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Autore: benzodiazepunk    06/09/2014    3 recensioni
13 racconti per 13 anni, 13 piccole immagini di momenti di vita quotidiana.
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«Dobbiamo decidere cosa fare del nostro futuro» affermo.
«Come possiamo saperlo? Siamo solo dei bambini» sbotta lui alzando gli occhi al cielo.
«Io voglio diventare famoso» decreto, senza nemmeno ascoltarlo. «E tu diventerai famoso insieme a me»
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«Questo è il nostro sogno. Non è sbagliato inseguire i propri sogni» affermo con un tono sicuro che mi fa quasi sobbalzare perché è quello che usa Bill quando la questione “è così punto e basta”.
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Mi devo operare, e questo già di per sé è una cosa orribile.
Mi devo operare alle corde vocali, e nessuno che non sia un cantante può davvero capire cosa significhi.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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24 Dicembre 1998 – Bill
 

Tom gioca ai videogiochi continuamente. Mi fermo sulla porta del salotto a braccia incrociate ed espressione truce; l’ho chiamato venti minuti fa per fargli vedere un video che ho fatto ma lui ancora non si è staccato da lì. Mi sento invidioso di una consolle.
«Ma allora, vuoi venire o no?»
«Non adesso ti ho dettoo!» cantilena lui, protendendosi ancora di più verso lo schermo della televisione.
«Perché no?»
«Perché sono occupato, oh, Bill! Che palle!»
«Era solo una cosa veloce ma a te non te ne frega niente! Allora và a quel paese Tom, vedi te se non ti rompo qualcuno di quei giochi schifosi qualche volta, quando non vedi!»
«Provaci e vedrai che ti succede! E smettila di rompermi, sennò ti picchio»
«E provaci se ne hai il coraggio»
Lui nemmeno mi risponde; mi ignora e basta e questo mi fa arrabbiare ancora di più. Mi avvicino al televisore senza sapere quasi nemmeno cosa sto facendo, ecco cosa significa essere accecati dalla rabbia; prendo la spina e la stacco.

Per un attimo restiamo bloccati dallo stupore entrambi, io a fissare la spina che stringo in mano, Tom la tv ora nera e spenta. Poi lui balza in piedi e mi si avventa addosso. Mi tira i capelli urlandomi quanto sono cretino, mi fa cadere per terra e io strillo perché ho sbattuto la spalla contro l’angolo del mobile e mi sta facendo male.
Nessuno arriva a vedere cosa sta succedendo come accadrebbe in un giorno qualsiasi perché per una volta la mamma ci ha lasciati a casa da soli per andare con Gordon a prendere le ultime cose di Natale. Lei ci separerebbe se ci fosse e ci aiuterebbe a trovare un compromesso senza picchiarci e dirci cattiverie. Scalcio per levarmi mio fratello di dosso ma lui è più bravo di me a fare a pugni di solito e perciò so già che non ci riuscirò mai; solo che mi sta facendo male davvero non riesco quasi più a respirare e lui non mi ascolta oppure non gli importa, così gli tiro un pugno nella pancia. Deve essere stato abbastanza forte perché Tom trattiene il fiato e la presa su di me si allenta un po’; si allontana quanto basta per permettermi di vedere che ha le lacrime agli occhi, chissà se per il male o per aver perso tutti i dati della sua partita.

Mi lancia uno sguardo pieno d’odio che mi fa rimanere di stucco, poi si alza e corre via e poco dopo sento la porta della sua camera che sbatte.
Tiro su col naso mentre la spalla pulsa lì dove ho sbattuto, e penso che Tom non mi ha mai guardato così, come se mi odiasse per davvero.
Mi alzo in piedi, riattacco la spina della televisione e metto a posto il videogame di mio fratello, poi salgo mestamente le scale e mi avvicino alla porta della sua stanza. Mi fermo indeciso sul da farsi. Vorrei entrare ma non ne ho il coraggio. Vorrei fare la pace come tutte le altre volte in cui abbiamo litigato ma non sono sicuro che lui voglia parlarmi.
Appoggio la mano sulla maniglia e mi blocco di nuovo. No, di sicuro lui non vuole parlarmi più, ora mi odia. Ritiro la mano senza sapere che fare, poi la appoggio di nuovo. Ma forse è meglio almeno bussare così invece che aprire batto sulla porta tre volte molto piano. All’inizio penso che Tom non abbia sentito così batto un’altra volta più forte ma la sua voce dall’interno mi blocca a metà.
«Vattene via, non voglio parlarti mai più! Ti odio!» grida, e io ritiro la mano come se il legno tutt’a un tratto scottasse.
Rimango lì, colpito dalle sue parole nel profondo. Non ho più voglia di fare video o qualsiasi altra cosa adesso. 
Mi siedo davanti alla porta perché non so che altro fare e anche se non vorrei mi metto a piangere.
Non so quante ore Tom se ne sta rinchiuso in camera, ma quando la porta dietro di me si muove, comunque, la mamma non è ancora tornata.
«Oh» esclama lui, stupito di trovarmi lì.
Mi volto a guardarlo dal basso in sù con gli occhi ancora un po’ rossi e un’espressione che spero essere pentita, almeno. Mio fratello mi guarda ancora un po’ arrabbiato, poi mi tende una mano e mi fa alzare.
«Facciamo la pace?» mi chiede.
«Ma se hai detto che mi odi»
«No che non ti odio, e se vuoi lo guardo il tuo video»
«Non importa, è un video stupido» abbasso lo sguardo.
«Ma allora la facciamo la pace o no?»
«L’hai detto, che mi odi»
«Lo so, ma non era vero. Siamo fratelli, non possiamo odiarci»
«Ma può anche succedere, chi può dirlo»
«No che non può. Non fra noi che dobbiamo diventare famosi insieme»
«Cantanti?» chiedo io con un barlume di ritrovato entusiasmo.
Tom si limita ad alzare le spalle e a sorridere.

  
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