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Autore: A lexie s    06/09/2014    7 recensioni
Chi non conosce il Titanic?! E' una delle mie grandi passioni, non solo in termini filmistici.
Non ci troviamo sulla Jolly Roger, bensì sull'imponente piroscafo affondato nel 1912, ma sempre di una nave si tratta.
Le vicende seguono, più o meno, quelle del film (dico più o meno perché ovviamente ci saranno delle novità).
Dal capitolo: Erano trascorsi settantotto anni ed Emma poteva rivederlo nella propria mente, ogni ricordo era nitido come se davvero si trovasse lì. La consistenza della ringhiera fredda e bagnata dalla rugiada, l’odore di vernice fresca e il rumore del mare. Il Titanic era considerato la nave dei sogni e lo era, lo era davvero.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titanic

2.Capitolo

Molti la consideravano una ragazza fortunata. Insomma, agli occhi della società aveva ed era tutto ciò che si poteva desiderare. Una ragazza di buona famiglia, con un’educazione egregia, un bel viso, un corpo sinuoso, degli hobby ed anche uno degli scapoli più ambiti della sua generazione.
Dentro però, Emma si sentiva come morire. Avrebbe volentieri scambiato tutto per poter essere semplicemente libera, una ragazza modesta, non ricca e non bellissima. Ma al mondo o si nasce semplici, o si nasce come lei.
Le responsabilità la opprimevano, ed il dover sposare un uomo che non amava era una cosa che non riusciva a sopportare.
Continuava a ripetersi che doveva farlo, che non poteva fare altrimenti per salvare la sua famiglia o quello che ne rimaneva.
Suo padre era morto qualche tempo prima, lasciando lei e la madre nel disastro più assoluto. I debiti sembravano sopraffarle, ed il loro buon nome non bastava di certo a tenere a bada i creditori. Poi, sua madre aveva trovato il modo per risalire. Le aveva propinato un uomo ricco, molto ricco e l’aveva convinta a frequentarlo.
Lui era così invaghito di lei, che la proposta di matrimonio era arrivata appena qualche mese dopo.
Emma aveva sempre creduto di essere libera di sposarsi per amore, con un uomo arguto, spiritoso, qualcuno che avesse un’anima viva come la sua.
Non credeva proprio che il matrimonio fosse solo un contratto stipulato tra due famiglie, non credeva proprio di essere data al miglior offerente come se fosse un oggetto messo all’asta.
Lei non era mai stata così, non era mai stata un quieto agnellino che faceva ciò che le veniva detto. Lei era sempre stata vispa e ribelle, aveva voglia di volare Emma, e adesso le avevano tagliato le ali.
Faceva male, così maledettamente male. Un dolore all’altezza del petto, più come una voragine che non poteva essere riempita.
Dopo aver discusso con Neal sul ponte, gli aveva intimato di lasciarla in pace e di non seguirla. Voleva stare un po’ da sola, voleva essere libera di pensare liberamente e non voleva qualcuno che le ordinasse il cibo, voleva ordinarselo da sola il suo maledetto pasto.
Non voleva persone che le rivolgessero frasi cortesi, ma false e sorrisi pieni di approvazione. Voleva qualcuno con cui litigare, qualcuno che le sbattesse in faccia la verità, qualcuno che non acconsentisse ad ogni minima cosa volesse. Voleva qualcuno che non conosceva ancora, e probabilmente non avrebbe nemmeno capito di volerlo, abituata com’era alla sua vita piatta e monotona.
Si era recata nelle sue stanze ed aveva trascorso il pomeriggio a contemplare i suoi quadri e a leggere. Più volte Ruby si era avvicinata per chiederle se desiderasse qualcosa, ma lei aveva continuato a negare solamente con il capo senza proferire parola.
Era quasi sul punto di addormentarsi quando sua madre entrò come una furia nella camera da letto.
“Emma, cos’è questa storia dello stare rinchiusa in camera?” La sua voce contrariata le giunse alle orecchie, svegliandola dal torpore in cui si trovava.
“Anche se uscissi da qui, non potrei comunque fare nulla” rispose la ragazza svogliatamente.
