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Autore: Misukichan    04/09/2014    2 recensioni
Jennifer, ragazzina di quasi sedici anni, vuole staccare dalla sua vita in California. Non sopporta i burrascosi rapporti con i coetanei, ha solo bisogno di un estate diversa. I suoi le permettono un viaggio a Miami, per dimostrare la sua autonomia e maturità. Presto, però, si accorge che qualcuno di non desiderato si trova proprio a Miami, e comincia a stravolgerle i piani.
«Non sai nemmeno dove siamo, non è buffo?» parla con la bocca piena.
«No, non è buffo per niente. Ti hanno mai insegnato a non parlare con la bocca piena?»
«Sì, mamma.»
«Ok, va bene, hai vinto, cosa devo fare per sapere...?»
«Ti porto a casa io» vengo interrotta bruscamente.
«Sei proprio u-un...»
Ride e mangia il panino. «Ne vuoi un po'?» Ho fame, ma non accetterei un panino da lui neanche sotto tortura. (capitolo 5).
«stai scherzando, vero?» dice lei seria.
«no, quando mi sono alzata mi sono ritrovata nel letto di casa sua. Era piuttosto seccato di aver scoperto che quella che ha recuperato ero io» dico con nonchalance, «magari si aspettava qualche affascinante donzella» sorrido tra me.
«ma, non è niente di grave, giusto?»
«no, solo qualche botta» (capitolo 9).
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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9. Qualcosa di losco



Sono scossa.
Mi sembra di ritornare in me stessa solo ora. Come ho potuto passare un pomeriggio di sole chiusa in casa con una persona che fino a questo momento non ha fatto nulla per meritarsi nemmeno uno sguardo? Nemmeno un sorriso?
Forse dovrei bussare alla porta di uno ospedale, sala psichiatria, mi farebbe bene!
Forse il mio cervello riceve strani impulsi.
Forse ho qualche problema serio!
Mi ha davvero chiesto scusa? Per convenienza o perché davvero sentiva una punta di rimorso? E soprattutto, per cosa? Si è scusato... per tutto?
I miei dubbi sono ancora tanti, l'idea originale era quella di venire per avere una risposta alle tante domande che affollavano la mia mente, ma il risultato è che se ne sono aggiunte delle altre.

Il cielo diventa a mano a mano sempre più arancione, le sfumature cambiano, è uno spettacolo magnifico per i miei occhi stanchi. Non ho voglia di chiamare un taxi subito, preferisco prendermi del tempo per pensare. Adoro pensare in solitudine.
Cammino per la via, forse l'unica via piena di verde, alberi, piante che ho visto fino ad ora in questa magnifica città, la via di Jack.


Jack. Sempre lui. Non lo sopporto. Non sopporto che sia lui a dettare le regole. Non sopporto di stare al suo gioco: un minuto prima è il ragazzo più strafottente dell'universo, l'attimo dopo quasi mi sorride.
Il suo comportamento mi confonde. Sono confusa da lui e dalle sue scuse improvvise, a ripensarci mi vien mal di testa, non saprei nemmeno se credergli a questo punto.
Però siamo comunque nella stessa situazione, siamo stati scaricati.
Non posso permettergli di farmi del male di nuovo, anche se dopo oggi il male me lo sono fatta da sola.
Almeno così non ho più alcun debito con lui. Da domani ricomincerà la vita di sempre, come prima, la mia vita tornerà alla normalità e la sua pure. Ognuno per la sua strada. Due strade divise che non s'incroceranno mai.
E' stata solo una stupida giornata. Non posso illudermi che sia cambiato da un giorno all'altro.
I pensieri mi accompagnano mentre il caldo opprimente lascia il posto ad un arietta fresca che smuove gli alberi, un attacco di stanchezza e di sonno improvviso mi rapisce. Mi siedo su una panchina vicino ad un lampione spento e penso.
Quando decido che per me è ormai ora di tornare in hotel e di chiamare un taxi, noto che nella mia borsa manca una cosa di fondamentale, il cellulare. Ricordo solo di averlo buttato da qualche parte in preda alla rabbia.
E mo che faccio? Non c'è l'ombra di un taxi. A piedi sarebbe troppo lunga.
Le alternative sono due: o restare li in attesa dell'arrivo di un taxi, cosa assai improbabile data la scarsa presenza di gente in giro, oppure tornare verso la casa di Jack.
Ma a quel punto lui potrebbe benissimo mandarmi al diavolo. Oppure potrebbe essersi addormentato.
Alla fine cedo alla stanchezza e ripercorro la strada da dove sono venuta, ritornando alla maestosa villetta di Jack.
Suono una volta, due volte, tre volte, ma di Jack nemmeno l'ombra. Si sarà davvero addormentato, la sua salute è instabile, penso.
Mi prende il panico.
Non so proprio cosa fare, decido di chiedere aiuto al primo che passa in macchina, oppure di suonare al campanello di qualcuno chiedendo il permesso di usare il telefono.
Mi accuccio ai piedi dell'albero, quello vicino all'ingresso della villetta di Jack.

