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Autore: GirlWithTheGun    05/09/2014    1 recensioni
Sirius è sulla soglia della fuga ma ancora non lo sa: per il momento è un adolescente dall’umorismo caustico preda di maremoti emotivi inimmaginabili;
Andromeda si fa regalare il fumo dal Nato Babbano Ted Tonks, e lo trova curiosamente tenero;
Bellatrix e i suoi avambracci sono intonsi, per ora, ma i suoi legami con l’Oscurità esistono già da un pezzo, e anche il contratto matrimoniale con Rodolphus Lestrange - ahinoi -;
Narcissa annovera i petali delle margherite e i rampolli delle famiglie Purosangue, classificandoli secondo il suo - discutibile? - personalissimo ideale di avvenenza: primo per gradimento, Lucius Malfoy;
Regulus, imprigionato nei suoi cravattini, è la grottesca mascotte delle cugine, l’incompleta replica del fratello maggiore, perfetto per le esigenze di Walburga, disastroso per quelle della vita mondana: in una parola, inadatto.
Nessuno immagina che questa sarà la loro ultima estate insieme. Non immaginano che, dopo, tutto precipiterà nel baratro; che, un giorno, a legarli ci saranno solo addii, patti maledetti, tradimenti, guerre, morte e, alla fine di ogni cosa, l'estinzione.
Genere: Angst, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Narcissa Malfoy, Regulus Black, Sirius Black | Coppie: Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Sirius Black/Bellatrix Black, Ted/Andromeda
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Capitolo 10

Contention

 

 

La stanza, un buco dimenticato dal mondo, era piccola e, anche seduta all’angolo opposto rispetto al letto, Rodolphus le sembrava sempre troppo vicino. Si faceva più vicino di minuto in minuto, mentre la luce del giorno aumentava e le pareti scure parevano restringersi su di loro; o era il suo corpo nudo, abbandonato, a ingigantirsi? Un polpaccio avvolto nelle spire delle lenzuola, le forme maschili scoperte, la schiena ampia una distesa di muscoli rilassati che si tendevano pigramente a ogni respiro, foderati dalla pelle spessa che le sue unghie avevano graffiato la notte prima, senza pietà. Un solco violaceo gli attraversava una scapola, risalendo fino al collo e, contemplandolo, Bella portò istintivamente una mano a tastare la carne morbida che sormontava la clavicola, ripercorrendo i segni del morso che le riposava addosso. I margini della ferita dolevano e, tra le gambe, l’epidermide bruciava. Non era stato propriamente bello, né umano.

 

*

 

Little Hangleton riposava nell’oscurità, i suoi Babbani mollicci nascosti oltre le porte chiuse, come se bastasse un giro di chiave a salvarli dal male. Non era possibile Materializzarsi direttamente entro le mura della casa, così Bella era stata costretta a comparire dietro al solito cespuglio di viburni. Mossa dall’agitazione, riemerse dal verde senza controllare il vialetto, dimentica di eventuali esploratori notturni; non appena mise piede in strada, qualcuno le puntò un oggetto duro tra le scapole, ghiacciandola sul posto.

“Fai più rumore di un Ghoul arrabbiato, cugina”.

La voce di Evan fu una carezza spettrale. Si voltò, ritrovando la sua bacchetta ancora puntata contro. Non si vedevano più dal giorno in cui aveva tentato di torturarlo e per un attimo arrivò a temere che volesse vendicarsi, impedendole di raggiungere l’appuntamento. Lui non avrebbe tollerato ritardi e di certo Bella non avrebbe avuto il coraggio di presentarsi anche solo un minuto dopo l’orario prestabilito.

“Vuoi che finisca il lavoro che ho cominciato da Malfoy?” ringhiò.

La risata di Evan incrinò il silenzio della notte.

“Sei davvero comica” disse lui, abbassando il braccio “Dovremmo riappacificarci, non credi?”.

Rimase immobile mentre si avvicinava di un passo, circondandole la vita in un abbraccio da amanti, prima di posarle due baci sulle guance, con lentezza esasperata. Avrebbe voluto strangolarlo a mani nude ma trattenne gli istinti malevoli, sforzandosi di concentrarsi sul reale motivo della loro presenza lì.

“Tra poco saremo più che fratelli, mia cugina adorata” sussurrò Evan al suo orecchio “Non è meraviglioso?”.

Il suo volto affondò tra le ciocche di capelli che le proteggevano il collo e Bella lo sentì annusare. Rosier aveva sempre amato, fin da bambino, quegli stupidi giochi maliziosi. Non riuscendo a sopportare oltre, lo spinse con energia lontano da sé, ricavando nient’altro che una smorfia divertita. Lo guardò socchiudere gli occhi pallidi, nell’espressione di un felino che si prepara a gustare la preda.