“Puoi fare molte cose: passeggiare con me, parlare con il comandante e avresti potuto sicuramente prendere il tè con noi. Neal pensava che ti saresti fatta viva, nonostante il vostro piccolo malinteso.” Quella voce melensa le faceva saltare i nervi, avrebbe voluto alzarsi e gridargli contro che quelle cose non le appartenevano, non le erano gradite, ma poi sua madre avrebbe ricominciato a dirle quanto fosse ingrata, che era giusto sacrificarsi per la famiglia e l’avrebbe fatta sentire in colpa come al solito.
Perciò decise semplicemente di tacere, non avrebbe detto nulla, si sarebbe tenuta tutto dentro. Tutti quei sentimenti che non stavano facendo altro che soffocarla lentamente, ogni giorno.
“Potresti provare a goderti questo viaggio, no?” Le chiese avvicinandosi, si sedette sul letto vicino a lei e le accarezzò i capelli dolcemente. Emma annuì poco convinta, ma si sforzò di sorridere.
“Vieni prepariamoci per la cena” stese la mano per invitarla, ed Emma si lasciò trascinare nella stanza accanto dove Ruby l’aiutò a prepararsi.

 
Killian aveva trascorso il resto del pomeriggio in compagnia di Filippo e Robin. Avevano fatto un giro della nave, era passato dalla lavanderia come si era ripromesso ed infine si era accomodato per qualche ora sulla solita panchina, ma non era riuscito a disegnare nulla, se non due occhi verdi che aveva fissato nella sua mente in maniera così vivida che gli sembrava di poterli rivedere davvero.
Era consapevole che quella ragazza era fuori dalla sua portata, non perché fosse altezzosa o altro, semplicemente perché era un dato di fatto che venissero da mondi differenti.
Non capiva nemmeno perché si stava perdendo in quei pensieri, del resto non c’era stato nulla tra loro, soltanto uno sguardo.
Solo che lei era così perfetta, sembrava una dea, non riusciva a smettere di pensare ai suoi boccoli biondi e alla sua pelle bianca, il corpo sinuoso sotto a quell’ammasso di stoffa e gli occhi verdissimi. Erano senza dubbio la cosa che lo incantava maggiormente, nonostante apprezzasse molto anche tutto il resto.
Cosa c’era di male a volerli vedere più da vicino?
Continuava a disegnarli in ogni parte di quel foglio bianco, ma c’era sempre qualcosa che non andava, una luce che non riusciva bene a trasmettere attraverso i disegni. Non gli era mai capitato, solitamente riusciva a cogliere tutte le sfumature di un viso e persino di uno sguardo, ma stavolta era diverso.
Nessuno dei suoi disegni rendeva giustizia a quelle gemme.
Rassegnato posò i carboncini, si mise il blocco sotto il braccio e si avviò in camera per posarlo e per andare a cenare.
Mangiò avidamente tutte le portate, era veramente molto affamato quella sera, così concluse velocemente e fece per andarsene.
“Amico vieni con noi? Hanno organizzato una serata di ballo.” Lo informò Filippo, bloccandolo per un braccio.
"Fumo qualche sigaretta prima, vi raggiungo in serata” rispose, recandosi definitivamente fuori.
Si stese in una panchina e cominciò a contemplare le stelle. Non vi era nemmeno una nuvola in cielo, questo permetteva di vederle con maggiore facilità, si ricordava persino qualche costellazione. Suo padre era un appassionato di astrologia e aveva sempre cercato di trasmettergli quella sua passione, tanto da renderlo un amante a sua volta.
Il ponte era quasi deserto, sicuramente tutti i passeggeri si trovavano ancora a cena, del resto lui aveva finito così rapidamente, lasciando gli altri ancora seduti ai propri tavoli.
Non ci sarebbe stata possibilità di rivederla quella sera, sospirò chiudendo gli occhi e lasciandosi andare al sonno.
 
 
Poche ore più tardi, Emma era seduta al tavolo con la solita compagnia di persone. Si erano creati dei piccoli gruppi che discutevano di questioni diverse, le dame parlavano per lo più di argomenti frivoli come un nuovo tessuto, il colore che andava di moda quella primavera o l’organizzazione di alcuni balli, mentre i signori parlottavano delle ultime partite di polo a cui avevano assistito.
