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Autore: difficileignorarti    05/09/2014    5 recensioni
Lui non c’era più da quasi un anno; se n’era andato, così, dal nulla.
Questo le aveva lacerato l’anima e distrutto il cuore.
Ma le mancava, da morire; ma aveva comunque paura, perché ora che stava cominciando a vivere di nuovo, cercando, comunque, di lasciarlo da parte, lui sarebbe ricomparso, lei lo sapeva, se lo sentiva.
Quello che lei non sapeva, era che lui era tornato, e che la stava osservando da lontano.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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21.










 
Emmeline batté le palpebre diverse volte, non riuscendo a capire la reazione del ragazzo e, soprattutto, perché stava reagendo in quel modo.

Chiuse la porta alle sue spalle con un tonfo e appoggiò le chiavi e la borsa sul mobiletto affianco all’entrata, prima di dirigersi a passo spedito e pesante verso il ragazzo, che boccheggiò diverse volte, una volta che Emmeline gli tolse quelle cose dalle mani.

«Indovina, genio» mormorò riappropriandosi delle sue cose. «E non ti azzardare mai più ad alzare la voce in casa mia, altrimenti quella è la porta» sbottò velenosamente, lasciandolo sbigottito.

«Emmeline, sei incinta?» chiese, avvicinandosi di poco a lei, ma non si azzardò a toccarla, perché non sapeva come avrebbe reagito e probabilmente, leggendo il suo sguardo, ci avrebbe rimesso la vita.

O quasi.

«Hai visto il test e l’ecografia, fai due più due e datti una risposta» gli disse sgarbatamente.

Non sapeva nemmeno perché gli stava rispondendo così, maleducatamente, arrogantemente, forse era colpa di quello che aveva detto prima, quando era entrata: nessuno, nessuno, poteva urlarle contro in quella maniera e ora che era incinta, nessuno, nessuno, poteva parlare male del bambino che portava in grembo.

«È mio?» quella domanda la destabilizzò completamente.

Chiuse gli occhi e si appoggiò al mobiletto che era stato urtato precedentemente dal ragazzo, cercando di mandare giù quel groppo di rabbia che le  stava attanagliando la gola.

Quella era la goccia che fece traboccare il vaso: peccato che quel vaso, in quel momento, non era pieno di acqua, ma bensì di benzina, e sarebbe potuto scoppiare un incendio.

E avevano appena cominciato a parlare, o forse è meglio dire litigare.

«È questo che pensi?» si voltò, inveendo contro di lui, avvicinandosi, e Tom pensò di non averla mai vista così tanto arrabbiata da quando la conosceva, e cominciava ad avere paura; nemmeno per Ria era così. «Pensi che sia andata a letto con un altro? Pensi questo, Tom?» sibilò, riducendo gli occhi a due fessure.

«Emmeline, dannazione, mettiti nei miei panni!» borbottò lui, sentendosi piccolo sotto il suo sguardo. «Ti rivedo dopo un mese e scopro che sei incinta, scusa se qualche cattivo pensiero lo faccio» aveva persino il coraggio di dire quelle cose.

«Ah certo, ora devo anche mettermi nei tuoi panni!» lo prese in giro, spingendolo. «Tu mi stai dicendo che non appena sono arrivata qui, ho aperto le gambe al primo che passa per consolarmi! Mi stai dicendo che sono una puttana!» urlò. «Mi fai davvero così subdola?» chiese, ringhiando.

«Come faccio io a sapere che quello che porti in grembo non è figlio di un altro? Che ne so, magari di quel coglione che ti gira attorno come un cagnolino!» disse lui, e quello che ricevette in pieno viso, fu uno schiaffo in piena regola.

La ragazza trattenne una bestemmia per il dolore e lo trucidò con lo sguardo.

