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Autore: Beneath_Your_Beautiful_    06/09/2014    1 recensioni
Ricordo ancora quando Niall le si avvicinò, sorridendo e piangendo contemporaneamente, la strinse a sé e poi la baciò candidamente.
Era il loro primo bacio, e anche se i primi baci non si dimenticano mai, quello non lo avrebbe dimenticato nessun presente in quella stanza, perché era finalmente quel punto di unione impossibile fra cielo e mare. L’ultimo e il primo bacio.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Last First Kiss
Baby tell me what,
I’m afraid you’ll run away if I tell you
what I wanted to tell you.
Maybe I just gotta wait,
maybe this is a mistake.
I’m a fool yeah, baby I’m just a fool yeah.
Girl what would you do?
Would you wanna stay if I would say?
 
Mi distesi nel mio consueto lettino, supino. Allungai la mano alla donna che mi stava a fianco e che aspettava me. Infilò l’ago nel mio braccio e si allontanò sorridendomi. Nessuno mi dava più istruzioni, nessuno mi diceva che se avessi avuto bisogno di aiuto avrei dovuto spingere il pulsante dietro di me né tanto meno che sarebbero ritornati a controllare. Non serviva, dopo un po’ di tempo diviene una cosa meccanica e per me lo era già da molto. Li avevo obbligati a quella cosa dopo che la prima volta lei aveva avuto bisogno del mio sangue. In cambio mi avevano detto che avrei dovuto tenermi il più in forma possibile e aspetto fisico a parte, era quello che stavo cercando di fare, perché non mi avrebbero permesso di donare se non ero in condizioni mediche adatte. Sapevo che quando mi chiamavano era per qualche possibile complicazione. Non che donare il mio sangue mi dispiacesse, ma avrei preferito non donarlo mai visto il significato di quel gesto. Passavo ogni giorno dentro quell’ospedale tanto da essere diventato una presenza invisibile. Inizialmente tutti quanti avevano provato ad essere gentili con me e lo erano tutt’ora, ma da parte mia c’era totale indifferenza. Ero una persona troppo instabile al momento per poter intrattenere una conversazione sensata dentro quel posto. Ancora dopo un mese non capivo cosa davvero mi stesse succedendo, non volevo accettarlo. Ed ero come lei, ed era con sé che mi portava a volte.

Suonai insistentemente per l’ennesima volta. “Dai su! Perché non apri? Forza!!”
-Jasmine!! Jasmine ci sei? Apri!- cercai di chiamarla invano, facendomi sentire da tutto il vicinato, ma poco importava.
“Dove ho messo quelle dannatissime chiavi?”. Continuai a cercare nelle tasche e allontanandomi dalla porta mi avvicinai alla mia auto per controllare se fossero cadute lì dentro.
“Calmati! Respira.. va tutto bene, che vuoi che sia successo? Magari non è in casa, no?” cercai di tranquillizzarmi, ma c’era qualcosa in me che mi diceva che nulla andava bene. Non so per quale motivo mi ero precipitato a casa della mia ragazza, ma sentivo che aveva bisogno di me.
Avevo chiamato ed inviato messaggi a mai finire, ma lei aveva continuato a non rispondere.
Ritrovai le chiavi  e mi avvicinai nuovamente alla porta inserendole nella toppa. Mi tremavano le mani e questo non facilitò affatto la mia ‘operazione’.
Dopo vari tentativi riuscii ad aprire quella stramaledettissima porta e mi fiondai in casa.
Era tutto buio. Le tapparelle delle finestre erano chiuse e le serrande rigorosamente abbassate. Neanche uno spiraglio di luce mi lasciava intravedere ciò che c’era li dentro.
Non feci qualche passo che subito mi imbattei in qualcosa di molto pesante che mi fece male al piede, così decisi che forse era meglio accendere la luce piuttosto che camminare come una talpa - solo che le talpe a differenza mia sapevano orientarsi al buio-.
Cercai l’interruttore, e quando la luce illuminò la stanza, quello che vidi mi lasciò confuso.
La ‘cosa’ nella quale mi ero imbattuto, era una grande valigia. Era posta quasi subito dopo l’entrata, e per il resto della stanza che prima era un grande salone, c’erano sparsi vestiti, scarpe e tutto ciò che una valigia potesse contenere. Tutti i mobili e ciò che ci sarebbe dovuto essere nella stanza era buttato per terra. I divani erano strappati e più mi guardavo intorno meno riuscivo a capire. Non riuscivo proprio a dare un senso logico a tutto ciò.
Tutto era come il giorno in cui eravamo arrivati in quella casa.
Fu questione d’istanti. Iniziai a correre su per le scale spinto da una forza a me estranea. Ero ancora confuso ma qualcosa mi diceva di dover salire di sopra.
Mi diressi nella camera di Jasmine e quello che vidi mi terrorizzò come mai prima di allora.
Sentii il mondo sgretolarsi sotto i miei piedi e il cielo cadermi addosso in una volta sola.
Mi sentii improvvisamente vuoto.
 
-Liam.. abbiamo finito..- mi disse titubante l’infermiera. Mi era successo di nuovo, ed eccomi qua a non riuscire a distinguere fra presente e passato. Mi scusai ed uscii dalla sala. Avrei mai smesso di rivedere quella scena? Di rivedere lei? La vera domanda era.. avrei dovuto forse? Il suo pensiero era l’unica cosa che mi tenesse ancora legato a questo mondo, alla vita di noi mortali che nonostante tutto continuava ad andare avanti, senza fermarsi. La verità era che io da un mese avevo deciso di fermare la mia vita là, con lei,in quel posto.

Ritornai alla mia solita poltrona, che ormai avrei definito comoda, e uscii fuori dalla tasca interna della mia giacca l’unica cosa che avessi con me oltre ad un cellulare spento. Mi rigirai quel piccolo diario fra le mani. In due settimane, da quando ero ritornato in quella casa, da quando lo avevo ritrovato, non avevo avuto il coraggio di aprirlo perché se si fosse svegliata non me lo avrebbe perdonato. Ma.. mi mancava così tanto e avevo bisogno di farla rivivere. Mi avevano vietato di stare tutto il tempo accanto a lei. Era in una situazione di stallo, tenuta continuamente sotto controllo, e sapevo che la speranza stava sfumando via anche dai medici. Mi dicevano che avevo bisogno di riposo ma non me n’ero ancora andato se prima non fossero passate due settimane, non ero capace a lasciarla lì dentro, sola, per troppo tempo.
Aprii il piccolo diario bisognoso di colmare quel vuoto che avevo in petto.

Tutto ha inizio qua.
Caro Charlie,
amo Liam Payne e finalmente so cosa vuol dire vivere qualcun altro. Vivere qualcuno e non per qualcuno. Lui è il mio porto sicuro, è il mio punto d’inizio.
L’inizio di una nuova me stessa, perché la vecchia voglio chiuderla fra queste pagine.

-Ehi scusa.. sapresti dirmi dove..- alzai lo sguardo incontrando gli occhi verdi della ragazza che mi aveva appena rivolto la parola. -Si, dimmi..- feci io asciugandomi le lacrime che solcavano il mio viso, e cercando di rivolgerle un sorriso, cosa che mi riuscì molto difficile. Tutti quei pensieri, e adesso le sue parole.. avrei voluto correre via da lì, ma non potevo.
-No.. ehm.. niente. Io... scusa.- disse lei insicura abbassando lo sguardo e dirigendosi verso il corridoio. -Aspetta!- la bloccai, alzandomi e prendendole un braccio. –Come ti chiami?- chiesi, scrutandola in quegli occhi insicuri. Non sapevo il perché di quel gesto, o cos’è che mi avesse spinto a rivolgerle nuovamente la parola, a trattenerla.
-Ehm.. io sono Elisa.- rispose questa volta, sorridendomi. -Bene Elisa.. ti sei persa per caso?- chiesi con un tono dolce, facendo un respiro profondo e cercando di fermare i miei pensieri. Forse era perché somigliava a chiunque entrasse in quel luogo: aveva bisogno di aiuto. -Ehm no.. cioè.. a dire la verità si.-  farfugliò, pronunciando le ultime parole tutte d’un fiato e abbassando di nuovo lo sguardo. Provava vergogna, e si vedeva dal colorito purpureo che avevano preso le sue guancie. Voleva mentire, ma proprio non ne era capace.
Le lasciai il braccio accorgendomi che lo stavo ancora stringendo e domandai –Posso aiutarti?- un altro sorriso. Era difficile dover fingere di stare bene, ma quella ragazza era già abbastanza disorientata e confusa. Alla fin fine in quel posto si viveva così, e chi riusciva a farti sorridere doveva considerarsi dotato di straordinarie capacità.
Lei semplicemente mi guardò senza dire nulla. Aveva lunghi capelli castani che incorniciavano il suo volto tondo, gli zigomi pronunciati e un naso sottile e all’insù. Grandi occhi verdi che sfumavano nell’azzurro. Sembravano risucchiarti con qualche strano potere, si sentiva quasi.. dolore. Ma c’era qualcosa, una forza, una strana forza che superava qualsiasi altra sensazione potesse arrivarti. Era forza, pura forza nascosta e coperta da altri sentimenti.
-Vieni qui. Sediamoci..- le proposi indicandole una delle tante poltroncine presenti in quella sala.  –Allora..?- domandai di nuovo esortandola a parlare e accomodandomi. Non riuscivo ancora a tenermi bene in piedi.
Non accettò il mio consiglio, e rimase alzata. Si passò una mano fra i capelli, confusa più di prima. Sembrava esasperata.
 
