Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn
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Autore: musa07    06/09/2014    4 recensioni
" Dino ci aveva proprio preso gusto ad insegnare. Ecco perché aveva accettato l’incarico fino a fine anno scolastico. E questo voleva dire che sarebbe partito in gita con la classe della quale era responsabile. Alias quella di Tsuna e company. Non stava più nella pelle!
- Che bello. In gita! – stava proferendo felice per l’ennesima volta da quando si era svegliato quella mattina ed era stato malamente scaricato da Kyoya a casa Sawada, dato che il Disciplinare non era più in grado di reggere i suoi farneticamenti ..." (dal cap.1)
Ciaossu^^ Dopo l'angst, dopo la 3Some PWP, approdo nuovamente al mio habitat naturale: lo slice of life soooooo romantic, oh yes!
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Dino Cavallone, Enma Kozato, Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dubbio mio e della Terry: ma se Tsuna ed Enma lo fanno quando sono in Hyper Mode, che numeri vengono fuori? Ahahah
Tonikaku: capitolo fluffosissimo. Avevo troppo bisogno di immergermi nello zucchero filato.
Ancora una volta, un grazie di cuore a Terry che oltre a sopportarsi i miei vaneggi stalkeranti, ha anche betato questo chappy a tempi di record <3
 

 
“Un vincente trova sempre una strada, un perdente trova sempre una scusa”
 
 
 


CAPITOLO 2
 
Il suono martellante della sveglia lo colse impreparato.
Dino annaspò parecchio prima di riuscire a capire che cosa fosse la fonte di disturbo prima, e da dove arrivasse poi.
- La sveglia … - biascicò, mentre un braccio uscì dal tepore delle coperte alla ricerca dell’aggeggio infernale.
- Perché ho come la sensazione di esser appena andato a dormire? – si stava interrogando perplesso, mettendosi a sedere e scostandosi da davanti agli occhi una ciocca di capelli dorati che gli stava stuzzicando la punta del naso. – E perché fuori è così buio? –
Già queste due cose avrebbero dovuto suonargli come campanello d’allarme, se non fosse stato così stordito dal sonno.
Gettò un’occhiata al suo compagno che pareva dormire quietamente.
Recuperando la sveglia da terra, il suo sguardo si addolcì e fu quasi tentato di accarezzare quei capelli neri tanto amati. E l’avrebbe fatto se la sua attenzione non fosse stata catalizzata da un altro piccolo particolare …
- Kyoya! Perché hai messo la sveglia all’una di notte?! – esclamò scioccato.
- Hn! Perché è l’ora della ronda. – fu la scontata replica dell’altro, detta come se fosse un’ovvietà e mettendosi a sedere sul letto, sveglio e pronto ad agire.
Dino lo guardò con tant’occhi.
- Perché è l’ora della ronda? – ripeté allibito, prima di stendersi nuovamente e tirarsi su le coperte, spegnendo la luce.
- Io non ho intenzione di fare proprio nessuna ronda – esclamò il biondo deciso – Mi fido dei miei studenti. –
- Hn! E fai male! -  
Dino dovette soffocare una piccola risatina, perché non voleva assolutamente dargli soddisfazione, attendendo che si alzasse dal letto. Nemmeno uno come Hibari Kyoya, alias il terrore dei sette mari della Namimori, poteva esser così stoico da sfidar il freddo glaciale che si trovava al di fuori del tepore delle coperte.
Attese un po’, Dino, prima di iniziare a punzecchiarlo.
- Allora? – ruppe il silenzio, portando una mano sotto la testa – Questa ronda? –
Kyoya rimase imperterrito a fissare il soffitto, supino. In silenzio.
- Kyo-ya? – cantilenò il biondo divertito, lanciandogli un’occhiata divertita e mettendosi di fianco.
- Hn! Te l’ho detto: io son qui con l’unico scopo di controllare che tu non combini più di tanti casini. Di quella massa di erbivori, sei responsabile solo ed unicamente tu. – grugnì, mettendosi a sua volta di lato, ma dandogli le spalle. E anche se non lo poteva vedere in volto, Hibari si sarebbe scommesso l’anima col Diavolo che le labbra dell’altro si erano curvate in quel loro sorrisetto sghembo impertinente.
Trattenne il respiro quando udì il frusciare delle lenzuola, segno che il suo compagno si stava avvicinando a lui. Si sforzò di rimanere concentrato sul suono del vento che, fuori, ululava malignamente, quando un braccio di Dino lo circondò per attirarlo a sé. Ovviamente fu un vano tentativo stoico il suo. Quando aveva quel biondo inetto a meno di cinque metri di distanza – cioè sempre! – sentiva che ogni giorno un po’ del suo stoicismo crollava miseramente.
- Quindi Kyoya, se ho ben capito, e correggimi se sbaglio, tu sei qui con l’unico nobile scopo di badare solo e unicamente a me? –
- Stai rigirando quello che ho detto a tuo uso e consumo. – lo piccò, facendolo scoppiare in una piccola risatina smorzata sulla sua spalla. Cosa che gli procurò i brividi.
- Come sempre. – ridacchiò Dino, cominciando a depositargli una piccola scia di baci, partendo dalla spalla per arrivare all’orecchio.
-Esatto. Come fai sempr … - cercò di sbottare, ma una mano infingarda dell’altro lo fece sussultare nel momento in cui gli sollevò la maglia e andò a depositarsi all’altezza dell’ombelico. Sul quale le dita del biondo iniziarono a giocherellare.
- Cavallone, smettila! -
- Oh, no. Adesso ripaghi del danno fatto – ridacchiò ancora – mi hai fatto svegliare all’una di notte? E adesso mi intrattieni. –
Un sospiro sconsolato di Kyoya; quello che faceva sempre dentro di sé quando sapeva di non aver nessuna buona carta in mano.
Per pura e semplice ripicca, lo gelò con lo sguardo nel momento in cui Dino lo fece scivolare sotto di sé. Peccato che lo sguardo che aveva in quel momento il biondo, lo fece letteralmente sciogliere …
 
