stava calando sulla città proprio in quel momento ma l’illuminazione artificiale era già stata accesa, formando delle ombre grottesche sui marciapiedi. E il freddo invernale pungeva senza sosta, arrossando i nasi dei bambini e intorpidendo le dita del cantante. Alex pensò qualcosa riguardo l’uso delle sciarpe, che avrebbe giovato senza dubbio alla sua gola, preservando la voce, ma una scena si stava svolgendo davanti ai suoi occhi, distraendolo nell’immediato. Avvertì l’amico, al suo fianco, irrigidirsi e lo sentì chiaramente imprecare a denti stretti. Ma Alexander non percepiva più il proprio corpo, e la sua mente pareva mandargli segnali da molto lontano. Si sentiva avvolto nella nebbia, per un tempo non quantificabile. Poteva vedere le luci spostarsi e i suoi piedi muoversi da soli, con un consenso non logico. L’unica cosa che percepì con chiarezza fu l’adrenalina nelle vene, che copriva ad intermittenza un dolore lacerante alla mano. Poi la tempesta spazzò velocemente via il torpore, collegando la propria coscienza con la realtà. Aveva colpito uno zigomo con una forza che pensava di non possedere, poteva sentire l’osso sotto le proprie nocche, la forma di denti oltre la pelle. Ogni muscolo del suo corpo si contorceva per la rabbia ma la voce della propria ragazza lo costrinse a fermarsi dal procedere con un secondo colpo. I fatti si susseguivano ad una velocità tale da frammentare tutto, ricordando uno di quei vecchi film dove la pellicola salta in un suono muto. Alex poté avere l’immagine di Eileen sul marciapiede, con i lineamenti storti in un’espressione di paura mista a sofferenza. Era stato così felice di vederla, poco prima, anche se quel sentimento non era durato più di qualche secondo. Il ragazzo che lei chiamava Eric le aveva urlato qualcosa contro, parole marce ed insulti, mentre Eileen lo affrontava con la tipica forza femminile, il mento all’insù e lo sguardo severo. Eppure gli era sembrata ancora più piccina stretta nel proprio cappotto rosso, sovrastata dalla figura maschile di fronte a sé. Le risposte erano sembrate coerenti anche da lontano, e forti, nonostante gli occhi lucidi che riflettevano le luci delle insegne al neon.
«Non sei Dio, Eric! Non puoi decidere su questo e soprattutto non puoi dirmi cosa fare! Non ti appartengo e mi devi stare alla larga!» Aveva detto, mostrando tutta la forza del mondo, imitando un piccolo uragano. Ma l’uomo davanti a lei sembrava aver l’aria meschina anche a distanza, dietro i lineamenti mascolini molto belli. Alex si era semplicemente messo a correre prima di verificare se il rumore che il suo udito aveva percepito fosse uno schiaffo o solo un tonfo sordo, di una caduta – o entrambi? E l’aveva colpito, senza badare alla differenza di corporatura e statura. Ma adesso lo sconosciuto si stava velocemente riprendendo dalla sorpresa iniziale, indurendo lo sguardo e sfoderando anche lui un destro. Alexander avvertì il dolore al viso, sentendo ogni nervo tirare, ogni cellula urlare e il percorso netto del taglio che si faceva strada sul suo labbro inferiore. Eileen, ancora stesa a terra, emetteva versi d’orrore, sconnessi, cercando di allontanarsi strisciando più indietro. Matthew avanzò velocemente, senza tardare più di un secondo, avvicinandosi con l’intenzione di dare spalla all’amico, forse preparandosi allo scontro. Ma alla sua vista, lo sconosciuto venne preso da un senso di destabilizzazione notevole, tanto da compiere alcuni passi indietro, giusto un momento prima di darsela a gambe. Urlò qualche insulto sconnesso ai ragazzi e qualcuno più chiaro ad Eileen, mentre una folla di curiosi e gente sensibilmente spaventata li guardava.
«Maledizione Eileen! Stai bene?» Fu Alex a riprendersi per primo dallo stato di shock, grazie ai riflessi accuratamente tenuti svegli dall’adrenalina in corpo, precipitandosi quasi subito dalla ragazza.
«I-io penso di essermi storta la caviglia. Alex, hai bisogno di ghiaccio!» Provò ad alzarsi, sostenendosi con le mani alla meno peggio, ma senza ottenere un risultato diverso da un sospiro mozzato, solo per ritornare alla posizione iniziale.
