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Autore: Snehvide    25/09/2008    4 recensioni
E’ facile riuscire a ritrovare dei tasselli smarriti sotto ad un divano; sotto ad una tenda; sotto il tappeto.
La stanza rappresentava un ambiente finito.
Limitato.
Circoscritto.
Ed era proprio questo senso di circoscrizione, a renderlo possibile.
Ma quando i tasselli vanno ad arenarsi lungo le profondità sabbiose del fiume Lethe, infiniti abissi dell’oblio, allora puoi tranquillamente dare loro l’estremo saluto.
Non vi sarebbe stato alcun modo, di riuscire a recuperarli.
E, a giudicare dai numerosi spazi vuoti sul tuo puzzle, erano stati molti i tasselli che avevan trovato la loro rovinosa fine laggiù..
Su uno di quelli, sicuramente, vi era inciso il tuo nome.
Quello vero.
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri personaggi, Matt, Mello, Near
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Wammy’s House Orphanage RULES

1st : Never say it. Never. 0.4

 

 

Una bella buca.

Una bella, immensa, profondissima buca pronta ad inghiottirti completamente e trasportarti in un mondo alternativo dove gli uccellini cinguettano, l’arcobaleno brilla possente sulla tua testa, e le numerose fontane disseminate tutte intorno erogano cioccolata fusa di prima qualità da mattina a sera.

Beh…

In realtà si sarebbe  anche accontentato di un mondo utopico un po’ più modesto, a patto che riuscisse a svincolarlo da tutti i tormenti che quel giorno il destino gli aveva cinicamente riservato!

 

Il suo rivale per eccellenza scompare nel nulla ad una settimana dall’esame di fine semestre, Roger come al solito lo ritiene responsabile dell’accaduto, e persino appellarsi a quell’idiota di Matt, che per qualche  ignota ragione si ostinava a considerare ancora il suo migliore amico, non era servito a nulla se non a peggiorare ulteriormente la propria condizione!

Che bella giornata! Proprio una domenica con i fiocchi!

 

Il labbro cominciava a gonfiarsi.

Doveva smetterla di torturarlo ancora, ma l’unica cosa in grado di permetterglielo - la sua barretta di cioccolato quotidiana – era rovinosamente scivolata sul parquet dell’ufficio di Roger, e di certo, non sarebbe andato a riprendersela.

Quella sua brutta faccia da barbagianni costipato sperava di non doverla rivedere  almeno per le prossime quarantotto ore! 

 

E poi c’era Linda…

C’era Linda ovunque si voltasse. C’era Linda ovunque si nascondesse.

C’era Linda persino sotto la montagna di cuscini che aveva radunato intorno a sè,  e che ora premeva con tutta la sua forza contro le orecchie nel vano tentativo di sfuggirle.

Quella dannata, petulante ragazzina …

 

Dopo Near, le bambine erano la cosa che sentiva di detestare di più al mondo.

 

«Non si picchiano le bambine! »

«Mello, restituiscile subito la cioccolata! »

«Distribuitevi in fila per due. Prima le bambine. »

«Avanti caro, non farla piangere. Prestale ciò che chiede. E’ una femminuccia, sii cavaliere! »

 

Chissà perché tutti gli adulti tendevano a sviluppare nei confronti di quelle sciocche ranocchiette un tale protezionismo da sforare alla grande i limiti dell’accettabilità. 

Ignorava se la loro fosse solo compassione verso l’universo femminile oppure vi era qualcos’altro di innato, sotto. Quando si trattava di una bambina, loro non volevano sentire ragioni: la colpa era dei maschi. Sempre. 

Inutile dire che, con il tempo,  il caro gentil sesso – definizione secondo lui assolutamente errata  -  aveva imparato a sfruttare questo favoritismo meglio di quanto voleva dare a vedere.

E la cosa non serviva che ad incentivare l’ostilità dei maschi nei loro confronti, accrescendo l’innato, sottile, infimo piacere detraibile nel riuscire a tormentarle con sotterfugi sempre più sofisticati, alla prima occasione appetibile.

 

Ma non Linda.

Non Linda, per amor di Dio.

 

Una sola volta.

Aveva scatenato la sua ira una sola volta.

Mai prima di allora si era pentito tanto per una sua azione.

Mai prima di allora aveva pietosamente svuotato le tasche dinnanzi a qualcuno, pronto a consegnarle qualsiasi cosa - anche l’anima se gliel’avesse chiesta -   pur di arrestare i suoi lamenti!

E di certo, non l’aveva fatto perché mosso da compassione: Il pianto di quell’innocua bimbetta era quanto di più devastante possa esistere al mondo.

Una vera arma di distruzione di massa fisica e mentale.

