Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: check_for_double_meanings    06/09/2014    5 recensioni
AU contemporanea in cui Jean e Marco vivono felici yay (*˘︶˘*)
-Marco si portò le mani a coprirsi la bocca, con gli occhi sgranati. Tratteneva il respiro e tremava tutto. Quando riuscì a formulare una frase di senso compiuto, spostò le mani e la voce gli uscì in un soffio. “Non so cosa dire..”
“Che ne dici di un ‘si’?”-
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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 SAY 'YES'


Jean Kirschstein era l'emblema dell'ansia. Con un enorme sacchetto in mano, la borsa del pc del lavoro su una spalla, il respiro affannato e una mano ad allargare il nodo della cravatta, mentre saliva le scale della sua villetta. Era una bella casa, appena costruita in un nuovo complesso abitativo, con un piccolo giardinetto e un portico ampio, dove qualcuno aveva tirato fuori la sua vena romantica e aveva sistemato vasi riempiti di rose. Quel qualcuno non era Jean, ma bensì il qualcuno con cui condivideva la casa.

Arrivato davanti alla porta di casa infilò la mano nella tasca dei pantaloni per prendere le chiavi, tastando anche con discreta forza, ma senza trovarle. Cercò nella giacca, invano, avrebbe anche cercato nella borsa del pc se non avesse saputo che di sicuro non potevano stare lì perché ci aveva messo qualcosa di infinitesimamente più importante. Si allentò ulteriormente il colletto della camicia, imprecando animatamente nel buio della sera ormai calata, ma senza trovare le chiavi.

Mentre ancora frugava nei pantaloni, sudando come un husky in agosto nonostante fosse piuttosto fresco, la porta si aprì di fronte a lui.
Un ragazzo moro e pieno di lentiggini gli sorrise e subito gli gettò le braccia al collo, dandogli un bacio sulla guancia e cinguettando felice "Bentornato!". "Hei" si limitò a rispondere Jean, mentre gli cingeva la schiena con il braccio libero e sorrideva, più rilassato.
Quando sciolsero l'abbraccio, Marco fece tintinnare le chiavi di Jean davanti al suo volto, sorridendogli paziente, avendo rivissuto quella scena per l'ennesima volta. "Erano nella tasca del cappotto, come sempre. Come faresti senza di me?"
Jean gli rivolse uno sguardo riconoscente, avvicinando il viso al suo, dandogli un bacio leggero, "Semplicemente non farei."

Jean guardò Marco pieno d'ammirazione. Era fresco di doccia e profumava di pulito, come sempre, un profumo misto di felce e tè bianco. Era già in pigiama, costituito da una canotta grigia e dei larghi pantaloni femminili grigi ricoperti di coniglietti rosa. Glieli aveva regalati Jean dopo che li avevano visti in un negozio d'intimo insieme e a Marco erano piaciuti, e nonostante dovesse essere solo uno scherzo, ora li indossava seriamente usandoli come pigiama. Il tutto era completato da dei calzini di pelo con stampati degli occhi e una felpa enorme che in passato era stata bianca, ma ora aveva un colore indefinito simile ad un viola stinto. Gli sorrideva con quegli enormi occhi scuri e il suo sorriso smagliante, mentre lo invitava ad entrare.

Jean appoggiò il sacchetto e la borsa del pc sulla panca nell'ingresso mentre Marco gli appendeva il cappotto all'attaccapanni.
"Hai preso la cena, magnifico, perché manca pochissimo e inizia Masterchef." Jean si girò e vide che Marco aveva preso il sacchetto. Lo ispezionò a lungo e senza staccare gli occhi dal contenuto della busta iniziò ad interrogare Jean.
“Le fajitas sono tagliate a cubetti invece che a strisce?”
"Certamente."
“Carote?”
“Neanche l’ombra.”
“Patatine?”
“Spicchi aglio e pepe senza cipolla.”
“Salse?”
“Pico de Galo, senape e source.”
“Verdure?”
“A parte, naturalmente.”
“Sei fantastico.” e finalmente si decise ad alzare la testa dal sacchetto.
Jean lo guardò un po’ sorpreso un po’ compiaciuto e Marco gli si rivolse ancora con un viso gentile. "Di là sistemo io, tu vai a farti una doccia. Però fai in fretta perché tra poco inizia e io sto morendo di fame!", e sparì in sala.

