La
reincarnazione
Cos’era
quel silenzio?
Sotto la
maschera da un foro rettangolare si intravvedevano i suoi occhi acuti e
castani,
protetti grazie
al vetro dalle scintille ardenti che guizzavano di qua e di la andando
ad
estinguersi sul suo bancone, per terra, a volte persino sul tessuto
della sua
maglietta bianca macchiata di lubrificante per motori.
Che
cos’era quel silenzio?
Non era
del tutto assente il rumore, anzi, i suoi attrezzi da lavoro
producevano stridi
acuti e fastidiosi.
Non era
il silenzio della mancanza di rumori ma della mancanza di parole.
Gettò
l’ennesima occhiata al piccolo.
Era
rimasto nella stessa identica posizione di due ore fa, con la schiena
compressa
al muro con il piglio
troppo serio e grave per un bambino della sua età.
Sembrava
sempre così assorto nei suoi pensieri, sempre perpetuamente
riservato, lo
vedeva sempre li, spesso seduto con le braccia incrociate intento in un
attenta
analisi di pensieri, che dalla sua espressione parevano cupi, e
rabbiosi.
Lo vedeva
nei cortili quando passava a dargli un occhiata, ostinandosi a credere
che non
potesse cavarsela da solo e che, come tutti i bambini, prima o poi,
avrebbe
fatto una stupidata a
cui sarebbe stato
difficoltoso porre rimedio, ma lui era sempre li, nella solita postura,
col
solito atteggiamento distaccato, di colui che si rifiuta di avere
contatti con
il mondo per un evidente insofferenza e disgusto verso i suoi abitanti.
Faceva parte dello sfondo dei giochi di ragazzini.
Aveva una
gamba raccolta vicino al petto su cui posava il braccio arcuato, mentre
l’altra
era distesa e impediva il passaggio all’imboccatura del
corridoio dove si era
appostato per non essere troppo disturbato dallo sfrigolio degli
strumenti da
lavoro del “padre”.
La coda
era abbandonata a terra e non dava segno di volersi muovere come invece
aveva
fatto per interminabili minuti, sferzando l’aria e battendo
sul pavimento con impazienza e nervosismo.
Avrebbe
voluto qualche parola da lui, invece del solito sdegnoso silenzio.
Mai
neanche col capo si era voltato verso la sua postazione mostrando
interesse per
qualche suo gesto, non aveva sputato neanche un ingiurioso e sarcastico
insulto.
Quel
bambino possedeva un arroganza mai riscontrata in un moccioso.
-Credo
che dovresti darti una regolata- insinuò lui riferendosi al
suo atteggiamento
esageratamente irriverente e ingrato.
La coda
riprese a battere al suolo.
-Tu
credi?-
-Si, io,
credo- replicò lui diffamato, rispondendogli con lo stesso
veleno nel tono
pronunciando “io”.
Si scostò
il casco dalla faccia asciugandosi con il dorso della mano il sudore
trattenuto
dalla protezione.
Vegeta
sapeva che in considerazione della sua troppo giovane età
non poteva spingersi
oltre un certo limite con le parole in presenza di un adulto.
Si girò
verso il colloquiante; i capelli ingrigiti avevano aderito alla fronte
spaziosa
e segnata da rughe profonde.
Le
braccia forti, non ostante l’età non
più verde, potevano ancora lavorare, e in
fondo, era lui che gli aveva dato una casa.
-Tu credi
troppo vecchio-
Si sfilò
i guanti da lavoro sudici di ungente per motori, scostò gli
attrezzi per far
posto e li sbattè con veemenza sul bancone.
-Mai una
volta che mi chiamassi papà…-
ringhiò
quasi tra se e se dando un calcio alla
cassetta degli attrezzi sotto il suo sedile per scendere senza
rischiare di
inciampare.
La custodia
proseguì il tragitto fino al muro andando a sbattere a pochi
centimetri da
Vegeta, che rimase del tutto indifferente allo schianto del contenitore
contro
il muro.