“Puzzi di Dittamo. Non sei ancora guarita?”.

Non rispose, gli diede nuovamente le spalle e prese a risalire il dolce pendio che conduceva fino ai cancelli della casa. Sentì Evan scivolarle dietro e poi se lo ritrovò al fianco, dritto nella nobile grazia che sua madre decantava con adorazione.

“Quali novelle dal vostro ramo?”.

“Non ho voglia di chiacchiere”.

“Per Salazar, sei sempre così maleducata” sibilò lui “Non vuoi raccontarmi neppure di Meda, sai, circolano delle vo-”.

Prima che potesse filtrare la rabbia in una risposta sferzante, la sua mano era corsa alla bacchetta e Bella fu quasi sorpresa quando si ritrovò a contemplarne un’estremità affondata nella spalla del cugino. Ormai era tardi per ritrarla.

“Allora è vero…” mormorò Evan, per nulla scosso dalla minaccia di un’altra aggressione.

“Non una parola”.

“Che razza di ingrata”.

Sembrava sinceramente impressionato dalla notizia, ogni traccia di insolenza si era dissolta, ma qualsiasi discussione al riguardo era fuori questione. Non con lui. Non in quel  momento, a due passi dal Signore Oscuro, che avrebbe potuto frugarle nei pensieri e magari trovare le tracce di un sentimento pericoloso. Avrebbe rischiato di compromettere ogni cosa.

“Non. Una. Parola. Rosier”.

Finalmente lui alzò le mani in segno di resa, tacendo. Bella riprese a camminare, ignorandolo, troppo concentrata nel tentativo di rimuovere ogni traccia di agitazione dalla mente, respingendo le immagini e i ricordi di quei giorni lontano dalla memoria. Era uno degli esercizi più duri che aveva affrontato nell’ultima settimana, peggiore anche del digiuno quasi totale che si era imposta. Si fermarono solo quando giunsero al cancello secondario, lì avrebbero dovuto attendere Mulciber e Dolohov, poi sarebbero entrati sotto un unico Incantesimo di Camuffamento: lo sciocco Babbano che sorvegliava aveva il suo tugurio dal lato opposto della grande villa ma era meglio essere prudenti.

“Non si parla solo di Meda, comunque. Le tue sorelle si sono contese i pettegolezzi di mezzo Mondo Magico, nell’ultimo periodo”.

Bella non commentò e le parole di Evan sprofondarono lentamente nel buio, insieme ai loro sguardi, fino a quando due sagome indistinte si affacciarono in fondo al sentiero, muovendosi nella direzione in cui si trovavano.

“Pensi tu a farci sparire?”.

“Certo” rispose Evan “In ogni caso, per quanto possa interessarti, pare che Malfoy abbia messo le mani su Cissy. E non simbolicamente”.

Bella registrò l’informazione senza battere ciglio, il volto in parte nascosto dal grande cappuccio del mantello, tesa come una corda di violino. Le sembrava di doversi spezzare da un momento all’altro, come una lastra di vetro scheggiata.

“Compagni…”.

Il saluto di Dolohov fu poco più che un grugnito, mentre Mulciber si limitò a un sorriso delirante. Dopo un paio di rapidi convenevoli, Evan applicò l’Incantesimo a tutti, prima di superare il cancello. Oltrepassarono il giardino abbandonato a ranghi serrati e, nella quiete morente del luogo, Bella poté registrare ogni dettaglio di quel momento; il respiro eccitato di Terence incollato a una tempia, l’odore stantio di Antonin e il fianco sinistro di suo cugino che la sfiorava delicatamente, come avrebbero fatto le sue parole melliflue dirette all’Oscuro Signore, di lì a poco. Stavano andando incontro al loro destino, oltre l’uscio marcio che proteggeva l’ingresso ovest, su per le scale sfondate che poche altre volte avevano risalito e mai per un evento tanto straordinario. All’ultimo, Evan le strinse un polso come per farle coraggio e Bella non trovò la forza di divincolarsi.

Lui attendeva di spalle, affacciato alla vetrata infranta che si affacciava sul villaggio, in un mosaico di occhi di cristallo aperti, là dove il tempo era stato misericordioso, e chiusi, dove invece il ticchettio degli orologi aveva sbriciolato ogni cosa. Un quadrato di quattro compagni già li attendeva e, dopo il consueto inchino indirizzato a Lui e solo a Lui, si unirono agli altri. Bella riconobbe un occhio di Lucius, una pietra dura conficcata nella metà del volto illuminata dall’unica candela che rischiarava la stanza, e fu certa che Rodolphus era lì, perché era stata lei stessa a pregare Malfoy di occuparsi dei Lestrange. In compenso, aveva dovuto prendere con sé Mulciber, che in pochi tolleravano.

