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Autore: trullitrulli    24/09/2008    1 recensioni
Ormai è giunta l'ora per mirai no Bulma di lasciare la terra, ma lei porta ancora in fondo al cuore il lutto per la morte di Vegeta.Non nutre false speranze; sa che non sarà possibile rivederlo nell'aldilà perciò trova la forza di esprimere un desiderio che solo re Yhammer può esaudire.
Voleva una seconda chanse, voleva, per se stessa e per Vegeta, un'altra vita, per assolvere i peccati della precendente.
Genere: Romantico, Triste, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bulma, Goku, Nuovo personaggio, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La reincarnazione

Un'anno prima...

Cos’era quel silenzio?
Sotto la maschera da un foro rettangolare si intravvedevano i suoi occhi acuti e castani, protetti grazie al vetro dalle scintille ardenti che guizzavano di qua e di la andando ad estinguersi sul suo bancone, per terra, a volte persino sul tessuto della sua maglietta bianca macchiata di lubrificante per motori.
Che cos’era quel silenzio?
Non era del tutto assente il rumore, anzi, i suoi attrezzi da lavoro producevano stridi acuti e fastidiosi.
Non era il silenzio della mancanza di rumori ma della mancanza di parole.
Gettò l’ennesima occhiata al piccolo.
Era rimasto nella stessa identica posizione di due ore fa, con la schiena compressa al muro con il piglio
troppo serio e grave per un bambino della sua età.
Sembrava sempre così assorto nei suoi pensieri, sempre perpetuamente riservato, lo vedeva sempre li, spesso seduto con le braccia incrociate intento in un attenta analisi di pensieri, che dalla sua espressione parevano cupi, e rabbiosi.
Lo vedeva nei cortili quando passava a dargli un occhiata, ostinandosi a credere che non potesse cavarsela da solo e che, come tutti i bambini, prima o poi, avrebbe fatto una stupidata a cui sarebbe stato difficoltoso porre rimedio, ma lui era sempre li, nella solita postura, col solito atteggiamento distaccato, di colui che si rifiuta di avere contatti con il mondo per un evidente insofferenza e disgusto verso i suoi abitanti.
Faceva parte dello sfondo dei giochi di ragazzini.
Aveva una gamba raccolta vicino al petto su cui posava il braccio arcuato, mentre l’altra era distesa e impediva il passaggio all’imboccatura del corridoio dove si era appostato per non essere troppo disturbato dallo sfrigolio degli strumenti da lavoro del “padre”.
La coda era abbandonata a terra e non dava segno di volersi muovere come invece aveva fatto per interminabili minuti, sferzando l’aria e battendo sul pavimento con impazienza e nervosismo.
Avrebbe voluto qualche parola da lui, invece del solito sdegnoso silenzio.
Mai neanche col capo si era voltato verso la sua postazione mostrando interesse per qualche suo gesto, non aveva sputato neanche un ingiurioso e sarcastico insulto.
Quel bambino possedeva un arroganza mai riscontrata in un moccioso.
-Credo che dovresti darti una regolata- insinuò lui riferendosi al suo atteggiamento esageratamente irriverente e ingrato.
La coda riprese a battere al suolo.
-Tu credi?- 
-Si, io, credo- replicò lui diffamato, rispondendogli con lo stesso veleno nel tono pronunciando “io”.
Si scostò il casco dalla faccia asciugandosi con il dorso della mano il sudore trattenuto dalla protezione.
Vegeta sapeva che in considerazione della sua troppo giovane età non poteva spingersi oltre un certo limite con le parole in presenza di un adulto.
Si girò verso il colloquiante; i capelli ingrigiti avevano aderito alla fronte spaziosa e segnata da rughe profonde.
Le braccia forti, non ostante l’età non più verde, potevano ancora lavorare, e in fondo, era lui che gli aveva dato una casa.
-Tu credi troppo vecchio-
Si sfilò i guanti da lavoro sudici di ungente per motori, scostò gli attrezzi per far posto e li sbattè con veemenza sul bancone.
-Mai una volta che mi chiamassi papà…- ringhiò quasi tra se e se dando un calcio alla cassetta degli attrezzi sotto il suo sedile per scendere senza rischiare di inciampare.
La custodia proseguì il tragitto fino al muro andando a sbattere a pochi centimetri da Vegeta, che rimase del tutto indifferente allo schianto del contenitore contro il muro.
Una chiave inglese cadde dalla cassetta rossa.
-E perché dovrei?...- insinuò –Non sei mio padre- lo disse quasi con un sottile e studiato godimento, nonostante avesse poco più di sei anni non sembrava nient’affatto titubante davanti agli adulti.