Una
chiave inglese cadde dalla cassetta rossa.
-E perché
dovrei?...- insinuò –Non sei mio padre- lo disse
quasi con un sottile e
studiato godimento, nonostante avesse poco più di sei anni
non sembrava nient’affatto
titubante davanti agli adulti.
-Modera i
toni signorino-
Lo
chiamava sempre così…Vegeta aveva cominciato a
pensare che si trattasse di un
nominativo denigratorio conferitogli dal fatto che, se non fosse nato
con
quell’affare appena sopra le natiche, avrebbe occupato una
posizione sociale ben
più elevata rispetto a quella attuale.
Era un
continuo e perpetuo rinfacciamento della sua sfortuna, che non gli
sfiorava
minimamente l’orgoglio… mai.
Inutile
rimpiangere ciò che non aveva mai avuto, e che certo non
desiderava
ardentemente avere.
Si vedeva
a prima vista che la sua natura restia e misantropa non ne avrebbero,
in
futuro, fatto un uomo che potesse vivere in un ambiente del genere,
dove la
gente era incline a sperticarsi in discorsi futili, pettegolezzi;
sarebbe stata
una vita che non gli poteva calzare per nulla.
Quella
situazione si confaceva molto di più alla sua indole
riottosa e indocile;
queste caratteristiche non avrebbero prestato ne a lui ne alla sua
famiglia una
buona reputazione nella società.
Vegeta
inoltre non era il tipo da intrattenere rapporti, non aveva alcuna
predisposizione a dilungarsi in conversazioni, si rifiutava di avere
qualunque
contatto verbale con i suoi coetanei, evitando con cura di essere
immischiato
in sciocchi giochi, e una certa tendenza, poco diplomatica davvero,
a… venire
alle mani.
Glielo si
leggeva in faccia, ogni volte che schiudeva un occhio per assodare se
la
situazione nel cortile vicino fosse cambiata o no, si vedeva che
fremeva dalla
voglia di fare a botte.
Inoltre,
all’età di sei anni, aveva sviluppato un
indifferenza tale da renderlo capace
di sostenere anche la vista di un cadavere nel bel mezzo della strada.
Immagine
che aveva, per davvero, impresso nella mente chiara e nitida come un
fotogramma,
ma che non sembrava aver generato in lui alcun disgusto o averlo
sconvolto in
particolar modo, come se fosse la norma per lui.
Con un
dito iniziò a far girare la chiave inglese su se stessa.
Una
musica ad un volume smodato scandita da sordi botti prodotti dalla
consolle di
un dj riempì il quartiere all'improvviso.
Uno
sparo…
Vegeta
conosceva l’espressione allarmata ed esagitata del vecchio;
lo vedeva sbarrare
gli occhi sul punto dove stava guardando.
Stavolta
li aveva fissati sul saldatore appoggiato sul tavolo accanto a uno
straccio
lercio.
Lo vedeva
seguire ciò che accadeva con l’udito con un
attenzione tale che avrebbe potuto
ricreare nella sua mente tutte le scene.
Si
ripetevano sempre uguali come da copione.
Il rumore
dell’acqua gettata ai bordi della strada dalle ruote.
Lo
sbattere di una portiera.
I passi
sull’asfalto limaccioso.
Le urla
sguaiate.
Le
risate.
E allora
sembrava rianimarsi, risvegliarsi da uno stato di vigilanza attenta e
psicotica.
Ogni
volta che quell’espressione compariva sulla sua faccia lui
era il momento di uscire.
In quel
particolare frangente Vegeta obbediva sempre al vecchi; i guai non lo
spaventavano,
anzi, lui era l’unico bambino che non avesse avuto
paure con cui
non potesse convivere e che non si fosse sentito bisognoso di elargire
le
proprie
preoccupazioni.