Era capace di piangere talmente tanto e talmente forte da vaporizzare in pochissimo tempo ogni singolo neurone degli sfortunati presenti nel raggio di un chilometro da lei.

E non vi era alcun verso di arrestarla, se non esaudire le sue richieste.

 

Aveva perso il conto delle volte in cui, sorprendendo i presenti, aveva tentato di scongiurare il peggio prendendo addirittura le sue difese.

Lui:  Mello che si mette a fare l’eroe difendendo una disgustosa femmina col moccio al naso.

La dignità? Pff. Bazzecole!

Nulla di più sacrificabile, in casi come quelli.

Non tutti però, a quanto pare, ne erano consapevoli.

 

Scansò di colpo i cuscini dalle orecchie quando si rese conto dell’inutilità del provvedimento preso.

Che l’idea di rifugiarsi in camera sua fosse stata l’ennesima pessima scelta del giorno, non ebbe bisogno neanche di ripeterlo a sè stesso: sarebbe stato masochistico.

 

Calciò le lenzuola attorcigliate al piede in un angolo del letto disfatto, e,  con passo nervoso si diresse verso la porta schiudendola.

Era più che prevedibile che il tran-tran della mattina si fosse trasferito lì, a pochi metri di distanza dalla sua camera. 

La porta della stanza di Near spalancata e ricolma di gente non era uno spettacolo visibile tutti i giorni, tuttavia, più che stupirlo, l’emozione che accusò fu differente.

Non era ancora stato ritrovato.  Questo, era più che evidente.

 

“Linda, tesoro, adesso calmati! Sei sicura di aver guardato bene? Non li avrai dimenticati in camera di qualcuno?”

 

“No! Li avevo con me stamattina, ma quando sono tornata dal bagno non c’erano più!!! Miss Annie, la prego, mi aiuti a trovarli!”

 

Riprese a martoriare il povero labbro offeso.

Quella quattrocchi di Annie aveva un debole per la mocciosetta.

Bastava solo che Linda aprisse bocca e lei era lì, pronta a prendere le sue parti in qualsiasi occasione.

Era la sua preferita.

Non tutti, del resto, hanno in sé il dono innato di riuscire a farsi amare dagli altri senza alcuno sforzo.

(Ne aveva avute abbastanza quel giorno, per ammettere che quella visione era in grado di scatenare dentro di sé un sottile filo di gelosia.)

 

Piegata dinnanzi alla bambina pochi metri più avanti al gruppo di adulti, la tata ed un paio di ragazzini sporadici erano gli unici ad essere intervenuti in risposta al suo pianto disperato.

Persino da lontano, Mello riuscì ad evincere  nei loro atteggiamenti un’insolita premura e scarsità di interesse…

Strano. Sicuramente, la cosa a Linda non doveva essere piaciuta molto.

Beh…

A differenza delle volte precedenti quel giorno avevano altro a cui pensare.

Dopotutto, si trattava sempre del numero uno

Da un lato, fu felice di non essere il solo a sentirsi messo da parte in favore di Near, almeno per una volta.

 

“Linda, purtroppo per il momento non posso aiutarti, cara. Hai sentito anche tu cos’è successo, non è vero? Adesso, la cosa più importante è riuscire a ritrovare Near. Sai bene che quel bambin…Li-Linda? Linda!!”

 

La figura liquida e traballante di Mello scorsa in lontananza dai suoi grandi occhi inondati  di lacrime, annientò in pochi istanti l’interesse della bambina nelle parole della tata.

Divincolandosi dalla gentile stretta con cui venivano cinte le sue piccole spalle, Linda schizzò come un fulmine verso il bambino biondo.

 

“Mello!!!”

 

Argh.

Fu colto di sorpresa.

Indietreggiò di un paio di passi quando suo malgrado, un paio di manine impiastrate di lacrime e moccolo si aggrapparono alla sua maglia, unico appiglio alla disperazione.

 

“C-C-Che diamine vuoi, Linda!?”

 

“Mello!!! Mello ti prego!! Restituiscimi i miei colori a olio!! RESTITUISCIMELI!!!”

 

“Co…cosa?!?”

 

 

Se prima era perplesso, adesso Mello era sconvolto.

Cosa diamine stava farneticando quella stupida!?

 

Con la gola intasata dai singhiozzi, la bambina affondò il volto rigato contro il petto del coetaneo.

 

“Sei stato tu, non è vero!? Sei stato tu a prendere i miei colori a olio stamattina!!! Se è così, RIDAMMELI SUBITO!!”

 

Cercò di ripristinare un’espressione consona al suo intento.

Quando ne fu soddisfatta, scostò il volto dal torace di lui, sollevò la testa, e alzandosi sulla punta dei piedi gli rivolse lo sguardo più patetico e  lamentoso che egli avesse mai visto.

