Capitolo
12,
parte I: settembre 1986. Maia
Ho
sceso, dandoti il braccio, almeno
milioni di scale, e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Eugenio
Montale
Nelle
giornate terse non esiste sole
tanto brillante quanto quello che splende sul Santuario.
L’aura
sacrale che si espande dai
Dodici Presidi zodiacali, cuori pulsanti dell’intero sistema, oggi
mitiga
appena l’atmosfera stranamente serena e lieta proveniente
dall’Arena: è
mezzogiorno inoltrato, e tutti si stanno recando in mensa o al
villaggio per
consumare il pranzo prima di riprendere ognuno le proprie
occupazioni.
Solo
i cavalieri d’oro rimangono
ancora ad allenarsi, approfittando dello sfollarsi del campo dei
guerrieri di
grado inferiore e di giovanissimi allievi; qualcuno di questi ultimi
si attarda
un momento, con la speranza di assistere ad almeno uno scambio di
colpi di
quegli uomini i quali, ai loro occhi, assomigliano più a divinità
che non a
comuni mortali .
Maia,
dall’alto delle tribune,
sorride dello sguardo ammirato impresso sui volti dei bambini; lo
condividerebbe senz’altro, se non fosse che i destinatari di tanta
adorazione
sono gli stessi ragazzi con cui è cresciuta.
Non
che non si lasci anche lei
prendere dallo stupore nell’osservarli scontrarsi, talvolta: a dire
il vero, le
succede spesso di rimanere a bocca aperta di fronte a un’azione
particolarmente
riuscita.
Ad
esempio, il feroce combattente in
procinto di lanciare il proprio colpo scarlatto è lo stesso Milo
che, due sere
prima, le ha rovesciato addosso la birra di proposito, e il suo
bellissimo
avversario non è diverso da colui il quale, nel vederla, le regala
sempre una
rosa e un saluto gentile.
Poco
lontano, ecco cadere a terra e
rialzarsi fulmineo il più irruento dei guerrieri e il più affettuoso
degli
amici, Aiolia di Leo; a lui ora si sta opponendo Mu dell’Ariete,
potente e
amabile in pari misura.
E
poi, c’è Camus.
Camus
di Aquarius, il gelido e altero
Esperto dei ghiacci che per Maia è caldo come il fuoco che arde tra
i suoi
capelli.
Camus
che è fatto di gravità e risate
inaspettate, di ferrea risolutezza e indecisione, di dolcezza e
distacco;
Camus, che un momento prima sembra non basti una vita a decifrarlo,
e un
momento dopo appare trasparente come cristallo – quando ti dà modo
di leggergli
dentro.
Se
fra i cavalieri d’oro ne esiste
uno al quale Maia non smetterà mai di guardare con meraviglia sempre
crescente,
quello è proprio l’Acquario: come non rimanere incantati dalle scie
azzurre dei
suoi attacchi, dalla sicurezza che trasuda ogni suo movimento, dal
modo fluido
che ha di scansare le offese avversarie?
Anche
adesso, nell’evitare i ripetuti
Sekishiki Meikaiha di Death Mask, pare che danzi.
L’ultimo
dei colpi va però a segno e
Camus, colto alla sprovvista, cade a terra; Cancer si abbandona
allora a una
sghignazzata di soddisfazione, poi gli tende la mano per aiutarlo a
sollevarsi
– lo scontro è finito.
Persino
da lassù la ragazza può
scorgere la lieve smorfia di disappunto dipinta sul viso del
francese, smorfia
che tuttavia scompare non appena si volta verso di lei e la vede: al
che, come
per magia, tutte le ombre si dissolvono e agli angoli della sua
bocca spunta un
sorriso luminoso.
Maia
ricambia con gioia quel saluto,
reso ancora più bello dalla spontaneità che l’ha caratterizzato; sta
per fargli
segno di raggiungerla quando, d’un tratto, la luce del sole si
oscura
improvvisamente e i dintorni precipitano nell’ombra.
