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Autore: hapworth    07/09/2014    1 recensioni
Lo faceva per Makoto, questo sì, ma anche per se stesso in realtà: voleva che sapessero – come settimane prima anche i Tachibana avevano saputo – che era innamorato di Makoto.
[Makoto/Haruka] ~ Seconda classificata al Free! Flash contest indetto da aturiel
Genere: Malinconico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Haruka Nanase, Makoto Tachibana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Edit del 11/10/2020: storia revisionata.

La storia ha partecipato al
Free! Flash contest indetto da aturiel.
Scritta tempo fa per la terza Notte Bianca organizzata dalla pagina
No ma Free lo guardo per la trama eh.
E niente, volevo solo postarla perché mi andava. L’ho riguardata un pochino, anche se senza modificare granché se non due o tre parole per renderla più scorrevole e qualche distrazione. In ogni caso eccola.
Buona lettura!

hapworth

Prompt dalla Notte Bianca #3: “I genitori di Haruka - ricchissimi e snob - non approvano la sua relazione con Makoto.” di Aika Morgan


Rifugio

Erano settimane, ormai, che Haruka aspettava quel momento. In realtà era stato Makoto a insistere per farlo, perché, francamente, a lui non interessava particolarmente: i suoi genitori non erano mai stati presenti nella sua vita, perché avrebbero dovuto esserlo proprio per via di quelle circostanze? Che diritto potevano avere loro di interferire con la sua vita, quando non se ne erano mai interessati, neppure quando era morta la nonna?
Lo faceva per Makoto, questo sì, ma anche per se stesso in realtà: voleva che sapessero – come settimane prima anche i Tachibana avevano saputo – che era innamorato di Makoto.
I genitori del castano non avevano reagito in alcun modo, in realtà; sembrava come se fosse stato qualcosa di atteso, quasi, che il rapporto molto stretto e intimo tra il loro figlio e il suo migliore amico, si tramutasse in qualcosa di più profondo. Il padre di Makoto gli aveva dato la sua benedizione, affermando che avrebbe voluto, a Capodanno, festeggiare tutti assieme – compresi i genitori di Haruka. Ed ecco perché era sorto il problema. Il moro non aveva neppure calcolato l’eventualità di dire a sua madre e suo padre dell’amore che lo legava a Makoto, principalmente perché non erano parte della sua vita; sempre in viaggio, sempre all’estero per lavoro, non avevano mai avuto una parte fondamentale né della sua infanzia, né della sua crescita – a malapena sapevano della sua passione per il nuoto.
Eppure eccoli lì, i coniugi Nanase, in salotto nei loro abiti eleganti che stonavano con la grandezza ridotta della casa nella quale Haruka viveva da sempre – non si sarebbe stupito affatto, se fosse venuto a sapere che i suoi genitori avevano una casa a New York con un altro figlio, al quale riservavano un’educazione severa e da ricchi – senza patire particolarmente il distacco.
Lui e Makoto erano seduti dalla parte opposta del tavolino, seduti composti dopo che il castano aveva preparato il tè sotto indicazione di Haruka – piccolo indizio che faceva intendere quanto fosse pratico della casa.
«Io e Makoto stiamo insieme.»
Eccola, la dichiarazione che voleva fare. Nessun avviso, nessuna premessa, perché non ce n’era bisogno; allungò la mano verso il braccio di Makoto e gli prese la mano nella propria, mostrandola con sicurezza, mentre l’altro avvampava e, allo stesso tempo, si irrigidiva sul posto. Sapeva bene che non avrebbe dovuto dirlo così: i suoi genitori non avevano – le rare volte in cui li aveva sentiti – mai mostrato di avere particolare simpatia per Makoto, chiedendo piuttosto ad Haruka quando si sarebbe trovato una fidanzata o cosa avesse intenzione di fare una volta finite le superiori.
«E questo che significa?!» suo padre aveva battuto la mano sul tavolo, alzandosi indispettito – gli occhiali dal design elegante, quasi quanto il completo, appena più avanti sul naso simile a quello del figlio; sua madre taceva, li guardava in silenzio, ma Haruka ne aveva visto il pallore improvviso. Non ne fu toccato, almeno apparentemente, ma strinse più forte la mano di Makoto.
«Esattamente quello che sembra. Amo Makoto, niente di più.»
Apparve sicuro, nei suoi occhi blu, mentre fissava quelli neri del padre oltre gli occhiali sottili, da uomo severo e senza particolare affetto da regalare, ma stringeva forte la mano del suo ragazzo che, a propria volta, intrecciò le dita con le sue regalandogli un sorriso leggero. Sapeva che non poteva interferire: era lì, proprio come Haruka aveva fatto settimane prima a casa Tachibana, per dargli forza e coraggio, per supportarlo.
«Stai cercando di farci un dispetto, non è così Haruka? Perché se è per questo sappi che non è divertente.» aveva parlato sua madre, ancora seduta; nonostante il pallore stava sorseggiando il tè, apparentemente convinta che fosse uno scherzo o, semplicemente, non accettando la realtà dei fatti.
«No, è la verità mamma. Io voglio stare con lui, potete solo accettarlo.»
«Cosa-»
Erano volati insulti e urla, a casa Nanase quel pomeriggio d’estate, urla in cui persino Makoto aveva la sua parte di colpa, reduce il fatto che avessero insultato il suo rapporto con Haruka e quello che li legava come uno sbaglio e un atto di schifosa attrazione, venuta a crearsi perché Haruka frequentava posti prettamente maschili come la piscina, invece di andare nei locali a divertirsi come tutti i giovani della sua età.
Makoto si era arrabbiato, consapevole che il moro spesso cercava in silenzio un appoggio da parte della sua famiglia, di Ren e Ran, da lui perché c'era qualcosa che non aveva avuto, che era sempre mancata, nella sua vita. I Tachibana erano sempre stati la sua famiglia da quando sua nonna era morta, perché due persone estranee dovevano infierire in una vita della quale si erano disinteressati completamente per sedici anni? Non era giusto.
Se ne erano andati dopo aver ferito Haruka in modo irreparabile, urlando contro cose che un genitore – a prescindere da tutto – non avrebbe mai dovuto dire, lasciando il moro così, senza quel peso che, silenziosamente, si era sempre portato nel cuore.
«Haru…»
«Non fa niente, lo sapevo già.»
Non pianse, si accoccolò semplicemente contro il petto che gli veniva offerto, nella sicurezza di essere amato a prescindere, dalle persone che erano sempre state con lui. Sua nonna lo avrebbe accettato, lo sapeva: aveva sempre adorato Makoto, dunque che gli importava di due persone che non c’erano mai state? Niente. Non doveva importargli nulla della loro opinione.
Rimasero a lungo in silenzio, prima che Makoto prendesse nuovamente la parola, chiamandolo.
«Haru.»
«Mh?»
«Ti amo.» Haruka rimase ancora contro il suo petto, ma il castano sentì distintamente il suono delle sue labbra che, lentamente, si distendevano in uno dei suoi rari sorrisi bellissimi. Se lo perse, perché era troppo impegnato a stringerlo e a baciargli i capelli, mentre il compagno gli rispondeva in silenzio.


Fine
   
 
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