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Autore: HannibalLecter    05/09/2014    1 recensioni
A lei piace lui e lei piace a lui.
A lui piace lei e lui piace a lei.
Perfetto no?
Peccato che entrambi si ostinino ad ignorare questa faccenda continuando tranquillamente il loro percorso che si snoda lungo due rette parallele destinate a non allontanarsi mai ma neanche ad incrociarsi mai, o forse no?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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I due giorni restanti passarono in fretta; tra di noi, dopo le recenti confessioni, sembrava essersi instaurata una sorta di neonata intimità, a cui non sapevo dare nome né interpretazione. O forse non volevo dare un nome a quello che si stava sviluppando silenziosamente e timidamente tra di noi, perché, si sa, spesso denominando le cose, definendole, volendo ridurre a tutti i costi qualcosa di grande e bello dentro una riduttiva e formale denominazione, l'unico risultato che si ottiene è la perdita della magia iniziale. Etichettando i rapporti, gli stati d'animo, le esperienze si finisce solo per veder venir meno la poesia che le rendeva speciali.
Decisi così di vivere l'attimo e di non curarmi di nomi e definizioni; probabilmente Chiara mi avrebbe rimproverato dicendo che il mio atteggiamento era dettato dal timore ed equivaleva al distogliere lo sguardo da qualcosa che mi spaventava troppo e che non volevo affrontare nell'immediato. Cecilia, tutta zucchero e confetti, avrebbe predetto, con occhi a forma di cuoricino, un futuro felice insieme, allietato da tanti piccoli pargoli; mentre Veronica avrebbe riassunto il tutto con: desiderio dettato da astinenza prolungata. Non osai neanche immaginare i probabili consigli di Alfredo e Francesco; il secondo mi avrebbe esortato a portarmelo a letto, divertirmici un po' e poi ciao ciao, chi s'è visto s'è visto, mentre il mio capo mi avrebbe convinta ad essere generosa e a lasciare a lui quello che aveva definito come uno 'squisito bocconcino'.

«Ginny, prova a leggere e dimmi che cosa ne pensi».
Alessandro voltò il computer portatile in modo da mettermi di fronte lo schermo e mi indicò un paragrafo di un documento Word.
Mi concentrai sulle parole scritte fitte e mi sorpresi nel constatare che la mia bozza iniziale non era stata penalizzata dalle aggiunte e dalle correzioni di Alessandro, al contrario, era riuscito, in modo discreto e professionale, a migliorarla e a valorizzarla pur non stravolgendola.
«I lettori ignari, dopo aver letto questo nostro articolo, crederanno che Natalia Alexandrova sia una persona estremamente cordiale e disponibile quando invece è una sorta di Signorina Trinciabue in campo cinematografico», sancii una volta terminata la lettura.
Lui si sfilò gli occhiali dalla montatura tartarugata, che indossava quando lavorava per un tempo prolungato al computer, e mi chiese titubante: «Secondo te abbiamo sbagliato a presentarla in una luce migliore?».
Mi appoggiai allo schienale della poltroncina color tortora della scrivania, situata di fronte alla finestra nella stanza di Alessandro: «No, non credo. Tengo molto alla verità e al riportare in modo corretto e sincero i fatti di cui siamo testimoni e divulgatori, ma ci sono volte nelle quali è meglio abbellire con un po' di tulle e fiocchetti un vestito vecchio e usurato; e questo è uno di quei casi».
«Perfetto. Allora lo invio ad Alfredo», concluse chiudendo il portatile ed alzandosi dalla sedia.
Ogni volta che scrivevo un nuovo articolo ero sempre ansiosa perché avevo il terrore di ferire o offendere, anche solo indirettamente, persone, ideali o opinioni. D'altronde era inutile tentare di annullarsi per scrivere qualcosa di imparziale e obiettivo; le parole portano con sé le esperienze, i sogni e le convinzioni di chi le scrive. Avrei potuto stendere un articolo infarcito di lodi dirette ad una persona che non stimavo ma un lettore attento si sarebbe accorto del leggero velo di menzogna che celava parzialmente le mie vere idee. Alessandro con il suo intervento era riuscito ad appianare i passaggi più aspri e bruschi del mio pezzo, ammorbidendolo. E per una volta appoggiavo questo genere di intervento perché trattare con i personaggi famosi era sempre molto difficile: un passo falso e loro si vendicavano, forti della loro visibilità, in modo meschino.
