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Autore: _camus_    07/09/2014    3 recensioni
Sembri ancora lontana ed estranea, Sorella Morte, sovrasti come stella gelida al mio destino.
[Il viandante alla morte, Hermann Hesse]

Solitudini che si intrecciano all'ombra del Grande Tempio di Atene: il "prima" e il "dopo" la battaglia delle Dodici Case raccontati attraverso quattro diversi – ma collegati – punti di vista.
Storia completamente revisionata
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Aquarius Camus, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo, Virgo Shaka
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 12, parte I. Maia

Capitolo 12, parte I: settembre 1986. Maia

 

 


Ho sceso, dandoti il braccio, almeno milioni di scale, e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

Eugenio Montale

 

 


Nelle giornate terse non esiste sole tanto brillante quanto quello che splende sul Santuario. Sotto i raggi dell’astro diurno il Grande Tempio rifulge di una luce tutta particolare, che può sembrare bianca, dorata o rossa a seconda della zona in cui ci si trova.

L’aura sacrale che si espande dai Dodici Presidi zodiacali, cuori pulsanti dell’intero sistema, oggi mitiga appena l’atmosfera stranamente serena e lieta proveniente dall’Arena: è mezzogiorno inoltrato, e tutti si stanno recando in mensa o al villaggio per consumare il pranzo prima di riprendere ognuno le proprie occupazioni.

Solo i cavalieri d’oro rimangono ancora ad allenarsi, approfittando dello sfollarsi del campo dei guerrieri di grado inferiore e di giovanissimi allievi; qualcuno di questi ultimi si attarda un momento, con la speranza di assistere ad almeno uno scambio di colpi di quegli uomini i quali, ai loro occhi, assomigliano più a divinità che non a comuni mortali .

Maia, dall’alto delle tribune, sorride dello sguardo ammirato impresso sui volti dei bambini; lo condividerebbe senz’altro, se non fosse che i destinatari di tanta adorazione sono gli stessi ragazzi con cui è cresciuta.

Non che non si lasci anche lei prendere dallo stupore nell’osservarli scontrarsi, talvolta: a dire il vero, le succede spesso di rimanere a bocca aperta di fronte a un’azione particolarmente riuscita. É solo che conosce talmente bene i fautori di tali prodigi da non essere più capace di scindere la persona dal Santo.

Ad esempio, il feroce combattente in procinto di lanciare il proprio colpo scarlatto è lo stesso Milo che, due sere prima, le ha rovesciato addosso la birra di proposito, e il suo bellissimo avversario non è diverso da colui il quale, nel vederla, le regala sempre una rosa e un saluto gentile.

Poco lontano, ecco cadere a terra e rialzarsi fulmineo il più irruento dei guerrieri e il più affettuoso degli amici, Aiolia di Leo; a lui ora si sta opponendo Mu dell’Ariete, potente e amabile in pari misura.

E poi, c’è Camus.

Camus di Aquarius, il gelido e altero Esperto dei ghiacci che per Maia è caldo come il fuoco che arde tra i suoi capelli.

Camus che è fatto di gravità e risate inaspettate, di ferrea risolutezza e indecisione, di dolcezza e distacco; Camus, che un momento prima sembra non basti una vita a decifrarlo, e un momento dopo appare trasparente come cristallo – quando ti dà modo di leggergli dentro.

Se fra i cavalieri d’oro ne esiste uno al quale Maia non smetterà mai di guardare con meraviglia sempre crescente, quello è proprio l’Acquario: come non rimanere incantati dalle scie azzurre dei suoi attacchi, dalla sicurezza che trasuda ogni suo movimento, dal modo fluido che ha di scansare le offese avversarie?

Anche adesso, nell’evitare i ripetuti Sekishiki Meikaiha di Death Mask, pare che danzi.

L’ultimo dei colpi va però a segno e Camus, colto alla sprovvista, cade a terra; Cancer si abbandona allora a una sghignazzata di soddisfazione, poi gli tende la mano per aiutarlo a sollevarsi – lo scontro è finito.