«Entra, stiamo dando spettacolo. Ci penso io.» Gli disse Matt, con fare pratico, spingendo via con delicatezza l’altro per poi posizionare un braccio sulla piega delle ginocchia e uno dietro le spalle della ragazza, prendendola in braccio per facilitare l’uscita di scena. Nonostante i muscoli delle braccia tesi, il peso della ragazza non risultava davvero un problema, non quanto lo sguardo sperduto dell’amico, che pareva seguirli solo per inerzia. Ed era vero, Alex era disperso nei pensieri di sollievo, tranquillizzato dalla certezza che quella bestia d’essere umano avesse sì, spinto Eileen, ma non l’avesse toccata in altro modo. Il suo viso era perfettamente integro; era sicuro che non avrebbe retto a vederla con le stesse macchie violacee che probabilmente stavano già comparendo sul proprio zigomo. Sapeva di dover risolvere quell’enorme punto interrogativo e tutta quella faccenda prima che potesse degenerare ulteriormente, ignorandola ancora, ma in questo momento si disse che aveva altre urgenze.
Si fecero strada fino all’appartamento della ragazza, mentre si scambiavano occhiate preoccupate con Alex.
«Non so cosa dire, grazie Matt, davvero.» Gli disse quando lui l’aiutò a posarsi sul divano dalla stoffa candida. In risposta ricevette solo un cenno del mento, mentre il ragazzo cercava di adocchiare il congelatore sotto indicazione di lei. Alex le si sedette a fianco, prendendo ad aiutarla a sfilarle gli scarponcini, in modo da fare spazio al sacchetto di ghiaccio. Ignorava completamente le lamentele di lei, disperso e assente. Continuava ad avere l’impellenza di farla stare bene, nonostante fosse evidente che la propria, di condizione, avesse la priorità. E i pensieri si accatastavano nella sua mente, distraendolo in modo preoccupante.
«Ehi, Alex. Sto bene, okay?» Lo rassicurò lei, fermando il suo gesto di posarle il ghiaccio sulla caviglia. Gli si avvicinò, accarezzandogli leggermente la parte del viso sana e poggiando il sacchetto dall’altra, in un gesto delicato, e sussurrandogli parole come “ecco, il ghiaccio”, “ti fa male?” e “grazie”, decine di volte.
«Non dà un pugno a qualcuno da anni, e non ne incassa da altrettanti. E l’ultima volta era ubriaco, ‘Leen.» L’altro ragazzo cercava di tagliare quell’aria densa di domande, riportando un poco di ironia nella stanza, riscontrando persino l’effetto sperato da parte di Alex.
«Non ero ubriaco! E se ti ricordi bene ho vinto io.»
A quel punto Eileen si concesse una breve risata, sentendo la tensione scivolare un poco dai propri nervi, mentre continuava a prendersi cura del ragazzo, con carezze e il freddo del ghiaccio a lenirgli il gonfiore. Gli occhi grandi di Alex apparivano molto più attenti, tanto da sollevarlo dalla spessa malinconia che aveva intorpidito i suoi lineamenti, rendendolo apatico per un breve periodo. A quel punto Matt era riuscito a recuperare dell’altro ghiaccio, prendendosi la briga di posizionarlo sulla caviglia della ragazza, gonfia e probabilmente dolorante. Lei decise saggiamente di non lamentarsi, pur essendo piuttosto propensa ad insabbiare la propria condizione; si limitò ad uno sguardo di ringraziamento.
A quel punto il batterista diede un’occhiata ad entrambi, assicurandosi sulla loro salute, prima di congedarsi dichiarando di voler prendere dell’altro ghiaccio e qualcosa da mettere sotto i denti, visto che ormai era diventato ovvio che Eileen non fosse in grado di cucinare. Non si trattava solo di salute fisica, nemmeno nel caso di Alex: erano tutti sensibilmente scossi, chi con i propri ricordi, chi con interrogativi a cui porre rimedio. Ma l’assenza di Matt lasciò spazio alla comparsa di Lana. La ragazza aveva infatti fatto il suo ingresso nell’appartamento dopo del rumore di nocche sul legno della porta e lo scrociare metallico delle chiavi. Le due non condividevano la casa, Eileen viveva solo insieme alla gatta – che adesso li guardava sospettosa, da lontano – e si era presa velocemente il tempo per spiegare che si fidava di Lana fino al punto di poterle dare libero accesso al proprio nido sicuro. Alla vista del volto violaceo del cantante ci fu un’immediata reazione di ilarità, un sorriso divertito ed un sopracciglio alzato, curioso, ma che venne frettolosamente rimpiazzato dapprima con del sospetto e poi con orrore. Aveva così abbandonato la posizione composta da un gomito su un fianco, allo scopo di precipitarsi dai due, quantomeno per delle spiegazioni.