 
Con ancora il cuore che ringhiava rabbiosamente nel petto di entrambi, e con Kyoya ancora in una fase idilliaca di limbo post orgasmico - che permetteva al giovane boss italiano di tenerlo acciambellato sul suo petto - Dino fissava il soffitto pensieroso.
Indeciso sul da farsi, si sforzava di non badare al ticchettio della sveglia.
- Nee Kyoya … - iniziò titubante.
- Cosa? – replicò l’altro, percorrendo con la punta dell’indice l’arzigogolarsi delle fiamme nel  tatuaggio sul corpo del suo compagno.
Hibari ne era sempre rimasto letteralmente rapito, fin dal primo momento in cui l’aveva scorto in tutta la sua interezza.
Ma Dino tacque.
- Cosa? – domandò Kyoya nuovamente, sollevandosi sul gomito a fissare il volto dell’altro. Si staccò dal corpo di Dino a malincuore, perché – anche se non l’avrebbe ammesso mai neanche sotto tortura – si stava divinamente accoccolati su quel corpo ancora bollente.
Dino piegò le labbra in un leggero sorriso. Sorriso che si sarebbe potuto dire imbarazzato, mentre si accarezzava distrattamente l’addome che ancora portava i segni della loro unione.
Buttò fuori l’aria prima di iniziare a parlare.
- No ecco, vedi … come dire … e non mi fissare così, dai! – lo rimproverò innocentemente, lanciandogli il cuscino addosso. Cuscino prontamente schivato da Kyoya, per poi imprigionargli i polsi sopra la testa. Cosa che fece sgranare gli occhi a Dino, esterrefatto.
- Cosa mi devi dire, Cavallone? Mi inquieta quando non riesci a trovar le parole. – gli sibilò sulle labbra.
Dino sbuffò, liberandosi dalla morsa e riposizionandolo sopra al suo petto. Cosa che Hibari, incredibilmente, si lasciò fare.
- Ecco, la questione è che ... sento che quando lo facciamo ti piace … -
Kyoya inarcò un sopraciglio scioccato. E vorrei ben vedere che per te sia una cosa chiara, pareva dire quel sopraciglio.
- … e che quindi non è che ti debba obbligare, né ho la sensazione che lo fai contro voglia … -
Nuovamente, Hibari si issò dal corpo dell’altro e lo incatenò nei suoi occhi grigi.
- Ma? – lo invitò a parlare con lo sguardo.
- Ma … - biascicò Dino – Ma mi piacerebbe che ogni tanto fossi tu a prender l’iniziativa. Che qualche volta cominciassi tu a baciarmi, spogliarmi … – spiattellò alla fine, imbronciando la bella bocca.
- HAH?! – esclamò l’altro sbigottito, sgranando gli occhi.
Che cazzo di richiesta è mai questa?, stava pensando allibito dentro di sé Kyoya. Già era a dir poco allucinante ripensare, dopo, a tutti gli ansimi e i gemiti che l’altro gli aveva fatto scappare dalla gola. Figurarsi esser lui a prendere l’iniziativa!
- Mi sembra che, tra i due, basti già tu a prendere l’iniziativa. – annaspò, forse per la prima volta in vita sua. Era quello che lo fregava nel suo rapporto con Dino. Che questi fosse imprevedibile. E che se ne uscisse con quelle richieste assurde e bislacche nel cuore della notte. Dopo aver fatto l’amore tra l’altro! Cioè nel momento in cui uno si trova in un limbo di pieno e totale rincoglionimento.
- Kyoya … - tentò di difendersi Dino – … è che mi piacerebbe sentirmi desiderato da te. –
E quello sguardo tentatore in quegli occhi marroni, fece imbrigliare ulteriormente Kyoya. Dino non solo era la persona alla quale teneva di più al mondo, ma anche la cosa più preziosa che la vita gli avesse donato. Oltretutto, per lui – a differenza del loquace compagno – non era per niente facile esprimere le sue necessità.
- Idiota! – lo beccò inviperito – Ovvio che ti desider … -
“Ma porca merda!” imprecò dentro di sé dopo essersi bloccato, quando vide il sorriso raggiante dell’altro illuminargli il viso. Nel panico del momento, aveva abbassato la guardia. “Ma guarda cosa mi fa dire ‘sto maledetto inetto!”
Sarebbe stato un gioco da niente mettere su uno sguardo truce dei migliori, ma Dino glielo impedì, imprigionandolo per i polsi e impedendogli di girarsi dall’altra parte. Nulla gli proibì, però, di emettere quello che sembrava in tutto e per tutto un grugnito.
- Ti amo, lo sai? – gli sussurrò dolcemente Dino sulle labbra, facendolo avvampare come ogni volta. Proprio non gli riusciva di reggere l’espressione di quegli occhi marroni.
- … ch’io … - farfugliò, spiandolo di sottecchi.
- Eh? Non ho capito. – si divertì a punzecchiarlo il biondo, beccandosi una mazzata giù per la testa.
- Crepa! -
Dino scoppiò a ridere, vedendo come il suo adorato amore si distese di lato, dandogli nuovamente le spalle, tirandosi su le coperte fin sopra la testa. Chiaro segnale che per lui la discussione era conclusa.
La risata si tramutò in un dolce sorriso, a ripensare al loro amore. Al loro amore che era fatto di inossidabile fiducia, di incrollabile certezza della presenza l’uno dell’altro.
Con un piccolo sospiro, si posizionò dietro l’altro, circondandolo con le braccia.
Abbraccio al quale Kyoya rispose, passando le braccia sopra alle sue e stringendosi ad esse.
 