«Bene, quindi pensi che sia andata a letto con Ben dopo averti lasciato» non voleva piangere, anche se la sua voce si stava incrinando. «Pensi questo» si morse il labbro inferiore e sentì le prime lacrime salirle agli occhi. «Non vedevo l’ora di tornare a casa per dirti che aspetto un figlio, tuo figlio, e mi sento dire queste cose» sorrise tristemente, scuotendo la testa. «Abbiamo parlato più volte sul fatto di volere un bambino, e ora tu pensi che sia di un altro» lui provò ad aprir bocca, ma la richiuse, non sapeva cosa dire. «Pensavo avessi detto che ti fidavi di me, avevamo parlato di fiducia, e mi vieni a dire queste cose» mormorò piano. «Una presa in giro» si disse da sola. «Se non ti fidi di me, se pensi che io sia andata con un altro, o chissà, più di uno, cosa sei venuto a fare a Los Angeles?» domandò e poi si morse la lingua. «Anzi non dirmelo, non voglio saperlo, tanto non fai altro che rifilarmi bugie» gli lanciò un ultimo sguardo, prima di dirigersi al piano superiore.

Tom boccheggiò di nuovo, osservandola salire le scale: sobbalzò quando sentì la porta sbattere e chiuse gli occhi nel momento in cui sentì qualcosa rompersi.

Cosa diavolo aveva fatto?


 
***


«Cos’hai fatto?» sbraitò Georg dall’altra parte del telefono, facendo fare una smorfia a Tom. «Sei li da meno di ventiquattro ore e hai già fatto un casino? Non ti vergogni?» sbottò di nuovo.

«Georg» piagnucolò il moro, stravaccandosi meglio sul divano. «Ho esagerato un pochino, forse» mormorò non molto convinto.

«Esagerato un pochino? Tom tu hai appena fatto scoppiare la Terza Guerra Mondiale!» sbottò ironicamente. «Ma come ti è venuto in mente di dirle che il bambino che aspetta non è tuo?» chiese di nuovo, sospirando.

Tom sbuffò pesantemente prima di dargli una risposta.

«Georg, non lo so» mormorò stancamente: voleva piangere. «Ieri l’ho vista uscire con un tizio» raccontò piano, quasi vergognandosene. «Lui aveva il braccio intorno alle sue spalle, mi sono ingelosito da morire» borbottò. «Poi abbiamo parlato, abbiamo fatto l’amore, ci siamo coccolati e oggi ho trovato quel test e sono arrivato a pensare a tutto, tranne che il bambino sia mio» sussurrò e immaginò Georg dall’altra parte, mentre scuoteva la testa, disapprovando.

«Troverai un modo per chiarire con lei» provò Georg dall’altra parte: non era molto sicuro su quale consiglio dargli, non si era mai trovato in una situazione simile. «Come ti senti a riguardo?» gli chiese poco dopo.

Sorrise teneramente, lasciando perdere il casino che aveva combinato, ricordando, poi, la foto che aveva visto nell’ecografia: non aveva visto granché, ma si era davvero emozionato e una sorta di elefante di era mosso nel suo stomaco.

«Credo sia un’emozione grandissima» ridacchiò piano. «Non so come descriverla, Georg, non credo di esserne in grado» mormorò poi, sentendo ridere il suo amico.

«Ed Emmeline come sta?» gli chiese, curioso.

«Non la sento» mormorò, spostando lo sguardo verso il piano superiore. «Ma era ferita, delusa, scioccata e mi ha tirato uno schiaffo» Georg non riuscì a non trattenere una risata. «Non ridere, mi fa ancora male» si lamentò il moro.

«Avrebbe potuto tirarti una ginocchiata in mezzo alle gambe, Tom, dovresti ringraziarla!» rise, prendendolo in giro.

Chiusero la telefonata qualche minuto dopo e il moro sospirò: non aveva una possibile soluzione a quell’enorme problema che aveva creato e non sapeva come fare.

Emmeline poteva non rivolgergli più la parola.