 

Era il colmo.

Adesso sì che poteva tranquillamente affermarlo.

Se per caso fosse tutta una congiura da parte del Wammy’s House per mettere alla prova i limiti della propria tolleranza, allora erano ampiamente riusciti nel loro intento. Benissimo. Quando doveva ancora attendere prima che Roger o, ancora peggio, Near uscisse fuori allo scoperto proclamando fine all’esperimento?

 

Si rifiutò categoricamente di credere che tutto ciò stesse accadendo davvero a lui, quel giorno…


“Ma ti ha dato di volta il cervello!? Perché mai dovrei aver preso io i tuoi stupidi colori!?!”

 

Mosso da un impeto di collera ed incredulità, Mello cercò di staccarsela di dosso come meglio poteva,  ma più tentava di farlo, più la ragazzina rafforzava la propria stretta su di lui. Pochi secondi dopo arrivò addirittura a cingerlo completamente per la vita con una forza che mai aveva pensato che una femmina potesse possedere.

 

 “E allora chi è stato!?! Chi è stato a rubare i miei colori?!?!”

 

“Cosa diamine vuoi che ne sappia io!?”

 

“Invece sì!! Sono sicura che tu sai dove sono finiti!!”


“Ma sei proprio stupida! Ti ho detto che non ne so nulla!!!”

 

Nulla al mondo vi era di più patetico che la sua figura in quegli istanti.

Completamente atrofizzato dalla rabbia e dalla vergogna se ne stava lì, incapace di divincolarsi persino dalla presa di una insulsa ragazzina come il più stupido degli ameba.

Possibile che la giornata lo avesse distrutto a tal punto!?


“Non ci credo!!! Tu sai sempre tutto!!!”


“E invece no!! Non ne so assolutamente niente!! Non li ho neanche mai visti!! E adesso allontanati subito da me, prima che ti prenda a calci!!”

 

“……..”

 

“……...”

 

Più che spaventata dalle minacce, Linda apparve delusa dalle aspettative.

Con le ultime parole  che Mello le aveva rabbiosamente vomitato in faccia, ella vide l’ultimo barlume di speranza a cui aveva riposto ogni fiducia, infrangersi nel nulla come un bicchiere di cristallo scivolato per terra.

Era certa che Mello ne sapesse qualcosa.

Mello sapeva sempre tutto. Mello era sempre responsabile di tutto, lì dentro.

Come poteva mai credere alle sue parole?!

 

“A-Allora…”

 

“……Uh?……”

 

 “Allora mi…mi aiuteresti a ritrovarli?...”

 

“Eh??”

 

“Mi aiuteresti a ritrovare i miei colori, Mello?”

 

Con voce dolce, ancora parzialmente rotta dai singhiozzi, la ragazzina tornò a cingere ancora una volta la maglia sgualcita del compagno di istituto. Sorrise.

Prima di essere sbalordito per una simile richiesta, Mello ne fu schifato.

Con che coraggio riusciva a porgergli una simile richiesta senza neanche scusarsi con lui!?

 

“Aiutarti?! Ma non ne ho la benché minima intenzione!! Ho altro a cui pensare per i fatti miei!! E adesso lasciami!!”

 

“Ti prego, Mello!! Non te ne andare!!”

 

Ostinata.

Puntellò i talloni contro il pavimento cercando di trattenerlo a sé.

 

“Non te ne andare!! Se non mi aiuterai tu, nessuno vorrà farlo!!”

 

“Non se ne parla!”

 

“Ti prego!!”

 

“No! Ti ho detto che ho da fare, quindi ti saluto!!”

 

Con un brusco strattone, strappò dolorosamente via le mani della ragazzina avvinghiate ai suoi fianchi, e senza neanche attendere una sua risposta, si affrettò a raggiungere una distanza di sicurezza prima che quest’ultima potesse tentare ancora una volta  di fermarlo.

 

“……….”

 

Uno…

Due...

Tre…

Quattro…

Tempo dieci secondi, ed era certo che le sue orecchie sarebbero state investite ancora dalle urla isteriche e frastornanti di lei, che questa volta, era certo avrebbero raggiunto livelli di offensività a dir poco estremi.

Beh, pazienza! Non per questo avrebbe ceduto!

Ne aveva passate talmente tante, quel giorno, che persino quella prospettiva lo scalfiva tanto quanto lo poteva fare la favola di Cappuccetto rosso...

 

“Linda, tesoro…”

 

Dello stesso parere non era Annie.

La tata, infatti, si presentò dinnanzi la bimba con un enorme peluche.

Aveva osservato la scena da lontano, ed era giunta ad una preoccupante conclusione: A lei, le lacrime di Linda spaventavano ancora. Molto.

