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Autore: HannibalLecter    04/09/2014    0 recensioni
Charlotte Addams, nonostante condivida il cognome con una delle famiglie più lugubri della tv, è un'allegra e sbadata maestra che ama i cartoni animati, i colori pastello e i cereali al miele per bambini.
Trovatasi senza un tetto sopra la testa si imbatte per caso in tre ragazzi alla disperata ricerca di un coinquilino.
Nathaniel, Maximilian e Jacob si ritroveranno così a dover fare i conti con l'incontenibile vitalità della ragazza, che spesso li trascinerà in vere e proprie follie.
Tra missioni impossibili, piante carnivore, gatti obesi, nuovi amori, gite all'Ikea e bagni nell'oceano riusciranno a convivere?
[Mi sono chiaramente ispirata alla serie Tv 'New Girl']
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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«Bene, Charlotte, mettiti pure comoda così possiamo iniziare», mi disse gentile Nat, dopo essersi accomodato di fronte a me, gambe accavallate e blocco degli appunti in mano.
Ero nel loft da precisamente ventiquattro minuti e avevo avuto solamente il tempo di appoggiare i miei bagagli all'interno del soggiorno prima di iniziare ad essere studiata come se fossi un rarissimo cucciolo di panda in via d'estinzione.
C'erano state le prime, superficiali presentazioni, durante le quali avevo avuto modo di scoprire l'identità dei tre ragazzi.
Il ragazzo biondo mi aveva abbracciato e con la bocca stracolma di popcorn aveva biascicato: «Benvenuta sorella! Io sono Jacob, l'unico californiano doc presente in questa stanza», condito da un poderoso pugno amichevole sulla mia spalla, pugno che mi aveva quasi catapultata dall'altro lato della stanza.
Subito dopo si era fatto avanti sospettoso il ragazzo castano.
«Mi puoi assicurare che non discendi dalla famiglia Addams?», mi domandò spaventato.
Che problemi aveva con quella povera famiglia? Ricordo che da piccola il mio sogno era incontrare un uomo come Gomez, che mi chiamasse querida e mi tempestasse di baci ogni volta che pronunciavo una parola in francese.
«Se vuoi posso procurarti un mio albero genealogico, così puoi controllare tu stesso: niente parentele con zio Fester», gli sorrisi incoraggiante.
Lui assottigliò gli occhi e studiò il mio viso per capire se fossi sincera o stessi raccontando una menzogna e in verità nascondessi la piccola Mercoledì nella valigia.
Infine, mi porse la mano: «Sono Maximilian».
Feci per stringerla ma lui la ritrasse di colpo e avvicinò il suo volto al mio: «Attenta, ti tengo d'occhio», detto questo si lasciò cadere sull'ampio divano color salvia e si immerse nella lettura di un libro dalla copertina rossa intitolato 'A spasso con Marx'.
Infine arrivò il turno dell'uomo in maschera, o meglio, con la maschera, di bellezza per la precisione.
Mi afferrò la mano e, dopo un leggero inchino, si chinò a sfiorarne il dorso con le labbra in una brutta imitazione di un baciamano.
«Milady, permettete che mi presenti. Sono Nathaniel Edward Louis Spencer, discendente di nobili ed aristocratici duchi inglesi», mormorò suadente, trattenendo la mia mano tra le sue, «ma voi potete chiamarmi semplicemente Nat», aggiunse ammiccando.
Oh oh, dove ero capitata?
Un biondone californiano, uno svitato terrorizzato dal mio cognome e un duca inglese??
Liberai la mia mano dalla sua presa e incrociai le braccia al petto trattenendo una risata, che camuffai con un colpo di tosse.
«Ehm, chi sei tu? Un personaggio dei libri di Jane Austen? Sei fuggito dal cast di Downton Abbey? Non c'è alcun bisogno che tu mi dia del voi, suona così antiquato», gli spiegai sperando di non offenderlo.
Lui sbatté le ciglia confuso e iniziò a parlottare tra sé: «Di solito funziona, la mia aria da tipico gentleman inglese attira sempre le donne», poi alzò il viso verso di me e con fare addolorato esclamò: «Voi mi offendete con la vostra condotta».