-Modera i toni signorino-
Lo chiamava sempre così…Vegeta aveva cominciato a pensare che si trattasse di un nominativo denigratorio conferitogli dal fatto che, se non fosse nato con quell’affare appena sopra le natiche, avrebbe occupato una posizione sociale ben più elevata rispetto a quella attuale.
Era un continuo e perpetuo rinfacciamento della sua sfortuna, che non gli sfiorava minimamente l’orgoglio… mai.
Inutile rimpiangere ciò che non aveva mai avuto, e che certo non desiderava ardentemente avere.
Si vedeva a prima vista che la sua natura restia e misantropa non ne avrebbero, in futuro, fatto un uomo che potesse vivere in un ambiente del genere, dove la gente era incline a sperticarsi in discorsi futili, pettegolezzi; sarebbe stata una vita che non gli poteva calzare per nulla.
Quella situazione si confaceva molto di più alla sua indole riottosa e indocile; queste caratteristiche non avrebbero prestato ne a lui ne alla sua famiglia una buona reputazione nella società.
Vegeta inoltre non era il tipo da intrattenere rapporti, non aveva alcuna predisposizione a dilungarsi in conversazioni, si rifiutava di avere qualunque contatto verbale con i suoi coetanei, evitando con cura di essere immischiato in sciocchi giochi, e una certa tendenza, poco diplomatica davvero, a… venire alle mani.
Glielo si leggeva in faccia, ogni volte che schiudeva un occhio per assodare se la situazione nel cortile vicino fosse cambiata o no, si vedeva che fremeva dalla voglia di fare a botte.
Inoltre, all’età di sei anni, aveva sviluppato un indifferenza tale da renderlo capace di sostenere anche la vista di un cadavere nel bel mezzo della strada.
Immagine che aveva, per davvero, impresso nella mente chiara e nitida come un fotogramma, ma che non sembrava aver generato in lui alcun disgusto o averlo sconvolto in particolar modo, come se fosse la norma per lui.
Con un dito iniziò a far girare la chiave inglese su se stessa.
Una musica ad un volume smodato scandita da sordi botti prodotti dalla consolle di un dj riempì il quartiere all'improvviso.
Uno sparo…
Vegeta conosceva l’espressione allarmata ed esagitata del vecchio; lo vedeva sbarrare gli occhi sul punto dove stava guardando.
Stavolta li aveva fissati sul saldatore appoggiato sul tavolo accanto a uno straccio lercio.
Lo vedeva seguire ciò che accadeva con l’udito con un attenzione tale che avrebbe potuto ricreare nella sua mente tutte le scene.
Si ripetevano sempre uguali come da copione.
Il rumore dell’acqua gettata ai bordi della strada dalle ruote.
Lo sbattere di una portiera.
I passi sull’asfalto limaccioso.
Le urla sguaiate.
Le risate.
E allora sembrava rianimarsi, risvegliarsi da uno stato di vigilanza attenta e psicotica.
Ogni volta che quell’espressione compariva sulla sua faccia lui era il momento di uscire.
In quel particolare frangente Vegeta obbediva sempre al vecchi; i guai non lo spaventavano, anzi, lui era l’unico bambino che non avesse avuto paure con cui non potesse convivere e che non si fosse sentito bisognoso di elargire le proprie preoccupazioni.
Come tutti i mocciosi si risvegliava da brutti sogni: ansimava per un po’, strizzava le coperte dentro ai suoi pugni rischiando di strapparle, con la coda rigida e la bocca secca, ma non aveva mai voluto spiegare in cosa consistessero le sue visioni notturne, ne aveva voluto indagare sullo strano sapore di metallo e terra che degustava in bocca al risveglio.
Quando cominciavano a percepirsi i suoni elettronici della musica, sul momento, strategicamente il vecchio faceva in modo di aver bisogno di qualcosa, rompeva apposta la bottiglia del latte e ordinava a Vegeta di andare a rimediarne un'altra, fingeva di aver perso un saldatore e gli chiedeva di procurarsene uno in qualunque modo lo trovasse lecito.
A volte acconsentiva anche a fargli compiere crimini pur di farsi procurare qualcosa di cui aveva provvidenzialmente fatto in modo di aver bisogno o che non gli serviva affatto.
Vegeta aveva intuito che lo faceva a beneficio suo, ma non poteva capirlo del tutto, in fondo, era un bambino.
Ma questa volta il vecchio non aveva il tempo ne di inventare scuse, ne di cacciarlo fuori di casa a forza.
-Vegeta!- ordinò in tono secco indicando il retro del tavolo da lavoro.