Un
violento brivido di freddo
attraversa la schiena della giovane greca, che si stringe di
riflesso nella sua
giacca di jeans e alza un poco impaurita gli occhi al cielo, a
cercare la fonte
di quel cambiamento climatico tanto radicale. Non trova altro
colpevole che una
piccola nuvola in transito sopra di loro: una semplice, innocua nuvola bianca sospinta dal vento – che stupida, per un momento ha
temuto si trattasse di qualcosa di ben peggiore.
Scuote
forte la testa per liberarsi
da quella bizzarra sensazione di smarrimento, quindi torna a
rivolgere
l’attenzione in basso, ma Camus non è più là, e nemmeno nelle
immediate
vicinanze.
A
niente le giova esaminare con
apprensione l’intera Arena, soffermando lo sguardo sul campo di
terra purpurea,
sui gradoni, sulle entrate, persino dietro di lei: Aquarius sembra
scomparso
nel nulla.
Gli
altri, invece, sono ancora nella
medesima posizione in cui li aveva lasciati qualche secondo prima;
strano che
proprio lui se ne sia andato, per giunta tanto in fretta e di
nascosto.
Comunque
sia, non è affatto il caso
di farsi prendere dal panico per così poco… eppure.
Eppure
Maia, nell’aria, ora avverte
qualcosa che prima non c’era.
Scende
svelta le gradinate, cercando
di ricacciare indietro la paura.
«Death
Mask!»
Il
cavaliere del Cancro alza gli
occhi dal suo panino, sorpreso e scocciato insieme per l’inattesa
interruzione.
«Cosa
vuoi? Non vedi che sto
mangiando?»
Normalmente
quella risposta ai limiti
della cortesia l’avrebbe irritata non poco, ma ora ha altro per la
testa.
«Sì,
scusami. Sai per caso dove sia
andato Camus?»
«Camus!?»
le risponde Cancer, con una
punta di sdegno nella voce «E cosa vuoi che ne sappia io, di Malpelo? Con tutti i suoi amici in giro, perché lo chiedi proprio a me?!»
Maia
lo guarda stralunata: sta
tentando di prenderla per i fondelli, come al solito. Peccato che
abbia
decisamente scelto il momento sbagliato.
«Vuoi
scherzare?! Solo pochi minuti
fa stavate lottando insieme!»
L’espressione
dell’italiano si è
fatta più strana parola dopo parola, tanto da risultare in bilico
fra
l’arrabbiato e il divertito; alla fine egli pare propendere per la
seconda
inflessione, perché scoppia a ridere.
«Pochi
minuti fa? Lottare, io e
Aquarius?! Maia, ragazza mia,» esclama, allungandole una pacca
piuttosto forte
sulla spalla «mi sorprendi positivamente: non ti facevo una che
beve,
soprattutto a quest’ora!»
«A
proposito:» aggiunge subito dopo,
ghignando «se ti serve un compagno di sbronza, sai dove trovarmi».
Poi
le dà la schiena e si allontana,
incurante dell’aria sconvolta della sua interlocutrice – la quale,
intanto, si
sta domandando chi fra i due sia uscito di senno, se lui o lei
stessa.
No,
non parlava sul serio: Maia li ha
visti combattere, ha prestato attenzione alla maggior parte del loro
scontro.
Death Mask le ha sicuramente detto una sciocchezza, tanto per ridere
alle sue
spalle.
Bah,
non importa: ha semplicemente
chiesto alla persona meno indicata, tutto qui.
«Camus?
No, mi dispiace, non l’ho
visto».
«Come
non sai dove sia? Io pensavo
fosse con te!»
«É
strano che Camus salti gli
allenamenti quotidiani. Sono l’unica cosa che lo fa uscire di casa
di buon
grado. Hai provato a chiedere a Milo?»