Rimasero immobili, frementi di aspettazione, nell’attesa degli ultimi due gruppi, che arrivarono poco dopo. Quando seppero di essere tutti presenti, Lucius le fece un cenno. Nel suo sguardo decifrò l’irrimediabilità del momento, di quello che avrebbero fatto; un singolo istante che avrebbe cambiato ogni cosa, rendendoli immortali.

“Mio Signore, siamo al completo”.

La sua stessa voce le giunse estranea all’udito, come se si trattasse del richiamo fermo di qualcun altro. Lei non riusciva a sentirsi ferma, né sicura, lo stomaco ridotto a un mucchio di nodi tremanti, le fauci aride e le dita serrate intorno ai lembi del mantello.

Non è paura, continuava a ripetersi, non è paura.

Lui si voltò lentamente, metà del suo essere irrorato dal bacio argenteo della luna, nel consueto aspetto. Bella continuò a guardarlo direttamente, senza cedere: fin dal primo incontro, i suoi tratti non erano mai riusciti a disgustarla del tutto. Guardare i suoi sfregi, quei tratti deformati e ridotti a vaghi abbozzi di natura umana, era come affacciarsi su un pozzo di potenza infinita, sfrenata, così devastante da aver trasformato l’uomo in qualcosa di affine a un dio orrendo. A terrorizzarla ed eccitarla, simultaneamente, era la forza invasiva e feroce che pareva diffondersi a ondate da quel corpo, falciando ogni pretesa di dignità nello spirito altrui. La sua forza era magnetica, un polo calamitante che aveva trascinato ognuno di loro con disarmante energia.

Si fermò a un passo da lei, sovrastandola. Non era più un organismo ma una montagna, la sua ombra la nascose, poi la avvolse. Bella non riuscì a distogliere gli occhi dai suoi, come avrebbe dovuto, rilevando il margine di un rosso vivo che ne corrompeva le iridi, un dettaglio che non ricordava di aver registrato l’ultima volta in cui i loro sguardi si erano incrociati.

“Noti un cambiamento?”.

Il sibilo le perforò i timpani e temette di essersi spinta troppo in là. Tacque, senza neppure annuire.

Poi un altro sibilo riecheggiò solo nella sua mente, rendendola preda del panico.

“Io lo noto. Un turbamento pericoloso, mia serva”.

Restò immobile, senza abbassare lo sguardo, follemente certa che quello sarebbe stato l’unico modo per garantirgli la sua fedeltà, oltre il dolore, oltre qualsiasi sentimento irrazionale. Ripescò con cura nei suoi pensieri il ricordo della sera trascorsa a Englefield House, della risposta che avrebbe voluto pronunciare anche al suo cospetto, se gliene fosse stata data l’opportunità: Vorrà dire essere legati a Lui, per sempre. E se voi lo volete, io lo voglio di più.

“Mi giuri eterna fedeltà, Bellatrix Black?”.

Ora la sua voce era fuori, dove tutti avrebbero potuto udirla.

“Lo giuro”.

“Giura di servirmi, sul tuo sangue, sulla tua vita, sul tuo onore”.

“Lo giuro sul mio sangue, sulla mia vita, sul mio onore”.

Le sue non erano propriamente mani comuni e quando le sfiorarono il braccio, in un gelo metallico, un brivido le percorse la schiena. Era terrore, desiderio o esaltazione? Si tese verso di Lui, la carne candida esposta, le dita distese come per cogliere un frutto.

“Ricorda, mia serva” era di nuovo nel punto più profondo di lei, ora sussurrava per rivelare un segreto “Quanto più in alto vuoi costruire, più a fondo devi distruggere”.

Era un monito chiaro. Cosa aveva visto? Per un momento, temette che avrebbe ritratto la bacchetta negandole il premio. Invece l’esitazione era servita a sondarla ancora una volta, solo con le pupille, ultimi avamposti di un’origine comune alla sua.

Il dolore si insinuò sotto la pelle, tracciando un solco immaginario nei tessuti, strappando le vene e lacerando le fibre, mentre il suo avambraccio restava intatto. Ingoiò la sofferenza fisica dentro di sé, serrando le labbra. Io lo voglio di più. Lo strazio percorse un viaggio incandescente, dal polso alla spalla, scavando come una lancia fino al cuore, che accelerò, impazzito. Quando le prime linee scure si dipanarono sull’epidermide, non riuscì a frenare un sorriso disperato. Il Marchio, simbolo dell’unico voto che aveva scelto nella sua vita, era impresso su di lei, all’interno di lei, irreversibile, incancellabile, il distintivo che avrebbe esibito per riconquistare il suo libero arbitrio, la sua libertà, il mondo. Non le restava nient’altro che Lui, non c’era niente di più importante che Lui.