Persino da lassù la ragazza può scorgere la lieve smorfia di disappunto dipinta sul viso del francese, smorfia che tuttavia scompare non appena si volta verso di lei e la vede: al che, come per magia, tutte le ombre si dissolvono e agli angoli della sua bocca spunta un sorriso luminoso.

Maia ricambia con gioia quel saluto, reso ancora più bello dalla spontaneità che l’ha caratterizzato; sta per fargli segno di raggiungerla quando, d’un tratto, la luce del sole si oscura improvvisamente e i dintorni precipitano nell’ombra.

Un violento brivido di freddo attraversa la schiena della giovane greca, che si stringe di riflesso nella sua giacca di jeans e alza un poco impaurita gli occhi al cielo, a cercare la fonte di quel cambiamento climatico tanto radicale. Non trova altro colpevole che una piccola nuvola in transito sopra di loro: una semplice, innocua nuvola bianca sospinta dal vento – che stupida, per un momento ha temuto si trattasse di qualcosa di ben peggiore.

Scuote forte la testa per liberarsi da quella bizzarra sensazione di smarrimento, quindi torna a rivolgere l’attenzione in basso, ma Camus non è più là, e nemmeno nelle immediate vicinanze.

A niente le giova esaminare con apprensione l’intera Arena, soffermando lo sguardo sul campo di terra purpurea, sui gradoni, sulle entrate, persino dietro di lei: Aquarius sembra scomparso nel nulla.

Gli altri, invece, sono ancora nella medesima posizione in cui li aveva lasciati qualche secondo prima; strano che proprio lui se ne sia andato, per giunta tanto in fretta e di nascosto.

Comunque sia, non è affatto il caso di farsi prendere dal panico per così poco… eppure.

Eppure Maia, nell’aria, ora avverte qualcosa che prima non c’era. O, per essere precisi, qualcosa che prima c’era e adesso non c’è più – come un filo che si è spezzato nel silenzio.

Scende svelta le gradinate, cercando di ricacciare indietro la paura.

«Death Mask!»

Il cavaliere del Cancro alza gli occhi dal suo panino, sorpreso e scocciato insieme per l’inattesa interruzione.

«Cosa vuoi? Non vedi che sto mangiando?»

Normalmente quella risposta ai limiti della cortesia l’avrebbe irritata non poco, ma ora ha altro per la testa.

«Sì, scusami. Sai per caso dove sia andato Camus?»

«Camus!?» le risponde Cancer, con una punta di sdegno nella voce «E cosa vuoi che ne sappia io, di Malpelo? Con tutti i suoi amici in giro, perché lo chiedi proprio a me?!»

Maia lo guarda stralunata: sta tentando di prenderla per i fondelli, come al solito. Peccato che abbia decisamente scelto il momento sbagliato.

«Vuoi scherzare?! Solo pochi minuti fa stavate lottando insieme!»

L’espressione dell’italiano si è fatta più strana parola dopo parola, tanto da risultare in bilico fra l’arrabbiato e il divertito; alla fine egli pare propendere per la seconda inflessione, perché scoppia a ridere.

«Pochi minuti fa? Lottare, io e Aquarius?! Maia, ragazza mia,» esclama, allungandole una pacca piuttosto forte sulla spalla «mi sorprendi positivamente: non ti facevo una che beve, soprattutto a quest’ora!»

«A proposito:» aggiunge subito dopo, ghignando «se ti serve un compagno di sbronza, sai dove trovarmi».

Poi le dà la schiena e si allontana, incurante dell’aria sconvolta della sua interlocutrice – la quale, intanto, si sta domandando chi fra i due sia uscito di senno, se lui o lei stessa.

No, non parlava sul serio: Maia li ha visti combattere, ha prestato attenzione alla maggior parte del loro scontro. Death Mask le ha sicuramente detto una sciocchezza, tanto per ridere alle sue spalle.

Bah, non importa: ha semplicemente chiesto alla persona meno indicata, tutto qui. Non c’è assolutamente niente che non vada.

«Camus? No, mi dispiace, non l’ho visto».

«Come non sai dove sia? Io pensavo fosse con te!»

«É strano che Camus salti gli allenamenti quotidiani. Sono l’unica cosa che lo fa uscire di casa di buon grado. Hai provato a chiedere a Milo?»