 
Nel frattempo, a poche stanze di distanza, Tsuna ed Enma – da poco rientrati dopo esser stati a chiacchierare giù nella hall dell’albergo insieme ai soliti noti – si stavano dando le spalle, dubbiosi, fissando ognuno il proprio letto …
Erano grati a Dino per averli messi in camera insieme, ma questo voleva dire che si sarebbero trovati loro due da soli a dormire per la prima volta da quando … sì, da quando si erano dichiarati.
Entrambi erano ben consapevoli del fatto che, proprio alla luce di questa loro confessione, non sarebbe stata la stessa cosa rispetto alle volte precedenti in cui si erano ritrovati a dormir insieme nella stessa stanza da soli.
Enma cercò di far meno rumore possibile nel momento in cui buttò fuori un grosso espiro, che stava ad indicare la sua agitazione. Ovvio che durante le lunghissime e tedianti ore scolastiche, per evitare di cascare a terra fulminato dal sonno, qualche volta aveva fantasticato su una situazione del genere, ma ovviamente nelle sue fantasticherie ad occhi aperti, il nervosismo e, magari, una punta di imbarazzo, non erano mai contemplati. Solitamente quei momenti di empasse erano superati seduta stante.
“Merda!” salmodiò dentro di sé, sperando in un aiuto. Sarebbe andato bene anche un aiuto sovrannaturale. Qualsiasi cosa che avrebbe deciso per loro come proseguire quell’attimo. Perché il suo dubbio fondamentalmente era uno solo: chiedergli o non chiedergli di dormire insieme? Sì, dai: nello stesso letto, tanto per farla breve. Da un lato avrebbe voluto, dall’altro temeva, nell’ordine, primo: che Tsuna lo prendesse per un maniaco assatanato, secondo: che una parte recondita di lui si potesse davvero trasformare in un maniaco assatanato.
“ Arghhh! Che casino!”
- Enma? –
Saltò, quasi avesse avuto le molle, quando la voce di Tsuna lo raggiunse. Che avesse deciso lui per tutti e due?
Deglutendo a vuoto, si girò verso l’altro, sforzandosi di sembrar il più tranquillo possibile.
- S-sì? – tartagliò, accarezzandosi la nuca.
- Vai tu in bagno per primo? –
- Eh? Ah, in bagno sì … No no, tranquillo: vai pure tu intanto. – lo invitò, rendendosi conto nel momento in cui lo vide sparire oltre la porta che, andando per secondo, la decisione finale sull’agire sarebbe spettata a lui.
- Nooo! – proruppe in panico.
°° Enma, tutto bene?°° chiese Tsuna da dentro, preoccupato da quell’urlo inquietante.
- Sì, sì … - piagnucolò lui.
E quando uscì a sua volta dal bagno dopo essersi lavato i denti, trovò Tsuna seduto sul suo letto a gambe incrociate, ad attenderlo.
Sarebbe stato di sicuro d’aiuto se almeno uno dei due fosse stato solito sfogare il proprio nervosismo parlando a raffica, ma loro due, così simili per carattere, non poterono far altro che sorridersi, fissandosi negli occhi, come a voler capire cosa macchiavellasse la testa dell’altro.
“Che cosa devo fare?” pensò sempre più in panico, mettendosi a sua volta seduto sul suo letto, di fronte a lui.
- Spegniamo la luce intanto? – si fece coraggio a chiedere.
“Perché hai detto intanto? Così sembra quasi che implichi il fare qualcos’altro dopo. Con la luce spenta poi. Oh no!” valutò il rosso dentro di sé. Era proprio un disastro, non c’era che dire.
E mentre lui era perso in queste edificanti elucubrazioni, Tsuna si sporse tra i loro letti, a spegner la luce. Nel momento in cui, per un attimo, prima che i loro occhi si abituassero, nella stanza ci fu buio, Enma avrebbe potuto giurare che il suo sospiro si era perfettamente sincronizzato con quello di Tsuna.