I wanna be first, yeah.
Wanna be the first to take it all the way like this.

-Dai Liam, aiutami cavolo! Non te ne stare lì impalato..- esordì al limite massimo della sopportazione, passandosi una mano fra i capelli sudati e perennemente sciolti.
-Aspetta!! Tu.. TU stai facendo.. MI stai facendo un video, non è vero?- mi chiese strabuzzando gli occhi e indicando il cellulare che avevo in mano.
-Tu mi stai facendo un ALTRO video invece di aiutarmi?- mi puntò il dito contro, con una finta faccia arrabbiata e mi venne addosso cercando di strapparmi il cellulare dalle mani.
-Si. Ne sto facendo un altro..- risposi alla sua precedente domanda sghignazzando e mostrandole quel sorriso che, sapevo, tanto amava.
Mi dimenavo nel vano tentativo di non farle prendere quell’oggetto dentro cui c’era tanto di noi e indietreggiavo sempre di più, ma lei ormai era aggrappata a me come un koala, con le gambe strette ai miei fianchi.
Era molto abile e le piaceva riuscire ad avere la meglio in questo modo, visto che era piccola di statura.
Ad un tratto inciampai in uno dei tanti scatoloni sparsi in quella casa e caddi all’indietro, finendo disteso a terra con lei sopra di me.
Il cellulare mi volò di mano e lei ne rise divertita, lasciandosi andare sul mio petto.
-Lo sai che ti amo, e che lo sto facendo solo per immortalare i momenti più belli del tempo che passiamo insieme. Non voglio dimenticare!esclamai guardandola intensamente in quegli occhi così scuri e profondi e portandole i capelli dietro l’orecchio, avvicinandomi sempre di più a lei.
-Ti sembra un momento bello questo?- chiese indicando il casino che ci circondava. –E poi guardami! Sono tutta sudata, appiccicaticcia e.. Aaaargh, sono orrenda!!-. disse spazientita cercando di alzarsi.
-Ehi ehi, dove vai?- domandai trattenendola e costringendola di nuovo giù. La feci aderire sempre più al mio corpo, i nostri visi erano vicinissimi. –Si, è un momento bello, anzi.. bellissimo questo. Ci siamo io e tu, e questo basta a rendere tutto ciò stupendo.- le dissi poggiando le mie labbra sulle sue e chiudendo gli occhi per godermi quel momento. –E poi.. tu sei bellissima anche in queste condizioni.- le sussurrai ancora fra le sue labbra.
Ci allontanammo di qualche centimetro, che mi parve una distanza incolmabile.. e la guardai. Anche in quelle condizioni era stupenda, la ragazza più bella che avessi mai visto, colei che amavo. I suoi capelli profumavano di menta, di libertà, e la sua pelle era sempre liscia come quella di un bambino. Non sapevo se fosse possibile avere quell’odore, ma lei lo emanava sempre.
-Tutto ha inizio qua.- mi disse annullando quella lontananza con un semplice, caldo gesto.
 
Mi ripresi improvvisamente accorgendomi di quello che avevo appena fatto. Lei era ancora lì, d’innanzi a me, che mi scrutava con occhi dolci mentre io mi ero immerso nel vortice dei miei pensieri.
-Ehm.. scusami. Scusami non volevo. L’ho fatto di nuovo, non era mia intenzione- le dissi. -Cos’è che hai.. fatto di nuovo?- domandò rivolgendomi uno sguardo perplesso. Si avvicinò, prese posto accanto a me e mi porse un fazzoletto. In un primo momento non capii affatto, ma poi sentii il mio viso bagnato di lacrime. Accettai ciò che mi stava porgendo e mi asciugai il volto.
Quel suo precedente semplice e banale gesto aveva fatto riaffiorare in me molti ricordi. Era la prima ragazza che degnavo della mia considerazione dopo mesi. La prima persona con cui facevo un discorso sensato.
-Ehm.. io..- balbettai cercando di rispondere alla sua domanda. -Ti perdi nei tuoi pensieri isolandoti dal mondo che ti circonda e dimenticandoti degli altri..?- chiese lei, come leggendomi nel pensiero. Le rivolsi uno sguardo sconcertato probabilmente, perché lei continuò –Capita anche a me, fin troppo spesso, sai?- e rise.
Aveva una bellissima risata.
-Come ti chiami?- mi chiese inaspettatamente, continuando a sorridere. -Liam- risposi, prima che un medico la chiamasse. Mi ringraziò anche se non avevo fatto nulla, per poi andare via.

***
23.06.2013
Caro Charlie,
mi ha confessato tutto, mi ha raccontato tutta la verità e io ne sono terrorizzata.
 
27.06.2013
Caro Charlie,
oggi ho capito che la mia non è paura, ma rabbia.
La rabbia di non poter fare nulla per salvarla da ciò che la sta distruggendo, da ciò che la sta portando via da me.
 
30.07.2013
Caro Charlie,
ho provato ad aiutarla, ma non vuole sentire ragioni. Dice di potercela fare da sola..
ma sa che da soli non si va da nessuna parte?
Oggi abbiamo litigato di nuovo, per la seconda volta.
Non mi capisce, sono solo un ripiego.
L’ho lasciata andare.. ed è andata via.
Ma questa volta non tornerà.
 
-Ciao- quella voce appena udibile e acuta allo stesso tempo mi fece risvegliare dai miei pensieri. L’istinto mi suggerì di chiudere quel diario e sollevai il volto, anche se sapevo già di chi si trattava. -Ciao- le risposi scosso e sorpreso. Erano passate due settimane esatte, e noi eravamo di nuovo lì. Strana coincidenza.
-Di nuovo da queste parti?- le domandai davvero curioso di questa situazione assurda, mentre prendeva posto nella poltroncina accanto a me, questa volta. -Mm- mm.- annuì con uno sguardo un po’ rassegnato. –Devo venire ogni due settimane, se non voglio correre rischi..-.
Rischi per cosa? avrei voluto chiederle, ma sarei stato troppo indiscreto e mi limitai ad un –Stai.. bene?- molto insicuro. -Si si. Sto.. bene, grazie. E tu? Come mai sei qui?- iniziò a guardarsi intorno, cercando di nascondere il suo imbarazzo. Non era riuscita a trattenere la sua domanda o le era venuta spontanea?
Io sarò sempre qui.
-Ci sono.. persone a me care, qui. Vengo a fare visita..- risposi, rivolgendole un sorriso che voleva essere rassicurante. Lei stette in silenzio aspettando, probabilmente, che continuassi.. ma non lo feci. Non avevo voglia di raccontarle nulla. Era una sconosciuta e non mi rendevo ancora conto di quello che mi succedeva anche solo per poterlo raccontare.
-Scusa..- sussurrò, abbassando il volto. Spostai il mio sguardo dal diario che avevo ancora fra le mani a lei, lo riposi in tasca e le sorrisi. Quei sorrisi erano forzati, ma non finti. Fra noi calò il silenzio. Nessuno dei due aveva voglia di parlare. L’avevo vista rivolgere lo sguardo al diario quando stavo per posarlo e pensavo avrebbe chiesto cosa fosse, ma non lo fece. Probabilmente l’avevo intimorita, magari sarebbe voluta andare via. Avrebbe fatto meglio: a rimanere con me non ci avrebbe guadagnato nulla.
-No- esclamai con un tono di voce forse un po’ troppo alto. Lei mi guardò di scatto, confusa. –Non.. non ti devi scusare. È colpa mia.- conclusi abbassando la voce e guardandola nuovamente negli occhi. Cosa nascondeva quella ragazza? E lei, si stava chiedendo la stessa cosa di me? Frasi sconnesse e silenzi, ma ci capivamo. In qualche modo riuscivamo a farlo. Sorrise timidamente. Non potevo essere così scontroso con tutti, che colpa aveva lei di essere in quel posto? Nessuna.. e quello non ero io.
Passò qualche altro minuto di totale silenzio. Io ero immerso nel profondo dei miei pensieri e anche se mi ero imposto di rimanere con la mente ancorata alla realtà, ancora non ci riuscivo. I ricordi erano molto meglio di tutto quello che c’era in quell’ospedale, molto meglio di tutto il dolore che mi circondava. Nei miei ricordi.. lei sorrideva ancora.