Nonostante la situazione continui a sembrarle paradossale, al solo udire il nome di Milo l’angoscia di Maia si stempera notevolmente; lui sa sempre dove trovare Camus, quasi abbia una specie di apposito radar. E poi è la persona in cui ella ripone più fiducia al mondo, in qualunque circostanza.

«Secondo me, il principio è il medesimo».

«Ti dico di no! Le nostre tecniche non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra: tu lanci rose velenose, e io… beh, ora che ci penso bene, forse… »

«Milo».

Sentendosi chiamare, Milo distoglie lo sguardo da Aphrodite – col quale sta discutendo di chissà cosa – e si gira verso Maia: ha il chitone da allenamento sporco di terra e un piccolo taglio sulla spalla sinistra. Qualche ciuffo biondo, sfuggito con facilità all’elastico della coda, gli ricade morbido sul petto; curioso come in pochi secondi si possano notare tanti dettagli.

«Maia! Ti ho visto sugli spalti, prima. Non dovresti scendere fin quaggiù, qualcuno potrebbe colpirti per sbaglio. Te l’ho già detto mille vol-»

«Milo, ti devo parlare».

Colpito dalla serietà della ragazza, Scorpio fa un breve cenno al cavaliere dei Pesci e poi la conduce poco più in là, al riparo da orecchie indiscrete.

«Cosa c’è?» domanda, preoccupato «Ti vedo agitata».

«Io-» esita quella, non sapendo bene come spiegargli l’accaduto.

Alla fine decide di non girarci troppo intorno, ed esclama: «Io non riesco a trovare Camus. Un minuto prima era lì, in mezzo all’Arena, e un minuto dopo… puf. Scomparso nel nulla. E la cosa che più mi preoccupa è che nessuno, tranne me, pare averlo visto! Ma lui c’era, ne sono sicura! Ti prego, Milo, dimmi che almeno tu sai dove sia andato!»

«Oh… stai cercando Camus».

Nel dirlo il suo tono ha perso tutta l’enfasi di cui prima era permeato; persino l’espressione del viso è mutata, come se fosse rimasto deluso. Ma da cosa?

«Sì,» conferma Maia, impaziente «te l’ho già detto. Perché, che ti aspettavi?»

Milo fa spallucce e non risponde; continua a fissarla in silenzio, in un modo che la inquieta ulteriormente.  Lo scuote per un braccio, ormai prossima all’isterismo: «Insomma! Lo sai, sì o no?!»

«Sì!» sbotta infine Scorpio, svincolandosi stizzito dalla presa di lei «Lo so. Ma non credo che debba interessarti. Non più, almeno».

«Come?!»

«Oh, andiamo, Maia! Affronta la realtà: Camus non fa per te! É meglio se lo dimentichi».

«Si può sapere cosa diavolo stai farneticando?! Avanti, Milo, non ho più voglia di giocare. Dimmi dov’è Camus! Subito!»

Lui la guarda ancora in quella maniera strana, poi sbuffa: «D’accordo. Se proprio ci tieni, te lo dirò. Però devi giurare che resterà un segreto fra te e me».

La giovane acconsente subito, smaniosa di porre finalmente termine a tutte le assurdità dell’ultima mezz’ora: «Lo giuro».

«Ecco, vedi,» le sussurra quindi complice, tendendo le labbra verso il suo orecchio «io … io l’ho ucciso».

«Che cosa?!»

In un momento normale non avrebbe dubitato nemmeno per un secondo della falsità di quell’affermazione; tuttavia, adesso…

«Ah, non devi ringraziarmi» ammicca Milo «L’ho fatto anche per me, sai? Così ora potremo stare insieme!»

Gli occhi gli brillano di una luce malata – una luce che non mente. L’ha fatto sul serio. L’ha fatto, e ne è pure felice.

Maia si scosta da lui violentemente, inorridita. Ha paura.

«M-ma, Milo… c-come, quando?»