Al posto di pensare a tutte le cose negative, non poteva essere felice come aveva immaginato? Aveva sempre immaginato di ricevere quella notizia, di scoppiare a piangere come un bambino, stringere Emmeline e baciare ripetutamente quel ventre ancora piatto; invece la sua testa aveva deciso di pensare che quel bambino potesse essere di Ben.

La loro relazione era di nuovo sull’orlo di un precipizio.


 
***


Non sapeva esattamente come comportarsi: da una parte era furiosa con Tom, perché aveva messo in dubbio il suo amore, dall’altra lo capiva, perché aveva visto l’espressione del moro alla vista di Ben.

Si guardava allo specchio, con un’espressione indecifrabile sul viso, indecisa sul da farsi: andare di sotto e cacciarlo da casa e dalla sua vita, andare di sotto e abbracciarlo e perdonarlo, andare di sotto e non rivolgergli la parola.

Optò per l’ultima opzione.

Scese le scale senza inciampare nei tacchi e si diresse in cucina, senza prima lanciare uno sguardo a Tom, che stava guardando la televisione, un programma di cui lei ignorava l’esistenza.

Si accomodò al tavolo della cucina e sbuffò, prendendosi la testa tra le mani: perché non riusciva a essere felice? Perché c’era sempre qualcosa che non andava? Perché dovevano sempre litigare per tutto? Perché non aveva potuto accettare la gravidanza come avevano sempre desiderato e voluto?

Batté le mani sul tavolo, mandando al diavolo tutti quei pensieri.

«Em, piccola» la voce bassa e roca di Tom la spaventò, facendola sobbalzare. «Voglio chiederti scusa per prima» mormorò, mentre lei gli lanciò uno sguardo di puro odio. «Ho esagerato, mi sento una merda» le disse, cercando di avvicinarsi a lei, con timore.

«Tom» borbottò, alzandosi, osservandolo poi negli occhi, sospirando. «Non posso parlare adesso, devo andare a quella cena» gli disse piano e lui annuì, a testa bassa. «Parleremo più tardi, prometto di non fare eccessivamente tardi» mormorò e si stupì del suo tono di voce e del fatto che tutta quell’incazzatura le stava passando: guardarlo negli occhi e leggere tutto il dolore e il pentimento, le stavano facendo capire che lui si sentiva in colpa. «Ti ho ordinato la cena, dovrebbe arrivare a minuti» gli fece un piccolo sorriso e lui rimase sconvolto.

«Perché?» chiese lui piano, osservandola prendere la borsa.

«Perché devi mangiare, sei sciupato, dimagrito» spiegò senza problemi, con un’alzata di spalle e una smorfia. «Te l’avrei preparata io, ma mi hai fatto saltare i nervi oggi» le veniva da ridere ma si trattenne nel vederlo arrossire.

«Emmeline, perdonami, ti prego» mormorò lui disperato, facendola sospirare di nuovo. «Mi dispiace così tanto» a malapena lo sentì e gli faceva tanta tenerezza.

Il suono di un clacson interruppe quella misera conversazione.

«Devo andare» mormorò lei, e lui annuì distrattamente, mettendosi le mani in tasca. «Tom» lo chiamò, dopo aver aperto la porta. «Lo so che ti dispiace» gli disse, sorridendogli appena, prima di chiudersi la porta alle spalle e vederlo sorriderle tiratamente di rimando.

Non appena salì sulla Mercedes di Ben, sbuffò come non aveva mai fatto, liberandosi di tutta l’aria che si portava dentro.

«Che ti prende?» le chiese Ben, preoccupato, voltandosi appena verso di lei. «È da un po’ che ti vedo strana e non in piena forma» mormorò facendola sorridere appena.

Era così premuroso con lei, così attento ai dettagli.

«Tom ed io abbiamo litigato» disse piano e lui annuì, zittendosi, perché non voleva farsi gli affari loro, anche se era dannatamente curioso. «Stiamo insieme da così tanto tempo che litigare e subito dopo fare pace è come un’abitudine» disse così dal nulla, sorprendendo il ragazzo e sorprendendo, persino, se stessa.


