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Autore: Claudietta    16/01/2005    2 recensioni
Quando non ce la fai più, quando tutte quelle parole che avresti voluto far sapere a tuo padre ti escono fuori da sole...e quando l'amicizia è l'unica cura
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell’autrice: tutto ciò che segue è solo un grido di pazzia (e di disperazione

Nota dell’autrice: tutto ciò che segue è solo un grido di pazzia (e di disperazione!), che ha lanciato il mio cervello in un noiosissimo pomeriggio pomeridiano. L’ho scritta più o meno un anno fa, e credo che ad ispirarmi fu un film che avevo visto in televisione.

E’ una storia uscita così, venuta dal nulla. Non mi sono mai cimentata in storie originali (se così si può definire questa storia), e questo è il mio primo esperimento.

Come ho già detto, è solo un momento in cui il mio cervello è andato in tilt!

Buona lettura a tutti!

 

 

 

 

 

 

Momenti di vita

 

 

“Jen, ho detto di no”

“Ma perché??”

“Finiscila! Vai a dormire”

 

Ora si che era arrabiata. Più che arrabiata, infuriata.

 

Sempre la stessa storia. Se non c’era un motivo per litigare, o comunque sia, qualcosa che le facesse saltare i nervi, suo padre la trovava abilmente.

 

Quando credeva finalmente di aver trovato quella stabilità, quando credeva che ormai le cose potessero andar bene, tutte le sue convinzioni crollavano inesorabilmente. E crollava anche la certezza che qualcosa finalmente era cambiato.

 

“Io non ci vado a dormire” si morse il labbro e poi fece un lungo respiro, per ricacciare le lacrime dentro “Io sono stufa, papà. Sono stufa del tuo comportamento che può cambiare solo se cambia il mio. Sono stufa di sentirmi dare contro qualsiasi cosa io faccia o non faccia. E non mi dire che sei così solo perché i miei voti a scuola non sono dei migliori, perché mi sembra una grande stronzata. Posso avere tutti i difetti di questo mondo, ma nessuno di essi ti da il diritto di farmi sentire sempre una merda. Io sono tua figlia…” gli si avvicinò, ad un passo dalla sua faccia “…sono quella figlia che hai desiderato per tanti anni, eppure mi tratti come se fossi una persona qualsiasi. Ho dei sentimenti anche io, lo sai? O pensi che tu, padre, puoi dirmi quello che vuoi solo perché pensi che la tua sia la voce della coscienza?…No” oh se piangeva. Era da una vita che voleva farlo, era da una vita che si teneva sempre tutto dentro “ Quando mi dici che ho bisogno di una psicologa, solo perché non riesci a capirmi, mi sento una merda. Quando mi confronti con le figlie dei tuoi colleghi, dicendomi che le meglio cose capitano solo agli altri, mi sento una merda. In tutta la mia vita, mio padre, mi ha sempre ricordato che merda fossi. In tutta la mia vita, non ho mai sentito uscire una parola gentile o una frase di conforto dalla bocca di mio padre. Grazie papà. E ora se mi è possibile farlo, vado a scaricare i miei bollenti spiriti” uscì di casa velocemente, senza dare la possibilità al padre di rendersi conto di ciò che la figlia gli aveva aveva spiattellato su un vassoio d’argento. Uscì talmente velocemente, che non si accorse nemmeno che una persona era li davanti alla porta di casa sua…

 

“Jen…?”

 

 

 

Daniel preoccupato la raggiunse. Sotto a quel gazebo, seduta con le ginocchia portate al petto, sotto la tenue luce della lampada, sembrava una bambina.

 

“Jen?” lentamente andò a sedersi di fronte a lei.

 

Si sentiva un po’ a disagio. Con le parole di conforto non era mai stato tanto bravo, e in più in quello stato difficilmente l’aveva vista.

 

Jen guardava davanti a se, con gli occhi fissi in un punto impreciso. Poi cominciò a parlare.

 

“Quand’ero piccola mio padre mi portava sempre in piazza. Li c’era un signore un po’ anziano che vendeva palloncini. Me li comprava ogni domenica, e io ero felice. Un giorno, mentre giocavo con quel palloncino, mio padre notò un uomo che mi guardava insistentemente. Allora, infuriato andò da lui e gli disse ‘ehi, che hai intenzione di fare?’ il signore spaventato lo calmò ‘Ma no, cosa pensa! E’ una bambina talmente graziosa che sembra una bambolina. Volevo solo farle una foto’…è ovvio che mio padre non glielo lasciò fare!” Jen sorrideva malinconica, poi sospirò asciugandosi quella lacrima solitaria che era scesa sulla sua guancia “ Non so cosa è cambiato da allora, cosa posso aver fatto…forse perché non sono più una bambolina?” sorrise per nascondere tutta la sua amarezza e la tristezza che le avevano procurato quei pensieri.

 

Daniel l’aveva ascoltata in silenzio, scervellandosi su qualcosa di intelligente e con un senso che potesse tirargli su il morale.

 

“Bhe, una bambolina non lo sei di certo”

 

Jen lo guardò un po’ accigliata “Ah, grazie…”

 

Daniel accortosi dell’effetto della sua frase che aveva fatto sulla ragazza, cercò di rimediare “ No…cioè…”

 

Jen rise all’imbarazzo dell’amico “Non fa niente, Dan!”

 

“Accidenti, sono sempre una frana quando si tratta di confortare qualcuno…”

 

Sembrava veramente dispiaciuto “Dai, veramente, non ti preoccupare! Apprezzo il tentativo!”

 

“Ma no…volevo dire qualcosa per farti sorridere, ma come al solito rovino tutto”

 

Jen gli sorrise con dolcezza. Ah, se era fortunata ad averlo vicino! Non aveva mai dubitato della sua amicizia. Era speciale.

 

“Ti voglio bene, Dan…tantissimo. Sei una persona magnifica.”

 

Daniel divenne rosso, sorridendo imbarazzato.

 

“Oh…bhe, ti voglio bene…anch’io…”

 

“Accidenti Dan! Non ti sei mai sbilanciato così tanto!” Questa volta Dan rise, seguito da Jen che che gli buttò il plaid in faccia.

 

Dopo un po’ i due si alzarono. Dan gli porse un fazzoletto (“ Tieni. Asciugati quel fiume che ti è straripato dagli occhi”), e ci è mancato poco che glielo restituisse.

 

Quando furono quasi vicino alle loro case, Jen fermò Dan per un braccio, e lo abbracciò con tenerezza. Dan, seppur preso alla sprovvista e con altrettanto imbarazzo iniziale, si lasciò andare e l’abbraccio a sua volta.

 

“Grazie Dan. Grazie.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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