«É stato un gioco da ragazzi; gli altri non se ne sono neanche avveduti. Non penso che faranno domande in proposito» sorride soddisfatto, guardandosi attorno con noncuranza «Camus si riteneva tanto importante, ma in realtà non lo era affatto. É stata sufficiente una nuvola bianca a cancellarlo».

Nel gesticolare, ha alzato le mani – sono mani sporche di sangue.

Dèi del cielo, ha le mani sporche di sangue. Come ha fatto a non accorgersene prima?

La giovane non ha più voce per parlare, né parole per pensare. L’unica cosa che riesce a fare è fissare il suo migliore amico con gli occhi sgranati e il cuore ammutolito d’orrore. Quella nuvola bianca…

«Perché?» esala alla fine.

«Come perché? Perché io ti amo, Maia!»

No, questo è troppo da sopportare. Davvero troppo.

Maia indietreggia ancora, sfuggendo per poco alle braccia che Scorpio ha teso in avanti; il sorriso di lui si è trasformato in un largo ghigno.

Il sangue inizia a colargli dalle dita impregnate, per poi gocciolare a terra con un ticchettio meccanico: fissarlo, voltarsi e iniziare a correre è un attimo.

Le gambe, come animate di vita propria, procedono senza direzione precisa. Al pari della loro proprietaria, vogliono solo allontanarsi da lì – fuggire il più lontano possibile.

«Aspetta, dove stai andando?! Maia! Maia!»

 «Maia!»

«Vi dico che ha aperto gli occhi! È stato solo un momento, ma io l’ho visto chiaramente!»

«Va bene Al, abbiamo capito! Non serve che tu lo ripeta di nuovo!»

Parole lontane la sottrassero pian piano al torpore, senza tuttavia riuscire a squarciare il velo in cui le sembrava di essere avvolta.

Era tremendamente confusa, e quel cicaleccio indistinto non faceva altro che peggiorare la situazione; ogni suono giungeva alle sue orecchie distorto, amplificato a dismisura. Aveva come l’impressione che di lì a breve le sarebbe scoppiato il cranio.

«Abbassate il tono, per cortesia. Nessuno è sordo qui dentro – non ancora» si levò all’improvviso una voce, perentoria. Shaka?

«Maia. Mi senti?»

«Sì, Shaka, ti sento» avrebbe voluto rispondere lei – se solo non avesse avuto la gola così riarsa.

Attraverso le palpebre semichiuse vedeva spostarsi delle ombre a cui non sapeva dare contorno preciso; provò ad aprirle un po’ di più, ma la luce le ferì gli occhi.

«Nessuna reazione, a parte lo sbattere delle palpebre» constatò Virgo da qualche parte sopra di lei «Non riesco neppure a capire se sia sveglia».

«È strano, però. Il dottore ne aveva escluso la possibilità, eppure è febbricitante da quasi due giorni».

«Il dottore si è sbagliato, Mu. Non dubito della competenza del signor Savasta, ma in questo caso pare abbia commesso un errore di calcolo».

Gli strascichi dell’incubo – lo era stato davvero, solo un incubo? – la fecero sussultare appena, nel riconoscere il timbro profondo di Milo.

Che ci facevano tutti lì? Cosa era successo? E perché stavano parlando di dottori e febbre? Non riusciva a comprendere, non riusciva a concentrarsi: la testa le pesava come un macigno.

«Ancora un momento a occhi chiusi» pensò, mentre il buio tornava a circondarla «Solo un altro momento… »

 Luce. Luce che entra dalle finestre spalancate del soggiorno, e che sembra portarsi dietro qualche cosa dello sterminato rettangolo azzurro visibile all’esterno; un sottile refolo di vento fa danzare sui vetri le tende di lino bianco in movimenti delicati e sinuosi.

Maia si guarda attorno meravigliata, tentando di abbracciare l’intero ambiente con un’unica occhiata: sono sempre stati così ariosi gli appartamenti privati dell’Undicesimo Tempio?

«Maia».

Il richiamo la spinge a voltarsi: lo fa lentamente, perché già sa a chi appartiene quella voce – la riconoscerebbe fra mille.

Camus è sulla soglia della piccola cucina, con indosso una maglietta marrone e il migliore dei suoi sorrisi.