 
***


«Quindi, qual è il tuo sogno?» le chiese divertito, osservandola mangiare una crêpe alla nutella accompagnata da fragole.

«Il mio sogno?» mormorò lei, lanciandogli uno sguardo interrogativo, cercando di non sporcarsi con tutta quella cioccolata: Tom aveva intenzione di farla ingrassare, ne era quasi sicura. «L’arte è sempre stata il mio sogno, Tom» sussurrò con un sopracciglio alzato, come se fosse ovvio. «Ma ne ho avuti talmente tanti che ho perso il conto» ridacchiò, incuriosendo il ragazzo. «Volevo fare la parrucchiera, la mantenuta, la ballerina, la poliziotta e altri mille» rise, spostando lo sguardo sul ragazzo, che si era, nel frattempo, rilassato sul prato del parco dove si trovavano. «Il tuo?» mormorò curiosa, avvicinandosi a lui, stendendosi sulla pancia, per osservarlo meglio.

Era così bello da sembrare illegale e non poteva credere che fosse il suo ragazzo: era vero, in precedenza, lo considerava sbruffone, arrogante, pieno di sé, una sorta di Dio sceso sulla Terra, ma aveva scoperto, conoscendolo, che quella era solo una maschera che si era costruito.

«Mi sarebbe piaciuto diventare un writer» mormorò, spostando lo sguardo sulla ragazza e poi le sorrise dolcemente, carezzandole una guancia.

«Imbrattare muri antichi, monumenti e vagoni?» chiese la mora, prima di ridere, scuotendo la testa.

«Quelli sono i vandali, piccola» mormorò lui, divertito. «Ho fatto qualche graffito qualche anno fa, però» le sorrise, allungandosi per rubarle un bacio. «L’avrei fatto solo per lanciare dei messaggi, nient’altro» aggiunse subito dopo. «Ma ora non so più cosa voglio fare» sospirò. «Voglio trovare un lavoro vero una volta finita la scuola, voglio poter provvedere a te, prendermi cura di te, non voglio che sia il contrario» le disse seriamente, colpendola.

Dio, ogni volta che le diceva quelle cose, le venivano i brividi: era così profondamente sincero e dolci; nessuno le aveva mai detto cose simili e per lei era più che piacevole.

Quella volta fu lei ad allungarsi per baciarlo.

Lui era quello giusto per lei, non aveva dubbi: sarebbe stato lui per sempre.


 
***


Non si ricordava nemmeno il nome del ristorante in cui erano.

Si stava annoiando come non mai, voleva essere a casa con Tom, a chiarire quella situazione assurda: sì, era assurda, e visto che la considerava tale, le veniva da ridere; la colpa era di entrambi, questo l’aveva capito, e la sua reazione era stata esagerata.

Non aveva praticamente toccato cibo: le veniva da vomitare ogni volta che portavano un piatto diverso.

Ben le diceva di mangiare, preoccupato, ma le preferiva mettere nel suo piatto ciò che le portavano: Tom non avrebbe replicato, aveva lo stomaco sfondo, ma si sarebbe preoccupato, ma forse vista la situazione, avrebbe capito.

Così aveva deciso di uscire per prendere una boccata d’aria: infilò le mani in tasca e trovò un accendino, e sbuffò; da quando aveva scoperto di essere incinta, aveva deciso di smettere di fumare, o almeno cercava di farlo, non era facile, per niente.

Il suo stomaco, in quel momento, era tutto in subbuglio: era ancora un po’ nervosa, senza contare che non si sentiva per niente a suo agio in mezzo ai suoi colleghi, per non parlare dell’odore del cibo.

Però aveva voglia di qualcosa di dolce e di molto calorico: a quello non avrebbe detto di no.

«Non hai toccato cibo, Em» la voce di Ben la fece voltare, e notò l’espressione contrariata e preoccupata del ragazzo. «Stai male?» mormorò, avvicinandosi a lei.