Emma stava in silenzio mangiando piano il cibo che aveva davanti, tutti ridevano divertiti e nessuno sembrava accorgersi del suo stato d’animo.
Non c’era nessuno a cui importasse che lei stesse male, nessuno che almeno riuscisse ad accorgersene e a capirla.
Le sensazioni di quel pomeriggio tornarono prepotentemente e la voragine si fece più larga che mai al centro del suo petto.
Si alzò con la scusa di doversi recare in bagno ed uscì lentamente fuori, il suo passo lento si trasformò in una corsa quando giunse nei corridoi. Urtò diverse persone e per la prima volta non si preoccupò nemmeno di scusarsi, ma continuò a correre disperatamente. Percorse tutto il ponte principale e scese le scalette per giungere alle ringhiere che le avrebbero permesso di scorgere il mare. I capelli le si sciolsero durante la corsa, rivelando dei magnifici boccoli biondi ancora più dorati a contrasto con la luna.
Si avvicinò piano alla ringhiera, salì e guardò di sotto. Il mare era buio come la notte, faceva paura e fu sul punto di tirarsi indietro, ma poi deglutì e si arrampicò meglio sporgendosi dalla parte opposta.
“Non lo faccia.” Disse una voce alle sue spalle. Si voltò lentamente e vide un ragazzo, un bel ragazzo. Alto, capelli neri e gli occhi dello stesso colore del mare, un mare calmo però e azzurrissimo non come quello della notte. Era lo stesso ragazzo che aveva scorto dopo pranzo, prima della discussione con Neal. Lo aveva guardato per qualche minuto e lui aveva fatto lo stesso, poi però era andata via.
“Stia indietro” gli intimò, voltandosi nuovamente a guardare il mare sotto di lei. “Non faccia un altro passo” aggiunse poi.
“Andiamo, tesoro. Mi dia una mano, così posso aiutarla a tornare a bordo” si avvicinò di qualche passo, stendendo il braccio e porgendogli la mano.
Tesoro? Doveva essere un ragazzo davvero scortese, come si permetteva una simile confidenza.
“No, rimanga lì dov’è. Mi butto.” La sorpresa per le parole di lui venne sostituita dalla sua voce tremante per la paura.
Il ragazzo non disse nulla, prese la sigaretta che teneva stretta tra le labbra e la gettò in mare. Poi mise le mani in tasca e guardò l’orizzonte per qualche secondo.
“Non lo farà” sentenziò convinto.
Un’altra persona che voleva imporsi su di lei, un’altra persona che le diceva cosa poteva o non poteva fare. Come se fosse una novità nella sua vita.
“Non creda di venirmi a dire cosa farò o cosa non farò. Lei non mi conosce.”
“Mi piacerebbe farlo, però” le sorrise in maniera ammiccante. “ Ad ogni modo, se avesse voluto, lo avrebbe già fatto.”
Emma si lasciò catturare per un attimo da quel sorriso, da quello sguardo convinto e sexy? Si, sexy era la parola giusta.
Lui, dal canto suo, era completamente rapito da lei. Nonostante la situazione piuttosto ambigua, il poter vedere da vicino quei prati verdi era magnifico, non aveva desiderato altro da quando l’aveva vista qualche ora prima.
“Lei mi sta distraendo” ammise Emma confusa, facendo vagare lo sguardo tra il mare chiaro dei suoi occhi e quello scuro della notte. “Vada via.”
“Non posso” disse lui cominciando a spogliarsi. Lei lo guardò stranita, non riusciva a capire che intenzioni avesse. Voleva forse buttarsi in mare per lei? Una ragazza che conosceva da appena due minuti. “Ci sono dentro ormai, se lei si butta, dovrò buttarmi in acqua per salvarla.” Arrivò la sua conferma.
“Non dica sciocchezze, morirebbe.” Lo avrebbe fatto davvero, si sarebbe davvero buttato per lei? Doveva essere un pazzo.
“So nuotare benissimo, amore.”
Tesoro? Amore? Ma gli sembrava forse quello il momento di flirtare?!
“La smetta.”
“Di fare cosa esattamente?” Chiese avvicinandosi pericolosamente, stava invadendo il suo spazio.