Fui scosso da un tocco leggero e incerto. Elisa mi stava chiamando, indicandomi una persona in lontananza. Mi risvegliai, confuso, guardandomi intorno. –Credo ti stiano chiamando..- sussurrò con quella sua voce sottile e quasi udibile. Mi ritrovai ancora più confuso di prima. Cercavo un medico che mi stesse chiamando, quando mi accorsi che non era altro che il mio amico quello in lontananza a cui dovevo rivolgere la mia attenzione. Mi passai una mano in faccia, come per spazzare via i ricordi e tutti i pensieri. Che stupido che ero! Prima cercavo in tutti i modi di rifugiarmi in essi, e poi volevo fuggirne, perché mi prendevano talmente tanto da farmi soffocare.

-Ehi Payno!- esclamò con la sua aria spavalda e leggera che mi faceva sentire a casa, non appena mi fu vicino. Chiuse la mano a pugno e la fece scontrare contro la mia a sua volta chiusa allo stesso modo. –Nialler..- feci ancora scosso e allo stesso tempo sollevato. Lui guardò Elisa che era ancora accanto a me e ci osservava. –Ehm.. si, lei è Elisa. Elisa.. Niall, Niall.. Elisa.- li presentai. La ragazza aveva di nuovo abbassato lo sguardo, e quando si sentì chiamata in causa, rivolse i suoi occhi verso il mio amico e per un attimo credetti si fosse persa in quei pezzi di cielo che caratterizzavano l’irlandese. Rimasero in silenzio, mentre Niall continuava a stringerle la mano e a guardarla. Quando se ne accorse, la lasciò andare e distolse lo sguardo, rivolgendosi imbarazzato verso di me. Ancora una volta lei si costrinse a fissare le punte delle sue scarpe fino a quando mi rivolse un sorriso amaro, forzato, si alzò e andò via senza pronunciare parola. Tutto questo nel più totale silenzio, avvolti da una strana aria che non aveva nulla a che fare con quella dell’ospedale, come fossimo immersi in un altro mondo.
La guardammo andare via e sparire silenziosamente come se non ci fosse mai stata. Niall si sedette sulla poltroncina che prima occupava lei, guardandola perplesso. Che gli prendeva? Era solo una poltrona! –Allora..?- chiese guardando ora davanti a se, con occhi vuoti ma pieni. Con sguardo confuso ma sicuro. Con preoccupazione ma sollievo. –Ehm.. si. Lei era una..- stavo per parlargli di Elisa, quando, rivolgendomi uno sguardo perplesso, mi fece capire che non intendeva quello. Ma che gli prendeva? Un attimo prima sembrava tutto preso da quella ragazza, e adesso pensava già ad altro. Ero così confuso, e lui mi faceva confondere ancora di più. Era la prima volta che il suo sguardo era pieno di sentimenti così contrastanti, che si scontravano tra loro come due nuvole a provocare un tuono. Stava causando un’intera bufera dentro me, non mi stava aiutando affatto.
-Che c’è Niall? Ti prego non..- cercai di parlare, anche se in realtà non ne avevo voglia, quando mi fermò. Mi strinse a sé nello stesso momento in cui scoppiai a piangere. Non ne potevo più di tutta quella situazione. Avrei semplicemente voluto vederla uscire da quella porta sorridente, allegra e viva.
Mi sfogai. Feci uscire fuori tutto quello che avevo trattenuto fino ad ora. Il dolore, la paura, la rabbia. Perché proprio a me? Perché a lei? A lei che era la persona migliore che avessi mai conosciuto? Niall non disse più nulla, mi lasciò sfogare, mi lasciò parlare. Si lasciò insultare, facendo sfogare anche la rabbia repressa che portavo nei confronti degli altri tre. Non li biasimavo, ero stato io ad allontanarli. Avrei voluto dirgli del diario.. ma non lo feci. Lui ascoltò solamente, perché sapeva che i consigli non sarebbero serviti a nulla in quel caso. Avevo solo bisogno di lui, di sapere che c’era. Era lui che riusciva sempre a farmi stare meglio. Lui con i suoi sorrisi, con il suono della sua voce, con i suoi occhi davvero vivi. Era sempre stato colui al quale avevo confidato tutto, e ciò non sarebbe cambiato. Con Niall non avevo bisogno di parole, lui capiva. Ma c’erano volte in cui le parole ci bruciavano dentro e spingevano per venir fuori, allora lui stava in silenzio ed aspettava che fossi io a parlare, e viceversa quando si trattava di lui. Oggi era uno di quei giorni: avevamo bisogno che il silenzio fosse colmato anche se i suoi occhi mi dicevano che non avrebbe parlato se non glielo avessi chiesto. Non lo avrebbe fatto. Avrebbe lasciato parlare me, avrebbe accumulato tutto dentro.. senza dire una parola. Era silenzioso il mio Folletto Irlandese. Indiscreto, non voleva disturbare quando si trattava di lui. Ma era sempre presente e sapeva come farti stare meglio, sempre. Era una specie di qualche creatura mitologica quel ragazzo: reale, ma impossibile da immaginare. Presente ma invisibile. Troppo perfetto per poter essere vero. Era l’eccezione alla mia attuale regola. Parlavo solo con lui, a parte Elisa in quegli unici due giorni.
Dopo che le lacrime mi diedero un po’ di tregua, Niall si alzò, mi prese la mano e mi costrinse a fare lo stesso. Mi accompagnò in bagno dove mi sciacquai il viso, sperando di poter lavare anche la mia mente che andava a fuoco, ogni giorno sempre di più. Mi soffermai ad osservare la mia figura riflessa sullo specchio dinnanzi a me. Avevo la faccia solcata da piccole rughe che caratterizzavano soprattutto la mia fronte. Gli occhi gonfi di pianto erano circondati da profonde occhiaie ed erano totalmente privi di qualsiasi luce. Erano bui, completamente bui e scuri come la mia anima. Il volto pallido ed emaciato, le labbra ancora più gonfie e piene di ferite che mi procuravo durante l’estenuante attesa. La barba cresceva ispida perché non era a quello che pensavo quei pochi giorni in cui uscivo da quel posto.
Quello non era il Liam che tutti conoscevano, quello non era il Liam che avevo costruito secondo i miei ideali in tutti quegli anni. Adesso ero il Liam che il dolore aveva modellato secondo il suo volere. Ero il Liam senza un domani. Il Liam che non sperava più.