Nonostante
la situazione continui a
sembrarle paradossale, al solo udire il nome di Milo l’angoscia di
Maia si
stempera notevolmente; lui sa sempre dove trovare Camus, quasi abbia
una specie
di apposito radar.
«Secondo
me, il principio è il
medesimo».
«Ti
dico di no! Le nostre tecniche
non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra: tu lanci rose
velenose, e io…
beh, ora che ci penso bene, forse… »
«Milo».
Sentendosi
chiamare, Milo distoglie
lo sguardo da Aphrodite – col quale sta discutendo di chissà cosa –
e si gira
verso Maia: ha il chitone da allenamento sporco di terra e un
piccolo taglio
sulla spalla sinistra. Qualche ciuffo biondo, sfuggito con facilità
all’elastico della coda, gli ricade morbido sul petto; curioso come
in pochi
secondi si possano notare tanti dettagli.
«Maia!
Ti ho visto sugli spalti,
prima. Non dovresti scendere fin quaggiù, qualcuno potrebbe colpirti
per
sbaglio. Te l’ho già detto mille vol-»
«Milo,
ti devo parlare».
Colpito
dalla serietà della ragazza,
Scorpio fa un breve cenno al cavaliere dei Pesci e poi la conduce
poco più in
là, al riparo da orecchie indiscrete.
«Cosa
c’è?» domanda, preoccupato «Ti
vedo agitata».
«Io-»
esita quella, non sapendo bene
come spiegargli l’accaduto.
Alla
fine decide di non girarci
troppo intorno, ed esclama: «Io non riesco a trovare Camus. Un
minuto prima era
lì, in mezzo all’Arena, e un minuto dopo… puf. Scomparso nel nulla.
E la cosa
che più mi preoccupa è che nessuno, tranne me, pare averlo visto! Ma
lui c’era,
ne sono sicura! Ti prego, Milo, dimmi che almeno tu sai dove sia
andato!»
«Oh…
stai cercando Camus».
Nel
dirlo il suo tono ha perso tutta
l’enfasi di cui prima era permeato; persino l’espressione del viso è
mutata,
come se fosse rimasto deluso. Ma da cosa?
«Sì,»
conferma Maia, impaziente «te
l’ho già detto. Perché, che ti aspettavi?»
Milo
fa spallucce e non risponde;
continua a fissarla in silenzio, in un modo che la inquieta
ulteriormente. Lo
scuote per un braccio, ormai prossima
all’isterismo: «Insomma! Lo sai, sì o no?!»
«Sì!»
sbotta infine Scorpio,
svincolandosi stizzito dalla presa di lei «Lo so. Ma non credo che
debba
interessarti. Non più, almeno».
«Come?!»
«Oh,
andiamo, Maia! Affronta la
realtà: Camus non fa per te! É meglio se lo dimentichi».
«Si
può sapere cosa diavolo stai farneticando?!
Avanti, Milo, non ho più voglia di giocare. Dimmi dov’è Camus!
Subito!»
Lui
la guarda ancora in quella
maniera strana, poi sbuffa: «D’accordo. Se proprio ci tieni, te lo
dirò. Però
devi giurare che resterà un segreto fra te e me».
La
giovane acconsente subito,
smaniosa di porre finalmente termine a tutte le assurdità
dell’ultima mezz’ora:
«Lo giuro».
«Ecco,
vedi,» le sussurra quindi complice,
tendendo le labbra verso il suo orecchio «io … io l’ho ucciso».
«Che
cosa?!»
In
un momento normale non avrebbe
dubitato nemmeno per un secondo della falsità di quell’affermazione;
tuttavia,
adesso…
«Ah,
non devi ringraziarmi» ammicca
Milo «L’ho fatto anche per me, sai? Così ora potremo stare insieme!»
Gli
occhi gli brillano di una luce
malata – una luce che non mente. L’ha fatto sul serio. L’ha fatto, e
ne è pure
felice.
Maia
si scosta da lui violentemente,
inorridita. Ha paura.
«M-ma,
Milo… c-come, quando?»
