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Autore: tableforone    06/09/2014    9 recensioni
È solo la mia assurda fissazione di oppormi a qualsiasi cosa che non pensavo potesse piacermi.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Awareness
 

Gli occhi sono chiusi e il respiro, mi accorgo, non più pesante.

Tutto quello che sento davvero sono quelle dita attente e scrupolose che mi percorrono la schiena, il modo in cui ne studiano ogni centimetro mi farebbe quasi sentire sotto esame se non fosse che, da qualche parte, una strana sensazione copre le altre: il mio corpo accetta quella carezze in modo estremamente semplice.

E non dovrebbe. Dovrei sentirmi inadatta e incapace di sostenerle e questo mi porta a pensare, di nuovo, che questa situazione non sia normale. Che non doveva finire così, che noi non dovevamo finire così.

Come due corpi nudi e impreparati.

Perché l’adrenalina è lentamente scemata e ora mi ritrovo con questi futili tentativi di spiegarmi perché non mi sia sentita inadatta.

La sua mano si sposta lungo il collo, gioca con i miei capelli e perché non me ne sono andata? Avrei dovuto fermare quei baci quando ancora potevo controllare i miei movimenti perché sì, in effetti, poi non ho riconosciuto il mio modo di amare quel corpo.

Questa non sono io.

Io non amo così, io non-

“Parla con me, Jane”.

La sua voce riverbera contro il collo, le dita che ancora si divertono con i miei ricci, ma non riesco a distinguere il tono della sua voce.

Copro il viso con una mano, vorrei urlare, ma l’incapacità di gestire da sola le mie emozioni mi spinge controvoglia a rispondere.

Muovo leggermente le spalle e, appena la sento spostarsi dalla mia schiena, mi siedo, portandomi dietro il lenzuolo per coprirmi.

“Io credo che tutto questo sia…”, tento di continuare, ma mi accorgo che qualsiasi parola suonerebbe imprecisa. Le mie mani tornano a coprirmi il viso, non riesco a evitarlo, il materasso si muove sotto quei suoi movimenti per mettersi seduta, le dita che tornano, ancora una volta, a viziare la mia schiena.

“Vuoi dire sbagliato?”, sussurra. Annuisco appena, ma poi mi fermo a pensarci, mi correggo e sono costretta a guardarla, non posso permettermi di nascondermi a lei.

“Non sbagliato, di per sé. È solo… sbagliato per me”, inspiro tentando di ignorare quella sensazione che mi fa notare quanto le sue mani e le sue gambe vicine a me sembrino tutto tranne che sbagliate.

“È per la religione?”.

“Cosa? No. Non c’aveva nemmeno pensato… non mi importa della religione, o della gente. Il problema sono io. Maura, non so come tu faccia a essere così tranquilla, ma io ho sempre amato gli uomini, e sì, forse, forse li ho amati male, può darsi, ma… non è normale che mi senta attratta da una donna. Questa non sono io”.

“Pensi che se avessi trovato qualcuno che ti faccia sentire come ti faccio sentire io e fosse stato un uomo ti saresti fatta questi problemi?”, chiede, calma e attenta anche nella voce. Si muove appena, avvicinandosi a me e, forse non è voluto, ma ora sento il suo seno contro il braccio.

“Pensi che sia la stessa cosa? Pensi che non cambi niente? Forse non per te che sei sempre così aperta verso tutto e tutti, ma io non riesco a immaginarmi con una donna. Nemmeno adesso, nemmeno dopo esserci stata, di fatto, con una donna”. Mi odio, per come mi stanno uscendo queste parole, ma non riesco ad addolcirle, e lei cambia strategia, mi accarezza il viso e lo muove a suo piacimento, fin quando sono costretta a tornare a guardarla negli occhi.

È strano, il modo in cui mi tocca. Le dita non sono ruvide come quelle di Casey, non sfregano contro la pelle, non stringono troppo contro il collo. Avrei dovuto saperlo che ha cura di tutto ciò che tocca, ma, Dio, non ricordavo così tanto.

“Jane, non sei attratta da una donna. E non sei stata con una. Sei semplicemente stata a letto con una persona. E ti sei innamorata di una persona. Una persona che è una donna, e allora? Non eri attratta da lei in quanto tale, lo eri da come ti faccio sentire. Lo so, scusa, ho appena reso palese che qui stiamo parlando di me, ma non credo ti sorprenderà… in fondo, ti sono di fianco, sul letto, così”.

Vorrei, ma non riesco a evitarlo e i miei occhi scendono dove il lenzuolo non la copre più. Alla fine, ormai sono già lì e non li costringo nemmeno a spostarsi.

La osservo, attenta, e mi rendo conto che non credo di poter più sopportare quelle mani sbadate e pesanti dopo aver provato le sue. E forse è avventato, ma mi allungo a toccarla e mi chiedo quanto sbagliata possa essere questa sensazione che mi sta facendo sentire bene.