Mi portai le mani al volto, in un gesto nervoso, cercando di spazzare via i pensieri e sperando che appena le avrei tolte dal viso, sarei stato in un altro posto che non fosse davanti quello specchio, in quel bagno di quell’ospedale che mi stava portando via la vita. Avrei voluto riaprire gli occhi e svegliarmi, come dopo un brutto incubo. Avrei voluto trovarla nel letto, accanto a me e non così lontana come mai lo era stata. Lo desideravo perché sapevo che prima o poi sarei dovuto ritornare a vivere, con o senza di lei, e io non lo volevo. E inconsciamente reprimevo quel pensiero che mi faceva paura, perché avrei dovuto ritrovare e ricostruire me stesso, ma non ne avevo il coraggio o semplicemente la volontà, al momento. Ma tutto quello non era un semplice incubo. Quella era la mia vita e avrei voluto saperla prendere di petto, ma in quel momento il mio petto si sarebbe infranto in mille pezzi come una teca di vetro perché nulla mi sembrava reale o possibile. Neanche i ricordi ormai lontani, che andavano perdendo i loro contorni, la loro sicurezza.
Riaprendo gli occhi infatti vidi solamente lo stesso Liam di prima, se non più sicuro delle sue insicurezze. Notai le mie mani prima forti e calde, adesso tremanti e fredde. Il mio corpo prima allenato adesso era tutt’altro, e portavo gli stessi vestiti da tre giorni. Era come se il mio corpo si stesse congelando pian piano, sotto il controllo del mio cuore. Esso stava congelando tutto, la tempesta che era in me stava spazzando via ogni traccia di quello che ero stato. Non avevo più i riflessi pronti e repentini di qualche mese fa, ne tanto meno la semplice forza che mi avrebbe permesso anche solo di stare in piedi. Barcollavo ed ero perennemente frastornato, come appena uscito da un altro mondo. Non appartenevo più a nessun posto, non ero altro che l’ombra di me stesso.

Niall mi poggiò una mano sulla spalla, riportandomi al presente e mi sorrise. I suoi sorrisi erano gli unici sinceri, privi di compassione. -E tu?- chiesi, dopo essermi finalmente ripreso un po’. –Io? Io cosa..?- domandò facendo finta di non capire. –Dai Nialler.. smettila! So che mi stai nascondendo qualcosa.. parla!- lo incitai dirigendomi verso la porta dei servizi igienici ed uscendo. –Ti va se andiamo un po’ fuori e mi racconti..?­-. Mi guardò inizialmente perplesso da quella proposta che probabilmente non si sarebbe aspettato, ma in un secondo momento annuì, rivolgendomi un timido sorriso.
Arrivammo in un piccolo giardino stranamente silenzioso e desolato, che si trovava poco dietro l’ospedale e che veniva utilizzato come luogo di ricreazione per i bambini o per dare un po’ di sollievo agli anziani. O semplicemente per vedere il sole, e sentirsi scaldare la pelle dal suo tocco gentile. Quand’è stata l’ultima volta che ho visto il sole? E lei..? mi feci sfiorare da quei pensieri che arrivarono gentili, come il sole che stava sopra le nostre teste, a scaldarci. Pensai che non sentivo un tale calore da molto tempo, capii che la luce mi mancava, perché per quanto dolore potessi provare, io ero ancora vivo. Pensai che era davvero una cosa meravigliosa quella piccola palla di fuoco capace di scaldarti anche quando dentro di te tutto era freddo. Lo rivedrà anche lei! Lo sentirà anche lei questo calore, e starà meglio.. era più che altro una promessa che facevo a me stesso e al cielo. A quel cielo che meritava i suoi sorrisi, i suoi occhi, le sue dolci parole, ma che non meritava affatto la sua vita.

Restammo fuori per circa mezz’ora. Niall mi raccontò di sé, della preoccupazione che si portava addosso.. e notai, fra le sue parole, che era preoccupato non solo per me, ma anche per il rapporto che non riusciva ad andare avanti con gli altri tre. Mi parlo della casa di incisione, che lui stava mandando avanti al mio posto e in cui stava riscontrando qualche difficoltà. Gli promisi che avrei rimediato. Lo avrei fatto, perché sapevo di stare sbagliando. Gli stavo caricando pesi che non gli appartenevano, gli stavo chiedendo di andare avanti anche per me, di vivere la sua e la mia di vita. Parlammo, però, anche di sciocchezze. Mi fece ridere e sentire un po’ meglio. E infine gli parlai anche di Elisa, anche se in realtà non sapevo molto di quella ragazza. Sentii il cuore scaldarsi. Era il sole, o l’effetto di quell’irlandese che amavo con tutto me stesso? Dopo circa una mezz’ora ci salutammo. Mi disse che avrei dovuto pensare più a me stesso e mi raccomandò di chiamarlo per qualsiasi cosa. Non avevamo più parlato di lei ma solo di me. “Tu sei ancora vivo”, mi aveva ricordato prima di andare via.
Lo guardai allontanarsi sorridendomi, e mi lasciò lì. Sentii un minuscolo tepore nel petto, stanziarsi lì e trovarci la sua dimora.

Mentre stavo per rientrare, vidi Elisa uscire. Aveva gli occhi gonfi di lacrime. Non le corsi dietro come fanno nei film, non volevo sapere cos’avesse. Era una perfetta sconosciuta e il Liam altruista che c’era in me.. al momento non voleva venire fuori. So che erano solo scuse perché se c’era una cosa che odiavo era pensare che qualcuno potesse stare male, anche se era uno sconosciuto. Nessuno meritava di stare male, ma in quel momento stavo mentendo a me stesso dicendomi che il dolore rendeva solamente più forti. Se io potevo sopportare il mio lei avrebbe sopportato il suo.
La verità di tutto ciò? La verità era che avevo troppa paura di una risposta da parte sua e così mentivo a me stesso.

La mattina seguente, quando la rividi anche se sarebbe dovuta tornare dopo due settimane, le corsi in contro e la strinsi fra le mie braccia. Le dissi che mi dispiaceva e lei pianse. Avevo bisogno di non pensare che ci fosse un’altra vita fuori, ma avevo anche bisogno che qualcuno capisse il mio dolore, avevo bisogno che qualcuno capisse perché avevo scelto di restare lì e perché stavo diventando quella persona che ero adesso. Avevo bisogno di sapere che nessuno è mai veramente solo, avevo bisogno di farglielo capire con quell’abbraccio. Avevo bisogno di credere alle parole di Jamine. In un ospedale non sai mai cosa ti sta davvero succedendo o ne sei consapevole senza volerlo ammettere. Io ed Elisa eravamo in quella situazione, mentre diverse persone si arrendevano o trovavano la forza per lottare. Io probabilmente sarei rimasto in questo limbo mentre per lei speravo di meglio. Quei pensieri erano tremendamente egoistici, ma l’orgoglio, spinto dalla paura, si stava facendo spazio in me, mettendo le sue radici nel mio animo. Non volevo ammettere che qualcun altro potesse farmi stare bene, avrei pensato che fosse un modo per lasciar andare Jasmine. Non volevo credere che quella ragazza stesse cambiando la vita di tutti noi.

Quella mattina ebbi la conferma che qualunque cosa Elisa avesse non stesse affatto migliorando, e ne ero convinto come quando mi chiamavano per le trasfusioni. Da quel giorno in poi si presentava più spesso, mentre io ero sempre là. L’aspettavo, l’aspettavo inconsapevolmente. Mi chiedevo perché cominciassi a tenere a lei, a preoccuparmene. Non stavo meglio rispetto alle volte precedenti, ma se c’era una cosa che Niall mi aveva inconsapevolmente insegnato era che ognuno di noi non si salva da solo. Se ero lì era perché lei non si sarebbe salvata da sola, ed era per questo motivo che io donavo sangue e Niall veniva a trovarmi sempre e perchè nonostante tutta quella situazione io gli chiedessi come stesse, pretendendo la verità. Avevo imparato che per quanto una persona dicesse di amarti, un semplice essere umano aveva bisogno di fatti e non solo di parole. Io non volevo che Elisa si sentisse sola, come lei il giorno in cui la trovai. Non volevo che provasse quella sensazione perché più del dolore, gran parte delle volte, era la solitudine a distruggere. Elisa veniva sempre sola e non ne conoscevo il motivo ma ero sicuro che anche secondo la sua più grande volontà non voleva essere lì sola. Non conoscevo il suo problema, ma sentivo che mi era vicina.

Quello fu il giorno in cui decisi di iscrivermi all’albo dei donatori; non lo avrei fatto più solo per una persona.
Baby, I wanna know what you think when your alone.
Is it me yeah? Are you thinking of me yeah?
We’ve been friends now for a while,
wanna know that when you smile
is it me yeah?
Are you thinking of me yeah?