Cercai di ribattere ma venni anticipata dall'intervento di Jacob, che prese per un braccio Nathaniel e lo trascinò verso il divano, rimproverandolo esasperato: «Su, Nat, smettila di fare il principino e ritorna in te».
E così ventiquattro minuti mi tardi ero seduta, con la schiena diritta e le mani intrecciate in grembo, su una poltroncina beige posta di fronte all'ampio divano ad angolo, dal quale mi osservavano attenti tre paia di occhi.
Feci scorrere lo sguardo sulle tre persone davanti a me e le studiai in silenzio, proprio come loro stavano facendo con me.
Il lato sinistro del sofà era occupato dalla figura stravaccata di Jacob, che dopo aver finito il sacchetto di popcorn, si stava dedicando ad un'enorme ciotola colma di nachos. Senza distogliere mai lo sguardo da me, afferrava le patatine e, dopo averle affogate nel ketchup, se le portava alla bocca. Il mio pensiero corse alla Kim, mia migliore amica nonché modella fissata con la linea e la cucina macrobiotica: sicuramente sarebbe rabbrividita di fronte a quello spettacolo.
Jacob, con il suo volto abbronzato, i capelli color dell'oro e due occhioni blu era il prototipo del tipico ragazzone californiano.
Di fianco a lui era seduto il mio esaminatore, Spencer il nobile inglese o per la gente comune Nat, che sembrava leggermi nella mente mentre tamburellava la penna sul bloc-notes e dondolava un piede.
Aveva un viso delicato dai lineamenti quasi infantili eppure l'insieme, grazie ai capelli scuri e agli occhi neri, trasmetteva un senso di eleganza e di fascino.
Infine, all'estremità destra del divano, due penetranti occhi verdi mi fissavano seminascosti dalla copertina del libro che stava leggendo. Aveva i capelli castani spettinati e, quando posò il libro sul ripiano accanto, potei vedere le leggere lentiggini che gli costellavano il volto. Indossava una maglietta blu stropicciata decorata con il sottomarino giallo dei Beatles. Sorrisi non appena me ne accorsi perché io ne avevo una identica, reperto dei miei sedici anni.
«Ok, prima domanda: che lavoro fai?», mi domandò Nat iniziando a scribacchiare qualcosa sul suo blocco per gli appunti.
«L'insegnante, in una scuola elementare», risposi sicura.
Vidi un lampo di interesse luccicare negli occhi di Maximilian, che dopo una breve esitazione, mi chiese: «Che cosa insegni?»
«Storia e letteratura», risposi piano.
Mi portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio e allungai le gambe di fronte a me, in attesa della domanda successiva.
Amavo il mio lavoro così come adoravo stare a contatto con i bambini, che, con la loro innocenza ed ingenuità, mi insegnavano sempre qualcosa di nuovo ed inaspettato. Quando i miei alunni imparavano a scrivere, a leggere o qualcosa di nuovo, ogni volta, era un traguardo importante per me, perché mi rimettevo in gioco, affiancando quei piccoli puffi nel cammino della crescita e prendendoli per mano li vedevo diventare grandi e fare nuove esperienze.
«Dove vivevi prima? Dai tuoi?», mi chiese curioso Jacob.
Mi venne da ridere all'idea di vivere ancora con mia madre o mio padre. I miei genitori si erano separati quando avevo otto anni e non ero mai riuscita a superare il trauma dell'avere due case, due camerette, due letti e due poster uguali di Tom Cruise. Subito dopo la fine del liceo mi ero trasferita in California per frequentare il college insieme a Kim e una volta laureata avevo abbandonato la mia piccola stanzetta nel dormitorio per trasferirmi in una graziosa casetta vicino al mare con David, quello che al tempo ritenevo essere l'uomo della mia vita. Erano passati tre anni da allora ma la nostra storia, logorata dall'abitudine e dalla brutta abitudine di David di fare sesso con i calzini, era naufragata dopo due anni. Avevamo deciso di sfatare il mito secondo cui due ex non possono essere amici e così avevamo continuato a convivere fino al giorno prima, quando David mi aveva annunciato che sarebbe andato a vivere da Jessica, la sua nuova ragazza, e io non potendo sostenere da sola le spese della villetta mi ero vista costretta a lasciarla, per evitare di essere sfrattata.