«É
stato un gioco da ragazzi; gli
altri non se ne sono neanche avveduti. Non penso che faranno domande
in
proposito» sorride soddisfatto, guardandosi attorno con noncuranza
«Camus si
riteneva tanto importante, ma in realtà non lo era affatto. É stata
sufficiente
una nuvola bianca a cancellarlo».
Nel
gesticolare, ha alzato le mani –
sono mani sporche di sangue.
Dèi
del cielo, ha le mani sporche di
sangue. Come ha fatto a non accorgersene prima?
La
giovane non ha più voce per
parlare, né parole per pensare.
«Perché?»
esala alla fine.
«Come
perché? Perché io ti amo, Maia!»
No,
questo è troppo da sopportare.
Davvero troppo.
Maia
indietreggia ancora, sfuggendo
per poco alle braccia che Scorpio ha teso in avanti; il sorriso di
lui si è
trasformato in un largo ghigno.
Il
sangue inizia a colargli dalle
dita impregnate, per poi gocciolare a terra con un ticchettio
meccanico:
fissarlo, voltarsi e iniziare a correre è un attimo.
Le
gambe, come animate di vita
propria, procedono senza direzione precisa. Al pari della loro
proprietaria,
vogliono solo allontanarsi da lì – fuggire il più lontano possibile.
«Aspetta,
dove stai andando?! Maia!
Maia!»
«Vi dico che ha aperto gli occhi! È stato solo un momento, ma io l’ho
visto chiaramente!»
«Va bene Al, abbiamo capito! Non serve che tu lo ripeta di nuovo!»
Parole lontane la sottrassero pian piano al torpore, senza tuttavia
riuscire a squarciare il velo in cui le sembrava di essere avvolta.
Era tremendamente confusa, e quel cicaleccio indistinto non faceva altro
che peggiorare la situazione; ogni suono giungeva alle sue orecchie
distorto,
amplificato a dismisura.
«Abbassate il tono, per cortesia. Nessuno è sordo qui dentro – non
ancora» si levò all’improvviso una voce, perentoria. Shaka?
«Maia. Mi senti?»
«Sì, Shaka, ti sento» avrebbe
voluto rispondere lei – se solo non avesse avuto la gola così riarsa.
Attraverso le palpebre semichiuse vedeva spostarsi delle ombre a cui non
sapeva dare contorno preciso; provò ad aprirle un po’ di più, ma la
luce le
ferì gli occhi.
«Nessuna reazione, a parte lo sbattere delle palpebre» constatò Virgo da
qualche parte sopra di lei «Non riesco neppure a capire se sia
sveglia».
«È strano, però. Il dottore ne aveva escluso la possibilità, eppure è
febbricitante da quasi due giorni».
«Il dottore si è sbagliato, Mu. Non dubito della competenza del signor
Savasta, ma in questo caso pare abbia commesso un errore di calcolo».
Gli strascichi dell’incubo – lo era stato davvero, solo un incubo? – la
fecero sussultare appena, nel riconoscere il timbro profondo di Milo.
Che ci facevano tutti lì? Cosa era successo? E perché stavano parlando di
dottori e febbre?
«Ancora un momento a occhi chiusi»
pensò, mentre il buio tornava a circondarla «Solo un altro momento… »
Maia
si guarda attorno meravigliata,
tentando di abbracciare l’intero ambiente con un’unica occhiata:
sono sempre
stati così ariosi gli appartamenti privati dell’Undicesimo Tempio?
«Maia».
Il
richiamo la spinge a voltarsi: lo
fa lentamente, perché già sa a chi appartiene quella voce – la
riconoscerebbe
fra mille.
Camus
è sulla soglia della piccola
cucina, con indosso una maglietta marrone e il migliore dei suoi
sorrisi.
«Camus.
Sei qui. Sapessi quanto ti ho
cercato!» esclama alla fine lei, stranamente rilassata: gli eventi
succedutisi
appena poco prima adesso sembrano appartenere a una vita passata.