Sapessi, pensò solamente, rifilandogli un’occhiata.

«Non preoccuparti, Ben, ho solo lo stomaco chiuso» mormorò, sorridendogli appena.

«Perché ho l’impressione che quel Tom non ti renda per niente felice?» chiese lui, facendole fare una smorfia.

Oddio, questo è come Liam, pensò nel panico.

«Tom mi rende più che felice, Ben, non dubitare di lui» sbottò acidamente: come si permetteva di parlare male dell’uomo che ama? Nemmeno lo conosceva! «In ogni storia ci sono alti e bassi, e come sempre ne veniamo fuori» rispose, osservando, poi, il cielo stellato.

Voleva andare a casa e forse avrebbe chiamato un taxi per farlo.

«Scusami, hai ragione» mormorò lui, dispiaciuto. «Non sono affari miei» aggiunse e lei annuì, trovandosi d’accordo. «Pensavo di avere almeno una possibilità, sai?» sussurrò appena e lei si ammutolì, non sapeva cosa rispondergli.

Sapeva di piacere a quel ragazzo, ma non si era mai immaginata che lui potesse dire una cosa simile; alla fine gli sorrise dolcemente.

«In altre circostanze avrei potuto» mormorò poi, infondo aveva diritto a una risposta.

Non voleva dirgli della gravidanza, voleva aspettare, ma intanto sapeva della sua relazione con Tom, e questo doveva bastargli.

«Vuoi che ti accompagni a casa?» le chiese piano e lei annuì, stanca.

E non appena girarono l’angolo per dirigersi alla macchina del ragazzo, Emmeline andò a sbattere contro qualcosa, o meglio qualcuno che, però, la prese al volo: poteva riconoscere quel tocco caldo e forte tra milioni, e le vennero i brividi.

Alzò lo sguardo, trovandosi davanti Tom, che le sorrideva timidamente.

Oh, accidenti, come poteva rimanere arrabbiata davanti ad un sorriso così?

«Sono venuto a riprenderti, spero non ti dispiaccia» sussurrò, rimettendola in piedi.

«Non dovevi disturbarti» mormorò duramente Ben, facendo alzare un sopracciglio al moro, che era piuttosto divertito.

Emmeline era contenta di vederlo, doveva dire la verità, e così lo prese per mano, lasciandolo sbigottito ed incredulo: quella ragazza, quella sera, era una contraddizione continua.

«So che hai una cotta per Emmeline, e mi dispiace lasciarti a mani vuote, ma, amico, troppa gente ha cercato di dividerci e sto cominciando a stancarmi di questo» disse Tom, con calma, troppa calma: anche quella volta la giovane ebbe paura di un possibile scatto d’ira. «Lotterò tutta la vita per lei, nessuno, ripeto, nessuno, me la porterà via, ma ora voglio solo un po’ di felicità, non chiedo troppo» aggiunse in un sospiro e Ben aprì la bocca, per poi richiuderla. «Con questo non voglio dire che non dobbiate essere amici, non sono così maledettamente possessivo, accidenti, solo rispetta la nostra storia» disse poi, sorridendo appena.

Emmeline abbassò lo sguardo, aggrappandosi al suo braccio e sorrise.

«Non sono quel genere di persona» alzò un sopracciglio Ben. «Rispetto la vostra storia, ma ti prego, promettimi di trattarla bene, se lo merita» mormorò poi, spostando lo sguardo sulla ragazza, troppo concentrata a fissare la sua mano, intrecciata a quella di Tom. «Le voglio molto bene» aggiunse.

I due ragazzi si strinsero la mano in segno di rispetto, e Ben si congedò, andando alla sua auto.

Tom abbassò lo sguardo sulla ragazza, che ancora osservava e giocherellava con le sue dita; tracciò il contorno del suo viso con un dito e poi la costrinse a guardarlo in faccia.