«Vivevo con il mio ex», mugugnai controvoglia.
Ogni volta che rivelavo a qualcuno la nostra stramba convivenza, questo spalancava gli occhi incredulo e mi domandava se fossi pazza.
I tre stranamente non fecero domande e si limitarono a scambiarsi uno sguardo allibito tra loro.
«Single? Oppure vivevi con il tuo ex ma avevi un ragazzo?», domandò dubbioso Nat.
Sbuffai infastidita dal suo tono sarcastico: «Single», mugugnai.
«Perfetto! Potremmo appendere un cartello fuori dalla porta con scritto 'Terra di cuori solitari'! Che ne dite?», chiese entusiasta Jacob balzando in piedi e spargendo nachos ovunque.
Maximilian alzò gli occhi al cielo mentre Nathaniel allungò un braccio e lo costrinse a risedersi e, dopo aver immerso una mano nella ciotola unticcia, gli ficcò in bocca una quantità esorbitante di patatine.
«Oh, siamo tutti sulla stessa barca allora! Se volete fanno una festa intitolata 'Anima gemella dove sei?' e io volevo proprio parteciparvi ma non volevo fare la figura della povera scema sola, anche se in fondo è quello che sono, ma questi sono dettagli, ma se voi venite con me potremmo in un colpo solo conoscerci e accoppiarci! Non è un'idea meravigliosa?», trillai eccitata.
Di fronte ai loro sguardi sconvolti mi corressi: «Cioè...io non intendevo accoppiarci, ehm, tra di noi, ma...con altri, si, insomma, avete capito?», balbettai sentendo la mia euforia spegnersi pian piano.
Ecco, brava Lottie! Sei riuscita subito a farti riconoscere e a conquistarti l'etichetta di squilibrata dell'anno.
«Vengo io!», esclamò a sorpresa Nat «Un rubacuori come me, in una sala piena di donne tristi e solitarie, farà furore! Si festeggia piccolo duca!», esclamò guardando verso il basso.
Non volevo credere ai miei occhi. No, non era possibile.
«Vi prego, ditemi che piccolo duca non è il nome del suo...», chiesi allucinata.
Maximilian ridacchiò e annuì: «Oh sì».
Nat mi fissò offeso e poi mi si avvicinò piano: «Suvvia non scandalizzarti tanto, sono sicuro che anche la tua patatina ha un nome. Dico bene?», domandò ghignando.
Patatina?! Qualcuno mi salvi!
Evidentemente ero finita in una gabbia di matti, mio habitat naturale a dire in vero, che non avrebbe messo in evidenza le mie stramberie.
«Assolutamente no!», esclamai imbarazzata.
Nat sembrò deluso e se ne tornò al divano a testa bassa.
Maximilian tossicchiò per richiamare l'attenzione e mi chiese: «Manie, fobie, ossessioni o abitudini da psicopatica?».
Uhm, ahia! Ero piena di manie ed ossessioni. David aveva impiegato un anno ad abituarsi a Bambù, il peluche a forma di koala a grandezza naturale, se non di più, con cui dormivo. Diceva che ogni notte rischiava la morte per soffocamento e che da solo occupava metà letto, la sua in particolare.
«Mmh, mi fanno paura le cavallette e non mi piacciono i luoghi affollati», mormorai poco convinta.
Diciamo che non avevo mentito, no, avevo solo omesso il 99,9% delle mie fisse.
Max sembrò capirlo perché sogghignando aggiunse: «In questa casa vige la regola del DTAT, Dico Tutto A Tutti. Vogliamo la verità».
Deglutii mentre mi torturavo le mani.
Non dicono 'fuori il dente, fuori il dolore'?
Dovevamo convivere quindi era meglio scoprire le carte subito senza celarle inutilmente.
«Se vedo un telefilm che mi piace o leggo un libro che mi appassiona ne divento ossessionata, letteralmente ossessionata. Ho appena passato il periodo Game of Thrones ed è stato terribile; mi sono comprata la divisa da guardiano della notte, un corvo impagliato e le gigantografie a figura intera in cartone di Jaime Lannister e Jon Snow», feci una pausa per scrutare i loro volti, che, con mia grande sorpresa, non sembravano sconvolti.