“Che accoppiata che siamo!” pensò dolcemente divertito. E nella stanza ci fu solo silenzio. Ma un silenzio che non pesava assolutamente. Soprattutto nel momento in cui, sporgendosi verso il bordo del letto, Tsuna raggiunse la sua mano con la propria. A quel contatto, Enma si elettrizzò, e poco aveva a che fare con i loro anelli (vd. KHR ch. 285)
Sollevò gli occhi verso quelli castani del Decimo boss Vongola, ed entrambi sorrisero nuovamente. Forte del coraggio dell’altro, si alzò dal proprio letto – sempre tenendosi per mano – e lo raggiunse sul suo, sedendosi l’uno al fianco dell’altro, e Tsuna gli appoggiò la testa sulla spalla. Quella era una cosa che aveva fatto anche nel pomeriggio, durante il viaggio in autobus e che faceva sempre quando erano soli. Gli piaceva un sacco quel gesto. Pur nella sua semplicità, gli trasmetteva un senso di intimità e calore assurdi. Istintivamente, si girò quel poco che bastava per posargli un bacio sulla fronte.
Tsuna sgranò gli occhi per un attimo, dolcemente sorpreso, per poi sospirare beato e chiudere gli occhi, assaporandosi il calore del braccio di Enma.
- Andrai a correre anche queste mattine? – gli chiese, mormorando, per non spezzare quella magia.
- Dovrei, ma spererei di no … - fu la sua risposta sibillina, visto che a Tsuna non aveva mai detto che le sue corse mattutine erano volte a scacciare i demoni della notte, ma il Juudaime – forte del suo super intuito Vongola – si mise per un attimo sull’attenti, per poi chiudere nuovamente gli occhi. Si fidava di Enma, ciecamente!, e sapeva che se doveva dirgli qualcosa, gliel’avrebbe detta quando se la sarebbe sentita.
“Che sia questa la fiducia incrollabile che hanno due persone che si amano?” si chiese Tsuna.
- Che vento assurdo! – spezzò il silenzio Enma dopo un po’, sentendo come le raffiche, fuori, si stessero abbattendo con implacabile malignità, frustando le fronde degli alberi.
- Hum, fa impressione … - bisbigliò Tsuna, e stavolta fu il turno del Boss Simon a rizzar le antenne. Gli lanciò un’occhiata guardinga.
“Sarà mica che  …” pensò dentro di sé, quando lo sentì aggrapparsi ancora di più al suo braccio in seguito ad una raffica più potente.
- Tsuna? – lo chiamò, mentre gli circondava le spalle con un braccio e si posizionava di fronte a lui – Ti mette ansia? – gli chiese, il più delicatamente possibile. Conosceva perfettamente quella sensazione. D’altra parte, come non avrebbe potuto?
- Hum-hum … - confessò l’altro, sollevando lo sguardo verso di lui, sorridendo per schernire se stesso. Era una cosa assurda, ne era perfettamente consapevole, ma sentire il vento ululare in quella maniera gli metteva i brividi. Così come gli mise i brividi, ma di tutt’altro genere, il sorriso dolcissimo che l’altro gli dedicò.
- Anche a mia sorella faceva un’angoscia pazzesca. – gli rivelò Enma, facendogli scivolare le mani sulla schiena ed iniziando ad accarezzarlo. Cosa che Tsuna fece altrettanto, trovandosi a stringerlo, per non fargli pesare in alcuna maniera il ricordo della sorella. A che razza di dolore cieco e sordo è dovuto sopravvivere?, si trovò a pensare addolorato, stringendolo ancora di più a sé. Ed Enma, grato, gli affondò la testa sull’incavo della spalla, mentre lui prese a passare le dita tra quelle ciocche rosse, beandosi di quella morbidezza.
