Nota
dell’autrice: tutto ciò che segue è solo un grido di pazzia (e di
disperazione!), che ha lanciato il mio cervello in un noiosissimo pomeriggio
pomeridiano. L’ho scritta più o meno un anno fa, e credo che ad ispirarmi fu un
film che avevo visto in televisione.
E’ una storia uscita così,
venuta dal nulla. Non mi sono mai cimentata in storie originali (se così si può
definire questa storia), e questo è il mio primo esperimento.
Come ho già detto, è solo un
momento in cui il mio cervello è andato in tilt!
Buona lettura a tutti!
Momenti di vita
“Jen, ho detto di no”
“Ma perché??”
“Finiscila! Vai a dormire”
Ora si che era arrabiata. Più che arrabiata, infuriata.
Sempre la stessa storia. Se non c’era un motivo per
litigare, o comunque sia, qualcosa che le facesse saltare i nervi, suo padre la
trovava abilmente.
Quando credeva finalmente di aver trovato quella stabilità, quando credeva che ormai le cose potessero andar bene, tutte le sue convinzioni crollavano inesorabilmente. E crollava anche la certezza che qualcosa finalmente era cambiato.
“Io non ci vado a dormire” si morse il labbro e poi fece
un lungo respiro, per ricacciare le lacrime dentro “Io sono stufa, papà. Sono
stufa del tuo comportamento che può cambiare solo se cambia il mio. Sono stufa
di sentirmi dare contro qualsiasi cosa io faccia o non faccia. E non mi dire
che sei così solo perché i miei voti a scuola non sono dei migliori, perché mi
sembra una grande stronzata. Posso avere tutti i difetti di questo mondo, ma
nessuno di essi ti da il diritto di farmi sentire sempre una merda. Io sono tua
figlia…” gli si avvicinò, ad un passo dalla sua faccia “…sono quella figlia che
hai desiderato per tanti anni, eppure mi tratti come se fossi una persona
qualsiasi. Ho dei sentimenti anche io, lo sai? O pensi che tu, padre, puoi
dirmi quello che vuoi solo perché pensi che la tua sia la voce della
coscienza?…No” oh se piangeva. Era da una vita che voleva farlo, era da una
vita che si teneva sempre tutto dentro “ Quando mi dici che ho bisogno di una
psicologa, solo perché non riesci a capirmi, mi sento una merda. Quando mi
confronti con le figlie dei tuoi colleghi, dicendomi che le meglio cose
capitano solo agli altri, mi sento una merda. In tutta la mia vita, mio padre,
mi ha sempre ricordato che merda fossi. In tutta la mia vita, non ho mai
sentito uscire una parola gentile o una frase di conforto dalla bocca di mio
padre. Grazie papà. E ora se mi è possibile farlo, vado a scaricare i miei
bollenti spiriti” uscì di casa velocemente, senza dare la possibilità al padre
di rendersi conto di ciò che la figlia gli aveva aveva spiattellato su un
vassoio d’argento. Uscì talmente velocemente, che non si accorse nemmeno che
una persona era li davanti alla porta di casa sua…
“Jen…?”
Daniel preoccupato la raggiunse. Sotto a quel gazebo,
seduta con le ginocchia portate al petto, sotto la tenue luce della lampada,
sembrava una bambina.
“Jen?” lentamente andò a sedersi di fronte a lei.
Si sentiva un po’ a disagio. Con le parole di conforto non
era mai stato tanto bravo, e in più in quello stato difficilmente l’aveva
vista.
Jen guardava davanti a se, con gli occhi fissi in un punto
impreciso. Poi cominciò a parlare.
“Quand’ero piccola mio padre mi portava sempre in piazza.
Li c’era un signore un po’ anziano che vendeva palloncini. Me li comprava ogni
domenica, e io ero felice. Un giorno, mentre giocavo con quel palloncino, mio
padre notò un uomo che mi guardava insistentemente. Allora, infuriato andò da
lui e gli disse ‘ehi, che hai intenzione di fare?’ il signore spaventato lo
calmò ‘Ma no, cosa pensa! E’ una bambina talmente graziosa che sembra una
bambolina. Volevo solo farle una foto’…è ovvio che mio padre non glielo lasciò
fare!” Jen sorrideva malinconica, poi sospirò asciugandosi quella lacrima
solitaria che era scesa sulla sua guancia “ Non so cosa è cambiato da allora,
cosa posso aver fatto…forse perché non sono più una bambolina?” sorrise per
nascondere tutta la sua amarezza e la tristezza che le avevano procurato quei
pensieri.
Daniel l’aveva ascoltata in silenzio, scervellandosi su
qualcosa di intelligente e con un senso che potesse tirargli su il morale.
“Bhe, una bambolina non lo sei di certo”
Jen lo guardò un po’ accigliata “Ah, grazie…”
Daniel accortosi dell’effetto della sua frase che aveva
fatto sulla ragazza, cercò di rimediare “ No…cioè…”
Jen rise all’imbarazzo dell’amico “Non fa niente, Dan!”
“Accidenti, sono sempre una frana quando si tratta di
confortare qualcuno…”
Sembrava veramente dispiaciuto “Dai, veramente, non ti
preoccupare! Apprezzo il tentativo!”
“Ma no…volevo dire qualcosa per farti sorridere, ma come
al solito rovino tutto”
Jen gli sorrise con dolcezza. Ah, se era fortunata ad
averlo vicino! Non aveva mai dubitato della sua amicizia. Era speciale.
“Ti voglio bene, Dan…tantissimo. Sei una persona
magnifica.”
Daniel divenne rosso, sorridendo imbarazzato.
“Oh…bhe, ti voglio bene…anch’io…”
“Accidenti Dan! Non ti sei mai sbilanciato così tanto!”
Questa volta Dan rise, seguito da Jen che che gli buttò il plaid in faccia.
Dopo un po’ i due si alzarono. Dan gli porse un fazzoletto
(“ Tieni. Asciugati quel fiume che ti è straripato dagli occhi”), e ci è
mancato poco che glielo restituisse.
Quando furono quasi vicino alle loro case, Jen fermò Dan
per un braccio, e lo abbracciò con tenerezza. Dan, seppur preso alla sprovvista
e con altrettanto imbarazzo iniziale, si lasciò andare e l’abbraccio a sua
volta.
“Grazie Dan. Grazie.”