Lo giuro sul mio sangue, sulla mia vita, sul mio onore.

Lo giuro sul mio sangue, sulla mia vita.

Lo giuro sulla mia vita.

 

Si ritrovarono dispersi nella macchia di arbusti che avrebbe protetto il loro cammino fino al punto in cui si sarebbero congedati gli uni dagli altri. Presto le istruzioni sarebbero arrivate attraverso il suggello e fino ad allora non avrebbero dovuto fare altro che attendere. Prepararsi e attendere. Erano stremati e ripercorsero il sentiero senza proferire parola. Il Marchio riposava su ognuno di loro, quieto, ma il dolore era ancora intenso.

“Da qui noi proseguiamo per un’altra strada”.

La voce di Lucius fu poco più che un mormorio e ad accoglierla trovò qualche occhiata sofferente.

Quanto più in alto vuoi costruire, più a fondo devi distruggere.

Bella incontrò gli occhi di Rodolphus, dritto accanto a Lucius. Neppure lui aveva emesso un lamento. Prima che voltasse le spalle per incamminarsi con gli altri tre compagni, lo richiamò.

“Lestrange”.

Solo uno dei due fratelli si voltò, ed era quello giusto.

Quanto più in alto vuoi costruire, più a fondo devi distruggere.

“Vieni con me”.

Non lo chiese, lo ordinò, a lui e a se stessa, con la stessa sgraziata prepotenza.

Si dileguarono in silenzio, nel silenzio Bella si lasciò condurre in un luogo che non conosceva, lasciò che lui li rinchiudesse entrambi tra le mura spesse dove il suo martirio si sarebbe infine consumato.

Fu lei a disfarsi del mantello per prima, poi dei nastri che stringevano il corsetto, evadendo un indumento alla volta dalla prigione di stoffa in cui era solita lasciarsi soffocare. Lui sembrava talmente stupito dal repentino cambiamento da non riuscire a muoversi ma tutto cambiò quando lo costrinse a sedere sul bordo del letto, montandogli addosso: a quel punto riemerse l’avidità che gli aveva letto negli occhi e poi fu troppo tardi per imporgli un freno. Si spogliò frettolosamente, respirando forte contro le sue forme mentre i loro corpi entravano in contatto, aprendo la bocca in un ansito animalesco non appena lei si lasciò toccare davvero, in profondità. Le entrò dentro senza cerimonie, spingendo privo di riguardi, mosso solo dal desiderio cieco che gli appannava la vista. Lei non si arrese subito, riuscì a tenerlo sotto di sé per qualche minuto, lottando con tutto il suo peso. Del resto, non ci si poteva aspettare che la bestia sacrificale si offrisse all’olocausto con eleganza. Quando lui la ribaltò sulla schiena, con un colpo feroce, si vendicò conficcando le unghie fin dove poteva, godendo del suo dolore e del piacere che, inesorabile, iniziava a ottunderle i sensi. Lui era più forte di quanto aveva creduto, anche più crudele. Pareva che volesse ucciderla, più che possederla. Non mostrò nessun tipo di pietà o esitazione e  accolse l’orgasmo sfogandolo in un morso nella sua carne.

Più tardi, con il viso di Rodolphus affondato tra le cosce e le sue mani impresse ovunque, anche dove non credeva che sarebbe riuscito ad arrivare, Bella si frantumò e ricompose, seguendo le linee spezzate dell’acme che l’aveva segata a metà. Un piacere devastante diviso con un pianto amaro.

Quanto più in alto vuoi costruire, più a fondo devi distruggere.

Era finita.

Era iniziata.