- Ti … ti somigliava? – si trovò a chiedere, formulando la domanda in un mormorio e trattenendo il fiato ad attendere la reazione dell’altro. Non voleva arrecargli dolorosi ricordi, ma voleva che con lui si sentisse libero di sfogare ogni cosa.
- Per niente! – ridacchiò Enma divertito – Io non assomigliavo a nessuno della mia famiglia, nemmeno ai miei nonni. A casa mia, nessuno aveva gli occhi e i capelli rossi come i miei … -
E la sua voce si spense in un mormorio malinconico.
“Beh” avrebbe voluto dirgli Tsuna, ma si trattenne “per forza: tu sei la copia vivente di Cozzato Primo.” e si limitò a stringerlo ancora di più.
- E lei come superava il panico? – gli chiese invece.
Enma piegò le labbra in un piccolo sorriso sghembo. Beh, un aiuto insperato era alla fine arrivato, si trovò a pensare.
- Veniva a dormire con me. – disse semplicemente, e Tsuna lo sentì sorridere sulla sua spalla al ricordo di quel momento di dolcezza tra fratelli - Mi ricordo che non facevo neanche in tempo a chiamarla, che la sentivo arrivare di soppiatto e intrufolarsi sotto le coperte, per poi stringersi forte a me. –
Il Juudaime trattenne per un attimo il fiato, e quasi non riconobbe la sua voce quando parlò.
- Enma, pensi che funzionerebbe anche con me? – chiese in un mormorio, attendendo. E la risposta dell’altro non si fece attendere.
Enma sollevò il volto verso il suo.
- Io, credo proprio di sì. – replicò, e lo sguardo tremendamente serio che aveva in quel momento era lo specchio di quello di Tsuna. La risposta di quest’ultimo fu quella di passargli le mani sulla nuca e annullare la distanza tra i loro volti, facendo sfiorare le loro labbra. Così come Enma aveva fatto la sera prima.
Dei piccoli baci schioccati presero presto il posto dello sfiorarsi. E ad ogni schiocco, il cuore martellava maggiormente nel petto di entrambi, mentre, inconsciamente, i corpi si avvicinarono; mentre le gambe da incrociate si aprirono per permettere ai corpi di aderire meglio, scivolando l’uno verso l’altro. Dettato da quest’istinto, Enma – nel momento in cui Tsuna cercò aria – lo afferrò per la maglia attirandolo nuovamente a sé  per legarsi nel loro primo vero bacio.
Le punte delle lingue, dapprima si scontrarono impacciate, facendoli irrigidire per un istante, ma molto presto anche loro si mossero dettate dall’istinto.
Fu come ogni primo bacio, un mix di titubanza, imbarazzo, dolcezza unica che cercava di trasmettere tutti i sentimenti che si provano, che ti fa fermare giusto quell’attimo prima di aver varcato la soglia del punto di non ritorno. Si staccarono giusto quell’istante prima, per non rovinare tutto. Nessuno dei due aveva fretta e volevano godersi appieno ogni singolo momento di quella loro storia. Socchiusero gli occhi nello stesso identico istante, sorridendosi appena, per poi appoggiare la fronte l’una sull’altra, abbracciandosi.
- Andiamo sotto? –
- Sì … -
Due sussurri, due mormorii.
Velocemente i due s’intrufolarono sotto le coperte del letto di Tsuna, rabbrividendo al contatto con le lenzuola gelide, manifestando il loro dissenso per poi – una volta che si erano distesi l’uno di fronte all’altro – abbracciarsi nuovamente.
Con la testa affondata nella spalla di Enma, l’ululare del vento arrivò a Tsuna via-via sempre più ovattato, coperto dal suono del battito cardiaco dell’altro.
E Tsuna, molto presto, avrebbe scoperto il perché di quella sua particolare fobia …
 