Jacob, con gli occhi che luccicavano, mi chiese estasiato: «Posso toccare il corvo impagliato?».
Sorrisi e gli comunicai che se voleva era suo, provocando in lui uno scoppio di gioia.
Maximilian mi fece segno di continuare e io ripresi: «Non mi taglio i capelli da cinque anni perché i parrucchieri mi terrorizzano da quando, a quindici anni, chiesi una spuntatina e dei riflessi biondi e mi ritrovai mezza testa rasata e l'altra metà a strisce rosse e blu. Ho una passione quasi morbosa per i cereali al miele, quelli a forma di ape, e ne sono molto gelosa. Al college ho picchiato la mia compagna di stanza perché aveva osato assaggiarli. Quindi alla larga dai miei cereali. Non scherzo. Ogni volta che mi sento male ascolto Justin Bieber per ricordarmi che c'è sempre qualcuno messo peggio di noi. Mi fanno ribrezzo i calzini bianchi da uomo e se ne vedo uno mi viene letteralmente il voltastomaco, vi comprerò uno stock di calze nere e blu. Sono terribilmente ingenua e mi fido di tutti: una volta un signore mi ha fermato per strada e mi ha chiesto se poteva vedere la mia carta di credito perché stava facendo un sondaggio sui colori dei tesserini, io gli diedi la mia e lui scappò con quella».
Fui interrotta dalle loro risa.
«Davvero credevi alla storia dell'inchiesta?», mi chiese Nat asciugandosi le lacrime e cercando di riprendere fiato.
«Bé si...», replicai stringendomi nelle spalle.
Quelli'episodio mi era anche valso un imbarazzante articolo sul giornale, nel quale venivo definita come un'idiota fattasi abbindolare da un ladruncolo dilettante.
«Nat sta in bagno per ore, non sto scherzando, per ore. Nessuno sa cosa faccia lì dentro ma se devi andare in bagno mentre è occupato da lui rinunciaci, fatti la pipì addosso o falla nel lavandino perché lui non uscirà mai, neanche se lo pregherai e gli prometterai la luna», mi disse Jacob per distogliere l'attenzione generale dalle mie disavventure.
Nat, punto sul vivo, replicò velenoso: «Traditore! Come credi che faccia ad avere la pelle morbida come quella del culetto di un bambino? Ore e ore di ginnastica facciale, creme idratanti e maschere rinfrescanti. E i miei capelli? Hanno bisogno di impacchi di banane e birra per mantenere intatta la loro morbidezza setosa. Tocca, Charlotte, tocca!», esclamò balzando in piedi e avvicinandosi a me.
Mi afferrò la mano e la guidò fino alla sua chioma scura. Mossi la mano leggermente e rimasi sorpresa da quanto fossero soffici.
Gli accarezzai i capelli e mormorai: «Wow».
Lui annuì gongolante e si sottrasse alla mia mano brontolando: «Non esagerare altrimenti la mia cute ne risente».
Max sbuffò di fronte a quell'uscita: «Jake una volta ha chiamato da ubriaco sua madre annunciando di aver trovato la donna della sua vita che altri non era che la sua tavola da surf, con cui ha pomiciato e dormito, scambiandola per una bella ragazza californiana», concluse rivolgendo un ghigno a Jacob.
Quest'ultimo furioso si vendicò subito: «Max a volte è sonnambulo e una notte fummo svegliati dalla vicina di sotto infuriata perché qualcuno aveva fatto pipì sul suo balcone, corremmo sulla nostra terrazza e trovammo Max, addormentato, intento a fare pipì al di là del parapetto. Si beccò cinquecento dollari di multa e da allora la vicina non ci parla più».
Max fece una smorfia e tirò un cuscino a Jake, il quale lo afferrò al volo e lo rispedì fulmineo al mittente.
Erano dei bambini in corpi adulti quindi era impossibile non adorarli e mi ritrovai a sorridere quasi senza accorgermene.
«Bene!», esclamò Nat alzandosi in piedi e porgendomi una mano «È giunta l'ora di mostrarti la tua camera, mademoiselle».