«Vi prego, ho bisogno di sentire che non è stato quello stronzo di Eric.» Aveva già adocchiato la posizione da invalida di Eileen, costretta a tenere la gamba distesa e la caviglia poggiata con attenzione su un cuscino morbido, oltre che circondata dal sacchetto di ghiaccio. Quest’ultima sospirò, abbassando lo sguardo vergognosamente.
«A dire il vero penso che il suo nome sia stato proprio Eric.» Quindi fu Alex a rispondere, non senza evidenziare la severità dell’argomento, successivamente rilassò i lineamenti, continuando:
«E grazie per l’interessamento.» Poiché Lana si era precipitata ad accarezzare i capelli dell’amica, senza badare ad esternare pareri al ragazzo, il cui portava la testimonianza dello scontro sul viso.
Lana lo ringraziò, concedendogli un’espressione seria e della vera sincerità, a cui lui rispose con un gesto del mento. Eileen, nel mentre, era tornata ad accarezzare il ragazzo, disegnando col dito qualcosa di indefinito sui jeans scuri di lui. Una volta ritrovato il coraggio di incontrare lo sguardo dell’amica, fu pronta a raccontare l’accaduto, iniziando dall’atto di essere stata spinta e dall’arrivo di Alex. Aveva volutamente omesso la conversazione precedente con la gravità di quel ricordo che le scuriva maggiormente gli occhi, ritornando poi ad avere il viso basso, nascosto dai capelli che le ricadevano sulle guance, e ai suoi giochi invisibili.
«Non ti pensavo così coraggioso, Turner. Ma questo è l’unico commento ironico che mi sentirai dire stasera, perché ne riconosco il contrario.» E per questo Lana dovette letteralmente sforzarsi, essendo una tipa molto orgogliosa, ed infatti mantenne il mento per aria, gonfiando il petto senza davvero rendersene conto. Allora Alex sollevò un sopracciglio, lasciandosi andare ad una breve risata che gli illuminava lo sguardo.
«Ehi, Eileen, allora il tuo mastino è davvero domestico.»  Perché non poteva sottrarsi l’occasione di punzecchiarla, almeno un poco. E poi là dentro l’aria aveva bisogno di farsi meno densa, almeno per dare una tregua ad ognuno di loro. Ma la ragazza appena nominata sorrise debolmente, alzando lo sguardo solo per un istante, portando ad allarmare i due, che si scambiarono a loro volta delle occhiate interrogative. La risposta non tardò comunque, perché fu proprio la diretta interessata a tagliare il silenzio.
«Penso di doverti delle spiegazioni, Alex.» E guardò prima Lana, cercando un sostegno che arrivò con veloce gesto del capo. Un consenso e un tacito segno di appoggio, mentre prendeva fra le braccia Medea, che si era fatta meno timida e – pensò Alex – che voleva dare il suo supporto, con le fusa e i suoi occhietti verdi attenti.
«Non farlo, se non ti senti pronta o non vuoi, piccola.»
«Voglio farlo, e non solo perché devo.» Un sospiro, una lunga pausa. Si riposizionò meglio sul divano, senza spostare troppo la caviglia dolorante. Alex sentì un bisogno quasi fisico di toccarla, così incrociò le proprie dita con quelle della mano di lei, nivee ed affusolate.
«Stavo finendo l’ultimo anno di liceo quando l’ho incontrato.» Stava parlando di Eric e questo era chiaro a tutti, così come lo era ancora prima che iniziasse a parlare, ma quel discorso spingeva Alexander a sentirsi strano, quasi stanco.