 E dal ritmo crescente dei singhiozzi che ritornarono ad attanagliare la ragazzina, non era certa che i suoi nervi sarebbero riusciti a reggere un’altra crisi come quella che era appena terminata.

Se ricomincia a piangere come poco fa, giuro che mi do all’agricoltura!

Il peluche intravisto nella stanza di Near gli tornò subito alla mente.

Le probabilità che avrebbe funzionato erano scarse, ma era pur sempre un tentativo…

 

“Tesoro, che ne diresti di tenere con te per un po’ questo splendido coniglietto? Sai, anche il suo compagno di giochi è scomparso…e adesso è triste proprio come lo sei tu.”

 

Non si era mai espressa in quel modo così infantile ad una bambina del Wammy’s House.

Suonò penosa persino a sè stessa, e la cosa non fece che sottolineare lo stadio di disperazione che aveva raggiunto.

 

“Gioca per un po’ con lui. Se lo farai, noi potremo andare a cercare il suo padroncino e quando lo avremo ritrovato,  andremo insieme alla ricerca dei tuoi colori ad olio. Siamo d’accordo?”

 

Il soffice viso dal sorriso ebete del coniglio si scontrò con lo sguardo accigliato e lacrimoso della bambina dai lunghi codini castani. 

Dopo averlo squadrato immobile per un paio di secondi, Linda tese le sue piccole braccia e lo avvicinò a se, staccandolo lentamente dalle mani della donna.

La mente di quest’ultima non fece neanche in tempo ad elaborare il pericolo appena scampato, che in un improvviso scatto di ira, la bambina sbatté urlando con stizza il morbido pupazzo sul pavimento.

 

“No!! Non lo voglio con me!!! Questo coniglio non è di Near!! E’ di Chucky!!!”

 

Chucky?

La tata e Mello, rimasto a guardare la scena qualche metro più avanti, sbatterono all’unisono le palpebre.

 

Mello sbuffò intrecciando le braccia.
Possibile che si ostinassero ancora a non punire i capricci delle femmine, lì dentro?

 

“Ma no, cara. Questo peluche è di Near. Era in camera sua…”

 

La tata recuperò il peluche dal pavimento, porgendolo ancora una volta alla bambina nel vano quanto pericoloso tentativo di farglielo accettare.

 

Come se gli stessero porgendo l’animale più viscido e stomachevole del mondo,  la bimba indietreggiò disgustata, portandosi un braccio contro al naso.

 

“E invece no! E’ proprio di Chucky!! Puzza di stalla esattamente come lui!”


Provando ad annusarlo, Annie dovette riconoscere che effettivamente non emanava un odore particolarmente gradevole, tuttavia non era neanche così intollerabile.

Di una sola cosa però, sentì di non poterle dare torto: L’odore emanato da quel pupazzo non aveva nulla a che fare con Near.


Imbarazzata, non fu in grado di insistere ancora in sua difesa.

Tutto ciò che riuscì a fare, fu togliere dalla vista della bambina il coniglio, celandolo insieme al suo grande imbarazzo dietro le sue spalle.

 

“Mello!!”

 

Ancora una volta.

Ancora una volta il suo nome.

 

“Che altro vuoi??”

 

La bimba giunse le mani in un misto tra eccitazione e ostilità.

 

“Mello, confessa subito dove hai nascosto Near, così potranno finalmente andare a cercare i miei colori ad olio!! Avanti, confessalo!!!”

 

…….

Tutto ciò che fu in grado di fare in risposta, fu schiaffarsi una mano contro la fronte.

Conta fino a dieci.

Conta fino a dieci prima di saltarle al collo e strozzarla, Mello.

Conta fino a dieci.

Conta fino a dieci, diamine!

 

--

 

 

 “……sei.....”

 

“……….”

 

Un gemito e poi,  l’indice si fermò.

La cinquantunesima spirale sulla polvere venne lasciata a metà.

 

 

“….sette….”

 

Inarcò il sopracciglio sinistro.

Ci siamo.

Le lentiggini sul volto si tesero.

Un sorriso era apparso.

 

“……….”

 

Non avrebbe resistito ancora a lungo.

Ne era certo.

E Dio solo sapeva quanto il pensiero lo rendesse euforico.

 

“…otto….”

 

Una goccia di sudore maldestra attraversò  le tempie, rovinando così l’armoniosa staticità delle numerose gemelle, che come microscopiche stelle umide imperlavano il piccolo viso, un tempo bianco come neve.

E non furono le sole a deturpare l’immacolato candore del suo volto, quel giorno…

Al contrario.

La loro, poteva quasi apparire come  una disperata quanto inefficace manovra del suo corpo di lavare via ogni traccia di quei grossolani segni rossi tracciati sulle guance da mani inesperte.