«Piccola» mormorò, sorridendo appena, toccandole piano le labbra. «Mi dispiace» mormorò ancora, e lei annuì: aveva capito. «Ho esagerato, lo so, sono stato un insensibile, uno stronzo vero e proprio, ti ho trattata male, ti ho detto cose orribili, e ho messo in dubbio il tuo amore e la tua fiducia» sussurrò piano: voleva mettersi a piangere a dir la verità. «Io ti amo e amo anche questo piccolino» mormorò, poggiando la mano libera sul ventre piatto della ragazza.

Quest’ultima sorrise e poggiò la mano sulla sua.

«Mi sento una contraddizione continua» disse lei, osservandolo attentamente negli occhi. «Un attimo prima ti odio, quello dopo ti amo, non so esattamente cosa mi stia succedendo» sussurrò, facendolo ridacchiare. «Quando hai detto che il bambino non era tuo, mi hai quasi ucciso, sai? Insomma, io non vedevo l’ora di dirti che avremo un bambino e tu mi hai detto che eri convinto del contrario» mormorò ancora e lui annuì, deglutendo. «Ma la colpa è di entrambi, sai?» chiese e lui alzò entrambe le sopracciglia, non capendo. «Avrei dovuto telefonarti e dirtelo non appena l’ho scoperto e tu sai perché hai colpa» mormorò sorridendo appena. «Io ti amo, ma tu comportati con me di nuovo in questo modo e, giuro sulla mia vita, che te ne faccio pentire in due secondi!» gli disse duramente e lui annuì, prima di abbracciarla, stretta.

Quello era uno dei posti che più adorava, tra le braccia dell’uomo che amava.

Tom si lasciò scappare un singhiozzo, mentre la stringeva a se, come se fosse la sua ancóra di salvezza; Emmeline si preoccupò un po’, ma non appena lo vide sorridere tra le lacrime, si sciolse.

«Pensavo di averti persa, di nuovo» mormorò, prendendo il viso della ragazza tra le mani. «Quello che ti ho detto, la tua reazione» sospese la frase, chiudendo gli occhi. «Sei davvero una contraddizione vivente oggi, devo ringraziare gli ormoni sballati?» Em ridacchiò, poggiando le mani sulle sue. «Io sbaglio come sempre e tu, invece, mi ami come non mai, come fai a sopportarmi?» chiese, sfiorando il naso della ragazza con il suo. «Alzo la voce per niente, sono lo stesso di sempre, e certe volte mi chiedo se mai ti stancherai di me e, invece, fai finta di niente, come sempre» Emmeline sorrise, e si allungò per rubargli un bacio, ma lui si ritrasse. «Sono pieno di difetti, mentre te cerchi di migliorare per entrambi» la ragazza fece una smorfia non molto convinta. «Ti prometto giorni migliori, Emmeline, lo prometto» mormorò, poggiando, finalmente, le labbra su quelle della ragazza, che non aspettavano altro.

«Tom» disse la ragazza, interrompendo il bacio. «Quando mi sono messa con te, ho accettato tutto il pacchetto, pregi e difetti, non m’interessa» gli disse poi. «Godiamoci il presente, fanculo il prima e il dopo» mormorò sorridendo. «Ricominciamo» sussurrò. «Era questo il piano, no?» il ragazzo annuì e lei lo ribaciò, cingendogli il collo con le braccia. «Mi porti a mangiare qualcosa? Non ho cenato» mormorò sulle sue labbra, facendolo ridacchiare divertito.

«Crêpe nutella e fragole?» mormorò lui, facendo illuminare gli occhi alla ragazza.


 
***


Tom le stava sorridendo com’era suo solito: nel modo più dolce e sensuale possibile.

Adorava le sue guance gonfiarsi mentre sorrideva, le ricordava un bambino: ma alla fine era così, lui era ancora un bambino e questo le piaceva, eccome se le piaceva.

«Perché mi guardi così?» chiese Emmeline mormorando, lievemente imbarazzata.