«E Lana non ha tutti i torti a dire che sono innocente e non so badare a me stessa perché me ne innamorai, molto stupidamente, come se fosse stato scritto da qualche parte. In poco tempo mi ritrovai in un ambiente davvero poco sano, intrappolata in una relazione che non era altro che una bugia. Mi urlava contro spesso, anche senza ragione, e continuava ad essere fastidiosamente ubriaco, ad ogni appuntamento.» La gatta aveva preso un veloce slancio per saltare verso la padrona, posizionandosi sul suo grembo a ronfare. Eileen si concesse di affondare una mano in quel pelo nero che pareva essere fatto di nuvole, tanto si presentava morbido al tatto.
«E questo è andato avanti per anni. Senza contare tradimenti e continue bugie. Le sue preferite erano le promesse, raccontarmi che avrebbe smesso e sarebbe cambiato, diventando migliore.» Continuò a raccontare, il più del tempo tenendo lo sguardo basso. Parlò meglio del primo periodo, in cui ancora era solo un’adolescente spaurita, e poi si perse in alcuni dettagli su Eric, finendo con gli ultimi giorni della loro storia insieme. Ci teneva a mettere in chiaro che fosse soprattutto grazie all’amica se aveva raccolto abbastanza coraggio da uscire da quel tunnel di emozioni negative, madri di ricordi tristi. Il tono della sua voce era parecchio incrinato rispetto ad inizio discorso, e in più quella non suonava veramente come una conclusione. Ma lei non aggiunse nient’altro. Lana si era portata un ginocchio al petto, stringendolo senza emanare un particolare stato d’animo, sulla poltrona posta di fronte al divano dove, invece, i due si guardavano tradendo tutto uno spettro di emozioni. Alex, durante il racconto, non era riuscito a trattenersi dal passare le dita fra i propri capelli, tradendo più disagio di quanto avrebbe voluto. Perché quella storia era assurda e, semplicemente, non riusciva – o non voleva – figurarsi Eileen in tutta quella situazione. Perché lei era dolce e premurosa, così piccina avvolta nei suoi cappotti e nelle calze al ginocchio oltre gli stivali; le lentiggini a farla sembrare bambina e la forza nello sguardo a renderla donna. Era quello di più caro da proteggere, un uccellino con l’ala spezzata, ed immaginarlo nell’inverno più rigido gli dava la nausea.
«Dimmi che gli hai assestato un destro come si deve, Turner.» Se ne uscì improvvisamente Lana, riportando i piedi sul pavimento e sporgendosi, puntando i gomiti sulle cosce. Nonostante cercasse di mostrare calma, un occhio attento avrebbe potuto facilmente notare la rabbia nei lineamenti, e nel modo eccezionalmente studiato di muoversi. Per tutta risposta l’altro le mostrò le proprie nocche, violacee quanto lo zigomo. Si guadagnò un sorriso soddisfatto, mentre Eileen si perdeva ad accarezzare con un’attenzione morbosa la gatta. A quel punto si sentì chiaramente bussare, così Lena si congedò per qualche minuto, con la pretesa di dover aprire.
Eileen si destò dal suo stato quasi assonnato e frettolosamente si sporse in avanti, tanto da poter sfiorare con il proprio respiro il collo del ragazzo.
«E poi ho conosciuto te, Alex. Ed era passato così poco tempo che pensai di non poter reggere nemmeno la prima sera. Ma hai raccolto i pezzi, uno ad uno, e mi sentivo – mi sento – bene. Davvero.» E si avvicinò alla sua bocca, iniziando un bacio che sapeva di salato, di lacrime forse. Lui si ritrovò a stringerla più forte. Il dolore sullo zigomo diventava una sensazione lontana, così come le voci dei due in corridoio. Era avvolto dalla dolcezza tipica di Eileen, capendo, allo stesso tempo, di poter convivere con l’amaro di quelle confessioni.
«Sono qui, piccola.» Le sussurrò all’orecchio, la voce più calda che mai fosse uscita dalle sue labbra, per poi baciarla ancora, e ancora. E Lana aveva probabilmente avuto la brillante idea di tenere Matthew sulla porta con presentazioni prolungate più del necessario, per concedere loro qualche minuto da soli. Ne avevano bisogno più di quanto loro stessi avrebbero mai pensato. Stringersi per un secondo di troppo, scambiarsi carezze di labbra esigendo il bacio successivo, sentire il corpo caldo dell’altro solo per assicurarsi che fosse veramente lì.