“Di trattarmi come un fragile fiorellino” concluse lei, fissandolo e sfidandolo con aria sicura. Lei non era un fiorellino, non lo era, maledizione! E nessuno sembrava capirlo.
“Non lo è?” Domando l’altro con aria innocente, abbassandosi e sfilandosi le scarpe agilmente.
“No, so cosa voglio!”
“Morire?” Lei poté leggere tutto il sarcasmo sul suo viso, il sopracciglio di lui si alzò conferendogli un’espressione ironica. Quel ragazzo aveva ragione però, non era buttandosi che avrebbe risolto le cose, sarebbe servito solo a dimostrargli che non era abbastanza forte da combattere, ma lei lo era!
“Basterebbe l’impatto con l’acqua ad ucciderla” eluse la domanda che gli aveva posto e la sostituì con una semplice constatazione, forse serviva anche a provocarlo un po’.
“Bene non mi farebbe, non dico certo il contrario” deglutì lentamente. Dei ricordi gli vennero in mente, dei ricordi legati al peschereccio e all’incidente che aveva avuto da ragazzino, “mi preoccupa molto di più l’acqua fredda” ammise.
“Quanto fredda?” Emma si spaventò, non aveva considerato l’eventualità che l’acqua fredda potesse atrofizzarle il corpo facendola soffrire lentamente, pensava più che altro ad una cosa veloce come tirare via un cerotto, non ad una cosa che le portasse altro dolore.
“Gelida, forse un po’ di gradi sotto lo zero. Amore, le assicuro che non è piacevole, mi dia ascolto” continuò a porgerle la mano.
“L’ha già provato?” Lesse qualcosa negli occhi di lui, un misto di paura e rimorso. Lo aveva già provato ne era sicura, non importava cos’avrebbe risposto. Vide il suo sguardo perdersi, vagare in quello che era stato un passato difficile. Lui era combattuto, non sapeva se dirle la verità o negare.
“Si, ma non sono cose di cui amo parlare” ammise alla fine.
“E’ stato doloroso?” Domandò curiosa.
“Lo è ancora adesso” rispose avvicinandosi e appoggiando le mani alla ringhiera, “ho perso mia madre per questo”.
Il dolore nei suoi occhi era molto più grande di quello che riconobbe in se stessa, eppure lui lo affrontava, non stava cercando di uccidersi. Non seppe che dire, quindi preferì tacere lasciandogli il tempo che gli serviva per riprendersi.
“Quindi non penso mi biasimerà se spero che mi risparmi questa incombenza” disse spezzando il silenzio.
“Lei è pazzo” fu tutto quello che riuscì a rispondere e non seppe nemmeno spiegarsi perché lo avesse detto. Forse era stato troppo lo sgomento nel credere che lui nonostante avesse perso sua madre in mare, si sarebbe comunque buttato per lei.
“Con tutto il rispetto che merita signorina, non sono io quello appeso alla grata di una nave. Per favore allunghi la mano, non vorrà mica commettere una simile sciocchezza.” Le afferrò il braccio dolcemente e lei si lasciò guidare dalla sua mano. Si voltò lentamente e furono occhi negli occhi. Il verde nel blu. Il prato nel mare.
“Mi chiamo Killian Jones” si presentò, sospirando visibilmente, il suo viso si rilassò per il sollievo di averla lì tra le sue mani.
“Emma Swan” rispose lei. Poi alzò il piede per risalire a bordo, ma prese con la punta la stoffa del vestito e scivolò. Un urlò le sfuggi dalle labbra, un attimo prima voleva buttarsi ed ora non voleva morire.
La mano di Killian afferrò la sua con forza.
“L’ho afferrata” la sua voce si perse nel vento serale, prese un respiro profondo e cominciò a tirarla su. Stava quasi per riuscirci, quando qualcosa andò storto e lei gridò nuovamente attirando l’attenzione di qualche membro dell’equipaggio che parlottava dall’altra parte.
“Mi aiuti, per favore” lo implorò gridando, non aveva pensato che sarebbe successo tutto questo qualche minuto prima, quando era determinata a volerla fare finita.
“Mi ascolti, io non la lascerò andare.” Promise lui, la sincerità dei suoi occhi era completamente disarmante e lei si fidò. Lui fece ancora leva sulle sue braccia e la tirò un poco, poi riuscì ad afferrarla per la vita, se la tirò addosso con tutta la forza che aveva e caddero insieme sulle assi in legno del pontile.