Erano così insoliti e inadatti a soggiornare sulla sua pelle…

 

L I A R.

Bugiardo.

 

Se non ricordava male i movimenti del pennello, doveva essere proprio questa la scritta leggibile sul suo viso.

Partiva da sotto il lobo dell’orecchio sinistro per poi continuare in obliquo, sino a terminare tra la tempia e le narici dello stesso lato.

 

LIAR. Una sentenza, più che uno sfregio casuale.

Non sarebbe stato così facile rimuoverla.

Né dal suo viso, né dalla testa del ragazzino accovacciato di fonte a lui.

…da più di due ore.

 

Chucky era un nomignolo che non sopportava.

Sguardo arcigno, capelli castani radi, viso tartassato di efelidi e un vasto repertorio di macchie sulla salopette consumata: Si presentò in quel modo al Wammy’s House qualche anno prima.

Notare la sua somiglianza con una bambola protagonista di un vecchio film horror di serie C dal medesimo nome fu divertente, per una delle tate.

Di certo non si aspettava che la sua geniale uscita potesse piacere tanto a Roger da influenzare la scelta del suo nuovo nome…

 

Chucky.

E non ‘Chuck’, come egli avrebbe di gran lunga preferito. 

Altrimenti non vi era gusto. Altrimenti non avrebbe mai perso la pazienza sino ad esplodere, dico bene?

Suonava talmente ridicolo se pronunciato con quella cantilena tipica dei mocciosi inglesi, che parecchie volte fu sull’orlo di spaccare quei loro brutti musi storti con un bel destro!

 

«Avanti, in fondo non è così male. C’è di peggio…»

 

I nitriti dei suoi adorati cavalli si traducevano in questo modo, nella mente…

Ed era vero…

C’era di peggio.

In fondo, ‘Chucky’ era carino. Aveva un ché di affettuoso, e  inoltre…era diverso.

completamente diverso

E solo questo motivo era sufficiente perché egli lo amasse con tutto sè stesso.

 

Nulla meritava più odio al mondo del suo vero nome…

Ospite molesto della sua anima, ogni tentativo di sbarazzarsi del suo ricordo aveva avuto l’ esatto effetto contrario. 

Avrebbe convissuto insieme ad egli per tutta la vita. Doveva farsene una ragione.

 

Proprio per questo, non avrebbe mai creduto ad una sola parola di quello stupido.

 

«Non potresti non disporre di una cosa simile neanche se lo desiderassi con tutto te stesso..." »

«Io non desidero nulla del genere. Né l'ho mai desiderato. »

“Bugiardo…”

Nell’udire quelle battute  aveva  avvertito qualcosa dentro di sé lacerarsi.

A distanza di un paio d’ore, quel qualcosa non si era ancora sanato.

No. Quello stupido non poteva essere riuscito dove lui aveva miseramente fallito!

No!

Nononono! NO!

Non poteva davvero averlo dimenticato!

Il suo sogno più grande non poteva averlo realizzato qualcuno che non aveva mai lottato…

Che non l’aveva mai nemmeno desiderato…

Diamine, NO! Stava mentendo!

 

Se per altre questioni in passato era stato pronto a metterci una pietra sopra e passare oltre, per quella era più che determinato ad andare sino in fondo.

Non l’avrebbe passata liscia.

Con chi credeva di avere a che fare, quel brutto nanerottolo bianco come la cacca di piccione?!

 

Non si sarebbe lasciato intenerire da lui, no.

Lo aveva deciso sin dall’inizio, e la sua decisione si stava rivelando fruttuosa.

Non avrebbe resistito a lungo.

 

La decisione di Roger di trasferire altrove i due cavalli dell’istituto durante tutto il periodo estivo non gli apparve più priva di senso: l’aria all’interno della stalla era a dir poco irrespirabile.
Il tanfo del fieno imputridito dalla calura di fine luglio, unito all’umidità stagnante venutasi a formare per effetto serra attraverso le finestre in plexiglass creavano come delle paratie stagne intorno alla mente, asfissiandone ogni capacità di ragionamento.

 

Presto, quell’aria avrebbe soffocato ogni cosa. Comprese le sue bugie.

E lui avrebbe fatto di tutto pur di accelerare quel processo.

 

“Nooove…”

 

Cantilenò il penultimo numero con una certa soddisfazione.

 

“Manca un solo numero, Near…dopodiché sai già cosa succederà, non è vero?”

 

Scorse con le dita i colori ad olio perfettamente allineati all’interno della custodia rosa confetto, arrestandosi sul tubetto dal colore più scuro fra tutti.

Lo estrasse, sollevandolo all’altezza del proprio volto.

 

“Scommetto che non hai mai considerato l’idea di trasformarti in un corvo!”