Esattamente dieci minuti dopo Jean tornava in sala nel suo maglione rosso con stampato un hamburger sorridente e i suoi pantaloni verdi, pulito e profumato, pronto a sporcarsi e inquinarsi con le porcherie che aveva comprato. Seduto sul divano con le sue amate alette di pollo in salsa barbecue, insieme a Marco che, praticamente sdraiato, mangiava le verdure in ordine cromatico, sentenziava sull’aspetto dei piatti mentre il ragazzo con i pantaloni a conigli faceva espressioni buffissime ogni volta che gli chef se ne uscivano con insulti sempre più pesanti per i concorrenti indifesi.
“Non credo che se qualcuno mi urlasse addosso insulti tanto pesanti riuscirei a rimanere ad ascoltarlo e continuare ciò che sto facendo.”
Jean non si scompose, alzò semplicemente un sopracciglio e rispose con un mezzo sorriso “Non mi sembrava che l’altra sera in camera con tutte quelle borchie e quella pelle addosso ti dispiacesse poi tanto.”
Marco avvampò all’istante e girò di scatto la testa spiazzato da quella risposta. “È diverso!” disse con voce stridula, poi si schiarì la voce e usò un tono con cui sembrava voler convincere più se stesso. “Sono due ambiti completamente separati e quella è una personale perversione privata che non ha niente a che fare con il mio rapportarmi con le persone. Per cortesia.”
Jean annuì per assecondarlo con un poco convinto “Mh mh..”

Dopo che ebbero finito di mangiare in un quasi continuo silenzio imbarazzato, il programma finì e Marco si alzò per portare in cucina le confezioni vuote e i piatti sporchi. L’ansia di Jean tornò al galoppo, chiedendosi se fosse quello il momento giusto, se fosse la scelta giusta o avrebbe rovinato il loro rapporto, se fosse pronto ad un tale cambiamento, se fosse una notte di luna nuova, se gli dei gli sarebbero stati propizi, se i pianeti fossero allineati nel modo giusto, se un calendario maya avesse una data precisa per quell’evento, se la Palla n°8 gli avrebbe dato un consiglio utile una volta nella sua vita. Ma l’ansia scemò via quando Marco ritornò con una confezione di gelato al cioccolato belga in una mano e un cucchiaio nell’altra. Naturalmente avrebbe mangiato direttamente dal barattolo. Ma come riusciva a contenere tanto cibo?

Marco sorrise a Jean, prima di girarsi e adagiarsi sgraziatamente addosso a lui ridendo come un bambino. Jean sbuffò sotto il suo ingombrante peso e Marco si irrigidì di colpo, spostandosi a lato ed esibendo un faccino triste e rendendo Jean confuso. Solitamente Marco gli si sarebbe spalmato addosso commentando ogni scena del film che avrebbero guardato con la bocca impastata di gelato rendendo incomprensibili le sue parole.
“Ti prego di essere sincero, Jean. Non aver paura di ferire i miei sentimenti dimmi solo la verità.”
Jean non aveva idea di cosa stesse succedendo e di cosa stesse parlando, ma annuì. Marco prese un respiro profondo prima di iniziare a parlare con un grande sforzo.
“Ti sembro ingrassato?”
Marco era molto serio mentre Jean aveva sospirato roteando gli occhi esasperato.
“Marco, ascoltami.” Iniziò Jean, ma Marco interruppe subito con un fiume di parole.
“Perché ho incontrato Becky ieri e mi ha detto che sto invecchiando come tutti e con la vecchiaia si diventa grassi perché si fa una vita monotona e se non ci si sistema con qualcuno prima di ingrassare si è persi ma io non voglio che tu mi lasci perché sono grasso anche perché effettivamente la mia maglia blu con le tigri che mi hai regalato non mi sta più e non posso pensare che mi lasceresti perché non sono più bello come quando eravamo giovani insomma,” prese aria prima di riprendere a parlare “sono ingrassato?”
Jean non aveva intenzione di ridere, perché sapeva che Marco era davvero preoccupato per la cosa, ma non riuscì a farne a meno. Gli posò una mano dietro al collo e gli fece avvicinare il viso al suo per baciarlo, perché era l’unico modo per farlo calmare veramente, le parole non servivano a nulla, e non era bravo come lui con esse. Quando lo sentì rilassarsi si fermò e lo guardò teneramente, tenendogli la mano dietro al collo, facendole fare piccoli movimenti oscillatori per accarezzarlo.
“Innanzitutto, no, non ti trovo ingrassato. In secondo luogo, Rebecca è tua sorella, dovresti conoscerla meglio di me e dovresti sapere che si diverte a prenderti in giro anche perché tu, mio piccolo insicuro credulone, le dai corda. Non sei vecchio, hai vent’otto anni, sei un uomo e possiedi il corpo di un uomo, anche se quello che c’è dentro sembra più una dolce ragazzina, fattene una ragione. E quella maglia te l’ho regalata quando non stavamo ancora insieme, avremo avuto si e no quindici anni, è normale che non ti stia più. Ma sei uno splendore, credimi.”
Marco sembrava essersi iniziato a calmare, e ora sfoggiava il suo sorriso timido e le sue guance lentigginose leggermente arrossate.
“Quindi ora vieni qui che ti faccio due coccole e mangia tutto il gelato che vuoi, che anche se sembra impossibile ti fa diventare ancora più dolce di quanto tu sia di norma.”