Come
tutti i mocciosi si risvegliava da brutti sogni: ansimava per un
po’, strizzava
le coperte dentro ai suoi pugni rischiando di strapparle, con la coda
rigida e
la bocca secca, ma non aveva mai voluto spiegare in cosa consistessero
le sue
visioni notturne, ne aveva voluto indagare sullo strano sapore di
metallo e
terra che degustava in bocca al risveglio.
Quando
cominciavano a percepirsi i suoni elettronici della musica, sul
momento, strategicamente
il vecchio faceva in modo di aver bisogno di qualcosa, rompeva apposta
la
bottiglia del latte e ordinava a Vegeta di andare a rimediarne
un'altra,
fingeva
di aver perso un saldatore e gli chiedeva di procurarsene uno in
qualunque modo
lo trovasse lecito.
A volte
acconsentiva anche a fargli compiere crimini pur di farsi procurare
qualcosa di
cui aveva provvidenzialmente fatto in modo di aver bisogno o che non
gli
serviva affatto.
Vegeta
aveva intuito che lo faceva a beneficio suo, ma non poteva capirlo del
tutto,
in
fondo, era un bambino.
Ma questa
volta il vecchio non aveva il tempo ne di inventare scuse, ne di
cacciarlo
fuori di casa a forza.
-Vegeta!-
ordinò in tono secco indicando il retro del tavolo da lavoro.
-Vieni
qui!-
Si alzò
con una lentezza che il vecchio non tollerava.
-Vieni
qui cazzo!-
Una volta
che fu abbastanza vicino, rudemente, lo sospinse giù dietro
il bancone
pressando con le sue mani forti sul capo costringendolo a stare in
basso e
schiacciandogli il più possibile la capigliatura dalla
anomala forma
ritta a fiamma.
Entrarono
dei tipi con cui era sconsigliabile avere a che fare, indossavano
giacche di
pelle sintetica borchiate, le catene penzolavano da quasi ogni pezzo
del loro
vestiario, erano armati di mazze e di bastoni di ferro e varcarono la
soglia
con la disinvoltura e la scioltezza dei padroni di casa.
Come se
andassero a far visita a un vecchio amico si avvicinarono al meccanico
e gli
batterono una forte pacca sulla spalla, che sopportò bene.
-Ehi
vecchio- tutti lo chiamavano così –Come te la
passi- esclamò uno piuttosto in
carne mentre altri prendevano a giocare con gli arnesi in maniera
impropria e
disdicevole.
-Ragazzi…-
li accolse cupo con lo sguardo chino, di chi ingoia gli insulti a
forza,
di chi si sottomette perché non c’è
altra soluzione che quella.
I tipici
strozzini, ricattatori.
Ogni mese
arrivavano con minacce diverse eluse in cambio dei pochi soldi che
aveva e l’omertà.
Questa
consuetudine si svolgeva molto prima che Vegeta entrasse a far parte
della sua
ordinaria e povera vita, anche loro si erano resi conto delle tracce
lasciate
da un secondo inquilino: un letto sistemato in una stanza in disuso
dalle
lenzuola calde, piccolo tanto che solo un bambino avrebbe potuto
comodamente
starci, qualche gioco, o meglio, qualche rimanenza di gioco che il
vecchio si
era premurato di procurarsi quando Vegeta era ancora piccolo, qualche
vestito
calzabile solo da un moccioso in armadi che, prima, erano abitati da
ragni.
Avevano,
in giro, sentito parlare del piccolo bambino asociale e astioso, dotato
di coda
che abitava casa sua.
Intuendo il suo attaccamento
al bambino da
quanto mantenesse loro segreta, come poteva, la presenza avevano
cominciato a
far leva anche su questo.
Minacciavano
il bambino di sequestro, di tortura e di qualunque altra cosa avesse
potuto
spaventare sufficientemente il vecchio, costringendolo a tirar fuori la
grana
per cui si erano disturbati di venirlo a trovare.
-Come sta
il piccolo mezzo scimmia, eh vecchio Sam?-
Si girò
verso colui che aveva paragonato il suo piccolo a una scimmia che stava
appoggiato al bancone della cucina annessa al salotto.