 
 
Hayato, sul finir della giornata, indossava sempre gli occhiali da vista per far riposare gli occhi.
E questa sua abitudine stuzzicava le fantasie più perverse di Takeshi.
- No, tienili. – lo pregò lo spadaccino nel momento in cui lo vide fare il gesto di sfilarseli.
Con ancora le dita appoggiate sulla montatura, Hayato gli lanciò un’occhiata enigmatica. Sapeva a cosa l’altro stava pensando. Sorrise, scuotendo la testa, guardandolo mentre riponeva con cura i vestiti sul letto che loro avevano decretato come guardaroba. Nemmeno si erano scomposti nel decidere quale letto occupare o da chi. Molto semplicemente si erano guardati una volta messo piede nella stanza, per decidere se andava bene ad entrambi dormire in quello vicino alla finestra.
L’altro letto non era stato nemmeno contemplato.
Con pochi passi, Takeshi lo raggiunse, sovrastandolo in un attimo, con i soli boxer addosso e una leggera maglietta a maniche corte che usava per dormire. Hayato, sorpreso, arretrò di un passo, andando irrimediabilmente a sbattere contro la sponda del letto. Perdendo l’equilibrio e trascinandosi dietro l’altro. Lo spadaccino scoppiò a ridere di gusto, beccandosi la solita serie di insulti. Insulti che furono arrestati dalla bocca del suo idiota del baseball che si posò sulla sua con  insolita irruenza.
Takeshi era sempre dolce, all’inizio, ma si erano dovuti trattenere tutto il santo giorno. A differenza di quando erano a scuola, niente fughe verso i bagni imboscati del terzo piano, niente terrazza, niente spogliatoi del club di baseball … Niente di niente per potersi sfogare in qualche maniera. E loro due, ancora prima di mettersi insieme, checché ne dicesse Hayato, smaniavano sempre dalla voglia di mettersi le mani addosso. Di baciarsi. Di far sentire all’altro, anche in questo caso, tutto l’amore che provavano l’uno per l’altro.
E quella sera non fece eccezione. Hayato, attorcigliando i lembi della maglia di Takeshi lo attirò a sé mentre si trovavano ancora legati nella loro ingordigia, finendo distesi l’uno sopra l’altro.
Scostandogli i capelli dal viso, lo spadaccino iniziò la sua lenta discesa sul volto di Hayato. Come sempre, non avrebbe tralasciato neanche uno sprazzo di pelle del suo adorato. Peccato che questi non fosse proprio per niente d’accordo. Tirandolo malamente per i capelli castani, lo costrinse a sollevare il volto e a dedicarsi ancora alle sue labbra.
Le bocche si legarono di nuovo, le gambe s’intrecciarono le une con le altre, sfregando le erezioni l’una sull’altra, strappando un miagolio ad entrambi, costringendoli a staccarsi giusto il tempo di riprendere quel fiato che, in quell’istante, si erano sottratti l’uno con l’altro. Ma il guardarsi negli occhi, ansimanti, e vedervi riflessa la propria bramosia fu loro fatale. Scostandosi appena l’uno dal corpo dell’altro, iniziarono a spogliarsi freneticamente, lanciando i vestiti a terra.
- Tienili. Per favore … – lo pregò ancora una volta Takeshi, nel momento in cui vide che Hayato fu lì-lì per togliersi gli occhiali. E anche se avesse voluto, il Guardiano della Tempesta non avrebbe potuto non accontentare l’altro dato il tono che aveva usato. Quel tono indegnamente osceno che usava sempre in quei momenti. E che gli veniva maledettamente spontaneo.
Delicatamente, Takeshi si posizionò tra le sue gambe, rubandogli un ultimo leggero bacio a fior di labbra.
Takeshi era sempre così. Dolce, ma anche terribilmente sensuale. E non lo era stato solo la loro prima volta. Era una cosa che, come Hayato aveva sospettato appena conosciuto, gli era propria di natura. E d’altra parte, se il sorriso è lo specchio dell’Anima di una persona, quello di Takeshi faceva presagire chiaramente come potesse essere in quei momenti.
E lo spadaccino impazziva, letteralmente, a star dietro ai mugolii del suo adorato e ai suoi occhi turchesi resi liquidi dall’eccitazione. Era una cosa che, le prime volte, lo costringeva sempre a doversi fermare per non venire troppo presto. Ovvio era che per lui – buono e generoso di natura - nel momento in cui lo facevano, prima veniva il piacere di Hayato e solo successivamente il suo.
E anche quella sera non fece eccezione. Anche se fu dura per lui, nel momento in cui scivolò delicatamente dentro l’altro, trattenersi dall’iniziare a lasciarsi andare da subito a spinte vigorose.
Hayato, sotto di lui, vide perfettamente i muscoli delle braccia del suo innamorato tendersi fino allo spasmo e di come dovette  mordersi il labbro inferiore per trattenersi, a fatica.
- Merda! – biascicò Takeshi, trattenendo il fiato. Ok che si erano dovuti trattenere tutto il giorno, ma in fin dei conti l’avevano fatto solo un giorno prima l’ultima volta!
- Takeshi … - lo chiamò dolcemente Hayato e lui socchiuse gli occhi.
- E’ per colpa tua ovviamente. – si permise di prenderlo in giro lo spadaccino, nel momento in cui l’altro gli posò una leggera carezza sulla guancia. Come sapeva esser dolce anche Hayato, quando erano loro due da soli. In quei momenti, in cui si mettevano a nudo completamente, e non solo in senso letterale del termine, ma soprattutto in senso figurativo.
Takeshi baciò quel palmo che si trovava ancora appoggiato sul suo volto, nel momento in cui l’altro, scivolando con il bacino verso il suo, gli andò incontro nelle spinte.
- Non trattenerti … - gli bisbigliò Hayato.
- E quando mai lo faccio? – lo prese nuovamente in giro bonariamente.
- Idiota! – fu la scontata replica, che li fece scoppiare a ridere.
Era in quei momenti, quando il suo adorato amore mugolava e salmodiava il suo nome, che le paure e i timori di Takeshi si dissipavano come bolle di sapone nell’aria.
E poi ci fu spazio solo per loro due …
 