Passavamo le mattine in cui Elisa veniva, a discutere, prima che uno di noi dovesse andare. Di solito era lei ad essere appellata dai medici, mentre io ero come a casa mia. Brutto paragone eh? Già, ma quell’edificio era più simile ad un casa di quanto lo fosse quella in cui avrei dovuto abitare. Parlavamo del più e del meno, cose di poca importanza senza mai sfiorare il tasto del motivo della nostra presenza in quel posto, anche se sapevo che un giorno o l’altro avremmo dovuto farci coraggio ed ammetterlo a noi stessi, anche se in realtà entrambi sapevamo, o almeno intuivamo, cos’avesse l’altro. Ero anche convinto che pur sapendo il suo problema non avrei potuto aiutarla, non ero abbastanza forte per questo e così decisi di nuovo di caricare questo compito a Niall. Lui veniva con maggiore frequenza e passavamo del tempo insieme, tutti e tre. Elisa a volte restava anche dopo le sue consuete visite se non era troppo instabile d’umore. Niall spesso la riaccompagnava a casa e probabilmente si era già visti qualche volta fuori dall’ospedale. Ne ero felice: Niall non stava così bene da tempo, ed Elisa sorrideva più spesso. Non avevo davvero il tempo di pensare a loro due, per quanto bene volessi a Niall, e quella mattina venne il momento in cui lasciai andare la mia parte egoista, chiudendola nella stanza con Jasmine.

Mi ritrovai infatti dinnanzi quella porta senza neanche accorgermene, e così entrai. Quello che, o per meglio dire, colui che trovai all’interno mi fece sobbalzare lo stomaco. Una figura pressoché  trasparente e minuta si impose nei miei pensieri e sul mio cuore costringendomi a capire quanto mi fosse mancato: Louis.
Louis Tomlinson era seduto, ricurvo sulla piccola sagoma distesa sul lettino, e le carezzava lievemente la mano, sorridendo. Louis era il più grande del gruppo ma il più propenso a buttarsi nella mischia, per questo io e lui ci eravamo spesso ritrovati in disaccordo. Io avevo troppo i piedi per terra e lui troppo la testa fra le nuvole; ma era la persona più altruista che avessi mai conosciuto. Lui era capace di leggerti dentro, e di consolarti anche con il silenzio. Sapeva qual era l’angolo più remoto della terra in cui saresti andato a nasconderti. Ed era lì, davanti a me, che si imponeva su ogni cellula del mio corpo che avrebbe voluto scappare.

Avanzai lentamente, cercando di non disturbarli, anche se non sapevo di preciso da cosa e soprattutto sapevo che Louis mi aveva preceduto, conscio che sarei andato lì, ancor prima che io stesso ne fossi consapevole. Mi sedetti in penombra, mentre lui stava sotto la luce calda del sole che entrava dalla finestra spalancata Louis.. sei sempre il solito, pensai.
Sapevo che non era lì solo per una visita, ma lo capii davvero quando, con la sua voce sottile disse –Lei non sarebbe fiera di te.- Sentii quelle parole penetrarmi con la forza di un pugno nello stomaco, e facevano male. Alzai lo sguardo e lo puntai sul suo: avevi occhi così chiari e freddi, che credetti quasi stessero collidendo con il gelo che avevo dentro, penetrandomi, cercando di distruggerlo. Lo guardai perplesso ma lui si rivolse alla ragazza immobile accanto a sè, si alzò dal suo posto, le si avvicinò e sussurrandole qualcosa all’orecchio fece per allontanarsi. Guardai tutta la scena allibito.
Lo vidi uscire e solo qualche secondo più tardi lo seguii a ruota. Lo raggiunsi ormai vicino l’uscita e gli posai una mano sulla spalla, trattenendolo, ma lui sfuggì alla mia presa e continuò attraversando il parcheggio. –Louis!- urlai, liberandomi di quel peso. Ottenni ciò che volevo: il ragazzo si fermò improvvisamente, per poi voltarsi con gli occhi accesi di una nuova luce –Da quanto tempo non parli? Da quanto tempo non pronunci i nostri nomi? Da quanto tempo stai qui dentro, senza preoccuparti del fatto che lì fuori c’è vita? Da quanto non vivi, Liam?- in un primo momento mi girò la testa, perché era quella la capacità di Louis: sorprenderti. –Tu.. tu non puoi capire. Cosa vuoi saperne di quello che mi succede, di come sto? Che ne sai tu? Dove sei tu mentre io sono qui a.. a..- sbottai, trasportato dalla rabbia improvvisa, dopo essermi ripreso dal primo momento di shock, che non ebbe di certo fine lì. –A fare cosa Lee? A fermare la tua vita e quella di tutti gli altri? A trascinarci giù con te? Cosa vuoi dimostrare in questo modo? Zayn ti aspetta ogni giorno, ogni singola volta che si apre quella maledettissima porta si aspetta di ritrovarti; io.. io sono qua e l’unica cosa che riesci a dire è che non posso capirti, e Niall? Ci hai pensato a lui? Ci pensi mai a lui, a tutte le volte che a casa si ritrova in lacrime perché crede di aver fallito dopo che per l’ennesima volta ti rifiuti di uscire da questo posto? Ci pensi mai a lui che porta avanti la tua fottutissima vita? La tua Liam! Cazzo, esci fuori da lì, so che da qualche parte ci sei..- concluse il discorso battendomi una mano sul petto, all’altezza del cuore. Quei nomi mi avevano smosso, quello parole, le sue; sentivo che stava prendendo, che il pesce aveva abboccato all’amo, che il tepore a cui Elisa mi aveva esposto e a cui Niall aveva dato vita si stava consolidando, ma non volevo crederci e nervoso più che mai passai alla difensiva, sbagliando. –E Harry? Che dice lui? È così difficile da nominare, da ammettere quanto tu lo ami? Tu hai lui, hai una persona così bella accanto, ti sta succedendo una cosa così bella e non riesci a vederla!- esordii tremando, costringendo la sua mano lontano dal mio petto.
Restammo per qualche minuto a scrutarci silenziosamente, finchè si voltò di nuovo, sussurrandomi –Noi siamo dove ci stai portando tu, Lee… e lei non sarebbe fiera di te-.
Questa è stata la migliore discussione che avessi mai avuto con il mio amico, Louis. E solo in seguito avrei capito quanto essa ci avesse legati e fatti rinascere, entrambi.

Da quel giorno cominciai a restare dentro l’ospedale meno di due settimane, e tornavo a casa quando ne avevo bisogno.
***

Negli ultimi giorni ho avuto modo di pensare a tutto questo, alle parole di Louis che sono impresse a fuoco nella mia mente. Sto cercando di rafforzare i miei rapporti, almeno dentro quell’orribile posto.
Elisa mi parla spesso dell’Irlandese, mentre Niall non parla mai di lei. Mi ha solo detto una cosa, una volta: “Il colore dei suoi occhi è come il non-confine che c’è fra il mare e il cielo. Tu credi di vederlo, di avere la certezza che mare e cielo si incontrino, ma non è così. Loro non si incontrano, non lo fanno mai e mai lo faranno. Tu vedi una cosa che non c’è. Come l’istante fra un ultimo e un primo bacio”. In quel momento non ho capito cosa intendesse dire, non capivo il senso di ciò, il collegamento che c’era nel suo discorso, ma se ci penso adesso fa paura.

Probabilmente sapeva della sua malattia ma non ne voleva parlare con me e io non avrei avuto mai il coraggio di chiederlo ad Elisa. So che fra me e lei c’è un confine. Sono anche certo che il mio migliore amico e quella ragazza che presto era diventata un motivo per sorridere, si erano incontrati nel luogo sbagliato. Sono una persona pessimista e se i primi tempi mi ero convinto che se avevo allontanato gli altri tenendo al mio fianco solo Niall e che se quella ragazza mi aveva chiesto informazioni mentre ero in lacrime era per un motivo, adesso non lo credo più. I giorni passano, e così anche le settimane, che diventano mesi ma, ad un certo punto nella vita delle persone, il dolore non dovrebbe sparire o quantomeno alleviarsi per qualche.. sconosciuto motivo? Non c’è un momento in cui le cose iniziano ad andare meglio e la gente è più libera di respirare? Non parlo di me, perché questa cose per me è molto lontana, non ne vedo neanche l’inizio, ma per gli altri? So che io sono una qualche eccezione, ma gli altri devono necessariamente stare bene ad un certo punto nella loro vita… ma a quanto pare non era così che andava. Più passavano i giorni più non riuscivo a trovare una risposta a quello che stava accadendo, a me come a chi mi stava accanto, e mi convincevo che le persone troppo buone la vita non le ricompenserà mai abbastanza; ma non mi è mai passato di mente il fatto che tutto quanto è collegato, anche le nostre vite, in un filo inestricabile, l’una a quella dell’altro.