Quando gli altri due rientrarono nella stanza, Alex ed Eileen si stavano sussurrando qualcosa, a voce troppo bassa per poter distinguere qualche parola anche da una manciata di metri di distanza. Matt gli interruppe, non preoccupandosi eccessivamente di disturbare l’amico, piuttosto facendo notare le sue compere. Lana, dietro di lui, teneva fra le mani dei cartoni di pizza, con su disegnato un uomo con dei folti baffi neri.
«Ho portato qualcosa per gli sfortunati piccioncini.» E detto questo mostrò il sacco di ghiaccio e una bustina probabilmente proveniente dalla farmacia in fondo alla strada. All’interno vi era una pomata per i tagli di Alex e delle fasce per comprimere la caviglia di lei. Si presero cura uno dell’altro, come avevano fatto fino ad ora. E mentre Lana scambiava qualche battuta con il batterista, Eileen passava la crema nei punti più critici del viso dell’altro, con una delicatezza tale da non provocargli nemmeno un piccolo fastidio. Fu Alex poi a fasciarle stretta la caviglia, prendendosi anche il tempo per passare il pollice sopra la linea del calzino candido, proprio sotto il ginocchio dell’altra gamba. Quei gesti assomigliavano a parole mai dette, e come tali perfette, che confortavano i due ragazzi con tacite promesse. Non avevano bisogno di nulla, se non della compagnia reciproca dell’altro. Per Alexander lei era una musa, ispirazione continua nelle notti più buie, proprio come una nota nel silenzio profondo. Da quando l’aveva incontrata, quella prima sera, sotto le luci arcobaleno del locale – quelle che la rendevano un quadro astratto – era riuscito a mettere su diverse melodie per le canzoni del nuovo album. Proprio come quell’accordo sulla sua Fender gracchiante, le dita ad accarezzare l’anima dell’oggetto, facendole cantare quello che a parole non riusciva ad esprimere. E per Eileen tutto quello era ordine nel suo piccolo mondo disastrato, un nido oltre le mura di quella casa. L’amore le dava forza, più di quanto avrebbe mai immaginato, dopo i suoi precedenti. Perché era creato sulle basi di carezze mattutine e balli curiosi il pomeriggio, di maglie troppo larghe e cieli blu. Perfino Matthew e Lana se n’erano accorti, anche se distratti dal nuovo discorso e dalle risate generali. Nonostante i due innamorati fossero piuttosto ridotti male, uno col viso violaceo e l’altra con l’impedimento di camminare senza essere sostenuta, gli amici non riuscivano veramente a figurarseli separati, non quando continuavano a sussurrarsi qualcosa con voci soffuse. E forse si sentivano un poco fuori posto, in quel luogo vissuto da notti d’amore, ma riuscirono a cavarsela, eliminando il ricordo di quel racconto. E quando la mezzanotte scoccò allineando le lancette, i due amici decisero che lasciarli riposare assieme fosse la scelta migliore. Prima di chiudersi la porta alle spalle, Lana si prese qualche minuto per salutare l’altra, chiamandola tesoro come suo solito. E mentre Alex si perdeva a ricordare all’amico di spostare quel servizio fotografico fra due settimane, per dare tempo ai lividi sul viso di guarire, Eileen si sporse vero la ragazza, parlando con voce bassa e misurata.
«Devo dirglielo.»
«Non pensi che le informazioni già dette siano abbastanza da digerire in una sola giornata?» Quando nel viso della più grande si dipingeva quell’espressione di serietà, cancellando ogni traccia d’ironia, si poteva intuire facilmente che la faccenda fosse importante, da prendere con giudizio.
«E continuare a trascinare tutto questo per settimane?» Quando l’innocenza lasciava spazio alla forza adulta nello sguardo di Eileen, Lana si stringeva sempre un poco nelle spalle con un fare indifeso che non le apparteneva. Perché la ragazza sembrava sempre più vecchia, e quasi ci si poteva figurare una piega sulla pelle, proprio lì, alla fine della linea dell’occhio destro. La gravità e le preoccupazioni la spingevano a crescere in fretta, mentre i tratti del viso erano ancora quelli d’una bambina. Lana dovette arrendersi, annuendo infine severamente, con un veloce e secco movimento del mento. Si concesse poi di baciare l’amica sulla fronte, chiedendole se avesse voluto sostegno, per accertarsi che entrambi non cadessero a pezzi.