Sono seduta a gambe incrociate appoggiata al tronco in attesa di qualche idea migliore, quando vedo dei fari in lontananza.
E' la mia fortuna.
Vedo avvicinarsi una bella auto sportiva, rossa, lucida, pulita.
Un momento...
Somiglia terribilmente alla macchina di Jack. No, anzi. E' la macchina di Jack.
Due ragazzi sulla ventina parcheggiano a qualche metro di distanza da dove sono io, scendono dall'auto e sbattono le portiere, venendo verso di me.
Io mi alzo, non sapendo cosa fare, e faccio finta di niente, quando dentro mi sto agitando e surriscaldando come una stufa elettrica.
I ragazzi mi vedono e mi chiedono se un tale Jack abita qui nei dintorni; io non so proprio cosa fare, se dirgli la verità o meno.
Questi due, di fiducia non ne ispirano nemmeno un po'.
Alla fine gli rivelo, mio malgrado, che la casa di Jack è proprio questa di fronte.
Il tipo con il giubbotto di pelle nero e gli stivali mi fissa, con la sigaretta in bocca, l'altro si muove subito verso il campanello della casa di Jack e suona in malo modo. Troppo inquietanti.
Ma chi si credono di essere?
«Scusate la domanda, chi sareste voi? » chiedo, mostrandomi quanto più indifferente possibile, per non destare alcun tipo di sospetto.
«Non ti interessa chi siamo» risponde l'altro secco «siamo qui per saldare un conto in sospeso con questo famoso Jack, che ha un debito nei confronti del nostro fornitore. Farebbe anche meglio ad uscire se rivuole il suo gioiellino» disse sempre quello con la sigaretta in bocca picchiando la mano contro la macchina.
Se Jack fosse qui gli avrebbe probabilmente già spaccato la testa, sapendo quanto adora la sua auto.
«Perché non risponde? Non è in casa?!» disse uno dopo aver provato a suonare e risuonare molte volte.
«Non ne ho idea» mento io, immobile vicino all'albero.
Questa è una delle tipiche situazioni in cui cervello e corpo sono scollegati.
Il cervello intima di scappare, di mettere quanta più distanza possibile fra me e quei due tipi loschi. Il corpo però è fermo, leggermente tremante, in attesa di un qualche evento.
«Ma tu che ci fai ancora qui? Sei la sua ragazza?»
«No, sono qui perché... anche io lo sto aspettando» mi scopro a dire.
Qualunque cosa Jack abbia a che fare con questi due qui, non è una buona cosa.
Fornitore aveva detto? Fornitore di che cosa?
Mi chiedono se so il suo numero di telefono, ma io ovviamente non lo so. E anche se avessi dietro il mio telefono, il numero di Jack non è memorizzato nella mia rubrica.
I due tipi cominciano ad agitarsi, non è un buon segno.
Ad un certo punto uno si risolve a scavalcare e ad aprire la porta.
Merda. Se Jack è davvero addormentato come penso, allora la porta è sicuramente aperta, non chiusa a chiave. La prudenza non è mai troppa, accidenti.
Il ragazzo che sta scavalcando fa così tanto chiasso che la luce della cucina di Jack si accende, lo vedo affacciarsi dalla finestra e non sono mai stata più felice di ora nel vederlo.
I capelli arruffati e la sua faccia assonnata dimostrano che stava dormendo.
Apre la porta ed esce, guarda prima me e poi loro ma sembra non capire, sembra non afferrare il nesso che c'è tra me e quei tipi minacciosi.
Io sto in silenzio, non saprei nemmeno cosa dire. So solo che voglio levarmi da tutto questo intrigo e tornarmene a casa. Stupida mente bacata che non ho altro. Se non avessi lanciato il mio cellulare in un momento di crisi...
Colpa di Sam, mi consolo.
«E voi chi siete, e che ci fate a casa mia?» dice Jack.
«Ci manda Swen, siamo venuti a riscuotere il tuo debito»
«E lei che ci fa qui?» indica me.
«Che ne sappiamo noi? Era già qui quando siamo arrivati. Ora però torniamo ai fatti concreti. Swen vuole i soldi, ha detto che non riavrai la tua macchina se non ce li consegni all'istante.»
Jack sembra incerto sul da farsi e su cosa dire, la sua espressione non è ben visibile ai miei occhi come vorrei, voglio capire se è nei guai.