-ehm…bene-
rispose cauto attento a non farsi scappare nemmeno una goccia del
veleno che
avrebbe voluto.
-E dove
si trova adesso?- continuò un altro testando la durezza del
bastone sul palmo
della sua mano.
-N-non è
in casa- si poteva percepire tangibilmente la falsità delle
sue parole; dal
balbettio e dall’indecisione che si avvertiva nella risposta,
ma i ricattatori
non sembravano essere dotati di molta perspicacia, o forse finsero di
non aver
sentito la bugia.
-Certo, e
tu vuoi che continui a stare bene vero?-
Vegeta
tese le orecchie e irrigidettè i muscoli sentendosi chiamato
in causa, ma non
diede segni di inquietudine o preoccupazione, rimanse in atteggiamento
guardingo, ma per
nulla allarmato.
Solo un
leggero inarcamento del sopracciglio destro trapelava il suo interesse
per la
vicenda.
Per il
momento gli uomini si erano mantenuti ad una distanza lecita dal
bancone dietro
al quale era nascosto.
Uno di
loro diede un calcio ad una sedia del tavolo da pranzo e il vecchio
indietreggiò come per mantenere una distanza di sicurezza.
-Allora?-
chiese aspettando ciò che Sam sapeva lui volesse.
-Mi
dispiace, ma non ne ho- mentì e disse la verità
ad
un tempo.
In realtà ne aveva,
ma i gruppi di
profittatori erano molti, e il denaro era stato promesso ad un'altra
frotta che
aveva minacciato di incendiagli casa.
-Sicuro?-
rovesciò un'altra sedia con un altro calcio, ed un altro
sparse al suolo il
contenuto della cassetta degli attrezzi.
Uno di
loro focalizzò la sua attenzione su un pennacchio nero che
affiorava da dietro
il tavolo da lavoro.
-Che roba
c’è dietro il bancone?- chiese
Il
vecchio sbiancò, divenendo pallido come un cencio e lo
stomaco gli parve fare
un salto.
-Niente-
la fretta stessa con cui aveva risposto lo tradiva.
Con un
sorrisetto sbilenco, che esibiva un dente guasto, uno di loro si
avvicinò cautamente
al bancone straziando con la sua lentezza il vecchio Sam per quanto gli
era
possibile.
Una volta
che fu ad una distanza tale da poter aggirare il tavolo
inciampò e andò
a sbattere con il mento sul pavimento, cosicché il dente
guasto saltò fuori
dalla bocca.
I
compagni identificarono la causa della rovinosa caduta del compagno
notando una
striscia pelosa che sbucava dal retro del bancone tesa in modo da
giocare un
tiro mancino al malcapitato.
-Chi c’è
là!- urlò agitando il bastone davanti a se.
- Figlio di puttana esci
fuori subit…-
Vegeta si
era già alzato e lo fissava con stizza mista a disgusto per
la sua persona.
Si erano
informati riguardo alla glacialità del suo sguardo,
del singolare timore che
effondeva nella gente quando passava semplicemente scoccando un
occhiataccia
che sembrava condannarli a morte in merito alla loro
inutilità.
-Che cazzo ci fate in casa mia?-
Lo chiese
con un tono autorevole per cui non ebbe bisogno di sforzarsi.
Sebbene
la sua figura fosse minuta e puerile avrebbero giurato che gli occhi
tradissero
che si fosse macchiato di delitti impensati anche per teppisti come
loro.
Il caduto
si rialzò tastandosi la mascella dolorante pienamente
intenzionato a punirlo
per il tranello.
-Brutto
lattante!- cominciò massaggiandosi la guancia – ti
insegno io a…AHIA- mise la
mano grossa come un badile sulla minuta spalla del piccolo ricevendo
una
scarica elettrica che gli bruciò il guanto ed i polpastrelli.
Costretto
a mollare la presa a denti stretti si fissò il palmo della
mano intravvedibile
dagli squarci del tessuto.
Poi
osservò il bambino che non si era voltato.