Il ragazzo con i pantaloni a conigli lo abbracciò di slancio, ma senza appoggiare prima il gelato e il cucchiaio, non sia mai, e ritornò allegro come prima. Si sedette accanto a Jean e si appoggiò con la testa alla sua spalla con le gambe incrociate, mentre Jean con un braccio gli cingeva le spalle e gli accarezzava il petto, baciandogli la testa di tanto in tanto.
Pochi minuti dopo Marco giaceva di traverso sulla pancia di Jean, con le gambe piegate come un uccello, continuamente percorse dalla mano di Jean che le accarezzava incessantemente, le mani impegnate a scavare nella confezione fredda con il cucchiaio, che il più delle volte riforniva la sua bocca, ma talvolta varcava anche le labbra di Jean, che con un braccio appoggiato sopra lo schienale, tremava ogni volta che il cucchiaio, sotto la guida spensierata di Marco, cozzava gelido contro i suoi denti sensibili.
“Mi chiedo come tu faccia a mangiare tutta questa roba a quest’ora senza sentirti male di notte. Io prevedo un mal di stomaco che mi terrà sveglio fino all’alba.”
Marco rispose quasi rattristato alla battuta di Jean.
“Mi sono abituato, essendoci costretto da mesi ormai. Hai iniziato a tornare a casa più tardi e non hai più cambiato orario. Non mi piace aspettare così tanto prima che tu arrivi ma l’importante è che torni sempre e a me va bene così.”
A quel punto Jean si decise a farsi coraggio e farlo, per poter spiegare una volta per tutte le ore di straordinari, tutti i suoi sforzi per avanzare di grado in ufficio e la smania di risparmio che gli era presa da un po’ di tempo a questa parte. Fece un respiro profondo e chiese a Marco di spostarsi per poter scendere dal divano e andare a prendere una cosa.

Sudava freddo, aveva i brividi, davvero, e aveva una paura immensa, ma il desiderio e l’amore che provava per Marco battevano ogni incertezza. Estrasse un piccolo pacchettino verde acqua legato con un nastro di raso bianco dalla borsa del lavoro, e si mise in piedi di fronte al divano dove Marco stava leggermente preoccupato, e aveva spento la tv.
“Tutto a posto? Mi sembri un po’ pallido.” Disse Marco lievemente agitato.
“Ti prego non odiarmi.”
“E perché mai dovrei..” le parole si fecero man mano più sussurrate come vide Jean inginocchiarsi di fronte a lui e mostrargli una piccola custodia di Tiffany, inspirando un grande quantità d’aria prima di sorridergli e iniziare a parlare.
“Penso che questo sia una spiegazione valida ai miei assurdi orari di lavoro.” Disse in un mormorio, quasi stesse parlando a se stesso, con lo sguardo basso. “Questo è l’ultimo mese che ti farò aspettare per me, ho raggiunto gran parte dei miei obiettivi, quindi..”
Alzò gli occhi e li fissò nei suoi, lucidi almeno quanto i propri. “Amo la nostra vita e non ci rinuncerei per nulla al mondo. Voglio chiedertelo qui, sul nostro divano dopo aver guardato un orribile talent e aver mangiato cibo messicano da asporto, perché io non voglio altro. Se tra cinquant’anni saremo ancora qui, nella nostra casa, e ti troverò ad accogliermi con un abbraccio quando tornerò a casa, tu con dei pantaloni a conigli e io a farti le coccole come un gatto, a prendere in giro la tv e discutere di quel diavolo di tua sorella, io sarò ancora l’uomo più felice del mondo.”
Marco aveva stretto le labbra e dai suoi occhioni scuri iniziavano a sgorgare inesorabili lacrime che non sarebbe mai riuscito a fermare.
Jean allungò una mano sorridendogli e appoggiandogli il palmo sulla guancia, fece scorrere il pollice sul suo zigomo ad asciugargli le lacrime. “Hei, hei, va tutto bene.” Aveva un sorriso rassicurante e la voce ferma, solo un po’ incrinata dall’emozione. “Marco, sii forte. Su, dai. Sii uomo, proprio come tua sorella.”