-Ehi amore.. torno.. torno più tardi okay? Aspettami..- le dissi per poi dirigermi fuori da quella stanza. Vidi Niall ed Elisa sulle poltrone della sala d’attesa che parlavano, stringendo le mani l’una fra quella dell’altro. Quando due mesi fa Elisa mi era apparsa davanti non avevo pensato che le cose potessero migliorare, non per merito suo. Era una delle persone migliori che conoscessi, si perché in un mese avevo imparato a conoscerla meglio. Le sue sicurezze e le sue insicurezze e poi era arrivato Niall. Niall che le aveva stravolto la vita come aveva fatto con la mia quattro anni fa. Quel ragazzo era un angelo. Non mi piaceva definire le persone in quel modo, ma lui lo era davvero. Aveva migliorato la mia vita e adesso era l’unico motivo che quella ragazza avesse per sorridere. Niall non la lasciava mai sola e avevo scoperto che lei non aveva detto nulla di tutta quella storia alla sua famiglia. Era lì per studi e di conseguenza erano lontani, non voleva che si preoccupassero… mi aveva anche parlato del suo problema e pensavo che tutto ciò fosse ingiusto, avrei solo voluto svegliarmi e sapere che quello era un brutto incubo.

-Ragazzi, che succede?- chiesi. Quella mattina la situazione sembrava tranquilla, ma Niall rispose con trono grave –L’hanno chiamata perché è risultato qualcosa dalle ultime analisi, qualcosa di rilevante..- i suoi occhi erano colmi di preoccupazione, ma cercava di nasconderla. -…positivamente?- chiesi quasi in preda al panico. In ospedale le cose che accadevano erano su una linea d’onda oscillante e potevano cambiare da un secondo ad un altro. L’irlandese abbassò lo sguardo, si voltò verso la ragazza al suo fianco e la strinse a sé. No. Non era nulla di positivo da quello che loro erano riusciti a capire e mentre Niall le sussurrava qualcosa io cercai di confortarla a mia volta dicendo –Ehi Eli, senti. Nulla è ancora detto. Qualsiasi cosa sia andrà bene, deve. Non demordere, non è ancora la fine, non lo sarà.- misi forza nelle mie parole, convinzione e nonostante tutto mi sorpresi ad averne. Si, si trattava di quella ragazza dagli occhi color del non-confine tra cielo e mare –come diceva Niall-. Non poteva andare tutto storto.

Elisa fu chiamata da un medico. Il suo sguardo non diceva nulla ed era la cosa di cui si doveva avere più paura in un luogo come un ospedale. Niall la seguì, fece per entrare con lei ma l’uomo lo fermò. –Mi scusi, ma la signorina dovrebbe entrare sola..- cercò di dire quando il biondo, con aria sconcertata lo bloccò, cominciando a parlare in un modo che non faceva parte di lui. –Senta.. quella è la mia ragazza, mi lasci entrare. Ha mai pensato che forse potrebbe avere bisogno di supporto? Ha mai pensato quanto sia difficile stare in un posto come questo? Lei non è nei suoi panni, quindi è ovvio che no per cui adesso, se permette..- era fuori di sé. Agitava le mani dinnanzi a sé, parlando in un tono leggermente troppo alto. Cercò di far spostare il medico davanti l’entrata dello studio in cui dentro Elisa aspettava senza alcuna forza di volontà, ormai rassegnata ad un destino che credeva già prescritto. No, non sarebbe andata in quel modo, non quella volta, non di nuovo. Tirai via Niall con forza, riportandolo in sala d’attesa mentre l’uomo lo guardava con aria torva anche se nei suoi occhi c’era una traccia di compassione. Odiavo quella gente, credeva di sapere ma non sapeva un bel nulla. La compassione non serviva in quel posto.

L’irlandese si buttò fra le mie braccia, scosso da forti singhiozzi. Pianse come mai aveva fatto davanti a me e credo in tutta la sua vita. Sapeva che la sua ragazza, uscendo da lì, non avrebbe portato nulla di buono. Lo sentiva dentro di sé, lo sentivo anch’io.. come poteva non farlo lui?
 
21/08/2013
Caro Charlie
Oggi ho capito due cose:
non riuscirò mai a smettere di amare qualcuno che ha segnato la mia vita, e che il dolore non finisce mai. Ma dobbiamo imparare, non dico bene Charlie? Col dolore si convive ma da esso si rinasce. Bisogna avere il coraggio di accettare ciò che si è e non imporsi mai un limite. Non c’è un limite a quello che puoi essere o che puoi fare ed è questo il bello della vita. Non c’è un limite ai sentimenti, alle emozioni o a tutto ciò che ti circonda. Ci sono tante cose che vorrei spiegarmi ma non avrò il tempo per poterlo fare. Nonostante il dolore a cui ancora oggi non riesco a mettere fine, io sono felice perché prendo le cose come vengono e mi piace. So che se sono stata io che l’ho lasciata andare alla fine, ma se lei tornasse, se dovesse tornare, rifarei gli stessi errori già fatti in precedenza. Lo rifarei se questo mi porterebbe a farla diventare la donna che è adesso. È stata la prima persone che è riuscita a farmi dare un senso alla parola ‘amore’, mi ha dato tanto mentre io le ho dato tutto. Non rimpiango nulla, non voglio, perché tutto mi ha portato da Liam.
Lo amo e davvero, te lo dico con il cuore in mano… lui è l’inizio di qualcosa di migliore, qualcosa che tu non sei riuscito ad essere. Ma le cose nella vita succedono e non si avranno mai risposte.
Ti ho amato Charlie e mi dispiace di tutto. Spero mi perdonerai. È la mia ultima lettera e… ti prometto che vivrò senza riserve. È il modo in cui sto amando Liam, ed è davvero liberatorio. Credo sia lui quello giusto e so che mi hai sconsigliato di amare in questo modo qualcuno, ma sento che con lui posso, mi viene naturale come respirare.
Riderai di me adesso, pensando che ancora non ho capito bene il significato di questa parola tanto bramata.. ‘amore’. Credo che tu abbia ragione e forse non lo capirò mai. Credo che vivrò la mia vita sempre così, senza mai smettere di farmi davvero male. Lo lascio in mani sicure perché come ti ho già detto.. non voglio alcuna riserva di me.
Grazie di tutto, tua per sempre…
Jasmine xx
 
Fu quella mattina che finii di leggere quell’ultima pagina di un diario non destinato a me, proprio accanto alla persona che lo aveva scritto. Solo adesso mi rendevo conto del senso di tutto quello. Mi dispiaceva, mi dispiaceva terribilmente per quello che avevo fatto a quei due, averli fatti incontrare… ma per una volta sapevo che non avrei dovuto dispiacermi perché se non si fossero incontrati il cerchio non sia sarebbe chiuso. La vita di Niall ed Elisa, la mia vita e la vita di Jasmine.. adesso tutto aveva un senso, e io lo avevo trovato. Avevo trovato quel collegamento, ero riuscito ad ammettere, pian piano, ciò che più mi faceva paura, avevo capito che per una volta nella mia vita avrei dovuto pensare a me stesso, perché solo così sarei riuscito ad aiutare coloro che amavo. Tutto aveva un senso, adesso.

-Niall.. sistemerò tutto, te lo prometto!- esclamai. Le mie idee non erano mai state così chiare in tutta la mia vita come oggi. Lo allontanai da quell’abbraccio e continuai ormai convinto di ciò che dovevo fare –Devi essere forte, devi farlo per lei. Elisa ha bisogno di te, ora come mai. Una volta mi avevi detto degli occhi di lei, del bacio.. adesso ho capito Niall. Non è coincidenza.. è realtà. E poi, ricordi cosa mi avevi detto tempo fa? “Non dimenticare chi sei, perché tu sei ancora vivo”. Avevi ragione piccoletto- gli passai una mano fra i capelli, scombinandoli per poi continuare –sono vivo, e anche tu lo sei. Anche Elisa lo è, non dimenticarlo mai. Questo posto rende deboli, ti fa perdere la differenza fra il confine che c’è fra vita e morte. Ma se riesci a viverlo così intensamente, riuscirai anche a capirne il significato.- gli sorrisi, un vero sorriso. Né finto, né forzato. In quel momento uscì Elisa. Non aspettai, corsi piuttosto verso quella stanza, da lei. Sapevo che da vero amico sarei dovuta starle accanto, ma credevo che avrebbe capito la mia priorità di salvarle la vita. Chiamali mimai con le labbra prima di sparire dalla sua vista.
 