Con i
muscoli rigidi e lo sguardo altrettanto inflessibile
scrutò ad
uno ad uno i componenti di quel patetico quartetto di delinquenti
minori.
Storse un
angolo della bocca con disappunto.
Nessuno
di loro poteva negare che Vegeta sembrava molto più grande
di come non fosse
negli atteggiamenti, non si spiegavano come potesse ostentare tanta
sicurezza a
soli sei anni.
I suoi
occhi cupi passarono ancora da uno all’altro stavolta con una
tonalità appena
accennata di inquisizione.
-Che ci
fate ancora qui? Andatevene!- era un ordine.
Quello
che sembrava il capo si riebbe dallo smarrimento che effondevano le sue
iridi
cupe deciso a sfoggiare tutta la sua autorità.
-Chi ti
credi di essere mocciosetto, qui siamo noi a comandare, noi abbiamo le
armi - e
sfiorò il calcio della pistola laser che portava in vita in
bella vista
–siamo noi
a
decidere quando andarcene-
Vegeta si
vide gravare a dosso la minaccia di tre tubi di metallo luccicanti e di
tre
dita sui grilletti che avrebbero innescato le armi.
Sogghignò
schiudendo appena la bocca mettendo in mostra i denti da latte.
Le
pistole detonarono.
Gli
strozzini si affrettarono a lasciare gli oggetti non appena li videro
sprizzare
stille elettriche e i cocci metallici caddero al suolo.
-Ve ne
andate, deficienti?, volete proprio creparci in questa cazzo di
cantina?-
Da dove
gli nascevano quelle parole, si chiese il Sam, quello non era un
bambino, o
almeno non uno normale, solo un piccolo demone poteva minacciare di
morte.
Lo
sguardo venne catturato dalla sua coda sferzante; segno che si stava
eccitando,
e non l’aveva mai visto così, mai.
Per un
attimo diede credito alla teoria che inizialmente gli era nata nella
testa
quando lo aveva raccolto e amorevolmente curato da piccolo,
l’ipotesi che il
suo piccolo fosse un Sayan, l’ultimo.
Non lo
aveva mai visto esercitare facoltà inumane, non lo aveva mai
visto allenarsi ma
a quanto pare lo aveva fatto perché gli sembrò di
leggere le sue intenzioni dai
suoi occhi, che lasciavano intravvedere una luce di sadico divertimento.
Si sentì
qualcosa di freddo affondargli nella bocca che aveva spalancato per lo
stupore.
Tastò con
la lingua la durezza del metallo e inevitabilmente si andò a
infilare nel buco
del tubo della pistola ficcatagli tra le labbra.
-Sta
immobile, o il vecchiaccio fa una brutta fine-
Vegeta
non si scompose.
Sam vide
scorrergli nella memoria tutto ciò che Vegeta era e aveva
fatto; un bambino
scontroso e scostante, indisposto verso qualunque gentilezza, che non
ringraziava mai, che amava stare alzato di notte a contemplare una luna
piena
non riuscendo a scorgerla del tutto tra i palazzi, un bambino che amava
provocare zuffe che però finivano troppo presto.
E ora era
anche un ingrato moccioso che poteva lasciar morire il suo vecchio
senza
problemi, rimorsi o rimpianti…strizzò gli occhi
preparandosi a sopportare il
dolore della morte privandosi dell’immagine di Vegeta che ora
stava proferendo
le parole che lo urtarono di più.
-E allora
fallo-
In quel
momento l’anima di Vegeta si presentò ai suoi
occhi in tutta la sua cattiveria,
non era solo un invito per quel teppista a farlo fuori, era anche un
ribadimento del fatto che non avesse bisogno di lui, gli stava
sbattendo in
faccia in punto di morte che anche senza di lui, avrebbe potuto andare
avanti,
che sebbene lui l’avesse amato come un figlio, lui non
sarebbe mai stato legato
a lui, e a quella casa.