 

*

 

 

Il ritorno l’aveva lasciata esausta, la frenesia si era dissolta in una sensazione di vuoto angosciante. Ripercorrendo la casa quieta percepì chiaramente la propria solitudine, che ormai pareva essersi trasformata in uno stato definitivo. Si ritrovò a pensare al giorno precedente, quando avevano lasciato Englefield, alla parabola lenta che i lenzuoli bianchi avevano seguito, prima di calare su ogni cosa, mobili e ricordi che avrebbero dovuto proteggere dal trascorrere impietoso del tempo. Invece, quel rito le era parso un saluto funebre. Era nei momenti come quello che davvero non riusciva a non pensare ad Andromeda. L’immagine del suo sorriso, il suono della sua voce, lo sguardo di rimprovero che così spesso le aveva rivolto; ogni dettaglio del passato riverberava nello specchio della memoria, percorrendo orme già tracciate, incidendo nuove ferite. Le mancava già in un modo brutale, talvolta insostenibile, e per quanto tentasse di alimentare l’odio enumerando i colpi duri che le aveva inferto, non c’era verso di superare il dolore. Era un battito insistente, soverchiava ogni altro suono durante la notte, era onnipresente e ormai aveva quasi paura di incontrare il proprio riflesso, perché vi avrebbe visto lei, lo sapeva.

Davanti alla porta chiusa della camera di Meda, esitò. Nessuno percorreva l’ampio corridoio e Bella non poté resistere all’istinto di posare una mano sulla superficie inanimata, rimandando il riposo. Alla leggera pressione la porta cedette, sorprendendola. Dall’interno giunse un tramestio sospetto e la curiosità la spinse a spalancare l’uscio; per un secondo impossibile sperò addirittura di ritrovare sua sorella.

“Oh, cara, sei tu…”.

Non fu Andromeda ad accoglierla, magari china sull’ennesimo libro proibito.

“Madre?”.

Non poté nascondere completamente la delusione e lei dovette interpretare il tono come una sorta di rimprovero, perché girò il viso da una parte, nascondendo la guancia bagnata dal pianto. Naturalmente rimaneva il viso congestionato a tradirla, insieme all’aspetto disordinato – i capelli flosci intorno al volto, la camicia da notte drappeggiata di sbieco – e agli occhi arrossati. Sorprendendola in quello stato, Bella non riuscì a provare altro che disgusto.

“Sei rientrata ora?” disse sua madre, sferzante.

L’alba stava per concludersi, quando aveva raccolto i suoi pochi effetti dalla stanza ed era andata via, lasciando Rodolphus addormentato. Mentre Druella si crogiolava nel compatimento di se stessa, strisciando nelle ore buie fuori dal suo nascondiglio di cipria, lei aveva regalato pezzo per pezzo il suo corpo a qualcuno che a malapena conosceva. Il passo dal disgusto alla rabbia fu repentino.

“Certo. Ho il mantello da viaggio, vedi?”.

“Dove sei stata?”.

“Lo sai, dove sono stata”.

Continuò a fissarla, nonostante tentasse in tutti i modi di evitare il suo sguardo e nel contempo di darsi un contegno, rassettando la vestaglia sulle spalle magre. In meno di una settimana dalla fuga di Andromeda era già deperita, un fiore appassito avvolto nella seta; era di una debolezza - mentale, fisica, emotiva – insopportabile. Si concedeva ore di disperazione vuota , in attesa del prossimo matrimonio, una rivincita sociale che avrebbe in parte oscurato l’onta del tradimento.

“Cosa ci fai qui?” la incalzò, occupando l’ingresso.

“Oh, non lo so… stavo controllando che tua sorella non avesse rubato la collana della nonna. Sai, quella del debutto… voglio dire, se finisse nelle mani di quel lurido io… io…”.

Quando la vide portare una mano alla bocca per domare un singhiozzo, dovette respingere il desiderio di colpirla.

“Ti prego…”.

“Tu non capisci…” pigolò lei “La gente comincerà a chiedere, a parlare, questa storia mi perseguiterà fino alla tomba. La gente non vede l’ora, sai, di trovare qualcosa da dire. Ci hanno sempre invidiati così tanto… le più belle figlie, le più belle figlie…”.

“Madre…”.

“A te non importa…”.

“Ho detto per favore…”

“Tu non capisci cosa vuol dire…”.

“Madre”.

“Tu non capisci, non capisci… così vicino al matrimonio… io impazzirò, non puoi capire il dolore, la vergogna. Tu non puoi capire… Tu-”.

“MADRE!”.

L’urlo la fece trasalire. Bella avanzò in due falcate verso di lei e la afferrò per un braccio con forza.

“NON POSSO CAPIRE?” la strattonò come una bambola.

La rabbia era tale da accecarle la vista, avrebbe voluto stringerle le mani intorno al collo e troncarle il respiro fino a farla tacere.

“IO non capisco?!”.

Era terrorizzata, un pupazzo inanimato, flaccido, gli occhi spalancati, larghi e cadenti; Bella affondò le unghie.

“Dove vivi, tu? In quale mondo assurdo credi di vivere?”.

La spinse indietro, lei inciampò goffamente nelle gambe del baldacchino e finì seduta sul materasso spoglio. Era così bianca da confondersi con la superficie alle sue spalle, un fantasma sbiadito.