«Camus. Sei qui. Sapessi quanto ti ho cercato!» esclama alla fine lei, stranamente rilassata: gli eventi succedutisi appena poco prima adesso sembrano appartenere a una vita passata. L’Arena, la nuvola bianca, Milo... ancora non sa spiegarsi nulla, eppure non le importa più.

Ha trovato ciò che desiderava, e tanto basta.

Aquarius risponde tendendole i palmi distesi; la ragazza li afferra senza esitare, stringendoli come se non volesse più separarsene.

Si siedono lentamente al tavolo, l’uno di fronte all’altra, e rimangono immobili a fissarsi.

I capelli rossi, le labbra sottili, il lungo collo bianco, le piccole lentiggini appena visibili agli angoli del naso: dettagli di Camus che Maia conosce a memoria, ma che ora paiono risaltare maggiormente rispetto al consueto, a rendere la visione di insieme più bella di quanto non sia mai stata. Gli occhi specialmente gli brillano in maniera intensa: le pagliuzze castane scintillano quasi, in mezzo all’iride dorata.

Sarà forse merito di quella luce anomala, impregnata d’azzurro? Oppure sono solo suggestioni dettate dalla gioia di essere lì con lui?

«Sei bellissimo» si lascia sfuggire in un soffio, incurante del leggero astio che il suo compagno nutre verso i complimenti – si sente troppo libera, troppo in pace per preoccuparsi di simili, irrilevanti proforma.

«Anche tu sei bellissima». Nessun mugugno, nessuna smorfia. Incredibile.

É tutto come… come in un sogno.

Camus si sporge un poco in avanti e, staccando una mano dalla presa di lei, le accarezza la guancia: Maia socchiude le palpebre alla maniera dei gatti, godendosi il contatto fresco delle sue dita sulla pelle del volto. Le piacerebbe rimanere lì per sempre.

«Chérie».

A dispetto del nomignolo, stavolta il tono dell’Acquario è suonato più duro; la giovane spalanca gli occhi, di colpo nuovamente all’erta.

«È tempo che tu torni indietro. Gli altri sono preoccupati per te».

«Tornare indietro? Gli altri? Che significa?»

Nel pensare ai loro amici le vengono in mente con chiarezza le parole di Milo, nitide come se fossero appena uscite dalla sua bocca.

«É stato un gioco da ragazzi; gli altri non se ne sono neanche accorti. Non penso che faranno domande in proposito: Camus si riteneva tanto importante, ma in realtà non lo era affatto. É stata sufficiente una nuvola bianca a cancellarlo».

Era stato solo uno scherzo per spaventarla, alla fine.

Eppure, dopo aver visto lo sguardo di Scorpio e posato gli occhi sulle sue mani sporche di sangue, lei non ne è troppo sicura.

«Cam, ascoltami: c’è una cosa che devo dirti. So che ti sembrerà assurdo, m-ma ti consiglio di stare attento a Milo» dichiara, sputando fuori il nome dello Scorpione con estrema fatica.

In risposta, l’Acquario prorompe in una risata composta – non la sta prendendo sul serio, è evidente.

«Camus, non sto scherzando! É complicato da spiegare, tuttavia tu devi fidarti di me! Non l’avevo mai visto in uno stato simile … pareva convinto di averti ucciso!»

«Lo so».

La sicurezza, la noncuranza con cui ha affermato quel “Lo so“ lasciano Maia totalmente spiazzata.

«Come, lo sai? Tu non ti rendi conto-»

«Conosci Milo,» la interrompe lui, tranquillo come se stessero parlando del tempo «sai che tende sempre a esagerare. Dentro di sé è davvero convinto di avermi causato la morte. Starà a te convincerlo che così non è stato: in fondo hai promesso di stargli accanto, ricordi?»

No, Maia non ricorda nulla, non comprende nulla; sente di nuovo crescere l’apprensione e non sa come fermarla.

«Io non so di cosa tu stia parlando».

«Capirai, tesoro: capirai».

Adesso la figura di Camus è talmente avvolta dalla luce da sembrare evanescente – è proprio strano, pensa di sfuggita la ragazza, dal momento che dietro di lui non c’è nessuna finestra.