“Avrei voluto farlo diversamente” le sussurrò all’orecchio. Lei scoppiò a ridere e lui fece altrettanto. Ed era così strano che stessero ridendo di quel momento di panico, quasi surreale.
I soccorsi arrivarono qualche secondo dopo, trovarono lui ancora su di lei e fraintesero tutto. Gli intimarono di allontanarsi, lui si alzò ed arretrò di qualche passo mettendo le mani nelle tasche dei pantaloni.
Lei non riuscì a dire nulla, spaventata com’era.
“Chiamate il commissario di bordo!” Ordinò allora un uomo, rivolgendosi a dei ragazzi che sicuramente ricoprivano un rango inferiore al suo.
“No aspetti” Emma cercò d’intervenire, nonostante il respiro affannoso.
“Non si preoccupi signorina, adesso è al sicuro.” Concluse quello fraintendendo.
L’ufficiale arrivò qualche minuto dopo, insieme a Neal Cassidy. L’uomo era livido in viso e si scagliò contro Killian, lo prese per il colletto della camicia, “cosa ti fa pensare di poter mettere le mani addosso alla mia fidanzata” gridò.
“Neal è stato un incidente” disse Emma alzandosi e stringendosi più forte al pesante plaid in lana che le avevano dato per riscaldarsi.
“Un incidente?” Chiese scettico il fidanzato.
Emma gli spiegò di essersi sporta troppo per vedere le eliche, non poteva certo dirgli che voleva uccidersi per non rivedere più il suo viso altezzoso, concluse dicendo che il signor Jones l’aveva salvata e quindi nessun errore era stato commesso. Neal continuava a guardare entrambi con aria scettica, ma abbassò il capo mettendo fine alla discussione. Il commissario di bordo si complimentò con Killian per l’atto eroico e tornò al suo brandy.
“Forse qualcosa per il ragazzo?” suggerì però, prima di entrare.
“Jefferson, credo che un biglietto da venti basti.”
“Così poco vale la vita della donna che ami?” Domando Emma disgustata.
“Il mio fiorellino è scontento” proruppe Neal, Killian incrociò lo sguardo di Emma giusto in quel momento ed entrambi ricordarono la discussione avvenuta poco prima.
Si sentì improvvisamente triste per lei.
“Signor Jones, le andrebbe di unirsi a cena domani sera, così potrà deliziarci con la storia del suo eroico salvataggio?!” La sua aria di superiorità era così irritante che Killian lo avrebbe volentieri preso a pugni, ma non si abbassò al suo livello.
“Sarò dei vostri” rispose annuendo e rimettendosi le mani in tasca.
Mentre gli altri si avviavano dentro, Emma gli lanciò un’ultima occhiata e lui ricambio con un sorriso, non uno di quelli ammiccanti che le aveva riservato poco prima, ma un sorriso sincero e rassicurante.
“Hey amico, posso spillarti una sigaretta?” Jefferson si avvicinò e gli porse il pacchetto. Killian estrasse due sigarette, una la mise dietro l’orecchio e l’altra in bocca.
“E’ strano che la signorina sia scivolata così improvvisamente e che lei abbia avuto il tempo di togliersi giacca e scarpe, le consiglio di allacciarle. Potrebbe cadere e farsi male, seriamente.”
Il tono di minaccia che sentì nella sua voce non era sicuramente frutto della sua immaginazione.
Annuì, ma non le riallacciò. Lo guardò un’ultima volta con un sorriso beffardo e si avviò nella sua stanza.
Percorse rapidamente il pontile, si avviò verso gli interni per scendere al piano sottostante.
“Killian” la testa di Filippo sporse dalla porta del salone, “vieni, ti aspettavamo” lo invitò a raggiungerli scuotendo le mani per incitarlo.
Il ragazzo si avvicinò velocemente, prese il boccale di birra che Robin gli porse e cominciò a divertirsi con i suoi amici. Doveva scrollarsi di dosso la sensazione di non essere abbastanza per un attimo, anche se quello era un dato di fatto, cominciò a ballare e a divertirsi, ma gli occhi di Emma non lo lasciarono mai completamente.