-Vieni qui!-
Si alzò con una lentezza che il vecchio non tollerava.
-Vieni qui cazzo!-
Una volta che fu abbastanza vicino, rudemente, lo sospinse giù dietro il bancone pressando con le sue mani forti sul capo costringendolo a stare in basso e schiacciandogli il più possibile la capigliatura dalla anomala forma ritta a fiamma.
Entrarono dei tipi con cui era sconsigliabile avere a che fare, indossavano giacche di pelle sintetica borchiate, le catene penzolavano da quasi ogni pezzo del loro vestiario, erano armati di mazze e di bastoni di ferro e varcarono la soglia con la disinvoltura e la scioltezza dei padroni di casa.
Come se andassero a far visita a un vecchio amico si avvicinarono al meccanico e gli batterono una forte pacca sulla spalla, che sopportò bene.
-Ehi vecchio- tutti lo chiamavano così –Come te la passi- esclamò uno piuttosto in carne mentre altri prendevano a giocare con gli arnesi in maniera impropria e disdicevole.
-Ragazzi…- li accolse cupo con lo sguardo chino, di chi ingoia gli insulti a forza, di chi si sottomette perché non c’è altra soluzione che quella.
I tipici strozzini, ricattatori.
Ogni mese arrivavano con minacce diverse eluse in cambio dei pochi soldi che aveva e l’omertà.
Questa consuetudine si svolgeva molto prima che Vegeta entrasse a far parte della sua ordinaria e povera vita, anche loro si erano resi conto delle tracce lasciate da un secondo inquilino: un letto sistemato in una stanza in disuso dalle lenzuola calde, piccolo tanto che solo un bambino avrebbe potuto comodamente starci, qualche gioco, o meglio, qualche rimanenza di gioco che il vecchio si era premurato di procurarsi quando Vegeta era ancora piccolo, qualche vestito calzabile solo da un moccioso in armadi che, prima, erano abitati da ragni.
Avevano, in giro, sentito parlare del piccolo bambino asociale e astioso, dotato di coda che abitava casa sua.
Intuendo il suo attaccamento al bambino da quanto mantenesse loro segreta, come poteva, la presenza avevano cominciato a far leva anche su questo.
Minacciavano il bambino di sequestro, di tortura e di qualunque altra cosa avesse potuto spaventare sufficientemente il vecchio, costringendolo a tirar fuori la grana per cui si erano disturbati di venirlo a trovare.
-Come sta il piccolo mezzo scimmia, eh vecchio Sam?-
Si girò verso colui che aveva paragonato il suo piccolo a una scimmia che stava appoggiato al bancone della cucina annessa al salotto.
-ehm…bene- rispose cauto attento a non farsi scappare nemmeno una goccia del veleno che avrebbe voluto.
-E dove si trova adesso?- continuò un altro testando la durezza del bastone sul palmo della sua mano.
-N-non è in casa- si poteva percepire tangibilmente la falsità delle sue parole; dal balbettio e dall’indecisione che si avvertiva nella risposta, ma i ricattatori non sembravano essere dotati di molta perspicacia, o forse finsero di non aver sentito la bugia.
-Certo, e tu vuoi che continui a stare bene vero?-
Vegeta tese le orecchie e irrigidettè i muscoli sentendosi chiamato in causa, ma non diede segni di inquietudine o preoccupazione, rimanse in atteggiamento guardingo, ma per nulla allarmato.
Solo un leggero inarcamento del sopracciglio destro trapelava il suo interesse per la vicenda.
Per il momento gli uomini si erano mantenuti ad una distanza lecita dal bancone dietro al quale era nascosto.
Uno di loro diede un calcio ad una sedia del tavolo da pranzo e il vecchio indietreggiò come per mantenere una distanza di sicurezza.
-Allora?- chiese aspettando ciò che Sam sapeva lui volesse.
-Mi dispiace, ma non ne ho- mentì e disse la verità ad un tempo.
In realtà ne aveva, ma i gruppi di profittatori erano molti, e il denaro era stato promesso ad un'altra frotta che aveva minacciato di incendiagli casa.
-Sicuro?- rovesciò un'altra sedia con un altro calcio, ed un altro sparse al suolo il contenuto della cassetta degli attrezzi.
Uno di loro focalizzò la sua attenzione su un pennacchio nero che affiorava da dietro il tavolo da lavoro.
-Che roba c’è dietro il bancone?- chiese
Il vecchio sbiancò, divenendo pallido come un cencio e lo stomaco gli parve fare un salto.
-Niente- la fretta stessa con cui aveva risposto lo tradiva.
Con un sorrisetto sbilenco, che esibiva un dente guasto, uno di loro si avvicinò cautamente al bancone straziando con la sua lentezza il vecchio Sam per quanto gli era possibile.