Mi accorgo del buio che ormai incombe, ad illuminare la zona solo le luci delle case e dei lampioni, e lontano anche quelle della spiaggia e del centro della città.
Jack esce e si avvicina a noi.
«Non li ho i soldi, temo che il vostro Swen dovrà aspettare» atteggiamento strafottente, arrogante, di gran lunga peggiore di quello che conosco. Le vecchie abitudini sono dure a morire...
Il tipo con il giubbotto di pelle e la sigaretta, quello che sembra una specie di tamarro uscito male gli tira un cazzotto dritto in faccia prima che io possa rendermi conto della situazione.
Così non vale però! Jack non è in forma, non è in pieno possesso delle sue facoltà fisiche e mentali.
«Basta!» dico io che fino ad ora ero rimasta ferma sempre nello stesso punto vicino all'albero, attirando l'attenzione di tutti i presenti «Vi sembra il caso di trattare così una persona, che per di più non sta bene?» sbotto io.
«Bene o non bene non è affare che ci riguardi. Noi vogliamo i soldi» continuano imperterriti i due. Ok, sapevo che non avrebbe funzionato... Mi mordo il labbro mentre ragiono velocemente, pensando a qualche soluzione.
Giusto quando penso stiano per sferrare un altro cazzotto a un Jack già sanguinante, li fermo.
«Insomma, quanti soldi vi deve?!» sbotto io con voce stridula, abbastanza terrorizzata dalla situazione, aprendo la mia borsa e tirando fuori il portafoglio.
Jack lo vede, impegnato ad asciugarsi la fronte e il naso che ancora non aveva smesso di sanguinare, ma non dice niente, distogliendo lo sguardo.
«Trecento dollari» dice l'altro, messosi subito sull'attenti e avvicinandosi a me, vedendo il portafoglio aperto.
Per poco non mi va di traverso la mia saliva. Che cosa?! E io dovrei prestare trecento dollari a Jack?!
Maschero la mia reazione esternamente e tiro fuori impassibile i trecento dollari richiesti. Giuro che lo ammazzo, quel cretino. Non appena si rimette in sesto mi dovrà sentire, anzi, anche subito!
Porgo i trecento dollari al ragazzo più vicino a me, che comincia a contarli. Non appena finisce fa un cenno al compagno, che lancia le chiavi dell'auto per terra di fianco a Jack.
Benedetta me che sono andata a prelevarli per lo shopping, e benedetta me che alla fine ho usato comunque la carta di credito.
«Ringrazia la tua ragazza, che ti ha salvato la testa, e la macchina!»
«Non sono la sua ragazza» dico infastidita. I due però non ci fanno caso e si avviano verso un'altra auto che fino ad ora non avevo notato, nera, una ventina di metri lontana.
Ora che io e Jack siamo rimasti soli mi giro verso di lui e lo guardo nera «Quindi?!» mi esce spontaneo.
Lui fa finta di non sentirmi e continua a tamponarsi la ferita, sia fisica che morale, a questo punto.
Il naso non ha smesso di gocciolare sangue, così lo prendo per un braccio e lo trascino dentro casa sua. Chissene frega se non sono stata invitata, che cavolo!
Mi richiudo la porta alle spalle con un tonfo, giro la chiave che è già nella serratura e lo guardo, con aria assassina, pronta all'attacco.
«Mi spieghi che diavolo erano quei tipi e che cosa succede oppure devo chiamare direttamente la polizia?» mi scopro ad urlare.
In effetti, non so quanto la polizia possa aiutare visto che l'unica targa che ho notato è stata quella della macchina di Jack.
«Non chiamerai proprio nessuno» dice lui irritato, asciugandosi nuovamente il rivolo di sangue.
«Vieni qui» gli dico portandolo vicino al lavandino della cucina e bagnando di acqua fresca un fazzoletto di stoffa pulito che avevo nella mia borsetta.
Glielo appoggio sul naso, e dopo qualche minuto il sangue sembra smettere di scendere. Gli bagno anche la fronte, accaldata.
Sicuramente la febbre sarà salita.
Dopo qualche altro minuto lo sento ansimare, respirare con fatica.
«Jack, che ti succede?» il mio tono di voce tradisce la preoccupazione «Ti senti male?»
«Sto bene»