I nervi riconoscono la pelle di prima e ora ricordo perché non mi sono fermata.

Torno a guardarla e spero di non dovermi giustificare, se la bacio senza chiederglielo e se le mani si infossano un po’ troppo forti lungo le cosce.

E di non doverlo fare nemmeno quando mi allontano altrettanto velocemente, ma ho sentito il suo sorriso sulle labbra e avrò altre occasioni per baciarlo via.

Mi spingo con le mani e scivolo lungo il ventre ora che è di nuovo stesa. Il bacio che le lascio sullo sterno è ingenuo, nonostante tutto, appoggio la testa sul petto e, di nuovo, il suo corpo mi accoglie nel modo più delicato possibile.

Il braccio che mi circonda le spalle non è fastidioso e non mi pesa sulla schiena, la sento sorridere quando lascio che la mia mano scenda lungo il suo fianco.

Ma per poco, pochissimo, perché si irrigidisce quando le unghie raggiungono l’osso del bacino e il modo in cui si inarca sotto di me mi fa solo venire voglia di continuare.

Alzo gli occhi, aspettandomi di trovare i suoi chiusi, ma li trovo lì a fissarmi e aspettano, non so perché ma mi rendo conto non mi sento in soggezione quando a guardarmi è lei. Nemmeno se ho quasi la mano fra le sue gambe.

“Mi stai analizzando?”, sorrido, abbassando appena il viso, e vorrebbe essere giocosa come frase, ma mi accorgo che i capelli mi hanno appena coperto la faccia e suona tanto come se fossi terrorizzata. La sento liberarmi il collo e la guancia da alcune ciocche, sembra quasi non aver nemmeno notato il mio tono di voce, come se desse più importanza alla frase in sé.

Ammirando, Jane”.

Il modo in cui il mio nome le esce dalla bocca mi fa ritirare la mano, sposto le carezze più in alto, perché non sono sicura di poter continuare. Le parole e il sesso non sono mai state particolarmente piacevoli insieme, come dovrei risponderle adesso? Come posso permettermi di toccarla se quell’ammirando suona così platonico, così ingenuo, così… da lei.

Stona, il suo modo così innocente di fare, con quel mio intento spinto.

“So che è strano crederti etero e tutto il resto e poi ritrovarsi a pensare a me, ma non cambiarti e non giustificarti. Se vuoi sfiorarmi, fallo, e, se non vuoi, non importa, ci sarà tempo. Ma, se lo desideri, allora non evitartelo solo perché pensi sia sbagliato o inopportuno”.

Le mie dita continuano a muoversi, lungo le sue curve, e la semplicità con cui si lascia toccare mi toglie il fiato.

“Tu sembri così… pronta, a tutto, mentre io non so cosa fare, non so se devo comportarmi in modo diverso, non so nemmeno se posso baciarti, e come dovrei presentarti adesso? Non so che fare, Maura, ma poi ci penso e mi accorgo che, stupidamente, da qualche parte, so di essermi già abituata a tutto questo, e di non essere più disposta a rinunciarvi. È solo la mia assurda fissazione di oppormi a qualsiasi cosa che non pensavo potesse piacermi. Dovrei cambiare l’opinione che ho di me, ed è faticoso – cercarsi – e non mi piace. Ma ormai è già lì e mi rendo conto che vietarmelo non migliorerà la situazione. Ma tu non ti senti… delusa? Da te? Dal fatto che nemmeno tu puoi dire ti conoscerti? Non hai la tentazione di opporre resistenza?”.

Ecco, forse, è una questione di pigrizia.

Forse fare finta di niente per tutto questo tempo è stato, semplicemente, molto più comodo.

E tentare di capire quanto questo ‘tempo’ sia sarebbe inutile, tanto ormai siamo al punto di rottura e non possiamo che uscire da questa apatia.

La sento afferrarmi la mano, muoverla a suo piacimento, finché il pollice non preme all’altezza del suo polso. Lascia la presa e cerco i suoi occhi, perché non riesco a capire. Aumento la pressione, e sorrido, perché ora lo sento.

“Il battito accelerato, sintomo di eccitazione”, sussurro, ricordando le sue parole. E lei è pragmatica, capace di ridurre un sentimento a un semplice aumento di endorfine e allora cosa le dico? Che possiamo ignorare un bisogno fisico con della buona volontà? Che sono disposta a farlo?

Non lo sono.

Lascio la presa sul polso e, prima che riesca ad allontanarmi troppo, mi afferra il braccio a controllare il mio. Sorride, in silenzio. E io mi lascio ricadere su di lei, le bacio la bocca girandola appena verso  di me, il suono delle lenzuola che sfregano tra di loro e lungo le nostre gambe.

Ora, tra le sue cose e tra le sue mani, mi rendo conto che per un periodo di tempo piuttosto lungo sono stata qualcosa che non avevo avuto intenzione né conoscenza di essere.

Ma il fatto di non saperlo non mi ha impedito di esserlo.
  
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