Una volta che fu ad una distanza tale da poter aggirare il tavolo inciampò e andò a sbattere con il mento sul pavimento, cosicché il dente guasto saltò fuori dalla bocca.
I compagni identificarono la causa della rovinosa caduta del compagno notando una striscia pelosa che sbucava dal retro del bancone tesa in modo da giocare un tiro mancino al malcapitato.
-Chi c’è là!- urlò agitando il bastone davanti a se.
- Figlio di puttana esci fuori subit…-
Vegeta si era già alzato e lo fissava con stizza mista a disgusto per la sua persona.
Si erano informati riguardo alla glacialità del suo sguardo, del singolare timore che effondeva nella gente quando passava semplicemente scoccando un occhiataccia che sembrava condannarli a morte in merito alla loro inutilità.
-Che cazzo ci fate in casa mia?-
Lo chiese con un tono autorevole per cui non ebbe bisogno di sforzarsi.
Sebbene la sua figura fosse minuta e puerile avrebbero giurato che gli occhi tradissero che si fosse macchiato di delitti impensati anche per teppisti come loro.
Il caduto si rialzò tastandosi la mascella dolorante pienamente intenzionato a punirlo per il tranello.
-Brutto lattante!- cominciò massaggiandosi la guancia – ti insegno io a…AHIA- mise la mano grossa come un badile sulla minuta spalla del piccolo ricevendo una scarica elettrica che gli bruciò il guanto ed i polpastrelli.
Costretto a mollare la presa a denti stretti si fissò il palmo della mano intravvedibile dagli squarci del tessuto.
Poi osservò il bambino che non si era voltato.
Con i muscoli rigidi e lo sguardo altrettanto inflessibile scrutò ad uno ad uno i componenti di quel patetico quartetto di delinquenti minori.
Storse un angolo della bocca con disappunto.
Nessuno di loro poteva negare che Vegeta sembrava molto più grande di come non fosse negli atteggiamenti, non si spiegavano come potesse ostentare tanta sicurezza a soli sei anni.
I suoi occhi cupi passarono ancora da uno all’altro stavolta con una tonalità appena accennata di inquisizione.
-Che ci fate ancora qui? Andatevene!- era un ordine.
Quello che sembrava il capo si riebbe dallo smarrimento che effondevano le sue iridi cupe deciso a sfoggiare tutta la sua autorità.
-Chi ti credi di essere mocciosetto, qui siamo noi a comandare, noi abbiamo le armi - e sfiorò il calcio della pistola laser che portava in vita in bella vista –siamo noi a decidere quando andarcene-
Vegeta si vide gravare a dosso la minaccia di tre tubi di metallo luccicanti e di tre dita sui grilletti che avrebbero innescato le armi.
Sogghignò schiudendo appena la bocca mettendo in mostra i denti da latte.
Le pistole detonarono.
Gli strozzini si affrettarono a lasciare gli oggetti non appena li videro sprizzare stille elettriche e i cocci metallici caddero al suolo.
-Ve ne andate, deficienti?, volete proprio creparci in questa cazzo di cantina?-
Da dove gli nascevano quelle parole, si chiese il Sam, quello non era un bambino, o almeno non uno normale, solo un piccolo demone poteva minacciare di morte.
Lo sguardo venne catturato dalla sua coda sferzante; segno che si stava eccitando, e non l’aveva mai visto così, mai.
Per un attimo diede credito alla teoria che inizialmente gli era nata nella testa quando lo aveva raccolto e amorevolmente curato da piccolo, l’ipotesi che il suo piccolo fosse un Sayan, l’ultimo.
Non lo aveva mai visto esercitare facoltà inumane, non lo aveva mai visto allenarsi ma a quanto pare lo aveva fatto perché gli sembrò di leggere le sue intenzioni dai suoi occhi, che lasciavano intravvedere una luce di sadico divertimento.
Si sentì qualcosa di freddo affondargli nella bocca che aveva spalancato per lo stupore.
Tastò con la lingua la durezza del metallo e inevitabilmente si andò a infilare nel buco del tubo della pistola ficcatagli tra le labbra.
-Sta immobile, o il vecchiaccio fa una brutta fine-
Vegeta non si scompose.
Sam vide scorrergli nella memoria tutto ciò che Vegeta era e aveva fatto; un bambino scontroso e scostante, indisposto verso qualunque gentilezza, che non ringraziava mai, che amava stare alzato di notte a contemplare una luna piena non riuscendo a scorgerla del tutto tra i palazzi, un bambino che amava provocare zuffe che però finivano troppo presto.