Ha
trovato ciò che desiderava, e
tanto basta.
Aquarius
risponde tendendole i palmi
distesi; la ragazza li afferra senza esitare, stringendoli come se
non volesse
più separarsene.
Si
siedono lentamente al tavolo, l’uno
di fronte all’altra, e rimangono immobili a fissarsi.
I
capelli rossi, le labbra sottili,
il lungo collo bianco, le piccole lentiggini appena visibili agli
angoli del
naso: dettagli di Camus che Maia conosce a memoria, ma che ora
paiono risaltare
maggiormente rispetto al consueto, a rendere la visione di insieme
più bella di
quanto non sia mai stata.
Sarà
forse merito di quella luce
anomala, impregnata d’azzurro? Oppure sono solo suggestioni dettate
dalla gioia
di essere lì con lui?
«Sei
bellissimo» si lascia sfuggire
in un soffio, incurante del leggero astio che il suo compagno nutre
verso i
complimenti – si sente troppo libera, troppo in pace per
preoccuparsi di
simili, irrilevanti proforma.
«Anche
tu sei bellissima». Nessun
mugugno, nessuna smorfia. Incredibile.
É
tutto come… come in un sogno.
Camus
si sporge un poco in avanti e,
staccando una mano dalla presa di lei, le accarezza la guancia: Maia
socchiude
le palpebre alla maniera dei gatti, godendosi il contatto fresco
delle sue dita
sulla pelle del volto. Le piacerebbe rimanere lì per sempre.
«Chérie».
A
dispetto del nomignolo, stavolta il
tono dell’Acquario è suonato più duro; la giovane spalanca gli
occhi, di colpo
nuovamente all’erta.
«È
tempo che tu torni indietro. Gli
altri sono preoccupati per te».
«Tornare
indietro? Gli altri? Che
significa?»
Nel
pensare ai loro amici le vengono
in mente con chiarezza le parole di Milo, nitide come se fossero
appena uscite
dalla sua bocca.
«É
stato un gioco da ragazzi; gli altri non se ne sono neanche
accorti. Non penso
che faranno domande in proposito: Camus si riteneva tanto
importante, ma in
realtà non lo era affatto. É stata sufficiente una nuvola bianca a
cancellarlo».
Era
stato solo uno scherzo per
spaventarla, alla fine.
Eppure,
dopo aver visto lo sguardo di
Scorpio e posato gli occhi sulle sue mani sporche di sangue, lei non
ne è
troppo sicura.
«Cam,
ascoltami: c’è una cosa che
devo dirti. So che ti sembrerà assurdo, m-ma ti consiglio di stare
attento a
Milo» dichiara, sputando fuori il nome dello Scorpione con estrema
fatica.
In
risposta, l’Acquario prorompe in
una risata composta – non la sta prendendo sul serio, è evidente.
«Camus,
non sto scherzando! É
complicato da spiegare, tuttavia tu devi fidarti di me! Non l’avevo
mai visto
in uno stato simile … pareva convinto di averti ucciso!»
«Lo
so».
La
sicurezza, la noncuranza con cui
ha affermato quel “Lo so“ lasciano Maia totalmente spiazzata.
«Come,
lo sai? Tu non ti rendi
conto-»
«Conosci
Milo,» la interrompe lui,
tranquillo come se stessero parlando del tempo «sai che tende sempre
a
esagerare. Dentro di sé è davvero convinto di avermi causato la
morte. Starà a
te convincerlo che così non è stato: in fondo hai promesso di
stargli accanto,
ricordi?»
No,
Maia non ricorda nulla, non
comprende nulla; sente di nuovo crescere l’apprensione e non sa come
fermarla.
«Io
non so di cosa tu stia parlando».
«Capirai,
tesoro: capirai».
Adesso
la figura di Camus è talmente
avvolta dalla luce da sembrare evanescente – è proprio strano, pensa
di
sfuggita la ragazza, dal momento che dietro di lui non c’è nessuna
finestra.