«Usciamo a cena?», mi domandò Alessandro, distogliendomi dalle mie riflessioni.
Mi alzai e raccolsi il mio bloc-notes e i miei appunti sparsi sul suo letto: «Va bene, così diciamo addio a Los Angeles», mi avvicinai alla porta e prima di uscire aggiunsi, «Vedrò di non impiegarci troppo ma non ti assicuro nulla».
Lo vidi sorridere un momento prima di chiudermi la porta alle spalle, diretta alla mia stanza, situata di fianco alla sua.

«Non urlare!», esclamai dal box doccia rivolta al mio capo pazzoide, «Sei in vivavoce e il mio bagno confina con la sua stanza».
«Mirtillina mia cosa mi combini? Lo sapevo che a Carnevale mi dovevo vestire da Cupido, me lo segno per il prossimo anno. Io ti mando lì per lavorare e tu amoreggi all day long?», mi chiese divertito.
Sbuffai uscendo dalla doccia ed indossando il morbido accappatoio di spugna bianca decorato con il logo dell'albergo.
«Io ho lavorato, tant'è che l'articolo è pronto, e non amoreggiato!», ribattei offesa.
Lo sentii brontolare dall'altro lato del telefono: «La prossima volta facciamo cambio: tu resti in ufficio con un Francesco mestruato e io me ne vado in California con un figone».
«Cosa ha Francesco?», mi informai afferrando il cellulare e portandolo in camera.
Spalancai la valigia e mi misi a frugare alla ricerca di un completino intimo abbinato.
«Ha le paturnie il tuo tesorino. Non capisco perché per lui ti preoccupi tanto mentre a me non chiedi neanche come sto», esclamò offeso.
Alfie era sempre stato esageratamente permaloso.
«Forse perché tu non mi lasci neanche il tempo di dire 'pronto?' e ti lanci subito in un monologo da cui capisco che sei lamentoso e in forma come al solito?», risposi sarcastica.
Lui borbottò e all'improvviso urlò: «Ginevra Letizia Visconti non osare mettere le tue mutandine decorate ad ananas o quelle con le ochette!».
Mi bloccai e fissai gli slip che avevo appena pescato dalla valigia: delle candide papere sguazzavano felici in tanti stagnetti.
Sollevata dal fatto che non stessimo facendo una video chiamata, infilai con aria colpevole e circospetta le mutandine sul fondo della valigia.
«Quelle con le melanzane vanno bene?», domandai per provocarlo.
Lui strillò: «Non provarci! Quelle puoi metterle solo quando ci sono io, melanzana del mio corazon».
Risi mentre mi sedevo sul letto per frizionare i capelli con un asciugamano asciutto.
«Accidenti a te Francesco! Scusa, tesoro, ma lo scocciatore mi reclama. Mi raccomando, metti il vestito che abbiamo comprato insieme. Scarpe nere e niente collane e ciarpame simile. Buona serata!»
Sorrisi immaginandomi quei due insieme senza me a fare da mediatrice.
«Salutamelo. Buona serata anche a voi!», esclamai congedandomi.

Un'ora più tardi un lieve bussare mi distolse dal vano tentativo di raccogliere i miei capelli in un ordinato chignon.
«Entra pure», esclamai lottando con le forcine, che quella sera non ne volevano proprio sapere di stare al loro posto.
«Wow, sono stati sessanta minuti ben spesi», affermò Alessandro non appena entrò e squadrò il mio riflesso alla specchio.
Mugugnai un timido grazie corredato da guance infuocate e subito dopo, in preda alla disperazione, decisi di lasciar perdere qualunque pettinatura elaborata e, dopo aver sfilato tutte le mollette, concessi ai miei capelli di incorniciarmi liberi il viso.
Alessandro sembrò approvare:«Molto meglio: con i capelli raccolti e la tua espressione pensierosa sembri una professoressa di latino, severa e un po' arcigna», esclamò ridacchiando.
«Ehi! Come ti permetti?», ribattei lanciandogli la prima cosa che mi capitò sottomano.
Lui l'afferrò prontamente e lesse con un ghigno divertito stampato sul volto: «Crema anti-cellulite con estratti di bava di lumaca. Credevo fosse una leggenda metropolitana il fatto che mettessero schifezze simili nei cosmetici invece purtroppo è vero e tu li usi anche, bleah!».
Se prima ero arrossita questa volta assunsi una tonalità vicina al bordeaux e mi affrettai a strappargli di mano il prezioso barattolino che costava la bellezza di 35€, ma che aveva effetti portentosi.