«Perché sei la cosa più bella di questo mondo, Em» mormorò lui in risposta, facendola arrossire pesantemente. «Anche adesso, al naturale, spettinata, dopo aver fatto l’amore, con le guance rosse, gli occhi lucidi e stanchi, avvolta in questo lenzuolo di poco valore» le sorrise di nuovo e il cuore della ragazza perse qualche battito: era la persona più dolce che avesse mai incontrato o forse era colpa sua se era diventato così.

Si scambiarono un bacio, prima che lui ricominciasse a parlare.

«Sai, quando ero piccolo, mia madre mi raccontò una leggenda Hawaiana che mi è rimasta impressa e ora voglio raccontarla a te» mormorò alzandosi dal letto come mamma l’aveva fatto, facendo arrossire la ragazza, di nuovo: era un piacere guardarlo, questo era ovvio, anche se ancora si sentiva timida nei suoi confronti; lo vide prendere qualcosa e poi si infilò i boxer, scoccandole un’occhiata maliziosa. «Si tratta del fiore di Naupaka, un fiore che cresce solo alle Hawaii e principalmente parla di un uomo comune e di una bellissima principessa hawaiana di nome, appunto, Naupaka» sorrise dolce, tornando a sedersi di fronte a lei. «Si erano innamorati, ed era un problema, perché sai, alle Hawaii, nei tempi antichi, era un tabù per un plebeo avere a che fare con le élite o gli aristocratici» continuò, aumentando la curiosità nella ragazza, che lo guardava attentamente. «Questa storia ti sembra vagamente nota?» le chiese ridacchiando, ed Emmeline mormorò “noi due”, facendolo annuire piano. «Si erano innamorati e non avrebbero dovuto, così salirono in cima ad una montagna per incontrare un sacerdote molto saggio, di cui non mi ricordo il nome» Emmeline ridacchiò, scuotendo la testa. «Ascoltò la loro triste storia e disse loro che non poteva fare niente, ma li mandò a pregare in una rea sacra e, mentre pregavano, cominciò a piovere» sospirò, prendendo fiato e le sorrise. «Erano sofferenti, disperati perché si stavano abbracciando per l’ultima volta e Naupaka si tolse il fiore che aveva dall’orecchio, lo spezzò a metà e ne diede metà al suo amato, dicendogli che lui avrebbe vissuto vicino all’oceano e lei sulle montagne» Emmeline era incantata, non riusciva a staccare gli occhi di dosso a Tom, che continuava a raccontare tranquillo e lei si ritrovò a pensare se avesse avuto uno scopo. «E quando si separarono, tutte le piante che crescevano attorno sentirono la loro tristezza» mormorò lui, giocherellando con le sue dita. «Il giorno dopo, quel fiore si schiuse, ma soltanto la metà del fiore» Emmeline si stupì, ma ne rimase meravigliata. «Ora il fiore di Naupaka si trova solo sulle montagne e vicino al mare, e quando prendi l’uno e l’altro e li metti insieme, è come se Naupaka e il suo amato, finalmente, si riunissero» concluse Tom, guardandola negli occhi.

«È una storia bellissima, Tom, ma è, allo stesso tempo, triste» disse la giovane, e lui si ritrovò ad annuire. «Posso chiederti perché me la stai raccontando?» mormorò poi, facendo ridere il ragazzo.

«La mia ragazza è così fottutamente curiosa» disse lui, divertito, scuotendo la testa, facendole fare una smorfia. «A dir la verità, non volevo raccontarti questo» Emmeline aprì la bocca per parlare, ma poi la richiuse, non sapendo cosa dire. «Ma si tratta sempre di fiori» mormorò, mostrandole una scatolina nera, che scaturì la curiosità della ragazza. «Conosci la plumeria?» le chiese e lei annuì: quel fiore faceva un profumo assurdo, e le piaceva, ma preferiva di gran lunga i girasoli. «Conosci il suo significato?» le chiese ancora e lei negò: non si intendeva di fiori. «Significa amore duraturo e lontananza, nel linguaggio dei fiori» quella volta gli occhi di Emmeline s’illuminarono. «Invece, secondo la tradizione hawaiana, se il fiore viene messo dietro l’orecchio destro, la principessa è in cerca di un fidanzato, ma se è messo dietro l’orecchio sinistro, significa che è impegnata» mormorò, sorridendole.

