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Autore: Snaps    06/09/2014    0 recensioni
In questa storia ho provato a racchiudere l'esperienza di Sirius Black ad Azkaban, della sua disperazione e di come il suo tormento si sia trasformato in speranza grazie all'aiuto di un amico...
spero vi piaccia!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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La figura, più nera della notte, scivolò davanti alle sbarre che rinchiudevano Sirius Black ad Azkaban.
Uno. Pensò il prigioniero vedendo l’orlo del mantello scomparire dalla sua visuale.
In quel momento un freddo glaciale penetrò in lui, gli arrivò alle ossa, gelò la sua mente.
 
Eccolo osservare le fondamenta della villetta che sporgevano dal terreno come ossa rotte. Calcinacci, legno, ferro e vetro ingombravano il terreno.
Godric’s Hollow era fin troppo tranquilla quella notte.
Se il mondo avesse rispecchiato i sentimenti del giovane Sirius –la bellezza ancora risparmiata dagli artigli di Azkaban- il cielo avrebbe urlato.
Perché James e Lily erano morti.
Ancora e ancora e ancora.
Continuava a vedere quella notte, in cui aveva perso ogni cosa.
 
“e ancora e ancora e ancora” si sorprese a sussurrare la versione più vecchia di Sirius nella cella squallida. Il Dissennatore si era allontanato quel tanto che bastava a riportarlo alla realtà, strappandolo –finalmente!- alle sue esperienze peggiori.
Ma non poteva durare.
Eccolo che si rifaceva avanti, ammantato nel mantello scuro, risucchiando l’aria con un sibilo metallico.
Il Dissennatore passò davanti alla sua cella per la seconda volta quella sera.
Due. Contò infatti Sirius Black.
 
Regulus Black sorrideva da una foto scolorita.
Stava rivivendo la notte in cui aveva saputo la morte di suo fratello.
Piccolo idiota.
Non avrebbe mai dovuto unirsi a Voldemort.
Tentare di fare marcia indietro aveva firmato la sua condanna a morte.
E ora lui era morto.
Era perso.
Per sempre.
Sentiva Kreacher singhiozzare senza ritegno su un vecchio medaglione.
Non vi badò.
Tra le mani teneva ancora la cornice d’argento dentro alla quale il suo  fratellino –il prediletto dei suoi genitori- gli sorrideva, ignaro della sua sorte.
Scagliò la cornice via, lontano da lui.
Vide come al rallentatore il vetro infrangersi.
E la cella riapparire davanti ai suoi occhi.
 
Rabbrividiva nell’angolo più lontano dal Dissennatore, il freddo lo stava divorando e lui non voleva più vedere.
Si prese la testa tra le mani, dondolando avanti e indietro ma non chiuse gli occhi: continuò a sbirciare la porta della cella, quasi fosse ansioso di contare nuovamente il passaggio del Dissennatore ma allo stesso tempo terrorizzato da quello che gli avrebbe mostrato.
I secondi passavano… e il suo aguzzino non si faceva vedere.
Cos’era successo?
“Dai Felpato, tirati su”
Sirius sobbalzò al suono della voce familiare.
James Potter come l’aveva conosciuto da ragazzo gli sorrideva, la mano a scompigliarsi i capelli in quel suo gesto abituale.
Ma non poteva essere. No, non poteva essere.
James era morto ed era colpa sua.
E allora che cosa ci faceva nella sua cella?
La risposta affiorò immediata nella mente di Sirius.
Sono impazzito.
Non c’era altra spiegazione.
Quante volte l’aveva già visto succedere tra quelle mura?
Prigionieri che farfugliavano, la sanità mentale abbandonata in quella stessa prigione.
Eppure eccolo ancora lì, il giovane James a sorridergli come se da quando frequentavano Hogwarts non fosse passato nemmeno un giorno.
“Tu sei morto” sussurrò Sirius, la voce arrochita dallo scarso utilizzo che ne faceva.
“Wow, Felpato, sei ancora un grande osservatore!” lo canzonò lo spettro del suo migliore amico. “Certo che sono morto.”
“E allora come fai ad essere qui? Non puoi essere reale.”
“Non sono reale, infatti.”
“Quindi sei frutto della mia immaginazione?”
“Bè o è così o sono risorto. Tu che ne dici?”
“Che sono impazzito qui dentro.”
“Non escluderei la possibilità…” James lo guardava sorridendo. La sua figura emanava un bagliore simile a quello di un patronus.
“Perché sei qui?” Sirius chiese infine.
James o il suo spettro si avvicinò a Sirius e gli si accovacciò davanti, portando il suo viso com’era stato a diciassette anni all’altezza di quello prematuramente invecchiato dell’ amico .
“Tu non hai fatto niente di male, lo sai?” il tono di James era diventato dolce. “Non è stata colpa tua se io e Lily siamo morti. Sei stato un buon amico.”
“Ero il vostro Custode Segreto… avrei dovuto stare più attento. Avrei dovuto…”
“Hai fatto quello che dovevi fare meglio che hai potuto. Non provare a colpevolizzarti, non ci provare perché non è giusto.”
“James… tuo figlio...”
“Non lo vedrò mai crescere. Sii un buon padrino per lui, Felpato. Raccontagli chi erano i suoi genitori. Raccontagli che lo abbiamo tanto amato e che veglieremo sempre su di lui. Fallo al posto mio.”
James Potter si rialzò.
“Non andartene…” sussurrò Sirius.
James si limitò a sorridergli, i capelli perennemente scompigliati, l’aria da scavezzacollo che indugiava ancora nei suoi occhi, prima di scomparire.
La cella ritornò buia, come se nulla fosse avvenuto.
E già Sirius non era più sicuro di quale fosse la realtà.
Il Dissennatore riprese la sua ronda come se non fosse passato nemmeno un secondo dal pazzesco incontro di Sirius.
Tre. Pensò rassegnato.
Ma nessuna immagine venne a tormentarlo.
Vide la creatura passare davanti alla sua cella e poi scomparire dalla sua visuale.
Che fosse tutto vero?
No, era impossibile.
Semplicemente Sirius Black, quella gloriosa notte aveva realizzato di essere innocente.
E non solo. Era il padrino di Harry Potter, il figlio del suo migliore amico.
Che fosse stato o no frutto della sua immaginazione, Sirius doveva mantenere una promessa fatta al suo vecchio amico.
Quattro! Pensò con ferocia al passaggio del Dissennatore che su di lui non sortì alcun effetto.
   
 
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