 

Non fece neanche lo sforzo di sollevare il capo e guardare con cosa lo stesse minacciando.

La permanenza in quell’ambiente gli aveva insegnato che le energie andavano risparmiate. Tutte.

 

Per un coso completamente bianco come lui, Chucky era certo che l’idea di ritrovare i suoi candidi capelli imbrattati sino alla radice di nero corvino fosse sufficiente per terrorizzarlo al punto da fargli sputare l’ambito rospo.

Ciò che sottovalutava, era il fatto che Near potesse esser già circondato da numerosi elementi in grado di incitarlo a rivelare la bazzecola a cui tanto ambiva, se solo avesse potuto…

 

Intollerabili.

Si scoprì incapace di definire diversamente i torridi raggi di sole che  dal lucernaio sul tetto  irradiavano perfettamente la sua miserabile figura accovacciata al suolo sterrato. 

Lo avevano infastidito sin dai primi istanti che era stato trascinato a forza in quel luogo,

inutile dire che, due ore dopo, la situazione per lui si era fatta insostenibile…

 

Completamente zuppo di sudore e polvere, aveva abbandonato ogni attività, limitando i propri movimenti all’essenziale.

Il semplice atto respiratorio non gli era mai apparso meno scontato prima di allora.

Se avesse voluto continuare a farlo, concentrare in esso ogni sporadica goccia di energia rimastagli in corpo era l’unica soluzione fattibile.

No.

Non era ancora giunto il momento di arrendersi.

Sino a quando in quell’aria malsana vi fosse esistita la più misera percentuale di ossigeno, allora i suoi polmoni avrebbero continuato a fare di tutto pur di filtrarla.

Questo obiettivo era la sua massima priorità.

 

Arrabbiarsi di fronte alle angherie del compagno di istituto, così come continuare a tracciare spirali amiche sulla polvere era un lusso che non poteva più concedersi.

Che poi Chucky utilizzasse il suo viso come una tela da disegno ove imprimere lettere a caratteri cubitali, o decidesse di svuotargli in testa un intero tubetto di colore ad olio nero, la cosa sarebbe stata totalmente ininfluente.


Ed egli, lo notò.

 

“Dieci!”

 

Il ragazzino balzò su due gambe allo scadere del decimo numero.

Affondando i piedi nella polvere, raggiunse in fretta la distanza che lo separava dal suo ostaggio.

 

“Time out, Near.”

 

Sperò che il bisbiglio pronunciato a pochi millimetri dal suo orecchio agisse da grilletto.

Si sarebbe accontentato di una qualsiasi reazione; uno scatto del viso, un gesto repentino della mano, uno scoppio in lacrime (Dio, sarebbe stato il bambino più felice del mondo! )…

Ma come al solito, il risultato ottenuto fu  più che sconfortante…

 

Pigramente, cominciò a svitare il cappuccio del tubetto.

Voleva che vedesse bene, in caso non se ne fosse accorto, ciò a cui sarebbe inesorabilmente andato incontro se non avesse, nel giro di pochi istanti, fornito la risposta da lui tanto desiderata…

 

“Chissà come sarai affascinante, con tutti i capelli neri!”

 

“……..”

 

“Una volta che i tuoi capelli saranno impregnati di colore, non ci sarà più verso di rimuoverlo. L’unica soluzione sarà quella di rasarti a zero…” 

 

Quanto lo divertiva usare quel tono di  finto rammarico…

 

“……..”

 

Inspira. Espira.

Inspira. Espira.

Non farti distrarre.

Non farti distrarre.

 

Ancora un paio di giri al cappuccetto, ed esso crollò a terra.

 

“Però…”

 

Sorrise serafico, prima di continuare.

 

“Voglio concederti un’ultima possibilità, Near. Non è necessario che io ripeta ancora la mia richiesta, non è vero?”

 

La sua supremazia andava legittimata.

Per sé stesso ovviamente, non per Near.
Perché sapeva bene che svuotare quel tubetto sulla sua testa avrebbe fatto più male a sé stesso che a lui.

Era la sua sconfitta.

Era la X tracciata sulla pagina di quaderno dove non era riuscito a risolvere il teorema.

Era il colore della sua delusione che per ripicca scagliava contro l’avversario che non era riuscito a sconfiggere. 

Patetico.

Tutto ciò, era estremamente patetico.

Ne era consapevole, dannazione!

 

“…………”

 

“Il tuo nome, Near! Dimmi il tuo nome!”

 

Strattonò la manica umida del coetaneo.

Ripeté il gesto un paio di volte, prima che quest’ultimo mostrasse segni di vita in grado di soddisfarlo.

 

“La mia risposta non cambia, Chucky. Io il mio nome…non lo ricordo….”