Aquarius
si alza in piedi e lei lo
imita spontaneamente, avvicinandosi fino a poterlo cingere per la
vita.
Un
sorriso singolare gli sale alle
labbra, un po’ malinconico e un po’ sereno, fatto di rimpianto e
consolazione
insieme.
«Vai.
E non smettere mai di guardare
il cielo: io sarò lassù. Veglierò su di te dall’alto, attraverso la
luce delle
stelle. Au revoir,
Maia».
Un’ultima
stretta, un ultimo sguardo;
poi tutto si dissolve in una nuvola d’azzurro.
«Ca
…»
Fu destata dal suo stesso sussurro, che la riportò alla realtà in modo
repentino e improvviso. Un risveglio limpido, pulito, di quelli che
spazzano
via tutti i resti di sonno.
A rompere il generale silenzio attorno a lei solo il ronzio di una mosca
e rumori lontani, quasi impercettibili.
Maia rimase un attimo immobile ad assaporare la strana quiete che la
pervadeva: le pareva di aver fatto un bel sogno, pieno di luce, ma non
riusciva
a ricordarselo.
Quando aprì gli occhi non riconobbe subito il soffitto bianco che attirò
il suo primo sguardo, né il vecchio comò di legno scuro alla destra
del letto;
le ci vollero qualche secondo e il leoncino di peluche sulla scrivania
per
realizzare di essere nella stanza di Aiolia. Il perché vi si trovasse,
però, le
rimaneva del tutto oscuro.
Rammentava confusamente di aver avuto la febbre alta e poi più nulla,
come se fosse in preda a una specie di amnesia.
«Aiolia» gracchiò, cercando di mettersi eretta «Aiolia!»
Niente. Forse non si trovava in casa; da quel che poteva vedere dalle
imposte lasciate socchiuse, fuori era giorno pieno.
«Ai-»
«Maia!»
La porta si aprì di scatto, e Aiolia comparve sulla soglia.
Era senz’altro nato sotto il segno giusto: mai una volta che lo sentisse
arrivare, tanto aveva il passo leggero e felpato.
«Maia,» ripeté Leo, andando a sedersi sul letto in modo quasi affettato
«quando ti sei svegliata? Come ti senti? É da molto che mi cerchi?»
«Caspita, quante domande!» rise debolmente lei, lasciando che il ragazzo
la sollevasse appena per tastarle la fronte «Cos’è, un
interrogatorio?»
«La febbre sembra essersene andata: sei fresca» dichiarò ‘Lia, senza
raccogliere la battuta; poi, di colpo, l’abbracciò.
«Tu non sai, non sai… che
sollievo…
eravamo così in ansia!» continuò, aumentando la stretta a ogni parola
«Santo
cielo, Maia, abbiamo davvero temuto di perderti!»
Maia, turbata dalla gravità dell’affermazione, scostò un poco il viso per
osservare quello del suo amico, che le parve più pallido del consueto:
aveva i
capelli arruffati e le occhiaie tipiche delle notti insonni.
Prima che potesse chiedergli alcunché, egli balzò in piedi
improvvisamente.
«Devo andare ad avvisare gli altri;» esclamò, lo sguardo rivolto verso la
porta «non è necessario che rimangano ancora in pena inutilmente».
Gli altri…
«È tempo che tu torni indietro. Gli altri sono preoccupati per te».
Il bel sogno che rammentava di aver fatto adesso le stava tornando alla
memoria velocemente. Quella frase bizzarra… ma dove era Camus, a
proposito?
Avrebbe dovuto essere lì.
«Aiolia, aspetta:» lo fermò, proprio mentre stava per sparire dalla sua
vista «non me ne voglia il resto del gruppo, però… potresti chiamare
Camus per
primo? Vorrei passare qualche minuto da sola con lui, se possibile. É
che l’ho
sognato, e-»
A quelle parole Aiolia si girò lentamente, una mano stretta sullo
stipite; il velo di tristezza e pietà che gli appannò per un attimo
gli occhi
verdi le fece gelare il sangue nelle vene.