Aquarius si alza in piedi e lei lo imita spontaneamente, avvicinandosi fino a poterlo cingere per la vita. Il cavaliere ricambia l’abbraccio e la guarda in faccia per lunghi, silenti attimi; infine, mormora: «Ora vai, ti stanno aspettando. Loro hanno bisogno di te più di quanto non ne abbia io».

Un sorriso singolare gli sale alle labbra, un po’ malinconico e un po’ sereno, fatto di rimpianto e consolazione insieme.

«Vai. E non smettere mai di guardare il cielo: io sarò lassù. Veglierò su di te dall’alto, attraverso la luce delle stelle. Au revoir, Maia».

Un’ultima stretta, un ultimo sguardo; poi tutto si dissolve in una nuvola d’azzurro.

«Ca …»

 «… mus».

Fu destata dal suo stesso sussurro, che la riportò alla realtà in modo repentino e improvviso. Un risveglio limpido, pulito, di quelli che spazzano via tutti i resti di sonno.

A rompere il generale silenzio attorno a lei solo il ronzio di una mosca e rumori lontani, quasi impercettibili.

Maia rimase un attimo immobile ad assaporare la strana quiete che la pervadeva: le pareva di aver fatto un bel sogno, pieno di luce, ma non riusciva a ricordarselo.

Quando aprì gli occhi non riconobbe subito il soffitto bianco che attirò il suo primo sguardo, né il vecchio comò di legno scuro alla destra del letto; le ci vollero qualche secondo e il leoncino di peluche sulla scrivania per realizzare di essere nella stanza di Aiolia. Il perché vi si trovasse, però, le rimaneva del tutto oscuro.

Rammentava confusamente di aver avuto la febbre alta e poi più nulla, come se fosse in preda a una specie di amnesia.

«Aiolia» gracchiò, cercando di mettersi eretta «Aiolia!»

Niente. Forse non si trovava in casa; da quel che poteva vedere dalle imposte lasciate socchiuse, fuori era giorno pieno.

«Ai-»

«Maia!»

La porta si aprì di scatto, e Aiolia comparve sulla soglia.

Era senz’altro nato sotto il segno giusto: mai una volta che lo sentisse arrivare, tanto aveva il passo leggero e felpato.

«Maia,» ripeté Leo, andando a sedersi sul letto in modo quasi affettato «quando ti sei svegliata? Come ti senti? É da molto che mi cerchi?»

«Caspita, quante domande!» rise debolmente lei, lasciando che il ragazzo la sollevasse appena per tastarle la fronte «Cos’è, un interrogatorio?»

«La febbre sembra essersene andata: sei fresca» dichiarò ‘Lia, senza raccogliere la battuta; poi, di colpo, l’abbracciò.

«Tu non sai, non sai…  che sollievo… eravamo così in ansia!» continuò, aumentando la stretta a ogni parola «Santo cielo, Maia, abbiamo davvero temuto di perderti!»

Maia, turbata dalla gravità dell’affermazione, scostò un poco il viso per osservare quello del suo amico, che le parve più pallido del consueto: aveva i capelli arruffati e le occhiaie tipiche delle notti insonni. Non era facile sorprendere il cavaliere del Leone – qualsiasi cavaliere, a dir la verità – in un simile stato di evidente stanchezza. Cosa diavolo era accaduto di tanto grave?

Prima che potesse chiedergli alcunché, egli balzò in piedi improvvisamente.

«Devo andare ad avvisare gli altri;» esclamò, lo sguardo rivolto verso la porta «non è necessario che rimangano ancora in pena inutilmente».

Gli altri…

«È tempo che tu torni indietro. Gli altri sono preoccupati per te».

Il bel sogno che rammentava di aver fatto adesso le stava tornando alla memoria velocemente. Quella frase bizzarra… ma dove era Camus, a proposito? Avrebbe dovuto essere lì.

«Aiolia, aspetta:» lo fermò, proprio mentre stava per sparire dalla sua vista «non me ne voglia il resto del gruppo, però… potresti chiamare Camus per primo? Vorrei passare qualche minuto da sola con lui, se possibile. É che l’ho sognato, e-»

A quelle parole Aiolia si girò lentamente, una mano stretta sullo stipite; il velo di tristezza e pietà che gli appannò per un attimo gli occhi verdi le fece gelare il sangue nelle vene.