«Penso di poterlo fare da sola, e a lui servirà del tempo.» Spiegò, dopo aver scosso la testa lentamente. Così le due si lasciarono, proprio nel momento in cui il ragazzo fece l’ingresso nella stanza.
«Così siamo arrivati vivi alla fine di questa giornata, mh?» Le disse, passandosi le mani fra i capelli che non avevano più una vera piega, con ciuffi sparsi ad uscire dalla formazione iniziale e voluta.
«Suppongo di sì.» Concesse lei, muovendosi con attenzione per appoggiare i piedi sul pavimento, che non era veramente freddo ma che la fece rabbrividire lo stesso. Eileen percepiva quella fitta acuta di quando si sforza un arto che dovrebbe stare al risposo, mentre cercava di alzarsi, poggiando il peso maggiormente sull’altro piede.
«Che fai, dolcezza? Non sforzare la caviglia.» La ammonì, pur non potendo fare a meno di vezzeggiarla. Accorse al suo fianco, avvolgendole la vita con il braccio, ponderando l’idea di sollevarla direttamente, anche senza il suo consenso.
«Ce la faccio, davvero. Il ghiaccio ha aiutato tanto, è molto meno gonfia e meno dolorante.» E così dicendo fece qualche altro passo in avanti, cauto. Alexander non poté fare a meno di sostenerla, nonostante gli fosse stato implicitamente chiesto di non farlo. L’aiutò ad arrivare al bagno, e nel momento in cui la vista della ragazza venne interrotta dal legno chiaro della porta, sospirò gravemente. Si concesse poi qualche minuto in compagnia della gatta, che l’aveva preso in simpatia durante i pomeriggi passati in quella casa, servendole del latte ed osservandola lappare rumorosamente.

Eileen si prese qualche minuto per sé, per poi posizionarsi di fronte allo specchio. Si accorse di essere tremendamente stanca solo in quel momento, notando le ombre scure sotto gli occhi e la pelle più pallida del solito. I suoi capelli avevano perso quella luce che li faceva sembrare grano maturo in una calda mattina d’estate, lasciando spazio ad un colore opaco. Infilò le dita fra le ciocche, sforzandosi di riportarli all’ordine, ma senza successo. Si sciacquò il viso, concentrandosi sui suoi respiri e poi sulle parole che avrebbe detto a lui. Tutta quella storia incominciava a sembrare assurdamente triste, tanto da preferire mentire, fuggire via e preservare il ragazzo da una notizia simile, piuttosto che mettere in evidenza quello che, ne era sicura, avrebbe finito per crepare la superficie del loro rapporto. Una notizia che avrebbe dovuto renderla felice, in un altro tempo, in altre circostanze. Teneva ad Alexander con tutta se stessa, sapeva di amare il respiro prima del bacio tanto quanto perdersi nel contatto stesso, e non ricordava di essere mai stata accarezzata con tanta attenzione quanto quella delle sue mani ruvide. Si rendeva però conto di saper dominare il proprio amore, capendo quanto fosse disposta a sacrificarsi per il bene dell’altro, di avere il coraggio di ritirarsi se la relazione si fosse rivelata un qualcosa di troppo complicato, costruito più su basi malinconiche che sui momenti di dolcezza.
Si guardò allo specchio per un altro minuto, osservando la sua espressione di fastidio quando poggiava il piede sul pavimento. Le labbra generose si arricciavano fino a diventare una linea sottile e delle strane pieghe le increspavano la pelle del naso, rendendo grottesche le lentiggini scure. Si stropicciò gli occhi, capendo solo in quel momento di non essersi mai truccata quel pomeriggio, per via dell’imprevisto. E ancora si sentì stanca, più di tutto. Il peso che gravava sulle sue spalle non era stato ancora tolto ed era piuttosto sicura che, nel momento in cui ne avrebbe parlato con Alex, sarebbe diventato solo più pesante, se non tagliente. Non riusciva a racimolare il coraggio necessario, anche se si accorse di avere già la mano posata sulla maniglia della porta. Sentì i passi dell’altro farsi convinti, più vicini. Prese un profondo respiro.