Anche Emmeline sorrise, anche se non ci stava capendo niente.

«Tom, scusa la mia impertinenza, ma non capisco cosa vuoi dirmi, perché sono sicura che con queste due storie tu voglia dirmi qualcosa, solo che…» si bloccò, facendo un gesto con le mani e lui sorrise, capendola e vedendola in difficoltà.

«Sì, è vero» annuì divertito. «Noi due siamo come Naupaka e il suo amato, tu sei la principessa ed io sono il plebeo, e sotto molti aspetti la nostra storia è sbagliata, una sorta di errore» mormorò tristemente e lei si rabbuiò.

«Non per me, non me ne frega niente di quello che gli altri possono dire di noi» sbottò risoluta e scazzata: non le piaceva quando il suo ragazzo parlava così.

«Lo so» disse lui. «E poi c’è la storia della plumeria, uhm?» mormorò, e lei annuì, curiosa di sapere. «L’impegno» mormorò ancora, mostrandole quella scatolina che già prima aveva attirato la sua attenzione. «Io non posso darti molto, anche se vorrei darti la Luna e tutte le stelle, sono riuscito a permettermi questi» aprì la scatolina, rivelando due fedine e gli occhi della ragazza si sgranarono e inumidirono.

«Tom!» squittì, portandosi entrambe le mani alla bocca.

«Questo è per te, piccola» sussurrò, infilandoglielo al dito. «Perché voglio impegnarmi con te, voglio stare con te, voglio renderti felice, e voglio che gli altri sappiano che sei impegnata» Emmeline cominciò a piangere di felicità e, con mani tremanti, riuscì ad infilarla anche nel dito di Tom, facendolo ridacchiare divertito, ma comunque emozionato. «Perché ti amo e non voglio condividerti con nessuno» mormorò, stringendola in un abbraccio.



 
********


 
Oggi non è un bel giorno per me, ho perso mio nonno e non sto bene per niente. Ma so che lui non avrebbe voluto vedermi così abbattuta, così sto cercando di essere forte, non solo per me, ma anche per i miei genitori e per mia nonna.
Nonostante questo, ho deciso di postare il capitolo, dato che era pronto, e perdere 5 minuti per postarlo non mi sono costati niente. 
Non sono sicura se posterò la prossima settimana, forse mi ci vorrà un pò di tempo, ma voglio avvisarvi che "Gli stessi di sempre" non è arrivata al capolinea, solo datemi un pò di tempo.
Vorrei riprendermi da questo shock.

Okay, li ho fatti tornare insieme, perchè si, insomma, io non ce la faccio a vederli separati, non mi va più di vederli (farli) soffrire e spero vivamente che questo capitolo vi piaccia, tanto quanto piace a me, perchè io amo questo capitolo, in tutte le sue parti. 
La parte finale, quella dei fiori, ammetto che è stata presa giù, in parte, e rivoluzionata, da un episodio di Beautiful (si, guardo Beautiful, lo ammetto), mi piaceva troppo e mi ha dato l'ispirazione per chiudere questo benedettissimo capitolo.

Dopo avervi spiegato ciò, dico che come sempre che aspetto le vostre recensioni, e dico che vi adoro tanto, ma davvero tanto, siete fantastiche.

Aggiungo che potreste ascoltare "Gli stessi di sempre", la canzone che da il titolo a questa storia: non conosco i vostri gusti musicali,ma vi invito ad ascoltarla, ha davvero un testo fantastico.

Come sempre, alla fine, vi lascio i miei contatti,  se volete scrivermi, aggiungermi, mi fa piacere.

Un bacio e un abbraccio,
difficileignorarti.

 
 
 
   
 
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