 

Una serie di disarmonici ansiti intervallarono la flebile frase appena comprensibile. 

 

Respira. Respira.

...respira.

 

No. No. Non crederci. Non crederci, Chucky! Non crederci!! Non può esserci riuscito! Sono solo menzogne le sue! Solo menzogne! Non può averlo davvero dimenticato!!

Rabbia.

Rabbia nera come il colore contenuto nel tubetto procinto a scaricare sui capelli del compagno.

Rabbia nera come il polveroso terriccio ai suoi piedi.

Incontenibile. Inarrestabile.

 

“Bugiardo…”

 

Chinò la testa.

Un fremito scosse il suo corpo.

 

“…….”

 

“Bugiardo! Bugiardo! BUGIARDO!!! NON SEI NIENT’ALTRO CHE UN BUGIARDO!!!”

 

Fu come essere teletrasportato in un sogno.

Non percepì il preciso istante in cui avvenne lo scatto repentino che lo portò a congiungere entrambe le mani sul morbido tubetto di pittura e spremere con forza eccessiva il suo contenuto sulla piccola testa sottostante. 

Non si rese conto di essersi nuovamente chinato contro quella testolina rigida e silenziosa, di aver insudiciato i suoi capelli in modo che il colore coprisse il più possibile il candore naturale della stessa,  né ci pensò due volte a rialzarsi, sollevare con la punta della scarpa del terriccio dal suolo polveroso e calciarlo contro il maledetto impostore.

Una. Due. Tre. Quattro.  Cinque volte.

 

E non basta.

Non basta.

Non basta.

Non basta.

 

La sua gamba si fermò solo quando  si accorse di non riuscire più a scorgere il rivale.

L’enorme  nube densa di pulviscolo giunta ad inglobarlo lo sottrasse come uno scudo dalla ferocia del suo sguardo, sempre più liquido di lacrime d’odio.

 

Un paio di passi indietro.

Braccia rigide come serpi  abbandonate ai fianchi.

Il girotondo di polvere ebbe come nenia una sfilza di suoni disarmonici e persistenti che si protrassero anche quando il voluminoso vortice esaurì ogni energia, accasciandosi su sé stesso come un leggero castello investito da una lunga raffica di vento. 

Tosse.

Near non riuscì più a smettere di tossire.

 

…e’ proprio vero che a volte, i risultati migliori si raccolgono ad un passo dalla sconfitta…


“I-immagino…”

 

Chucky smise di gonfiare il petto come un pulcino rimasto senza fiato.

Si ricordò di asciugarsi le ciglia umettate, prima di parlare.

 

“Immagino vorrai parlare, adesso…”


Perché se anche questa volta avesse continuato ad insistere con la stessa storia, allora proprio non avrebbe avuto la minima idea su cos’altro fare per convincerlo a svuotare il sacco!

Lo aveva sottratto ai suoi giochi per oltre due ore, rinchiudendolo in un ambiente maleodorante sotto al cocente sole di fine luglio.

Aveva imbrattato il suo viso di rosso con una scritta umiliante e diffamatoria.

Aveva irrimediabilmente rovinato i suoi capelli e inzaccherato il suo corpo di polvere e terriccio…

Cos’altro avrebbe potuto fare?!

Chi era disposto a sopportare tutto ciò pur di non rivelare il proprio nome?!

Era solo un nome, diamine!

Solo un nome!

 

Chucky respirava rumorosamente. Almeno lui, riusciva ancora a farlo…

 

 

“Cough…coug-hh…cough…”

 

Tosse.

Tosse.

Tosse e ancora tosse.

 

Lo aveva proprio davanti a se, curvato su sé stesso come un animale ferito.

Non aveva ben chiaro se la sensazione scaturita da quella visione fosse un misto tra rabbia e soddisfazione, oppure qualcos’altro di non ben identificato…

 

Tremolante come pagliuzza al vento, il braccio destro di colpo cedette.

Aveva tentato di sorreggere il proprio corpo in tutti i modi, ma evidentemente, affondare la sua unica mano libera nel terriccio non era più sufficiente.

Non quando l’addome si contrae in quel modo spasmodico.

Non quando la bocca ingoia famelica aria che poi la trachea sembra trasformare in fuoco ardente.

 

Non trovò l’ausilio del braccio sinistro.

Non poteva.

Esso era affannosamente pressato contro la cassa toracica nell’inane sforzo di soffocare sul nascere i dolorosi colpi di tosse.

Tutto inutile.

 

Gia’…

Era tutto inutile.

 

“Non mi incanti, sai? Se speri che io mi faccia intenerire da te sappi che ti si sbagli di grosso!”

 

E non era certo con l’aumentare di quegli ansiti che lo avrebbe convinto a lasciarlo andare!