 
 
Nel frattempo, Emma nella sua stanza continuava a pettinarsi i capelli. Aveva liquidato Ruby quella sera, poteva fare benissimo da sola ed aveva bisogno di pensare. Aprì il carillon che le aveva regalato suo padre da piccola, uno dei bei ricordi della sua infanzia, una dolce melodia invase tutta la stanza. Si fissò nello specchio cercando di imprimersi in mente la sua immagine attuale ed in quel momento si ripromise che non sarebbe stata più debole e che avrebbe affrontato tutti i problemi a testa alta cercando di essere coraggiosa.
Si lasciò andare spesso al pensiero di due occhi azzurri, cercava di reprimerli e ci ricascava nuovamente come una giostra dalla quale non si può scendere. L’avevano guardata così spaventati e complici nello stesso tempo, come se condividessero un dolore simile. Avevano perso entrambi uno dei genitori, la differenza stava nel fatto che lui probabilmente si sentiva responsabile e questo gli si leggeva in faccia, ciò nonostante rimaneva fiero e coraggioso ed era così diverso da Neal, così poco costruito.
Aveva dei modi divertenti, ma era anche affascinante, lo era tanto. Sembrava avere anche un tic al sopracciglio,  lo alzava senza rendersene conto ed era buffo ed attraente.
Non si era fatto problemi a chiamarla amore o tesoro, quasi con insolenza. Doveva ammettere che si prendeva troppa confidenza, però era sicuro e caparbio. Soprattutto l’aveva salvata.
Doveva smetterla di pensarci, era assurdo, era sbagliato e lo conosceva appena. Non doveva lasciarsi andare a quei pensieri. Era misterioso ed intrigante.
Basta Emma, si maledì per esserci ricascata.
Sarai sicuramente solo un bel faccino Killian Jones si ripeté e cercò seriamente anche di convincersi che ciò fosse vero.
“Posso entrare” la voce di Neal interruppe i suoi pensieri.
Lei annuì semplicemente, posando la spazzola sul comodino.
“So che sei malinconica, in questi giorni, non so perché e so che non vuoi dirmelo.” Disse entrando e avvicinandosi, chiuse il carillon e la musica cessò di spandersi nell’aria. Pensava che fosse solo un problema passeggero? Lei era sempre malinconica, era la sua vita che la rendeva così ed anche quello stupidissimo galà di fidanzamento che si sarebbe tenuto qualche settimana dopo. Quello avrebbe messo fine alla sua libertà, sarebbe stata intrappolata per sempre in un matrimonio che non voleva, con un uomo che voleva ancor meno.
Era ovvio che fosse malinconica, si stava quasi uccidendo tanta grande era la malinconia che provava e lui entrava e ne parlava come se fosse una fase che avrebbero superato a breve.
Non poteva nemmeno tirarsi indietro, sua mamma l’avrebbe uccisa con le sue mani probabilmente, non avrebbe mai accettato di vedere il loro buon nome macchiato dai debiti. Era ancora peggio il fatto che lei non volesse deluderla, nonostante fosse asfissiante, autoritaria e talvolta delirante, lei non voleva che soffrisse. Era pur sempre sua madre e non era un mostro, voleva quello che credeva fosse il meglio per lei, anche se non lo era, anche se si sbagliava.
Era sua madre e le voleva bene.
“Avevo intenzione di conservarlo per dartelo al galà di fidanzamento, ma ho deciso che voglio dartelo adesso.” Aprì lentamente la scatola che teneva in mano e le mostrò il suo contenuto.
Una collana imponente fece capolino, emanando un bagliore che illuminò quasi la stanza. La catenina era fatta di piccoli diamantini ed il ciondolo era grande ed imponente, il colore era un blu intenso ed intagliata al centro una figura inconfondibile. Un cigno.
“Tu sei il mio cigno, Emma” le sussurrò avvicinandosi per baciarle una guancia, lei non si sottrasse ma non cercò in alcun modo di creare un contatto maggiore. Accarezzò con la mano quel ciondolo, non poteva negare che era bellissimo, ma non le serviva una collana e non bastava di certo a renderla felice. Non era una di quelle donne dedite ai vestiti e ai gioielli.
