Cause there’s this tune I found that makes me think of you somehow
And I play it on repeat
Until I fall asleep
Spilling drinks on my settee.
- Arctic Monkeys
Alexis POV
Finalmente mi sedetti sul letto, complice del fatto che finalmente avrei potuto godere del mio più che meritato riposo; mi spogliai e mi infilai sotto le coperte, dopo aver preso dal comodino il cellulare.
Digitai velocemente quel numero, l’unico numero che sapevo a memoria: bip, bip,
bip.
Uno squillo, due, tre.
“Ehi, amore.” Tirai un sospiro di sollievo, una voce un po’
assonnata mi rispose. Probabilmente Luke, o più che sicuramente, si era appena
svegliato, gli ci voleva sempre almeno qualche ora prima di riprendersi e
salutare il mondo dei sogni.
“Mi manchi.” le parole mi uscirono da sole, senza il bisogno di pensarci.
Pentita o meno, era vero, mi mancava, mi mancava passare le giornate con lui,
mi mancavano le sue barzellette dopo i litigi, mi mancava tutto di lui, ma
soprattutto mi mancavano i suoi baci, le sue carezze e i suoi abbracci che mi
davano la forza di andare avanti, di combattere i fantasmi del passato e di
vivere la normale vita di un adolescente.
“Ti amo.” aggiunsi, ed era vero, lo amavo. Certo, amavo la sua bellezza e il
suo modo di fare, ma non prendiamoci in giro, più di ogni altra cosa amavo il
fatto che tutte le mie prime volte le avevo passate con lui. Il primo bacio, il
primo concerto, il primo appuntamento e, se qualcuno se lo fosse mai chiesto,
la risposta è sì, anche la prima volta che feci l’amore, e adesso, mi sentivo
come se lo avessi tradito: il mio primo viaggio con lui a mille miglia da me.
Sentivo la tristezza nella sua voce e la consapevolezza del fatto che non
potesse venire. “Volere è potere”, si direbbe in questi casi, ma ahimè, non
questa volta; lui non era mai stato ricco, tanto da lavorare mattina e sera per
guadagnarsi da vivere. Non avevo mai avuto nessun tipo di problema finanziario
perciò avevo cercato più volte di aiutarlo, ma categoricamente si rifiutava e
mi sentivo in colpa in quanto tutto quello che guadagnava lo spendeva per me.
“Non pensiamoci, questi tre mesi
passeranno veloci, ti verrò a prendere all’aeroporto, e...” la sua voce fu
interrotta da qualche gemito, non ne avevo la certezza, ma ero quasi
consapevole di aver sentito qualche singhiozzo.
“Luke, vorrei restare a parlare, lo sai, ma…” ecco altre parole spezzate, rotte
del tutto. “Devo andare, tra poco inizia il mio turno. Attacca il telefono
prima che inizi a diventare una conversazione troppo deprimente.”
“Certo, amore, non ti preoccupare.” Riagganciò.
Stava male, ne ero sicura; Luke non ha paura delle proprie emozioni. Forse non
sempre vuole mostrarle agli altri, ma di certo non le nascondeva a se stesso e
per questo lo stimavo dal momento che io, da tempo, non ne ero più capace.
Le sue lacrime erano l’ennesima dimostrazione che il nostro amore non era
uguale agli altri. Era quel tipo di amore che cambia la vita, che rende
migliori. Quell’amore per cui si combatte. Un grande amore, un amore senza fine; e allora, perché sembrava che ne stesse
dubitando?
Mamma, un giorno, mi disse che nella vita ci sono solo due grandi amori, è
l’unica volta che probabilmente sbagliò. Non potrei considerare un secondo
grande amore, almeno non io.
Stavo per mettermi a dormire quando un’improvvisa voglia di fumare mi
invase.
Presi la vestaglia e uscii di casa; il fumo non era per me un vizio, a volte
sentivo il bisogno di "rubarle" a Susie e basta. Mi rilassava, e dopo
la telefonata di Luke, era necessario.
Cercavo un po’ di quiete, ma come misi piedi in giardino sentii una voce
provenire dal retro del giardino/parco nazionale di Justin: sono sempre stata
una curiosona, ma non sopportavo origliare le discussioni altrui. Peccato che,
in quel momento, paroloni e discorsi poco promettenti mi spinsero ad
avvicinarmi per sentire meglio la telefonata di Justin. Giurai di aver sentito
Justin chiamare quella persona, "boss".
A mio sfavore, o vantaggio, arrivai in ritardo e il moccioso
chiuse la telefonata. Abbastanza delusa e scocciata per non essere riuscita a
rilassarmi, rientrai in casa e mi buttai a peso morto sul divano finalmente
decisa a riposare la mente.
Stavo quasi per addormentarmi quando Susie entrò tutta pimpante in salotto.
“Vamos a bailar!” urlò. “Che cosa?!” risposi a voce bassa. “Non sei neanche un
po’ stanca?”
“Io? No, per niente.” non me ne sorpresi.
“Io si, Susie, andiamo a letto.” dissi, sbadigliando.
Ma che le era preso?
“Ti prego, è tanto che non usciamo un po’ io e te, da sole, stai sempre con
Luke e ti sei praticamente dimenticata della mia esistenza, sei una
menefreghista.”
“Adesso basta. Ho detto che sono stanca e non permetterti più, ho passato la
mia vita a crescerti, a consolarti quando dicevi che ti mancava la mamma. Che
ne sai te della mamma? Avevi solo sette anni e la conoscevi a malapena!”