«Camus?» chiese, smarrito «Maia, cosa ricordi di quanto accaduto, esattamente?»

«Ricordo di essere stata male» rispose la ragazza, con una punta di paura annidata nella voce «E poi, non so… ho l’impressione di avere un gigantesco vuoto di memoria. Ma perché, cos’è successo?»

«Oh, Dèi, aiutatemi,» mormorò Leo a fil di labbra «datemi la forza».

Maia lo guardò tornare a sedersi accanto a lei, senza capire il senso di quell’invocazione; il timore di ciò che stava per sentire la spinse irrazionalmente ad indietreggiare, tanto che si ritrovò con la schiena schiacciata alla tastiera del letto.

«Che è successo, ‘Lia?» lo interrogò ancora, artigliando le coperte che le arrivavano alla vita «E dov'è Camus?»

Di nuovo quella maledetta domanda: non sapeva perché, ma le sembrava di ripeterla da un’infinità di tempo.

Aiolia le prese le mani e l’attirò a sé, nonostante le sue timide resistenze – gesto che, lungi dal rassicurarla, la gettò maggiormente nel panico: aveva visto troppa gente annunciare cose brutte in maniera simile per non allarmarsi.

«Maia… » iniziò il Leone, cauto come se stesse soppesando ogni sillaba «possibile che non ti sovvenga proprio nulla? L’invasione dei cavalieri di bronzo, la scalata, l’Undicesimo Tempio, Hyoga di Cignus… »

Hyoga di Cignus.

Bastò quel nome e ogni singolo dettaglio le si riaffacciò alla mente con un’esattezza indicibile – insieme al freddo. E all’orrore.

Camus allungò un braccio verso l’alto, con impressa nel volto la meraviglia di chi finalmente riesce a vedere aldilà del reale.

«Maia, guarda quella luce… c’est si belle, n’est pas?»

Poi quello stesso braccio gli ricadde su un fianco, e lui non si mosse più.

Quando Maia tornò a guardarlo in viso la luce aveva abbandonato le sue iridi per sempre, lasciandole spalancate a fissare il vuoto in modo quasi grottesco.

Che fine indegna per degli occhi fatti di sole come quelli – che sacrilegio.

In preda allo shock la ragazza si alzò di scatto, privando la testa di Aquarius del sostegno su cui prima poggiava; quel bel cranio sbatté sul duro marmo del Tempio con un tonfo sordo che le strappò un grido di dolore.

«Perdonami, Camus!» singhiozzò, gettandosi di nuovo accanto al cadavere e prendendo ad accarezzargli i capelli «Mi dispiace, mi dispiace… mi dispiace!»

Rimase in tale posizione per un tempo che le parve lunghissimo, senza smettere di toccare quello splendido corpo che non sarebbe mai invecchiato, nonostante il freddo si fosse ormai fatto insopportabile. La parte razionale del suo cervello sapeva che non sarebbe dovuta rimanere lì ancora per molto: le mani le si erano già fatte completamente blu e le gambe erano talmente intorpidite da risultare pressoché inservibili, tuttavia non le interessava.

L’uomo che aveva amato – che amava – giaceva a terra, indifeso, e lei non poteva abbandonarlo proprio adesso. Poco contava che fosse morto.

Alla fine, vinta dalla prostrazione e dal gelo, si distese sopra di lui col capo abbandonato sulla sua spalla. Aveva smesso persino di tremare.

Non si curò nemmeno del suono di passi e di voci che dopo un po’ le giunse ovattato alle orecchie: lasciò semplicemente che si andasse a confondere coi contorni sempre più sfumati dell'Undicesimo Tempio, finché tutto si fece silenzio e tenebra.

«Maia, ti senti bene?»

La voce di Aiolia la strappò da un abisso dal quale, senza, forse non sarebbe riuscita a risalire; Maia lo guardò stralunata per un attimo, prima di rendersi davvero conto della verità – Camus era morto. Morto.