Sicuro, si vede lontano due metri che non è vero.
Faccio sdraiare Jack e mi procuro un po' di ghiaccio dal freezer che ho utilizzato solo poche ore prima.
Sembra passata una vita però. La scena di prima deve aver scosso molto anche me.
Jack è sdraiato sul divano, a petto nudo, sudato. Evidentemente malato.
Dopo venti minuti sospiro sfinita e mi butto sulla prima sedia che trovo; ho fatto tutto quello che potevo fare.
«Grazie» dice lui a bassa voce, con gli occhi chiusi.
Penso non sia facile per lui ammettere di avergli salvato il fondoschiena... e la macchina.
Sembra leggermente sollevato.
«I trecento dollari li voglio indietro!»
Gli tocco la fronte, che scopro fresca. Almeno una nota positiva, la febbre è passata.
Adesso il brutto è trovare il modo di tornare in hotel, che dista quattro o cinque chilometri.
«Jack, mi dispiace dirtelo così, come se niente fosse, ma temo di dover rimanere qui un po' più del previsto...»
«Rimani pure, se vuoi» dice lui, braccia conserte sul petto e occhi chiusi, finalmente rilassato, quasi sapendo che non ho alternativa «la mia camera è al piano di sopra e poi a destra, anche se credo che tu lo sappia già.»
La sua tranquillità mi mette i brividi, come se non fosse appena stato minacciato da due tipi loschi e pericolosi. Menefreghismo allo stato brado.
«E... e tu?»
«Cosa io?»
«Dove dormi?»
«Non lo vedi? Qui.» il suo comportamento impassibile, come se tutto sia ovvio, comincia a darmi seriamente sui nervi.
Mi rendo conto di non avere altra scelta se non quella di rimanere, l'orologio segna ormai le dieci. Sono stata fuori con quei due tipi per più di un ora.
L'idea di ripensarci mi sconvolge, così decido di andare a farmi una doccia rinvigorente.
«Le asciugamani le trovi in bagno, due stanze a sinistra rispetto alla mia camera» sembra mi abbia letto nel pensiero. «Stai tranquilla che non guardo.» Il suo solito ghigno compare di nuovo. La sua voglia di scherzare anche nei momenti meno opportuni mi rende nervosa.
«Ah Jack, avrei bisogno di un ultimo favore. Ho bisogno che mi presti il telefono per chiamare a casa, tra qualche ora i miei dovrebbero chiamarmi all'hotel se non li chiamo io prima. Non voglio che si preoccupino sapendo che non ci sono.»
«E' in camera mia» è l'unica cosa che risponde, prima di girarsi dall'altra parte, su un fianco.
Mi avvicino al divano e mi siedo su un bracciolo.
Il mio stomaco brontola e io mi ricordo del panino nella borsa, lo prendo e comincio a mangiarlo di gusto.
«Hai fame?» Nessuna risposta.
«Che cosa volevano quei due?» chiedo ancora abbastanza dolcemente, per non farlo alterare più di quanto non lo sia già.
«Pensavo fosse ovvio, visto che li hai pagati tu»
«Sì, ma per cosa?»
«Non sono affari tuoi, questi»
«Insomma, ho il diritto di sapere per che cosa ho dovuto sganciare trecento dollari! Hanno detto fornitore, quando non eri ancora uscito... fornitore di cosa?»
Jack apre gli occhi, un guizzo di sorpresa li attraversa. Fa il gesto di portarsi una sigaretta alla bocca. Qualcosa mi fa intuire che non si tratti di sigaretta.
«Ah bene, fantastico. Ho sganciato soldi per della droga. Wow. Ecco spiegata anche la tua salute attuale. Quanta ne hai fumata, di quella roba?»
«Non è droga. Ripeto... non sono affari tuoi. Va' a dormire Jennifer, non fare la grande che hai solo quindici anni»
Quest'affermazione mi ferisce. Non poco. Sono così stufa di sentire quel numero che quasi gioisco quando mi ricordo che tra pochi giorni ne compierò sedici.
Al diavolo.
«Avrò anche quindici anni, ma la mia età mentale supera la tua di almeno venti!»
Prendo la borsa e me ne vado, sbattendo la porta, di sopra. Stanca di tutto, di Jack, di canne, di soldi, di passaggi in macchina, di situazioni incoerenti e imbarazzanti, del destino inopportuno, che ce l'ha su con me e che me lo ha fatto incontrare pure in vacanza. Stupida sfortuna.
Salgo le scale e vado dritta a destra, la camera di Jack non mi è nuova. Ricordo bene l'incidente avuto una settimana e qualche giorno fa. Ora però è più in ordine. E profumata.
Appoggio le mie cose su quel materasso morbido ed esco alla ricerca del bagno.
Sono indecisa se farmi un bagno oppure la doccia, dato che ci sono entrambi, ma alla fine opto per la doccia fresca.
Mi sento in imbarazzo a spogliarmi in quella stanza, che non ha niente di familiare. E' la presenza di Jack al piano di sotto che mi rende tesa, nonostante sia al sicuro, e chiusa a chiave.
Alla fine faccio la doccia ed esco dal bagno fasciata da un asciugamano.
Entro in camera alla ricerca di una sua maglietta da indossare per la notte, prendo la prima che trovo, nonostante mi vada decisamente larga.
Di fianco all'armadio c'è un comodino dove c'è il telefono. Digito il numero di casa mia e sono felice di sentire una voce familiare in quella casa che dovrebbe essere l'ultimo posto in cui dovrei trovarmi.
Parlo con mio padre, maledicendomi mentalmente di nuovo per aver dimenticato il cellulare.
La mamma non è in casa, «aveva il turno di lavoro stanotte» spiega mio padre.
Gli racconto della giornata, omettendo ovviamente quello che c'è da omettere. Poi non resisto alla tentazione di chiamare anche Laura, anche se so che probabilmente avrà una reazione simile a quella dell'ultima volta.
Con lei non mi devo preoccupare di censurare niente, posso raccontare tutti i minimi e insignificanti dettagli che ad un genitore non avrei mai rivelato, come del breve episodio di Sam.
E infatti non appena le racconto di dove - guarda caso - mi trovo, devo aspettare almeno dieci lunghi minuti prima che si sia ripresa del tutto dallo shock.
«Oh Jenny, voi due siete proprio una bella coppia, non so chi sarebbe peggio, vedendovi insieme» ridacchia.
Delle volte mi chiedo cosa ci trovi di così divertente nelle mie situazioni così pessime.
«E domani cosa farai? Andrai giù a preparargli la colazione per ringraziarlo?»
«Domani mi alzerò presto e chiamerò Kandy per farmi venire a prendere, tutto qui» sospiro io pensando già alle spiegazioni da dare alla mia amica super protettiva.
«Guarda che sono gelosa, cos'è tutta quest'improvvisa confidenza? La conosci da poche settimane».