Alex sentì chiaramente lo scricchiolare tipico delle porte provenire dal corridoio. Diede un ultimo buffetto affettuoso a Medea, vezzeggiandola ancora una volta e sorridendo apertamente quando lei si dimostrò affettuosa con lui, ricambiando il gesto, spingendosi contro la sua mano e miagolando soddisfatta. Si mosse dalla sua posizione rannicchiata, in equilibrio sui talloni, prendendo a dirigersi verso dove sapeva avrebbe trovato Eileen. Questa volta, si disse, l’avrebbe aiutata a suo modo per spostarsi, capendo di non poter resistere ancora alla bugia sul poco dolore alla caviglia, né tantomeno alle espressioni di fastidio che le si dipingevano sul viso senza il suo consenso. Così le si avvicinò convinto, mettendo in chiaro quel punto prima che lei potesse anche solo pensare di precederlo.
«Coraggio, Eileen. Ti porto in braccio e no, non è un offerta.» Addolcì il tono di voce per non sembrare severo, poiché quella era solo premura. Lei gli sorrise debole, ma annuendo piano dandogli il consenso. Così, come aveva già fatto notti prima, caricò il suo peso sulle braccia. Per quanto avesse un fisico diverso dall’amico Matthew, più magro e decisamente più inglese, si accorse di non star facendo molta fatica, grazie anche al corpo minuto di lei. Eileen gli avvolse un braccio intorno al collo, mentre si serviva dell’altra mano per sfiorargli il taglio sulle labbra con il suo modo di non farlo davvero. Gli lasciò poi un bacio nell’angolo opposto della bocca, scaldandogli il cuore per quella dolcezza infinita che lasciava trapelare da gesti come quello.
Alex l’adagiò sul letto, stando ben attento alla posizione della caviglia per non toccarla, né tantomeno mandarla a contatto col pavimento. Medea fece la sua comparsa, ronfante come se qualcuno la stesse accarezzando, strusciandosi poi sulle gambe del ragazzo.
«Adoro Medea, è molto dolce. Ti somiglia molto, anche nei modi di fare. Ovviamente contando il fatto che lei sia un gatto, certo.» Riferì, perdendosi un attimo ad osservare i movimenti sinuosi della creatura dal pelo notturno. Quando sollevò lo sguardo lo fece con un allarme velato. Eileen solitamente amava perdersi a vezzeggiare la sua fedele compagna ed educata coinquilina, prendendosi tutto il tempo per raccontare qualche aneddoto divertente, ricordando quella volta che l’aveva portata al guinzaglio e il periodo in cui si era viziata al punto da pretendere solo un determinato tipo di crocchette per gatti. Ma tutto quello che fece fu annuire, lentamente e solo una volta, chiudendo gli occhi per la stanchezza e forse anche per non incontrare lo sguardo di lui. Così Alex prese a chiederle se avrebbe preferito mettersi subito a dormire, volendo aggiungere anche che la vedeva molto stanca, ma non fece a tempo poiché lei lo interruppe, portando una mano avanti.
«Non ti ho detto tutto, stasera.» E lo disse con voce talmente bassa e spezzata, prendendo un respiro lungo prima dell’ultima parola, che Alex non ebbe il coraggio di respirare a sua volta per un momento che gli sembrò infinito. Si accorse di stare trattenendo quel naturale bisogno solo quando dovette annaspare per la ricerca d’ossigeno. Si affrettò poi a raggiungerla, sedendosi al suo fianco e precipitandosi sul suo collo.
«Non voglio sapere, non importa. Eric può andare al diavolo.» Le sussurrò con la voce più struggente che avesse usato da anni, se mai l’avesse davvero fatto. Quelle confessioni gli prelevavano tutta l’energia di cui disponesse, e a quell’ora, dopo un pomeriggio passato come era passato, non pensava di poter reggere qualcos’altro. Ma lei congelò il proprio sorriso, continuando però ad accarezzare il profilo della mandibola di lui.
«E’ importante, Alex. Non posso rimandare oltre.» Mantenne la dolcezza nella voce ma lo sguardo rimase incastrato in un’espressione di serietà. Così lui dovette uscire dal nascondiglio fra le spalle e il collo di lei, controvoglia. Si accorse di avere improvvisamente sonno, di volere solo poggiare il capo sul cuscino e cadere in uno stato di pace, privo di sogni. Ma, al contrario, spalancò gli occhi scuri per prestare attenzione. Puntò lo sguardo dapprima sugli occhi di lei e poi sulle sue labbra rosee, aspettando le parole così importanti da non poter essere rimandate alla mattina seguente.
  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Arctic Monkeys / Vai alla pagina dell'autore: HeySoul