Marco non trattenne una breve risata, forse nervosa forse spontanea per la brutale sincerità, annuì tirando su col naso, e Jean ritirò la mano e riprese a parlare.
“Sei il mio vero, unico, eterno amore. Non posso immaginare il mio futuro con qualcuno che non sia tu, davvero non desidero altro perché non potrei chiedere di meglio.”

Marco continuava a piangere, singhiozzando in cerca d’aria, pensando a quanto fosse fortunato ad avere l’amore di un ragazzo come Jean, che a volte rischiava di dare per scontato.
In un lampo gli passò davanti gli occhi la ora concreta realtà di un futuro insieme a Jean. Dei bambini, le urla a tenerli svegli di notte per controllarli, un cane, le discussioni per chi deve portarlo a passeggio all’alba nel gelo dell’inverno, le vacanze insieme, pranzi orribili sulla spiaggia rovinati dalla sabbia. Ogni opzione era perfetta, gli sembrava il suo angolo di paradiso personale, insieme a Jean, a prendersi cura l’uno dell’altro, a potersi chiamare ‘famiglia’. Poterlo fare per il resto della sua vita.

Jean vedeva l’emozione di Marco, aveva provato lo stesso e lo provava anche in quel preciso istante, lo comprese e anche a lui scappò qualche lacrima. “Penso che se provassi a rimanere qui a finire per intero tutto il discorso che mi ero preparato mi sverresti a neanche la metà per iperventilazione, quindi non mi dilungherò molto.”
Aprì la piccola custodia che teneva in mano e scoprì un anello a fascia sottile, di oro bianco, con un castone luminoso in mezzo, ad unire le due estremità, un piccolo diamante.
“Marco Bodt, ragazzo con indosso gli assurdi pantaloni da donna con i coniglietti rosa stampati sopra, mi vuoi sposare?”
Marco si portò le mani a coprirsi la bocca, con gli occhi sgranati. Tratteneva il respiro e tremava tutto. Quando riuscì a formulare una frase di senso compiuto, spostò le mani e la voce gli uscì in un soffio. “Non so cosa dire..”
“Che ne dici di un ‘si’?”
Marco scoppiò di nuovo in un pianto disperato e annuì energicamente. Non riusciva a controllare il suo respiro, né tanto meno la sua parola, quindi mentre Jean gli prendeva delicatamente la mano, le dava un bacio, e infilava al suo anulare l’anello, non riusciva a far altro che piangere lacrime d’immensa gioia e guardare il suo sogno diventare realtà davanti ai suoi occhi.
Quando ebbe fatto, Marco gli gettò le braccia al collo e, nel mezzo di quell’abbraccio, pian piano uscirono dei respiri, che si fecero sempre più alti finché si trasformarono in chiari ed udibili ‘si’. Ma non un paio, molti di più.
Jean si era sciolto momentaneamente dalla morsa per prendere posto sul divano, dove venne assalito nuovamente da Marco, che continuava a ripetere come un mantra ‘si, Jean, si, si, Jean, si, Jean, si, si, si, Jean, si’, mentre le sue braccia lo cullavano e la sua voce lo addormentava.

E fu così che successe, Marco si addormentò tra le sue braccia, dopo avergli promesso ciò che per sempre lo avrebbe reso felice. Naturalmente Jean aveva iniziato a mettere da parte qualcosina anche per il matrimonio, per il loro futuro, per tutto. Perché in fondo conosceva già la risposta che avrebbe ricevuto. Perché con quella promessa, con Marco addormentato tra le sue braccia e un futuro da vivere insieme, tutto lo sfiancante lavoro che aveva fatto, le sue figuracce davanti alle commesse della gioielleria, le sue insicurezze, erano svaniti nel nulla.
Perché gli bastava Marco, e la sua vita valeva la pena di essere vissuta.



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