“Quando la strada di Andromeda incrocerà di nuovo la mia io dovrò ucciderla” sibilò, vicinissima a quel volto terreo “È questo il giuramento che ho fatto. È questo il mio impegno di fronte all’Oscuro Signore”.

Quando pronunciò quel nome, lo sgomento di sua madre produsse un rantolo imbarazzante. Bella decise di affondare l’ultimo colpo, perpetuare la vendetta che aveva serbato così a lungo, di fronte a ogni sopruso, ogni imposizione demente, ogni costrizione imposta fino al limite della follia. Slegò il mantello all’altezza della gola, lo fece scivolare via in un unico colpo deciso, scoprendo il Marchio. Druella distolse lo sguardo, voltandosi da un lato, le labbra ridotte a una lama tremante.

“Guarda” ringhiò, prendendole il mento tra le dita e costringendola “È l’inizio di una guerra che avresti dovuto combattere tu per prima. Ma la tua mancanza di coraggio, la tua stupidità … sei una codarda e la tua inutilità mi ha privato di mia sorella”.

Puntò la bacchetta contro di lei, sovrastandola.

“Dovrei Marchiarti, potrei farlo” la minacciò “Lo vuoi? Vuoi giurare fedeltà al Signore Oscuro?”.

Nessuna risposta e gli occhi abbassati, le prime lacrime autentiche, vili, che le scavavano le guance sfiorite.

“Vuoi giurare, madre? RISPONDI!”.

Trasalì ancora, prese a piagnucolare come una bambina. Una visione insopportabile, che le fece salire l’amaro in bocca.

“Sei davvero desolante” sussurrò, senza più guardarla “È solo colpa tua. Non ti perdonerò mai per questo”.

Non ti perdonerò mai mai mai mai mai mai

La rabbia si trasformò in dolore, così improvvisamente, svuotandola di tutte le forze che le erano rimaste. Sua madre se ne stava accasciata sul letto dove aveva guardato Meda dormire, dove avevano diviso l’insonnia e le confessioni, in un tempo che non sarebbe tornato mai più. Come avrebbe potuto dimenticare? Lei era il suo specchio, il suo riflesso migliore.

Vorrei morire qui, pensò, vorrei cancellare ogni cosa.

Indietreggiò fino alla porta, fuggendo alla vista di quella creatura ignobile rattrappita di fronte a lei, invecchiata in un unico momento.

“Non celebrerai il mio matrimonio. Mi sposerò presto e tu non ci sarai. Prima di allora potrai divertirti con Narcissa: pare che malgrado lo scandalo tu sia riuscita a vendere anche l’ultima figlia”.

Neppure attese una risposta, varcò la soglia e chiuse la porta dietro di sé, per sempre.

 

*

 

Sirius lanciò la divisa appallottolata in un unico groviglio di stoffa sul sedile, prima di lasciarsi cadere al suo posto con un gemito.

“Merlino, grazie” mormorò.

La tensione si sciolse, il peso sullo stomaco si trasformò in una felice eccitazione, il profumo dolciastro di Walburga finì dissolto nell’etere.

“Non allargarti troppo” disse James, spostandogli le gambe con una manata “Occupi il mio spazio”.

Sirius gli rivolse un largo sorriso, pieno di allegria.

“Va bene, mamma James” rispose, raddrizzandosi.

Lo guardò ravviarsi i capelli, la camicia bianca sbottonata fino al petto e una Sigaretta Mai Finita infilata dietro l’orecchio, mentre un gruppetto di ragazze Tassorosso del quarto anno percorreva il corridoio, sbirciando con curiosità oltre la porta a vetri.

“Ciao dolcezza” mimò l’amico con le labbra, alzando una mano.

Una biondina arrossì in modo adorabile e accanto a lei comparve Remus, che registrò istantaneamente il quadretto e scosse la testa, sconsolato.

“Ti prego, non siamo nemmeno partiti” disse, entrando.

James rise e lo abbracciò, senza dargli il tempo di chiudere la porta.

“Si può sapere dove eri finito?” lo salutò, ignorando il rimprovero “Ti abbiamo cercato sulla banchina!”.

Sirius si allungò e guardò l’amico bene in viso: era molto pallido e un taglio profondo gli attraversava lo zigomo. Gli strinse le spalle energicamente, guardandolo dritto negli occhi e riconoscendovi la solita tristezza mista a rassegnazione. Perlomeno sembrava più in carne di come l’avevano lasciato prima delle vacanze estive, aveva solo bisogno di un po’ di brio.