«Tra vent'anni io avrò ancora una pelle di pesca mentre tu ti aggirerai sconsolato e pieno di rughe, domandandoti perché all'epoca tu non abbia voluto far uso di magiche creme alla bava di lumaca», asserii convinta.
Non facevo parte di quella folta schiera di donna schiave dei prodotti di bellezza, ma ci tenevo al mio corpo e, pur senza strafare, me ne prendevo cura con creme idratanti e prodotti semplici e naturali. Meglio la bava di lumaca che chissà quale componente chimico sconosciuto no?
«Vedremo, me lo segno sull'agenda questo nostro appuntamento tra vent'anni perché non vorrei che la tua memoria fallace, da donna anziana, ti tradisse», ribatté pronto, dedicandomi un sorrisetto canzonatorio.
Gli rivolsi uno sguardo offeso mentre, in equilibrio su un piede, mi infilavo le mie décolleté preferite, nere con un sottile cinturino che mi cingeva delicatamente la caviglia. Aprii il piccolo portagioie che portavo sempre con me e ne estrassi le semplici perle, eredità di nonna, che adoravo portare perché mi conferivano un'aria di sobria eleganza. Mi lisciai il vestito e mi guardai per l'ultima volta allo specchio.
I lunghi capelli castani con riflessi ramati si snodavano in morbide onde fino a metà schiena, gli occhi verde scuro sembravano più grandi grazie al magico intervento del rimmel, la bocca valorizzata da un sottile strato di rossetto chiaro e infine l'abito, per cui Alfie aveva insistito tanto affinché lo acquistassi, che si stringeva sotto il seno e scendeva morbido in un turbinio di voile color prugna.
Afferrai la piccola pochette e mi avviai verso la porta: «Andiamo?»
Alessandro annuì e mi seguì verso l'ascensore.
Chiusi nel piccolo abitacolo di nuovo provai la stessa sensazione senza nome già sperimentata in precedenza sulla spiaggia.
Era come se inconsapevolmente delle mani invisibili mi spingessero ad avvicinarmi a lui, a ricercare la sua compagnia, a porgli domande solo per poter sentire ancora una volta la sua voce. Se poi si vestiva con camicia bianca e giacca, risultando estremamente affascinante, come potevo io restare lucida?

Una gentile brezza tiepida giocava con i miei capelli e creava nuvole e sbuffi di voile ogni volta che sfiorava il tessuto leggero del mio abito. La città illuminata sotto i nostri piedi continuava a pullulare di vita e a fare da scenario all'esistenza di migliaia di persone. In quell'istante di apparente quiete notturna probabilmente stavano succedendo centinaia di eventi e, come facevo da piccola, mi immaginai la vita delle persone, celata dietro le piccole luci dei palazzi.
Una signora anziana si spegneva sorridendo serena, la mano racchiusa dalla dolce stretta di suo marito, con cui aveva condiviso gioie e dolori per più di cinquant'anni.
Due fidanzati litigavano, frustrati dalla piega che il loro rapporto, logorato dall'abitudine e dagli impegni di lavoro pressanti, aveva preso.
Una mamma guardava il suo bambino compiere i primi passi incerti sul pavimento della loro piccola cucina e pensava, con un velo di amarezza negli occhi, all'uomo che lei aveva amato e che era fuggito di fronte alle sue responsabilità di padre.
Una famiglia riabbracciava dopo anni un figlio, tornato a casa dopo anni passati lontano, alla ricerca di risposte che non aveva trovato in giro per il mondo ma nelle braccia forti di suo padre e negli occhi dolci di sua madre.
E poi c'ero io, su una terrazza al ventitreesimo piano di un grattacielo, lontana kilometri da casa, con un oceano a separarmi da tutto ciò che mi era familiare e in compagnia di Alessandro, uomo che avevo giudicato in modo errato e che inaspettatamente si era rivelato una persona gentile, brillante, ironica e paziente. E poi c'era sempre quella sensazione senza nome che aleggiava tra di noi, invisibile ma al tempo stesso tangibile.
Mi domandai come apparissimo visti attraverso gli occhi di uno sconosciuto: quel filo impalpabile che ci univa era visibile?
«Sono in serate come queste che mi faccio pervadere dalla malinconia e inizio a pensare di essere vecchio», mormorò piano.