«Mortomortomortomort-»

«No».

«Come?»

«NO!» urlò lei, liberandosi dalla presa di Leo con una forza che solo la disperazione fu capace di donarle «No che non sto bene! E come potrei? Camus è morto, Aiolia! MORTO, LO CAPISCI?!»

Si sentì pervadere da una rabbia così potente da non poterla controllare – una furia cieca che, dimenticata del tutto la precedente debolezza, la spinse a levarsi in piedi e a cominciare a girare freneticamente in tondo per la camera, ansimante.

«Maia, ascoltami… »

«STÁ ZITTO! Devo pensare» ringhiò, torcendosi le dita «Devo pensare… pensare… »

Ma pensare a cosa? Non c’era nulla che potesse fare. Niente a cui aggrapparsi, nessuno a cui chiedere aiuto. Solo quella immutabile, lancinante consapevolezza.

«Camus è morto. Ucciso, assassinato. Morto. E io, invece, sono ancora viva».

Le mancava l’aria, non riusciva a respirare.

Si buttò quindi nel corridoio, a cercare un minimo di sollievo; tuttavia, fatto qualche passo, le gambe non la ressero più e franò a terra. Le esplosioni di collera che fino a poco prima le avevano sconvolto le viscere si trasformarono ben presto in violenti conati – conati a vuoto, ché nello stomaco non aveva cibo da rigettare.

Mentre vomitava saliva sulla lunga maglietta rossa che qualcuno doveva averle messo addosso durante la sua incoscienza, avvertì la presenza di Aiolia accovacciato a fianco a lei.

«Brava, Maia, butta fuori» disse egli dolcemente, scostandole i capelli sudati dalla faccia «Butta fuori tutto, e poi vedrai che starai meglio».

Quando le contrazioni cessarono era tanto spossata da non riuscire né a stare eretta né tantomeno a sollevarsi; si rannicchiò allora contro il petto del Custode del Quinto Tempio, permettendo alle lacrime che gli annebbiavano la vista di uscire.

«’Lia,» soffiò poi inaspettatamente, irrigidita da un nuovo, atroce dubbio «chi altro, oltre a-a Death Mask, Shura e… e Camus… ?»

«Non preoccuparti di questo. Presto saprai tutto» rispose lui, un bacio carezzevole sulla fronte «Riposa, adesso».

Avrebbe voluto chiedere di più, ma le palpebre le si andarono facendo via via sempre più pesanti; cadde addormentata ancor prima che Aiolia l’avesse messa a letto.

 

Continua ...



 

 

Note dell’autore

Dopo tanto finalmente torna in scena il punto di vista di quella che, almeno teoricamente, sarebbe la protagonista dell'intera storia: Maia.

Ero indecisa sul personaggio a cui assegnare il capitolo immediatamente susseguente alla notte dopo la battaglia delle Dodici Case – se sulla suddetta Maia o su Milo. Come avete potuto constatare, la scelta è ricaduta sulla prima. Un po' perché, appunto, era tanto che non le dedicavo un po' di spazio, un po' per esigenze di copione.

Questa prima parte dell'aggiornamento si colloca nell'arco delle 48-72 ore successive alle vicende del capitolo 11, e si svolge perlopiù nella dimensione onirica; un unico sogno, frammentato, che assume un significato più o meno preciso, specie per quello che riguarda il supposto ruolo di Scorpio nella morte di Camus.

La faccenda è qui rielaborata dal subconscio di Maia – che, come si vedrà meglio successivamente, è già sommariamente informata di ciò che è successo prima dello scontro fra Aquarius e Hyoga –, ma riflette una ancora non ben definita posizione in merito della ragazza.

Venendo, poi, alla scena ambientata nelle stanze private dell’Undicesimo Tempio: sogno anch'esso, o qualcosa di più? A voi decidere come meglio vi aggrada!

Che dire di più? Mi auguro che gradiate il capitolo e che continuiate ad accordarmi la vostra indulgenza: vi assicuro che di impegno – mentale e non – ce ne metto. In modo mooolto saltuario, ma ce ne metto.

Bisous bisous!

 

 

   
 
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