«Camus?» chiese, smarrito «Maia, cosa ricordi di quanto accaduto,
esattamente?»
«Ricordo di essere stata male» rispose la ragazza, con una punta di paura
annidata nella voce «E poi, non so… ho l’impressione di avere un
gigantesco
vuoto di memoria. Ma perché, cos’è successo?»
«Oh, Dèi, aiutatemi,» mormorò Leo a fil di labbra «datemi la forza».
Maia lo guardò tornare a sedersi accanto a lei, senza capire il senso di
quell’invocazione; il timore di ciò che stava per sentire la spinse
irrazionalmente ad indietreggiare, tanto che si ritrovò con la schiena
schiacciata alla tastiera del letto.
«Che è successo, ‘Lia?» lo interrogò ancora, artigliando le coperte che le
arrivavano alla vita «E dov'è Camus?»
Di nuovo quella maledetta domanda: non sapeva perché, ma le sembrava di
ripeterla da un’infinità di tempo.
Aiolia le prese le mani e l’attirò a sé, nonostante le sue timide
resistenze – gesto che, lungi dal rassicurarla, la gettò maggiormente
nel
panico: aveva visto troppa gente annunciare cose brutte in maniera
simile per
non allarmarsi.
«Maia… » iniziò il Leone, cauto come se stesse soppesando ogni sillaba
«possibile che non ti sovvenga proprio nulla? L’invasione dei
cavalieri di
bronzo, la scalata, l’Undicesimo Tempio, Hyoga di Cignus… »
Hyoga
di Cignus.
Bastò quel nome e ogni singolo dettaglio le si riaffacciò alla mente con
un’esattezza indicibile – insieme al freddo. E all’orrore.
Camus allungò un braccio verso l’alto, con impressa nel volto la
meraviglia di chi finalmente riesce a vedere aldilà del reale.
«Maia, guarda quella luce… c’est si belle, n’est pas?»
Poi quello stesso braccio gli ricadde su un fianco, e lui non si mosse
più.
Quando Maia tornò a guardarlo in viso la luce aveva abbandonato le sue
iridi per sempre, lasciandole spalancate a fissare il vuoto in
modo quasi
grottesco.
Che fine indegna per degli occhi fatti di sole come quelli – che sacrilegio.
In preda allo shock la ragazza si alzò di scatto, privando la testa di
Aquarius del sostegno su cui prima poggiava; quel bel cranio
sbatté sul duro
marmo del Tempio con un tonfo sordo che le strappò un grido di
dolore.
«Perdonami, Camus!» singhiozzò, gettandosi di nuovo accanto al cadavere e
prendendo ad accarezzargli i capelli «Mi dispiace, mi dispiace… mi
dispiace!»
Rimase in tale posizione per un tempo che le parve lunghissimo, senza
smettere di toccare quello splendido corpo che non sarebbe mai
invecchiato,
nonostante il freddo si fosse ormai fatto insopportabile.
L’uomo che aveva amato – che amava – giaceva a terra, indifeso, e lei non
poteva abbandonarlo proprio adesso. Poco contava che fosse morto.
Alla fine, vinta dalla prostrazione e dal gelo, si distese sopra di lui
col
capo abbandonato sulla sua spalla. Aveva smesso persino di
tremare.
Non si curò nemmeno del suono di passi e di voci che dopo un po’ le
giunse ovattato alle orecchie: lasciò semplicemente che si andasse
a confondere
coi contorni sempre più sfumati dell'Undicesimo Tempio, finché
tutto si fece
silenzio e tenebra.
«Maia, ti senti bene?»
La voce di Aiolia la strappò da un abisso dal quale, senza, forse non
sarebbe riuscita a risalire; Maia lo guardò stralunata per un attimo,
prima di
rendersi davvero conto della verità – Camus era morto. Morto.