 
Sarà stato, per Tsuna, il fatto che, per la prima volta, stava dormendo abbracciato ad Enma; sarà stato, per Kyoya, il fatto che si trovava a condividere l’ambiguità della notte sotto lo stesso tetto degli altri, ma quella sera, anche i sogni di loro due si tesserono ai ricordi dei loro predecessori …
E con loro, come ogni notte, anche Enma e Hayato …
 
 
G. osservò Cozzato sparire tra le fronde degli alberi. Silenzioso così come era arrivato.
E i suoi sensi acuti e animaleschi gli avevano già rivelato anche la presenza di qualcun altro che si era trovato, suo malgrado, ad assistere alla loro conversazione.
Ancora prima di veder le braci della sigaretta irradiarsi nel buio della notte, nel momento in cui girò sui tacchi per rientrare a Residenza Vongola, l’arciere percepì la presenza di Alaude.
Quando il primo Guardiano della Tempesta gli fu a fianco, senza che l’uno volgesse lo sguardo verso l’altro, il biondo parlò.
- Avrete bisogno che qualcuno vi copra il gioco. –
Pronunciò, con il suo tono di voce basso ed avvolgente, mentre socchiudeva gli occhi azzurri irritati dal fumo della sigaretta, aspirando l’ennesimo tiro.
G. si permise un piccolo sospiro silenzioso, cacciando a forza le mani nelle tasche. Non aveva ancora capito quando il suo istinto gli aveva detto e spiegato che di Alaude si poteva fidare ciecamente.
Gli lanciò un’occhiata fugace, senza dirgli una sola parola, prima di avanzare oltre.
Non appena uscì dal piccolo boschetto e si trovò davanti all’entrata della Residenza, scorse Giotto circondato dal solito milione di gatti. I quali, a forza, reclamavano le sue attenzioni e le sue coccole.
Sorrise dolcemente e, a quella visione, la piccola ruga che aveva sentito solcargli la fronte, si appianò come per magia. Questi erano i poteri di Giotto.
E non appena il biondo lo vide, si alzò in piedi e gli andò incontro sorridente. E lui non poté far altro che rapirlo in un abbraccio quando fu ad una distanza ravvicinata.
(per fortuna di Hayato, G. gli risparmiava sempre altri particolari della loro vita di coppia. Già era abbastanza imbarazzante così!)
 

Fu solo quando i Guardiani Simon erano arrivati a Residenza Vongola chiedendo se Cozzato si trovasse lì, che Giotto collegò il fatto di come Alaude si fosse prodigato a fargli assolutamente vedere alcuni rapporti nel momento in cui si stava rendendo conto che non vedeva G. da un bel po’, cosa praticamente insolita. Dato che generalmente erano calamitati l’uno verso l’altro.
Udendo nel silenzio della stanza solo il ticchettare dell’orologio a pendolo e il mugghiare del forte vento che si era alzato sull’avanzare della notte, il boss Vongola incastrò perfettamente i pezzi.
- Alaude – lo chiamò indietro il Primo nel momento in cui lui era pronto per uscire dallo studio, calcolando che G. e Cozzato dovevano ormai esser quasi arrivati alla loro meta.
Si fermò, con ancora un dito intrufolato nel nodo della cravatta, pronto ad allentarsela. Sospirò greve prima di girarsi e affrontare lo sguardo dell’altro. Sguardo che, come aveva già presagito dal tono imperante della voce, non aveva niente a che fare con il solito.
Gli occhi dorati di Giotto lo fissavano seri e, né sulle labbra, né tantomeno nella sua espressione, c’era traccia della solita seraficità. D’altra parte, si trattava del suo innamorato e del suo miglior amico. In una parola, le persone più importanti della sua vita.
Per sfortuna del Primo, Alaude era uno abituato al più glaciale e distaccato sangue freddo. Toccò a Giotto, infatti, iniziare a parlare.
- Tu sai dove sono andati – sibilò, muovendo un passo verso l’altro e la sua non era una domanda, ma un’affermazione - e per un motivo che ignoro, li stai coprendo. -
La maniera in cui si stava muovendo verso di lui, lenta e sinuosa, avrebbe fatto indietreggiare anche il più valoroso ed indomito dei guerrieri, ma Alaude non arretrò di un passo. Continuò a fissarlo. A fissare quel volto praticamente perfetto, quella cravatta allentata che si poggiava pigramente sul tessuto della camicia, i polsini di quest’ultima aperti e arrotolati sui gomiti.
- Non starò qui a chiederti le motivazioni, mi basta solo che tu mi dica dove sono diretti. – continuò mantenendo una freddezza che metteva i brividi.
- Mi spiace, ma ho dato la mia parola. – proferì semplicemente, congedandosi. O almeno cercando di farlo, ma l’occhiata che gli lanciò l’altro, lo fece fermare, girandosi verso di lui di trequarti.
- Alaude, chi è che prende le decisioni qua dentro? – esclamò con tono imperante, erigendosi ulteriormente. Non aveva usato l'espressione “comanda”, ma era fin troppo chiaro.
E il messaggio arrivò forte e diretto ad Alaude, e ora anche i suoi occhi azzurri emanavano bagliori. Si girò completamente verso l’altro.
- Quando mai io ho preso ordini da te? – gli sibilò contro.
Nessuno dei due cedeva allo sguardo dell’altro. Né arretrava di un passo. Poi il sorriso e il sereno tornarono sul volto di Giotto e placarono Alaude.
- Alaude, per favore. – si limitò ora a chiedergli il Primo, allargando le braccia, in segno di armistizio e alleanza.
Il Guardiano sospirò mestamente. Preferiva di gran lunga quando Giotto imponeva la sua autorità – come raramente succedeva – perché così era in grado di gestirlo. Non di certo quando era calmo e serafico. E sorridente.
Ancora prima che lui proferisse parola alcuna, il Primo capì che aveva già capitolato.
- E per favore, vieni con me … - lo pregò questi, sorridendogli timidamente.
Alaude imprecò dentro di sé.
- Ecco perché non vi sopporto, voi che vi muovete in branco in preda ai vostri sentimentalismi. – bisbigliò infastidito, scuotendo la testa seccato. – Dai, muoviamoci allora. Dobbiamo guadagnare terreno. –
- Grazie. – gli sussurrò Giotto, sinceramente grato.
- Hn! – fu la scontata replica.