Mi resi conto troppo tardi che le parole che mi erano uscite di bocca erano
come lame taglienti scagliate contro mia sorella. Delle stupide frasi che
nemmeno pensavo potessero ferire Susie più di ogni altra cosa. Mi stava fissando,
aveva gli occhi lucidi e pieni di lacrime, non riuscii neanche ad aprire bocca
in quell'istante che già era corsa fuori di casa; feci per rincorrerla, ma la
lontananza che ci divideva era infinita.
Dannazione.
Mi incamminai per tornare verso casa, ma niente da fare, non era proprio la mia
serata: avevo chiuso la porta e, come se non bastasse, non avevo le chiavi. Mi
accasciai sulla porta, sorreggendomi la testa con le mani. Sembrava di essere
in un film, come poteva essere possibile?
Aspettai, aspettai ed aspettai, ma di Susie neanche una traccia, il cielo si
scuriva minuto per minuto ed era necessario trovare una soluzione, anche la più
tragica. Mi alzai del tutto insicura di quello che stavo per fare, e mi diressi
verso casa di Justin: non lo avessi mai fatto.
Dovetti aspettare più o meno 10 minuti prima che un Justin bagnato e in
accappatoio venisse ad aprirmi.
“Che cosa vuoi?” Fece una di quelle apparizioni "geniali", con il
solito tono scontroso.
Rimasi scioccata per la visione che mi apparve davanti agli occhi, rimaneva un
moccioso scontroso, ma sicuramente non potevo negare che era incredibilmente
sexy. Eliminai tutti quei pensieri poco adatti alla situazione dalla mia testa
e risposi. “Sono rimasta chiusa fuori casa, ti prego di non fare commenti e di
indicarmi un posto dove stare fino al ritorno di mia sorella.” mantenni un tono
più calmo possibile, probabilmente perché Justin mi metteva un po’ in
soggezione.
Un ghigno poco rassicurante apparve sulla sua faccia e parlò.
“Forza, forza, seguimi.”
Uscì di casa e si diresse sul retro, aprì il garage indicandomi un sacco a pelo
e qualche coperta sopra uno scaffale. “Puoi dormire qui” continuò con quel
ghigno perennemente presente, mostrandomi un piccolo spazio accanto alla sua
esuberante macchina.
Scioccata annuii, o lì, o fuori al freddo, non avevo una seconda scelta.
Susie POV
Notai che era tempo di non decidere più niente. Volevo
lasciare che le cose andassero come dovevano andare, ma soprattutto vedere cosa
sarebbe successo e forse, finalmente, qualcosa sarebbe andato al posto giusto.
Non mi capacitai delle pesanti parole di Alexis, e così, mi ritrovai da sola.
Sì, ero miserabilmente sola, tanto da trovarmi in mezzo ad
un fiume di gente, in attesa del rispettivo drink.
Dove, quando, ma soprattutto, come?
Stavo sognando? Buio, tutto poi divenne buio. Secondi,
minuti, forse ore e poi qualcuno mi avrebbe svegliata.
Non mi importava se ci fossero cose più importanti da fare,
non mi importava se la casa fosse un disastro o se quell'incubo di estate fosse
solo iniziato, dovevo piangere, dovevo sfogarmi, dovevo far in modo che tutti i
pensieri uscissero dalla mia testa; ma quello che successe dopo, è un’altra storia.
"Questa ragazza ha bisogno di una mano."
Sentivo
voci, percepivo il pavimento, ma solo di un particolare riuscivo a ricordarmi:
due occhi, due grandi occhi verdi. Verde smeraldo.
Non è questione di averli azzurri, verdi o castani…se in
essi non vi è nulla scaturito direttamente dall’anima, non potranno mai essere
belli.
Ma quelli, Dio. Quelli erano bellissimi.
"Ehi, bionda, ti serve aiuto?" Tese la mano verso
il pavimento, o meglio, verso di me, e mi aiutò ad alzarmi. Non avevo la mente
lucida, ma sapevo bene di essere mora; era un gioco per confondermi ancora di
più?
Mi scoppiava la testa.
Anche se quel giorno non ci fossimo incontrati, tutto sarebbe
andato nello stesso modo; quindi, chi era quel ragazzo? Ma più
di tutto, perchè non si stava facendo gli affari suoi?
Ci incontrammo perché doveva succedere, naturalmente ciò
non si fondava su niente,
ma era quello che sentivo, e ciò che sentivo era che quegli
occhi verdi, purtroppo, non li avrei più ritrovati da
nessun'altra parte. I pensieri di un'ubriaca non devono essere il
massimo per un sobrio.
"Sono un disastro, un disastro, capisci?" Balbettai. Stavo seriamente
parlando ad uno sconosciuto, mentre questo non faceva altro che
fissarmi, anzi, probabilmente mi rispose anche.
Credo al caso. Credo nelle cose che si fanno senza un senso e cambiano la vita, negli occhi delle persone, alla puntualità del destino, ma all'amore, proprio no.
Calum mi passò in mente, come un pensiero fantasma che, in un istante, svanì.
Eccoci qua! Con un po' di ritardo, ma siamo sempre qui.
Scusate per non aver dato spazio al Susie POV, e di esserci
dilungate precedentemente, ma l'intento era proprio quello di far apparire il "ragazzo
misterioso" dagli occhi verdi nel prossimo capitolo ;)
Ma Justin cosa fa? Spero di trovarvi in tante a recensire...
Beh, che dire, a voi i commenti. Fanno sempre piacere!
Susie e Alexis