Girl what would you do?
Would you wanna stay if I would say?


-Tesoro, sono tornato prima del previsto oggi, eh?- le sorrisi, una lacrima a solcare il mio viso. –Come stai? Non è cambiato molto da.. da qualche minuto fa vero? Non vuoi che qualcosa cambi, non è così?- le rivolsi un sorriso amaro, porgendole la mano e stringendo la sua fra la mia. Non ricambiò la stretta, come sempre. Era sempre più fredda, avevo anche detto ai medici di metterla in una stanza con più sole, ma non volevano darmi ascolto e l’unica volta in cui aveva visto il sole, era sto quando quel giorno era venuto Louis e aveva aperto le finestre in barba a tutti i medici. –Sei sempre stata così scaltra.. sapevi tutto, sbaglio? Lo sapevi fin dall’istante in cui hai cominciato a scrivere questo diario..- risi, un sapore acre in bocca. Estrassi il suo piccolo diario dalla tasca e lo posai sul cuscino, accanto alla sua testa. –I medici dicono che.. che non dovrei parlarti. Gli sembra stupido parlare con qualcuno che non sente. Secondo te è stupido? Nei film affermano il contrario.. dici che ne abbiamo visti troppi?- mi sentivo un pazzo a ridere delle mie stesse parole, ma continuai – Sai che non credo in qualcuno che sta lassù, non se ha permesso che tutto ciò accadesse, ma so anche cosa mi diresti tu adesso, quindi per un attimo voglio mettere tutto da parte e.. e ascoltarti per una buona volta.- non riuscivo a fermare le lacrime, non volevo. Era la mia ultima possibilità e avrei dovuto parlarle sinceramente. –Mi piacerebbe dirti che mi sono successe tante cose in questo mese, ma non è così. Ti mentirei e non mi sembra giusto. In verità sono rimasto qui, ho visto solo Niall e.. non ho mai parlato con i miei o i tuoi familiari. Non li ho fatti avvicinare. Okay si, sto mentendo..- fuori mi avrebbero preso per pazzo e magari all’uscita mi aspettava un camion per carcerati che mi avrebbe portato in un manicomio -.. in realtà non sono più venuti dopo la prima settimana e mezza. Però non eri sola, io sono rimasto qui con te. Non ho fatto altro che aspettare, aspettarti. Ogni pensiero mi riportava a te e.. e ho letto il diario. Mi dispiace tantissimo, ma adesso so che anche se non era destinato a me, non te la prenderai. Era quello che volevi vero? Tu mi conosci meglio di chiunque altro.. ma dimmi amore, perché proprio lui? Perché lui che ti ha fatto essere dove sei adesso?-. Guardai il suo corpo. Vorrei dirvi che era bella come prima, ma non sarei stato sincero. Per me restava la persona migliore della mia vita, la mia piccola e bellissima Jasmine, ma non era quello che restava di lei. In quella stanza il sole non arrivava, era in penombra, fredda e vuota, le finestre sempre chiuse. E lei era così piccola..
Giaceva ancora inerme in quel letto, come ieri, l’altro ieri e i giorni precedenti. Nulla di diverso e tutto continuamente uguale. Il suo corpo era coperto da un lenzuolo che le lasciava scoperti il volto e le braccia. I suoi occhi color nocciola, che erano il mio confine, il mio inizio e la mia fine, erano chiusi. I capelli biondi le ricadevano ad accentuare il suo viso pallido. Le sue sottili labbra erano bianche e screpolate. La cicatrice di un taglio, inizialmente molto profondo, le attraversava la guancia sinistra. Le braccia, collegate a diversi fili e tubi che monitoravano la sua situazione e le assicuravano cibo e acqua le ricoprivano il rispettivo braccio. Ma in quello destro si potevano notare altri segni della violenza subita: lunghi e profondi tagli le attraversavano il braccio, come se qualcuno l’avesse sezionata e poi ricucita. Le ferite visibili erano quelle già cicatrizzate, le meno profonde, mentre altre erano coperte dalle bende mediche. Avevo avuto il coraggio di guardare il suo corpo sotto quel lenzuolo una sola volta; nessuno meritava una tale violenza.

Ogni mio pensiero fu spazzato via. La razionalità e il sangue freddo che di solito mi distinguevano scomparvero trasportate da un vortice di sensazioni che non riuscivo a controllare. “Perché?” continuavo a chiedermi nella mia mente, un pensiero convulso, una domanda che non avrebbe mai avuto risposta. Tutto ciò che avevo dinnanzi ai miei occhi non era nemmeno lontanamente razionale, non era il ragionamento di qualcuno che poteva essere definito uomo, non erano i suoi gesti.
Mi avvicinai lentamente, troppo scosso e in preda a sentimenti contrastanti. Sarei potuto diventare una bestia con la giusta persona fra le mani. Mi feci spazio fra le macerie di quella stanza. Tutto era sottosopra come se ci fosse stata una violenta scossa di terremoto. Jasmine giaceva inerme sul letto matrimoniale al centro della stanza. Era pallida come la neve, piena di ferite e contusioni e dalle sue braccia legate per i polsi alle sbarre della parte anteriore del letto, c’era del sangue raggrumato. Così in tutto il resto del corpo, peino di tagli diversamente profondi, a eccezione dei polsi dai quale il sangue continuava a sgorgare bagnando la corda che li legava. La slegai con l’ultimo briciolo di conoscenza che mi restava e la strinsi fra le braccia. Non  mi importava nulla del mondo, di quello che sarebbe successo dopo, non mi importava che qualcuno arrivasse: lei era morta, e non sarebbe dovuta andarsene senza di me. Cominciai a sussurrare il suo nome, finchè non ebbi l’ultima forza di volontà per poterlo urlare al cielo.


La violenza di quella scena mi permise di capire davvero tutto. Ogni mio ‘perché’ aveva una risposta, come lei mi aveva sempre insegnato.
Ma tanti sentimenti contrastanti presero possesso della mia mente, del mio corpo.. e del mio cuore. Si, il mio cuore. Forse non ce l’avevo neanche più quel cuore, era andato perso con lei e se ancora c’era, io non lo sentivo. Forse dormiva, dormiva nell’attesa di ricominciare a battere quando mi sarei deciso a ricominciare a vivere come le avevo promesso. Lo sentivo cadere a pezzi ogni giorno che passava. Una metà era andata con lei, e l’altra aspettava di essere guarita. Ma solo il suo sorriso e i suoi occhi sempre lucidi dal pianto ma sorridenti, avrebbero potuto guarirlo. Si, perché lei piangeva sempre. Piangeva perché si emozionava, o piangeva quando rideva troppo.. piangeva soprattutto quando non riusciva a salvare gli altri. Ma aveva portato tutto via con sé. Pian piano, lentamente.
Aveva portato via la felicità, i sorrisi, le lacrime, il mio cuore, la mia vita.. ma soprattutto, la speranza.
Aveva portato via tutto, meno che il dolore. Quello c’era sempre. Quando pensavo di poter ricominciare una volta per tutte, quando pensavo di poter andare avanti senza di lei.. il dolore tornava senza neanche chiedermi il permesso. Come per dirmi che non potevo dimenticarla, che non dovevo dimenticarla.
Come per ricordarmi che ero morto con lei.
Ritornava. Sempre più forte, e prendeva ogni singola parte di me, non lasciandomi scampo. Ma stranamente, con Elisa, il dolore ero riuscito un po’ a respingerlo. Non era più un pugnale che mi trapassava il petto, ma solo una ferita che sanguinava. E questo mi spaventava, non volevo dimenticarla, non volevo stare bene con qualcuno che non fosse lei. Questo finchè non era arrivata Elisa. Lei che mi aveva fatto paura, perché attenuava il dolore, mi faceva sorridere; la ragazza con cui avevo condiviso il mio dolore, in silenzio. Elisa, l’ennesima persona per cui Jasmine aveva dato la vita.