 

Continua …
 
 
Clau: Settembre è arrivato … l’estate è finita … l’estate non c’è mai stata … non riuscirò mai ad arrivare a Giugno anche per quest’anno … mandatemi un collega come Dino e allora, forse, potrei anche farcela …
Goku: Oh, mamma: stavolta è andata veramente! Presto: che i Vindice vengano a prendersela.
Clau: Hum … almeno là avrei tanto tempo da dedicare solo ed unicamente a me stessa^O^
Tsuna&Goku: -___________-
Clau: No, davvero: son così scioccata dal fatto che sia già Settembre un’altra volta, che non so cosa dire.
Goku: Ohh! È arrivata la fine del mondo?! Davvero sei senza parole?
Clau: Goku, a sentire te, sembra che io parli sempre a vanvera …
Tsuna: Ehm …
Clau: Juudaime, tu quoque?T_T Vabbè, facciamo un nuovo gioco?
Goku: Ecco, lo sapevo! Era troppo bello per durare.
Lambo: KYAKYAKYAAAAKAYYYAAA. Anche il grande Lambo-san vuole giocare.
Goku: Ahhh, annamo bene …
Clau: Dunque, pensavo di giocare al gioco “se fosse …”
Goku: Che gioco è? Non lo conosco.
Tsuna: Sì, nemmeno io.
Clau: Perché l’ho appena inventato.
Goku: Non è assolutamente vero.
Clau: Ahahahah
Goku: Non ridere.
Clau: Vabbè, proseguiamo. Facciamo un esempio: tipo, se Lambo fosse una verdura, che verdura sarebbe?
Clua&Goku&Tsuna: Il broccolo!
Clau: Ecco, siamo tutti d’accordo. Perfetto!
Lambo: Ma …
Clau: Se Lambo fosse un aggettivo, quale aggettivo sarebbe?
Clua&Goku&Tsuna: Pedante!
Clau: Ohh! Siamo nuovamente d’accordo …
Lambo: Ma uffi! Non è per niente divertente questo gioco! >____<
Clau: Ah, ecco! Se Lambo fosse un gioco, che gioco sarebbe?
Goku: Il Monopoli.
Clau&Tsuna: Perché?
Goku: Perché è noioso e inconcludente.
Clau: Hum … vero …
Lambo: T_T
Ryohei : Ohh, ohhh. Posso provare anch’io ?
Clau: Certo Onii-chan^^
Ryohei: Se Lambo fosse una pianta, che pianta sarebbe?
Clua&Goku&Tsuna&Ryohei: Carnivora.
Lambo: HUUUUAAUUUUUU T_T Cattivi!!
Ryohei : E’ divertentissimo all’estremo questo gioco AHAHAH
Lambo: Proprio per niente!
Ryohei: Continuiamo?
Clau: Claro que sì^^
Ryohei: Se Lambo fosse un organo umano, che organ …
Tsuna: Ahehm, Onii-chan, fermiamoci qui per questa volta.
Ryohei: Uffi, perché? Vabbè, la prossima volta, le domande le fate su di me^O^?
Goku: Testa a Prato, trovi davvero divertente questo stupido gioco?
Ryohei: Certo!
Clau: Tiè Goku: incarta e porta a casa. Bleahhh :P
Tsuna: -_____- Ma dove siamo, alle elementari?
Clau: Juudaimeeee, non mi parlare di scuola T_T
 
 
   
 
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