A malincuore abbandonai i morbidi cuscini della poltrona e lo seguii, ignorando le risatine degli altri due alle mie spalle.
Arrivammo di fronte ad una porta nera e un attimo prima di aprirla Nat si voltò e mi guardò imbarazzato.
Max, pratico come sempre, spezzò il silenzio dicendo: «Apri Nat, tanto prima o poi dovrà vederlo».
Vederlo? Vedere cosa?
Il letto sfondato? Il soffitto con infiltrazioni? L'armadio senza ante?
La risposta arrivò pochi secondi più tardi quando la porta venne spalancata da Nat e di fronte a me si stagliò in tutta la sua maestosità quello spettacolo alquanto vietato ai minori.
«Mmh molto...caratteristico», mormorai scioccata, incapace di distogliere lo sguardo.
Jacob si grattò la testa a disagio e mormorò: «Fernando era un po' eccentrico».
«Diciamo pure che era un artista ninfomane con una fissa per il mio piccolo duca!», lo corresse Nat.
Bé, il lato positivo era che di notte, nell'oscurità non avrei dovuto essere spettatrice di quel grande murales a luci rosse. Il lato negativo era che per più di dodici ore al giorno c'era chiaro.
«Posso ridipingere la stanza?», chiesi, sperando con tutto il cuore di ricevere una risposta affermativa.
Altrimenti potevo tappezzare la parete di foto o girare per la stanza senza occhiali e senza lenti.
«Certamente, quando vuoi», mi rispose gentile Max.
Gli sorrisi grata: «Lo farò già questo weekend».
Cercando di ignorare i disegni, mi avvicinai al letto e mi ci lasciai cadere sopra.
Chiusi gli occhi e mi mossi un po', per controllare che fosse comodo.
«Non avete mai avuto una coinquilina donna?», domandai curiosa, sollevandomi sui gomiti per guardarli.
Si scambiarono una sguardo complice e risero, ignorando bellamente il mio sguardo interrogativo.
«Ragazzi? Ehi! Smettetela di comunicare nel vostro linguaggio da maschi primitivi che non hanno ancora scoperto l'uso della parola!», esclamai offesa.
Jake ammise sospirando: «Ahhh Georgine, Georgine perché ci hai abbandonato?».
«Georgine?», domandai aggrottando la fronte.
Loro continuarono ad ignorarmi e si avviarono verso la porta e prima di lasciarmi sola li sentii dire: «Quelli si che erano bei tempi, dove la condivisione regnava sovrana...»
Mmh, chissà come mai se ne era andata quella Georgine, da come ne parlavano sembravano quasi rimpiangerla.
Sospirai e mi sfilai gli stivali.
Mi guardai curiosa attorno, osservando quello che sarebbe diventato il mio rifugio nei mesi a venire. Un grande letto matrimoniale occupava il centro della stanza, illuminata dall'ampia vetrata, posizionata esattamente di fronte alla porta laccata di nero. Ai lati del letto si trovavano due comodini e una poltrona bordeaux dall'aria invitante. Ai piedi del letto c'era una scrivania grigia affiancata da una porta scorrevole.
Mi avvicinai curiosa di scoprire cosa ci fosse al di là. Quasi urlai dalla gioia quando davanti ai miei occhi si presentò la paradisiaca visione di una piccola stanzetta adibita a cabina armadio.
Avevo sempre sognato di averne una per potervi riporre tutti i miei vestiti, senza essere obbligata una volta ogni due anni a buttare via vecchi abiti per far posto a qualcosa di nuovo.
Il mio momento di contemplazione fu interrotto da uno scampanellio subito seguito dalla voce di Nat che urlava: «Wooo».





Sono stata super veloce nello scrivere questo capitolo perché, essendo all'inizio della storia, il mio entusiasmo è ancora a livello stellare. In verità in questo capitolo non succede molto, ma mi serviva per introdurre e presentare in modo ordinato i nostri quattro coinquilini. Chi sarà alla porta? Lo scopriremo presto!
Fatemi sapere cosa ne pensate lasciando un graditissimo commento.
Grazie a tutti,
S. xxx
  
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