“Fai veramente schifo” gli disse, con affetto.

“Grazie” rispose lui, regalandogli il primo sorriso.

Dopo qualche convenevole, si accomodarono tutti e tre. Remus aveva sottobraccio la consueta copia del Profeta, al quale era abbonato probabilmente dal grembo materno.

“Le vacanze?” chiese, abbandonando il giornale alla sua sinistra.

“Fantastiche” James arrotolò le maniche sui gomiti “Ho conosciuto una rossa a Montecarlo… Merlino, era la fine del mondo”.

“Dorea ti ha trovato una nuova tata?” lo stuzzicò Sirius, puntandogli un piede in uno stinco.

James si appropriò fulmineamente del Profeta e gli assestò un colpo sulla fronte.

“Vi prego, fatemi finire almeno la pagina politica…”.

Le proteste poco convinte di Remus si confusero con il buongiorno di Peter, entrato in quel momento. Sirius l’aveva già salutato prima di salire sull’Espresso, quindi lo sfogo verdino che gli era esploso in fronte non suscitò il suo interesse: era troppo concentrato sulla vendetta ai danni di James.

“Che cosa hai fatto lì?”.

“Oh niente” ridacchiò Peter “Uno scherzo di cattivo gusto”.

“I compagni del campo estivo a Stonehenge erano delle merde” specificò James, respingendo con un colpo da maestro i calzini usati che Sirius si era sfilato e gli aveva lanciato addosso, rimanendo a piedi nudi.

Peter sorrise scoprendo gli incisivi sporgenti, senza nascondere l’imbarazzo.

“E tu, Sirius? Come sono andate la vacanze?” chiese Remus, distogliendo l’attenzione generale dal triste racconto.

“Ah, una meraviglia”.

“Le tue lettere erano semplicemente deliranti” James si specchiò nel finestrino, mentre il treno iniziava a muoversi.

“Vorrei vedere te rinchiuso in un covo di serpi incestuose”.

“Tua cugina ha tentato di sedurti?”.

“Quale delle tre?” rispose Sirius, sentendosi tutt’un tratto a disagio, senza un motivo particolare.

“Non so, Narcissa? Un po’ frigidina ma ha un paio di… mmh”.

James simulò nell’aria il gesto di strizzare due entità invisibili e parecchio estese. Un guizzo rosso fuori dal vetro attirò l’attenzione di Sirius: Lily Evans sfilò davanti al loro scompartimento con la consueta eleganza, mentre il palpeggiamento immaginario dei seni di Cissy andava in scena. L’occhiata che lanciò a tutti loro tradì un profondo biasimo e James si accorse troppo tardi di essere stato visto.

“A proposito di frigide…” mugugnò subito, lasciando cadere le braccia “Uno non può nemmeno divertirsi”.

Sirius lo vide scivolare in punta del sedile, seguendo con lo sguardo la gonna di Lily che spariva oltre la cornice, e fece partire il conto alla rovescia. Presto James si sarebbe dileguato con qualche scusa patetica per correre dietro alle mutandine della Evans, mandando le sue annuali promesse di resa in malora.

“Ho saputo di Andromeda” disse Peter.

“Già” annuì Sirius “Rimanga fra noi, per ora, ma… presto diventerò zio”.

“Cavolo!”.

“Zio?!”.

“Non avresti dovuto permetterle di riprodursi con nessun altro a parte me. Comunque onore a Tonks per il concepimento lampo”.

James si alzò, ravviandosi nuovamente i capelli.

“Ti è bastato sentire l’odore, eh?” lo pungolò Sirius.

“Non so di cosa stai parlando, ho qualcosa di urgente da discutere con Harvie. Torno subito”.

Raggiunse la porta a tempo record ma questo non gli permise di sfuggire allo schiaffo che Sirius gli assestò dietro il collo, saltando sul sedile. Gli rivolse un gesto molto volgare allontanandosi, suscitando il terrore in quattro bimbi del primo anno che si trovavano a passare.

“Quanto sono teneri” osservò Sirius “Io non sono mai stato così”.

“Confermo” disse Remus “Quindi ora dove vive tua cugina?”.

“Sta a Londra, ha trovato un appartamento con Ted. Stanno bene, andrò a trovarla presto. Mia madre l’ha già eliminata dall’albero genealogico, ovviamente”.

“Oh” gemette Peter.

Remus scrollò le spalle, desolato.

“È davvero una follia. Come tutte le idiozie estremiste che stanno circolando nei salotti della nobiltà  Purosangue… Edward Affilapenna ne parla da mesi nella sua rubrica”.

“Chi è Edward Affilapenna?”.