Dieci minuti dopo aver chiuso il telefono, tiro le tende e mi appoggio al cuscino, stanca come poche volte nella mia vita.
Inspiro e sento il suo odore sul cuscino. Mi addormento rilassata dopo pochi minuti.


Alle nove in punto vado giù, aspettandomi di trovare un ragazzo addormentato sul divano. Prendo dal frigorifero una bottiglia di succo d'arancia e me la vuoto nel bicchiere. Insomma, se mi ha ospitata qui non credo di fargli un torto facendo colazione.
Guardo fuori dalla finestra.
Jack è fuori in giardino, sta tagliando il prato. Senza maglietta...
Scrollo la testa come per cacciare quei pensieri disgustosi, infondo è sempre Jack, il solito Jack, addominali o meno.
Decido di affrettarmi a finire la colazione e poi andare a prendere la mia roba, Kandy sarà qui a momenti.
Difatti quando sono nuovamente giù una macchina è parcheggiata vicino al cancello e il tagliaerba di Jack è fermo in mezzo al prato.
«Te ne stai andando?» sobbalzo. E' entrato forse di soppiatto per non farsi sentire?
«Sì... Ah Jack, ti volevo ringraziare, per tutto. Per sta notte e per ieri.»
«Non c'è problema, grazie a te per ieri» dice lui con tono educato, senza affetto.
«Ah Jennifer, in quanto ai soldi, te li ridarò appena mi è possibile» mi promette.
E finalmente posso tornarmene a casa.
Per tutto il viaggio di ritorno Kandy non fa altro che lanciarmi sguardi eloquenti, e nonostante io faccia di tutto per ignorarli, capisco che probabilmente è stupita da tutto quello che è successo. Probabilmente a partire dal fatto che mi sono “offerta” di pagare quel misterioso debito, di cui le parlo non appena sono in macchina.
«Non c'era dubbio che fosse qualcosa di losco» mi dice lei.
«Ora cambiamo argomento, altrimenti rischio di ritornare là e rompergli una mascella.»
«Ultimamente tra te e Jack sembra ci sia una sorta di... tregua...» La piega che sta prendendo il discorso non mi piace affatto, così mi limito a rispondere che per quanto io odi Jack non avevo potuto fare a meno di rimanere da lui quella notte dato che non potevo spostarmi in nessun modo.
La sera Kandy mi porta a comprare un telefono nuovo, sostenendo di dover comprare pure il mio cervello, per evitare di dover rimediare a qualche mio altro casino. D'altronde la parola "Jack" è sinonimo di "guai".
«A comunque, odio dovertelo dire io e in queste circostanze ma... temo abbia chiamato Sam»
«Dove?» sono sorpresa.
Alla tua stanza d'hotel , deve essere riuscito in qualche modo a scoprire qual'è, ha lasciato un messaggio alla hall.
Io sospiro, ci manca uno stalker che mi perseguita, e addio. La vacanza più strana del secolo.
«A proposito di Sam, ha avuto pure il coraggio di scrivermi un messaggio di scuse, il vigliacco.»
Trascorro il resto della giornata così, fra le chiacchiere di Kandy, il gelato, i film, il gelato, le caramelle mou, il gelato, la musica, e ovviamente ancora il mio gelato. Un chilo di gelato nel mio stomaco in meno di un ora.
Quella che ci fa venire la carica di saltare sul letto e gridare, quasi fossimo ritornate bambine, e scatenarci come pazze, è la musica.
Fino a quando non bussano alla porta, a sera ormai inoltrata. Quando Kandy vede che è Luke non resiste alla tentazione di saltargli in braccio, completamente preda della sua pazza euforia.
Io invece perdo quasi un colpo quando vedo che dietro di lui c'è Jack. Insomma, non sono ancora abituata a vedermelo spuntare da ogni parte a tutte le ore del giorno, e pure della notte!
«Ti ho portato i tuoi soldi» dice lui. Lo guardo sorpresa.
«Come hai fatto ad esserteli procurati in così poche ore?» lo guardo accigliata.
«L'importante è che ora ce li ho e te li posso restituire presto, come avevo promesso.»