Era solo un mezzuccio.

Ne era certo.

Come per milioni di altre cose che quel giorno si erano rivelate solo degli abbagli!

Ma quella volta non sbagliava, no.

Near era solo un impostore.
Near mentiva.

 

Riverso al suolo, la tosse tramutò.

Assunse un’intensità anomala.

C’era da aspettarselo.

Polvere, polvere, polvere.

Il suo viso poggiato di lato sul terriccio non inalava nient’altro che essa.

La cosa non rese felice il suo organismo.

Per niente.

 

“N-near…? Mi hai sentito!? Non mi incanti!!”

 

Chucky riconobbe che il compagno era molto convincente…

 

Camuffò i gemiti sin quando gli fu possibile, ma poi smise di tenerne conto.

Soprattutto quando si accorse che ogni tentativo di continuare ad introdurre aria ai polmoni venne penosamente stroncato sul nascere.

Soprattutto quando sentì i propri bronchi restringersi, strozzarsi, sigillarsi come lumache marine ritratte nei propri invalicabili gusci.

…soprattutto quando entrambe le mani strette contro il torace sudato sfiorarono lei…

Lei.

Lei di cui si ricordava solo in momenti come quelli.

Lei che aveva solcato il suo corpo prima ancora che potessero farlo le sue stesse mani.

La vecchia cicatrice smagliata di una sutura della quale era troppo piccolo per averne memoria…

Già…

 

Doveva essersi sentita un po’ messa da parte, in fondo…

Se ogni anno per ben sette anni, qualcuno era riuscito ad intonare un ‘Happy birthday to you’ in suo onore, lo doveva anche a lei…

Lo doveva soprattutto, a lei.

 

Aveva forse cospirato insieme a Chucky per punire le sue dimenticanza?

 

Respira.

Respira, diamine!

Respira!!!

 

…ma l’aria era finita…

E il suo inalatore lo aveva dimenticato.

Come tante altre cose…

 

…come tante altre cose…

 

1st Rule – Never say it. Never. 0.4

end.

*******

Note dell’autrice:

 

Dato che le mie fan fiction solitamente finiscono per assumere lunghezze mastodontiche per se, non ho mai amato scrivere troppo in questo spazietto dedicato alle note dell’autore proprio per non appesantire ulteriormente la pagina. ^^; Tuttavia, mi è sempre sembrato scortese non rispondere alle gentilissime recensioni che ricevo da tutti gli utenti che continuano a leggere le mie paternali, così ho deciso di dare un senso al mio live journal e scrivere lì le risposte alle recensioni. ^__^ Quindi, se avete recensito il capitolo di Lethe precedente, potete leggere la mia risposta a questo indirizzo:

http://rei-kise.livejournal.com/2821.html#cutid1

 

Per il resto…

Inutile dire che mi scuso infinitamente per la lunghezza esagerata di questo capitolo, ma non sono riuscita a trovare un punto di stacco al di fuori di questo. Interrompere il capitolo alla scena di Linda mi è sembrato troppo brusco (anche per via dell’apertura della scena successiva che in qualche modo richiama quella precedente.), insomma…il capitolo è questo. Pace! XD

 

Per i curiosi o coloro che non hanno letto il manga di Death Note, Linda e Chucky non sono personaggi inventati da me.

Entrambi appaiono nel volume sette di Death Note: Linda è la bambina che invita Near a giocare fuori in questa scena. Nel fandom di Death Note è un personaggio quasi onnipresente quando si parla di Wammy’s House.

Chucky, nella stessa scena, è il bambino che gioca a palla con Mello.
Le uniche cose di mia invenzione, è il nome di quest’ultimo (In una doujinshi che ho tradotto sembrava proprio la bambola assassina! XD ) e le loro personalità, (Ad eccezione del fatto che Linda dipinga. Quando la polizia giapponese si reca al Wammy’s House, vengono forniti loro due identikit di Mello e Near disegnati da una ragazza che ha vissuto nello stesso istituto insieme a loro, adesso diventata una pittrice professionista. Nel fandom si pensa sia Linda, ovviamente la cosa non è accertata.)

 

Come al solito, ringrazio infinitamente tutti coloro che hanno recensito e che recensiranno questo capitolo. Non avete idea di quanto i vostri commenti possano incentivare la mia vena creativa! Davvero!
Ovviamente ringrazio anche a tutti coloro che leggeranno solamente! ^___^

Insomma…GRAZIE A TUTTI!

 

Grazie a Seles Wilder per il pre-reading!^__^ Grazie mille!!

 

Se trovate degli errori, non siate timidi e segnalatemeli pure! Ecco il mio msn: rgegeew@hotmail.com

 

 

 

 

   
 
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