E ora era anche un ingrato moccioso che poteva lasciar morire il suo vecchio senza problemi, rimorsi o rimpianti…strizzò gli occhi preparandosi a sopportare il dolore della morte privandosi dell’immagine di Vegeta che ora stava proferendo le parole che lo urtarono di più.
-E allora fallo-
In quel momento l’anima di Vegeta si presentò ai suoi occhi in tutta la sua cattiveria, non era solo un invito per quel teppista a farlo fuori, era anche un ribadimento del fatto che non avesse bisogno di lui, gli stava sbattendo in faccia in punto di morte che anche senza di lui, avrebbe potuto andare avanti, che sebbene lui l’avesse amato come un figlio, lui non sarebbe mai stato legato a lui, e a quella casa.
Sentì la canna dell’arma spingersi sempre più in fondo alla gola; il teppista stava provando a spaventare il piccolo, ma lui conosceva troppo bene Vegeta per non riuscire ad immaginare la sua espressione.
Percepì qualche esplosione, per un attimo credettè che fossero state provocate dalla pistola in bocca, credettè di essere morto, ma allora perchè non aveva sentito dolore?
Non avrebbe mai creduto che il trapasso potesse essere così indolore.
Sentì un gemito che venne subito soffocato, seguito da urli, il tubo della pistola gli scivolò dalle labbra brillando di saliva e cadde a terra insieme a colui che la impugnava.
Riaprì gli occhi e vide la figura bassa di Vegeta che teneva il suo assalitore per il collo e lo scuoteva energicamente mentre gli altri, non c’erano più.
Deglutì tentando di ingoiare quel groppo che gli ostruiva la gola che non andava ne su ne giù.
Vegeta lasciò il collo del delinquente, ringraziando il cielo era ancora vivo.
Quel lattante irriconoscente lo degnò di un occhiata, forse era curioso di vedere la sua reazione, di vedere lo sconcerto,
l’indignazione per ciò che aveva detto, e quello che vide sembrò soddisfarlo.
-Porta via questo pezzente-
Si allontanò avvertendo nelle membra un piacere di immane sadismo.
Godendo della sua superiorità, godendo nel recare, non tanto dolore, ma paura.
Il vecchio sbuffò, non abbastanza sconvolto per dimenticarsi che Vegeta gli aveva impartito un ordine secco, doveva darsi una regolata il signorino.
Una volta che tornò dopo aver scaricato il corpo incosciente del malvivente a qualche isolato di distanza vide Vegeta accucciato sul davanzale in atteggiamento meditativo: con gli occhi chiusi, il capo reclino sul petto e le braccia incrociate.
Quando entrò, una volta che si fu tolto le scarpe e le ebbe accantonate in un angolo gli sembrò di avvertire una fioca luminescenza azzurrognola proiettata sul muro, proveniente dalla finestra.
Si voltò, ma Vegeta era sempre li nella medesima posa senza aver risentito minimamente della variazione luminosa.
Presuppose che se lo fosse immaginato, era stata una giornata strana, ma il bagliore gli venne gettato nuovamente in faccia costringendolo a socchiudere le palpebre.
Avvertì una vibrazione, più o meno intensa sotto i suoi piedi, e il tintinnio dei bicchieri nella credenza accanto.
Il creparsi di un vetro di una finestra.
Cariche elettriche si propagavano dal corpicino del piccolo che intanto non si era smosso.
Era dunque questo il suo modo di allenarsi?
Il vaso sul tavolo da pranzo cominciò a levitare e vibrando arrivò fin quasi al soffitto.
Un confortevole tepore venne effuso in tutta la casa.
Il vaso cadde.
Vegeta riaprì gli occhi allo schianto che produsse contro il tavolo e si voltò ostile e inquisitorio verso il vecchio che
pareva boccheggiare.
Chi aveva allevato per quasi sette anni?

Rimirò i cocci e la polvere della ceramica mordicchiandosi il labbro nervoso.

Scusate tanto per il capitolo "flashback" poco sintetico e forse anche superfluo ma credevo di dover precisare qualcosa del rapporto con Vegeta e il "vecchio" ( lo sentirete chiamare così quasi sempre vi avviso) cmq grazie tantissimo a chi ha messo la storia tra i preferiti

-Angeloazzurro
-miettajessica
-Vegtina

Grazie smak

e naturalemente chi ha sacrificato un briciolo del suo tempo x lasciare un commentino grazie, avvisatemi se il capitolo è troppo lungo o pesante da leggere perchè a me rileggendolo è sembrato proprio che fosse così, spero lo apprezziate molto più di me^^ciaociao span>

  
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