Luke è seduto sul divano, con in braccio una Kandy euforica quanto prima. Jack è seduto sulla poltrona, piuttosto imbronciato, e io fingo di leggere un libro, per non dovermi per forza intrattenere in una conversazione probabilmente forzata. Sono stanca.
«Non si direbbe tu sia presa molto da quel libro» rompe il ghiaccio.
«Come scusa?»
«Sei ferma su quella pagina da almeno venti minuti»
Chiudo il libro, seccata dalla sua accortezza. Che figura da scema, fantastico.
«E' che sono stanca, non riesco a concentrarmi»
Detto questo mi alzo e vado in cucina.
Questi giorni mi hanno veramente spossata, un'insieme indecifrabile di emozioni sconosciute dal mio cervello, in un linguaggio conosciuto solo al mio cuore, si sono insinuate piano dentro di me, aprendosi un varco profondo e lasciandomi sfinita.
Voglio solo riposare, appoggiare la testa sulle mie braccia conserte sopra il tavolo e tirare un sospiro di sollievo.
Il sospiro arriva quando sento delle mani calde posarsi sulle mie spalle e cominciare a massaggiarle, piano. Con una lentezza e leggerezza strana, quasi innaturale. Però spontanea e piacevole.
Chiudo gli occhi, pensando che non sia giusto che Kandy sia qui con me quando di là c'è un Luke innamoratissimo pronto ad aspettarla.
Solo dopo qualche minuto sobbalzo e mi accorgo che quel tocco non viene dalle mani di Kandy, eppure è così premuroso, così protettivo che subito la confusione ritorna ad annebbiare la mia mente rendendo ogni mio pensiero irrazionale. 


Hey ragazzi! Spero che non vi siate dimenticati di me! Questo capitolo è il mio preferito, ricordo di averci messo anche tanto a scriverlo, ricordatevi di lasciarmi due righe per farmi sapere cosa ne pensate, un bacione e alla prossima! 

 
  
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