Sentì la
canna dell’arma spingersi sempre più in fondo alla
gola; il teppista stava
provando a spaventare il piccolo, ma lui conosceva troppo bene Vegeta
per non
riuscire ad immaginare la sua espressione.
Percepì
qualche esplosione, per un attimo credettè che fossero state
provocate dalla
pistola in bocca, credettè di essere morto, ma allora
perchè non aveva sentito
dolore?
Non
avrebbe mai creduto che il trapasso potesse essere così
indolore.
Sentì un
gemito che venne subito soffocato, seguito da urli, il tubo della
pistola gli
scivolò dalle labbra brillando di saliva e cadde a terra
insieme a colui che la
impugnava.
Riaprì
gli occhi e vide la figura bassa di Vegeta che teneva il suo assalitore
per il
collo e lo scuoteva energicamente mentre gli altri, non
c’erano più.
Deglutì
tentando di ingoiare quel groppo che gli ostruiva la gola che non
andava ne su
ne giù.
Vegeta
lasciò il collo del delinquente, ringraziando il cielo era
ancora vivo.
Quel
lattante irriconoscente lo degnò di un occhiata, forse era
curioso di vedere la
sua reazione, di vedere lo sconcerto,
l’indignazione per ciò che aveva detto, e
quello che vide sembrò soddisfarlo.
-Porta
via questo pezzente-
Si
allontanò avvertendo nelle membra un piacere di immane
sadismo.
Godendo
della sua superiorità, godendo nel recare, non tanto dolore,
ma
paura.
Il
vecchio sbuffò, non abbastanza sconvolto per dimenticarsi
che Vegeta gli aveva
impartito un ordine secco, doveva darsi una regolata il signorino.
Una volta
che tornò dopo aver scaricato il corpo incosciente del
malvivente a qualche
isolato di distanza vide Vegeta accucciato sul davanzale in
atteggiamento
meditativo: con gli occhi chiusi, il capo reclino sul petto e le
braccia
incrociate.
Quando
entrò, una volta che si fu tolto le scarpe e le ebbe
accantonate in un angolo
gli sembrò di avvertire una fioca luminescenza azzurrognola
proiettata sul muro,
proveniente dalla finestra.
Si voltò,
ma Vegeta era sempre li nella medesima posa senza aver risentito
minimamente
della variazione luminosa.
Presuppose
che se lo fosse immaginato, era stata una giornata strana, ma il
bagliore gli
venne gettato nuovamente in faccia costringendolo a socchiudere le
palpebre.
Avvertì
una vibrazione, più o meno intensa sotto i suoi piedi, e il
tintinnio dei
bicchieri nella credenza accanto.
Il
creparsi di un vetro di una finestra.
Cariche
elettriche si propagavano dal corpicino del piccolo che intanto non si
era
smosso.
Era
dunque questo il suo modo di allenarsi?
Il vaso
sul tavolo da pranzo cominciò a levitare e vibrando
arrivò fin quasi al
soffitto.
Un
confortevole tepore venne effuso in tutta la casa.
Il vaso
cadde.
Vegeta
riaprì gli occhi allo schianto che produsse contro il tavolo
e si voltò ostile
e inquisitorio verso il vecchio che
pareva boccheggiare.
Chi aveva
allevato per quasi sette anni?
Rimirò
i
cocci e la polvere della ceramica mordicchiandosi il labbro nervoso.
Scusate tanto per il capitolo "flashback" poco sintetico e forse anche superfluo ma credevo di dover precisare qualcosa del rapporto con Vegeta e il "vecchio" ( lo sentirete chiamare così quasi sempre vi avviso) cmq grazie tantissimo a chi ha messo la storia tra i preferiti
-Angeloazzurro
-miettajessica
-Vegtina
Grazie smak
e
naturalemente chi ha sacrificato un briciolo del suo tempo x lasciare
un commentino grazie, avvisatemi se il capitolo è
troppo lungo o pesante da leggere perchè a me rileggendolo
è sembrato proprio che fosse così, spero lo
apprezziate molto più di me^^ciaociao span>