«Mortomortomortomort-»
«No».
«Come?»
«NO!» urlò lei, liberandosi dalla presa di Leo con una forza che solo la
disperazione fu capace di donarle «No che non sto bene! E come potrei?
Camus è
morto, Aiolia! MORTO, LO CAPISCI?!»
Si sentì pervadere da una rabbia così potente da non poterla controllare
– una furia cieca che, dimenticata del tutto la precedente debolezza,
la spinse
a levarsi in piedi e a cominciare a girare freneticamente in tondo per
la
camera, ansimante.
«Maia, ascoltami… »
«STÁ ZITTO! Devo pensare» ringhiò, torcendosi le dita «Devo pensare…
pensare… »
Ma pensare a cosa? Non c’era nulla che potesse fare. Niente a cui
aggrapparsi, nessuno a cui chiedere aiuto. Solo quella immutabile,
lancinante
consapevolezza.
«Camus è morto. Ucciso,
assassinato. Morto. E io,
invece,
sono ancora viva».
Le mancava l’aria, non riusciva a respirare.
Si buttò quindi nel corridoio, a cercare un minimo di sollievo; tuttavia,
fatto qualche passo, le gambe non la ressero più e franò a terra.
Mentre vomitava saliva sulla lunga maglietta rossa che qualcuno doveva
averle messo addosso durante la sua incoscienza, avvertì la presenza
di Aiolia
accovacciato a fianco a lei.
«Brava, Maia, butta fuori» disse egli dolcemente, scostandole i capelli
sudati dalla faccia «Butta fuori tutto, e poi vedrai che starai
meglio».
Quando le contrazioni cessarono era tanto spossata da non riuscire né a
stare eretta né tantomeno a sollevarsi; si rannicchiò allora contro il
petto
del Custode del Quinto Tempio, permettendo alle lacrime che gli
annebbiavano la
vista di uscire.
«’Lia,» soffiò poi inaspettatamente, irrigidita da un nuovo, atroce
dubbio «chi altro, oltre a-a Death Mask, Shura e… e Camus… ?»
«Non preoccuparti di questo. Presto saprai tutto» rispose lui, un bacio
carezzevole sulla fronte «Riposa, adesso».
Avrebbe voluto chiedere di più, ma le palpebre le si andarono facendo via
via sempre più pesanti; cadde addormentata ancor prima che Aiolia
l’avesse
messa a letto.
Dopo
tanto finalmente torna in scena il punto di vista di quella che, almeno
teoricamente, sarebbe la protagonista dell'intera storia: Maia.
Ero
indecisa sul personaggio a cui assegnare il capitolo immediatamente
susseguente
alla notte dopo la battaglia delle Dodici Case – se sulla suddetta Maia
o su
Milo. Come avete potuto constatare, la scelta è ricaduta sulla prima.
Questa
prima parte dell'aggiornamento si colloca nell'arco delle 48-72 ore
successive
alle vicende del capitolo 11, e si svolge perlopiù nella dimensione
onirica; un
unico sogno, frammentato, che assume un significato più o meno preciso,
specie
per quello che riguarda il supposto ruolo di Scorpio nella morte di
Camus.
La
faccenda è qui rielaborata dal subconscio di Maia – che, come si vedrà
meglio
successivamente, è già sommariamente informata di ciò che è successo
prima
dello scontro fra Aquarius e Hyoga –, ma riflette una ancora non ben
definita
posizione in merito della ragazza.
Venendo,
poi, alla scena ambientata nelle stanze private dell’Undicesimo Tempio:
sogno
anch'esso, o qualcosa di più? A voi decidere come meglio vi aggrada!
Che
dire di più? Mi auguro che gradiate il capitolo e che continuiate ad
accordarmi
la vostra indulgenza: vi assicuro che di impegno – mentale e non – ce ne
metto.
In modo mooolto saltuario, ma ce ne metto.
Bisous
bisous!