Voltai leggermente il volto per riuscire a scrutare la sua espressione leggermente triste e mi persi nell'osservare i suoi lineamenti leggermente squadrati e a pensare a quanto fosse inconsapevole della sua bellezza.
«Andresti d'accordo con mio padre, sono poche le persone che stima e apprezza pienamente ma sono certa che tu gli piaceresti», sorrisi immaginando gli occhi pensosi di papà scrutare quelli melanconici di Alessandro e trovarvi dentro il medesimo sentimento di smarrimento.
Si girò e i nostri sguardi si intrecciarono e io non riuscii in alcun modo a interrompere quel contatto che si instaurò tra di noi e che riaccese quell'ombra di sentimento che albergava dentro di me a mia insaputa.
No, no, Ginevra Visconti, non ci siamo. Non sei pronta per imbarcarti in quella missione suicida che è una storia d'amore. Anche perché non c'era nessun amore tra di noi. No. Assolutamente no. Pura attrazione. Sì, sì, non poteva essere altrimenti. Suvvia lo conoscevo da due settimane e in quei quindici giorni avevo passato la maggior parte del tempo a odiarlo in silenzio, augurandogli di inciampare nella sua preziosa scrivania e di sfracellarsi al suolo.
«Mi piacciono i cactus!», esclamai senza pensare, «Mi piacciono molto perché permettono anche ad una persona come me, assolutamente negata nel giardinaggio, di avere un po' di verde in casa. A te piacciono le piante grasse?», chiesi con un sorriso idiota stampato sul volto.
Complimenti Ginevra, sei veramente la regina del saltare di palo in frasca e del rovinare ogni traccia di atmosfera romantica in due secondi. Come mi era potuto venire in mente di parlare di cactus?
Alessandro distolse lo sguardo, impedendomi così di vedere la sua espressione, e mi rispose calmo: «Domanda insolita. Diciamo che non ho nulla contro questa specie di piante», concluse appoggiandosi alla balaustra.
«Oh ok», mormorai senza sapere cosa dire.
Lui si voltò e mi fissò nuovamente aggrottando le sopracciglia: «Era un test? Una sorta di teoria delle olive rivistata?», domandò confuso dalla mia reazione.
«Teoria delle olive?»
«Mmh, sì. Al liceo la mia ragazza mi ha scaricato proprio per quello. In pratica questa teoria dice che se in una coppia ad uno piacciono le olive e all'altro no allora sono fatti l'uno per l'altro e la loro relazione avrà successo», mi spiegò.
«Interessante, forse è per questo che con Nicola non ha funzionato: entrambi adoravamo le oliva», constatai pensierosa, «A te piacciono?», gli chiesi curiosa.
«Le odio», sancì sorridendo.
«Siamo anime gemelle allora!», esclamai ridendo.
Lui si unì a me e fu incredibile vedere il suo viso abbandonare la tipica piega pensosa e distendersi sereno.
Ci fissammo negli occhi sempre sorridendo e la piccola scintilla familiare ricominciò a scoppiettare nel mio petto.
Senza mai smettere di guardarmi, sollevò una mano e, dopo un lieve tentennamento, mi sfiorò quasi timoroso le labbra. Passò leggero il pollice sul labbro inferiore e io, come incantata dal suo tocco, non riuscii a far altro che avvicinarmi a lui fino a mischiare i nostri respiri e poi fu un attimo, un soffio. Appoggiai esitante le mie labbra sulle sue, senza muovermi, aspettando.
Lui mi cinse la vita e mi attirò a sé, facendo combaciare perfettamente i nostri corpi.
Stretta tra le sue braccia, le nostre lingue intrecciate, mi sentii finalmente serena. Era come se,  dopo mesi passati ad essere una mera spettatrice della mia vita, avessi finalmente ripreso il comando delle mie azioni e delle mie emozioni, nuovamente vivide, prepotenti, che esigevano di essere ascoltate.
«Non posso farlo, non è giusto», mormorò sciogliendo il nostro abbraccio, allontanandosi fisicamente ed emotivamente da me.
Presa in contropiede indietreggiai confusa e dopo avergli rivolto un ultimo sguardo mi voltai e lo lasciai solo sulla terrazza.
Le ferite vanno sempre leccate in solitudine o al massimo in compagnia di un barattolo di gelato.



Et voilà!
Eh eh sono o non sono una persona cattiva e guastafeste?
Tranquilli, ricordate che c'è sempre un perché.
Che ne dite?
Aspetto i vostri commenti :)
Un abbraccio,
S.
  
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