Nessuno conosceva i miei più segreti pensieri, ciò che veramente provavo, neanche Niall. Quella mattina di due mesi fa era stato lui a trovarmi, disteso sul letto accanto alla mia ragazza, scosso e tremante. Aveva chiamato lui i soccorsi. I medici ci avevano portati subito in ospedale, Jasmine trasportata d’urgenza per un istantaneo intervento e io in stato di shock. Mi ero ripreso, anche se lo psicologo e i ritorni di quegli sprazzi di memoria non me li toglieva nessuno. Avevo vissuto in quel posto, aspettando che lei si svegliasse. Era in coma, le percentuali che tornasse a vivere erano poche, ma non avevo permesso loro di staccare quella stramaledetta spina che era la sua e la mia unica salvezza. Non avevo sperato altro che si svegliasse, ma tutto mi aveva già abbandonato quando arrivò Elisa per la prima volta. Ricordavo il dolore di quel fatidico giorno, il dolore dei giorni successivi, ricordavo il sole che erano stati Elisa e Niall, e se ero qua, era per loro, per me e per il mio amore.

-Non finirà, non finirà qua, te lo prometto. Gli consegnerò quel diario, anche se ne farei a meno. Lo amavi, ti fidavi di lui.. ma in fondo, in quale persona non trovavi qualcosa di buono? Non sei mai riuscita a serbare rancore, mio piccolo tesoro. Adesso so.. so che per tutto questo tempo non ti ho davvero ascoltata e mi dispiace, ma sono qui per rimediare. Ho trovato.. ho trovato quel certificato e.. ho paura,lo sai?- le sorrisi. –Ho tanta paura a lasciarti andare e mi dispiace di non averti trovato prima quella sera. Mi dispiace di non essere arrivato in tempo, mi dispiace di essere rimasto al tuo fianco senza riuscire a fare nulla. Ma non devo avere rimpianti, non è così? Fino ad ora ho pensato che uno stupidissimo cellulare potesse contenere il nostro amore, potesse ricordarci, ma mi sbagliavo. So di aver vissuto ogni istante che tu mi regalavi ed è l’unica cosa di cui vado fiero. Due mesi sono pochi, ne sono consapevole, ma tu non vorresti essere.. qui. Bene, mio amore, adesso ti libero. Ristabilisci quel confine, dona vita, perdona, ama, vivi. Fa quello per cui sei nata: dona speranza. E aspettami, soprattutto questo-. Mi avvicinai e posai un ultimo sguardo su di lei. Mi poggiai a baciare le sue labbra fredde, ricordando il calore che le caratterizzava una volta. Un’ultima lacrima attraversò il mio volto per posarsi sul suo.
I wanna be last, baby let me be your last,
your last first kiss

Quella sera c’erano tutti quando diedi la notizia:
Jamsine aveva firmato perché i suoi organi venissero donati alla sua morte.

Quando diceva di voler dare la vita per le persone che amava, non scherzava mai e sapevo che avrebbe voluto così. Elisa aveva bisogno di un nuovo cuore e non mi preoccupai neanche di venire a sapere se fosse compatibile, perché ero già sicuro che fosse così. C’erano Niall, Zayn, Louis ed Harry quella sera. Li abbracciai e chiesi loro scusa, ma soprattutto ringraziai il maggiore. Aspettammo in sala d’attesa mentre Elisa veniva portata via per l’intervento. Ci sarebbe voluto molto tempo e i medici consentirono a Niall di starle vicino. Zayn non mi lasciò andare neanche per un secondo, parlammo e mi disse che alla fine avrei capito, che si era sempre fidato di me e che mi avrebbe aiutato. Nessuno dei miei amici parlò di quanto fossi stato stronzo, capivano. Mi dissero invece che quella era la decisione migliore che potessi prendere e ne ero consapevole, ma già la sentivo troppo lontana. C’erano anche i suoi genitori, e i miei.


Il giorno dopo Niall uscì dalla sala, il volto cinereo. Ci alzammo tutti quanti con la tensione che ci rodeva le budella. Non avevo esitato neanche in quell’istante che tutto stesse andando per come doveva andare, che era giusto così. Niall sorrise e io ne ebbi la conferma. Corse fra le mie braccia, in lacrime e quelle mi ripagarono e perdonarono di tutto e per tutto.

Quando qualche giorno dopo fu possibile fare visita ad Elisa, tutti ci precipitammo in stanza e io la vidi. Mi piacerebbe dire che vidi il sorriso di Jasmine, il calore dei suoi occhi o che sentii il battito del suo cuore che andava a ritmo con il mio; mi piacerebbe anche affermare che sentii la sua presenza e percepii il suo amore; l’unica verità era che non fu così. Nessuno fece qualche particolare statua a Jasmine o tanto meno la fece ritornare in vita, ma vidi tutto ciò che per ora poteva rincuorarmi almeno un po’. Vidi Elisa sorridere di nuovo, era serena e felice anche se molto provata. Jasmine le aveva salvato la vita, come faceva con tutti e sapevo che adesso risiedeva da qualche parte dentro Elisa e non mi riferivo al suo cuore. Ho già detto che non credo a queste cose, intendo dire che Elisa le sarebbe stata grata per quella seconda vita ed era un premio migliore di qualsiasi statua o riconoscimento. Capii tante cose quel giorno, anche se non diventai più saggio né smisi di pormi domande, ma sicuramente sapevo che era quello il posto in cui dovevo trovarmi, con quelle persone. E capii la differenza fra le due ragazze, le parole di Niall, il confine che Elisa, arrivando, aveva segnato: tra vita e morte, amore e amicizia, lei e Jasmine, me e Niall, mare e cielo.


Ricordo ancora quando Niall le si avvicinò, sorridendo e piangendo contemporaneamente, la strinse a sé e poi la baciò candidamente.
Era il loro primo bacio, e anche se i primi baci non si dimenticano mai, quello non lo avrebbe dimenticato nessun presente in quella stanza, perché era finalmente quel punto di unione impossibile fra cielo e mare. L’ultimo e il primo bacio.



 

Spazio Boo!
Hellooo everyone.. faccio schifo con gli spazi autore, ma okay xD non è proprio da essere felice, però.. però..
è da tantissimo tempo che lavoro a questa storia e fra alti e bassi, adesso ci sono. Ho cambiato diverse volte la mia idea iniziale, anche perchè non avevo una vera e propria idea.. però c'è una cosa. In questa storia c'è l'amore di due persone che viene spezzato, e uno dei due (Liam) perde tanto a causa di questa situazione, tanto da sembrare il fantasma di sè stesso, e io so cosa vuol dire sentirsi in quel modo. Tutto questo è provocato da qualcuno che la ragazza, Jasmine, amava ed ha continuato ad amare anche dopo quella che gli ha fatto. Spero si sia capito che Charlie è il suo ex ragazzo, colui che l'ha portata alla morte. Non so il perchè di questa violenza che le ho fatto subire (in realtà lo so :') ) ma come Liam soffre dentro, Jasmine ha sofferto fuori, prima di morire. Spero si sia capito il miglioramento di Liam tra l'inizio della storia e la parte finale, perchè è cambiato, grazie ad una persona che arriva (Elisa) di cui non può detenere la proprietà, ma che a modo suo ama, e che è stata l'inizio di una nuova vita per Niall e il confine tra il passato e il presente di Liam.
La scena Lilo *^* che ho iniziato a shippare da poco.. l'ho amata (forse perchè amo Louis in qualsiasi circostanza)..
e poi, vi ho annoiato abbastanza, anche se non credo che qualcuno arriverà mai a questo punto, ma okay xD
Io ci ho provato, vi aspetto comunque. Lots of love..
J xx

P.s. Ringrazio Federica per il banner e soprattuto due dei miei tesori stupendi che non sanno di essere le protagoniste del banner :* e soprattuto Grazie alla mia Elisa che con la sua dolcezza ha permesso questa storia e Jasmine, forte e caparbia. E Doriana.. che è dentro questa storia, in ogni riga, ma non lo saprà mai :') Mi scuso per aver trattato un argomento così delicato come la morte di una persona cara, il mio scritto non era rivolto ad offendere nessuno
  
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