“Uno dei giornalisti di punta del Profeta, Peter”.

“Beh, non so cosa ne pensa Affilapenna ma ho come il sospetto che molto presto farò anche io la stessa fine di Meda. E non mi dispiace per niente”.

“E tuo fratello?”.

Sirius rivolse lo sguardo verso Remus. In fondo lui aveva sempre desiderato qualcuno che lo aiutasse a combattere la sua solitudine, qualcuno che condividesse le sue pene: in parte, loro lo facevano già come amici. Lui non poteva capire quanto fosse terribile la disgrazia di ritrovarsi un consanguineo sbagliato.

“Quale fratello?”.

Rise e scalciò le scarpe lontano.

 

La moquette del corridoio era tiepida, i piedi vi affondavano piacevolmente e Sirius arricciò le dita un paio di volte, godendosi il contatto. Aveva abbassato di poco un finestrino, fermandosi a guardare il paesaggio: il via vai era più rado, nello scompartimento i suoi amici stavano già indossando le divise. Allungò la mano appena fuori dal vetro, scuotendo la cenere in eccesso. La sua Sigaretta Mai Finita avrebbe continuato a bruciare e ricomporsi, fino a quando non fosse stato costretto a liberarsene.

Stava vivendo il benessere intenso del momento, la sensazione di trovarsi nuovamente al sicuro, amato, sfottuto e inguaiato dalle uniche tre persone di cui si sarebbe mai potuto fidare davvero. Il pensiero era sensazionale, vertiginoso. Appagante oltre ogni speranza.

Le sue piacevoli elucubrazioni furono interrotte da una voce familiare.

“Non dovresti fumare”.

Si voltò, già stufo, e trovò Regulus ad attenderlo, rinchiuso nella divisa che aveva indossato la mattina stessa, contro ogni buonsenso.

“Eh?” rispose, laconico, poi fece un altro tiro.

“Mamma ti ucciderà”.

“Già tremo tutto. Sei qui per un motivo specifico?”.

“No. Sto andando a salutare alcuni miei amici. Tu eri qui…”.

“Amici? Facciamo progressi. Di qui a ventisei anni potresti addirittura farti la ragazza”.

Le guance di Regulus si imporporarono.

“Ciao”.

“Buon anno, fratellino”.

Lo guardò allontanarsi, sempre più stranito dall’assurdità della sua esistenza, fino a quando lo vide voltarsi nuovamente e tornare indietro di qualche passo, verso di lui.

“Come sta…?” domandò.

“Come sta chi?”.

“Meda”.

Sirius si irrigidì.

“Bella ti ha mandato a fare la spia?”.

Regulus strinse i pugni.

“Voglio solo sapere come sta”.

“E cosa ti importa? Mamma l’ha bruciata, no? Non è tutto quello che devi sapere?”.

Fu volutamente sferzante e suo fratello esitò, il volto contratto in un’espressione indecifrabile. Timore? Rabbia? Irritazione? Sembrava realmente combattuto e gli fece pena.

“Come vuoi che stia, Reg” sospirò, incredulo “Pensi che questa sia la domanda giusta?”.

Gli occhi di suo fratello si allargarono, poi finirono nascosti dietro le palpebre, mentre lui abbassava la testa. Si allontanò senza parlare, senza salutare e Sirius lo lasciò andare.

Prima o poi Walburga avrebbe ridotto Regulus a un manichino inservibile.

Una moretta Corvonero gli passò davanti, squadrandolo da capo a piedi con un sorrisetto malizioso dipinto in faccia. Forse la conosceva già, biblicamente? Si concentrò con intensità sulle sue gambe che si sfioravano tra un passo e l’altro.

Non era un suo problema.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

NdA: si ritorna dopo l’estate con un nuovo numero di follie. La Sigaretta Mai Finita è una mia invenzione trash, così come il nome Affilapenna: ho finito il capitolo tre secondi fa, abbiate pietà di me. Spero davvero che, nonostante gli errori in cui di certo incapperete, il capitolo sia di vostro gradimento. Sono molto curiosa di sapere come avete visto gli avvenimenti che sono rappresentati: credete abbia calcato troppo la mano o che, al contrario, abbia trattato la cosa troppo superficialmente? Sono già in paranoia. Ah, da qui in poi cominceranno i primi salti temporali che percorreranno i momenti più importanti dal matrimonio di Narcissa a quello di Bella, passando per la fuga di Sirius fino a quello che sarà, purtroppo, l’epilogo. *scoppia a piangere e accarezza il suo Sirius sulla testolina*. Spero di riuscire ad aggiornare in modo ragionevole. Baci.

 

 

 

 

 

 

   
 
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