“Sono diamanti” sottolineò l’uomo, prendendo la collana e poggiandola al suo collo per allacciargliela. Accarezzò piano il ciondolo con le dita  “Cinquantasei carati per essere esatti. Lo indossò Luigi XVI e lo chiamarono Le lac des cygnes.” Concluse guardandola, i suoi occhi marroni si fecero più caldi ed intensi in quel frangente.
“Il lago dei cigni.” Ripeté lei lentamente.
Lui annuì ed un sorriso si formò sul suo volto. “E’ prodigioso” constatò Emma, accarezzandolo a sua volta. Era anche parecchio pesante al dire il vero.
“E’ da reali, mia cara.” Concluse Cassidy. “Sai, – cominciò inginocchiandosi, - non c’è niente che io non possa darti, niente che ti negherei, se tu non negassi me. Aprimi il tuo cuore Emma!”
La ragazza non disse nulla, era colpita dal suo gesto, ma non poteva semplicemente comprare il suo cuore con un gioiello.
Abbassò lo sguardo e lui decise che era il momento di lasciarla da sola.
Lei si tolse la collana e la ripose nel cofanetto in pelle che la custodiva, la guardò un’ultima volta e la mise nella cassaforte.
Poi scostò le coperte e finalmente le sue spalle trovarono la morbida consistenza del materasso. Non pensava di essere così stanca, ma ovviamente l’esperienza ravvicinata con la morte doveva averla spossata parecchio, così come gli occhi azzurri del tenebroso Killian Jones.
Si addormentò con quella immagine impressa a fuoco nella mente.
 
 
“Ragazzi, io sono stanco, me ne vado a letto.” Disse Killian, posando il resto della sua birra sul tavolo e dirigendosi verso la porta.
“E’ ancora presto” fecero gli altri all’unisono.
“Infatti, voi rimanete e divertitevi. Filippo ho visto quella biondina che ti fa gli occhi dolci” lo provocò scherzosamente dandogli una pacca sulla spalla.
Aveva passato una bella serata, aveva conosciuto nuove persone, aveva bevuto e ballato. Aveva giocato a poker e aveva vinto la sfida contro Robin, non fece nulla per rinfacciarglielo, ma era segretamente orgoglioso di se stesso.
Filippo aveva incontrato una biondina, Aurora, ed era rimasto a ballare con lei. Sembrava che fosse anche lei italiana, quindi avevano sicuramente degli argomenti comuni e non solo!
Robin invece era rimasto a bere birra e giocare a carte. Quel ragazzo si portava una tristezza dietro che Killian non riusciva a spiegarsi, ma ognuno aveva la sua dose di drammi nella vita, e lo conosceva da solo un giorno per impicciarsi.
Percorse il corridoio ed arrivò velocemente nella sua stanza. Si lavò il viso e lo asciugò accuratamente, poi si tolse i vestiti e s’infilò sotto le coperte.
Era stata una giornata ricca di emozioni, ed anche impegnativa in un certo senso. Ora che si rilassava poteva sentire chiaramente i muscoli distendersi e la spalla che gli doleva, sicuramente per lo sforzo.
Cosa poteva spingere una ragazza come lei, che all’apparenza aveva tutto, a compiere un gesto del genere?
All’apparenza amico, ma l’apparenza inganna si rispose subito dopo.
Era stato bello stringerla per un attimo, ed era stato bello vedere le sue espressioni dapprima scandalizzate dalla sua insolenza distendersi fino a trasformarsi in una risata, quando le aveva detto che gli sarebbe piaciuto farlo diversamente.
Quando abbandonava la sua espressione e sorrideva era ancora più bella.
Il suo fidanzato però era una vera testa di cazzo. Una testa di cazzo ricca però, Killian.
Maledetta coscienza.
Aveva rimediato un invito, ed anche se non era entusiasta di cenare con degli altezzosi ricconi, almeno poteva rivederla ancora. Lei era diversa.
Non pareva altezzosa, solo spaventata e triste, tanto triste.
Lui avrebbe fatto ritornare il sorriso sul suo bel visino. Emma Swan, il suo nome continuava a riecheggiare nella sua mente, si abbandonò al sonno continuando a pensarla.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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