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Autore: AsanoLight    07/09/2014    2 recensioni
«Hirato ed io aspettiamo un figlio»
Intercorse un silenzio di tomba. I presenti si scrutarono uno ad uno, cercavano risposte nei vicini di tavolo, e si davano vicendevolmente pizzicotti. Era un sogno; tutti ora se lo auguravano.
Ma quel pancione non poteva essere un cocomero.
Genere: Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Mpreg
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Raggiunsero le navi alla velocità della luce.

Akari faceva da capofila all'intera combriccola, correndo a perdifiato per le vie della città, Tokitatsu al suo seguito era riuscito ad attivare quei pochi neuroni che gli rendevano possibile coordinare nel cervelletto i movimenti sufficienti a sostenere l’andatura del dottore, reggeva per una spalla il malconcio Jiki, incapace di reagire, e lo trainava come un sacco di patate.

Kiichi non sembrava avere la loro foga; si teneva a distanza di sicurezza e marciava lentamente.

Nel giro di nemmeno cinque minuti, qualunque innocente cittadino di Vantnam, fosse stato anche un vecchietto la cui dentiera era caduta per sbaglio nel bicchiere dell'acqua del nipote, era divenuto senza volerlo spettatore di quella maratona improvvisata, i cui partecipanti erano tre soggetti di altezze differenti, un medico con i capelli rosa, un ragazzo che si aggirava con una frusta da domatore (o da sadomaso) ora trattenuto come una principessa tra le braccia di un uomo troppo adulto eppure idiota per poter passare inosservato.

Senza dimenticare che dieci metri più indietro, una cosplayer con la parrucca azzurra se ne andava in giro con una falce a cuori come se fosse stata la cosa più normale del mondo.

Kiichi impiegò almeno un quarto d'ora per colmare il divario che la separava dal gruppo, dato il passo da tartaruga stordita -o da uno Tsukitachi reduce da una sbornia.

Per quando la combriccola si ritrovò riunita davanti alle navi, i suoi membri non poterono far altro che guardarsi nelle palle degli occhi, come pesci rossi in una boccia di vetro, e domandarsi all'unisono....

 

«Come ritorniamo?!»

 

 

«Non ci posso credere! Hai lasciato le navi incustodite e ti sei portato via Hirato!»

«Akari-chan... mi avevi detto tu che era urgente e che dovevo-»

«Il cervello! Dov'eri tu quando si spartivano i cervelli?!»

Akari inveiva rumorosamente al telefono, in un via vai instancabile lungo il corridoio della seconda nave. La sua scenata non venne indifferente alle pecore robotiche, i cui dati raccolti durante quella giornata su 'Akari-sensei' sarebbero bastati da sé a stabilire quanto il dottore avesse avuto bisogno di ritirarsi almeno per un mese in una casa di cura -o cominciare una terapia seria da qualcuno di competenza per il controllo della rabbia. Kiichi aveva fatto ritorno con Jiki alla vettura del proprio schieramento, se l'era scampata con la scusa del "non vorrei che l'aria della seconda nave possa sortire effetti misteriosi su di me".

E forse, non aveva poi così torto.

Perfino Akari acconsentì al suo allontanamento, ma non era sicuro di averlo fatto per il suo bene. Qualcosa gli diceva che prima di pensare alla salute della narcisista azzurra, avrebbe dovuto pensare alla propria; fisica e mentale.

 

«Akari-sensei non sta bene?», Tsukumo si avvicinò a Tokitatsu, seduto alla scrivania del fratello minore, nel suo ufficio, annotando più e più volte appunti con una perfezione quasi magistrale. Trasalì il castano quando la morbida voce della biondina gli raggiunse le orecchie, così melodica se paragonata all'infierire troglodita e primordiale del fine dottor Dezart nel corridoio accanto. Esitò lunghi istanti, avrebbe voluto parlare e confidarsi con Tsukumo -ne aveva uno spasmodico bisogno, ma la nitida sensazione del calore e della grandezza del pancione di Hirato rimastagli incollata alle mani e la consapevolezza che presto, troppo presto, il mezzo fratello che aveva lo avrebbe reso zio, gli faceva venire il capogiro e a quel solo pensiero ebbe quasi un altro mancamento e rischiò di ritrovarsi con la faccia letteralmente spalmata sulla lucidissima scrivania d'acero.

«Non è l'unico», rispose spiccio e sfilò dall'interno della giacca una pompetta per aiutarsi a respirare.

Tsukumo arricciò ingenuamente il naso, ma esitò di esporre timidamente la sua opinione: «Ministro... non sapevo soffrisse d'asma»

«Nemmeno io», replicò laconico il castano, portandosi i capelli all'indietro, disperato come non mai.

Aveva altro da dire Tsukumo, intrepidezza e curiosità le si potevano leggere scritte su tutta la faccia, ma lo spalancarsi fiero della porta recise ogni possibilità di comunicazione.

«Tu sai guidare questo coso, vero?», Akari avanzò prepotentemente a falcate, ignorando la presenza della ragazzina, il cellulare sporgeva dalla tasca del camice non più così professionale, e nel ristretto spazio di un nanosecondo aveva già agguantato Tokitatsu per la camicia costringendolo ad alzarsi dalla scrivania, «Tu devi essere buono a qualcosa, oltre che a farci perdere tempo dietro alla tua negligenza e comparire quando più ti pare nei capitoli del manga senza un'apparente motivazione! Sei il ministro della difesa! Saprai manipolare quest'aggeggio!»

«S-Sinceramente è una nav- nngh!», la presa del dottore si fece assassina quanto la sua occhiata, chi avesse assistito alla scena e non avesse conosciuto le attitudini del compìto e signorile 'Akari-sensei', avrebbe pensato fosse stato un delinquente, e non avrebbe avuto torto, «Rispondimi. Puoi pilotare questa pignatta volante e portarmi diritto alla torre di ricerca entro mezz'ora, sì o no?!»

Tokitatsu fece quasi per rispondere ma il vocino vivace di Nai fece precipitare la situazione in una possibile strage, e ora era come se la seconda nave si fosse incredibilmente prestata ad essere il set cinematografico di un film splatter di serie B della Asylum. Se solo il ministro ne avesse avuta la possibilità, avrebbe urlato al povero niji di scappare ma d'altro canto, sperava ancora che la sua innocenza lo potesse salvare dalle mani selvagge dello spietato dottore, che ora aveva allentato la presa su di lui dirigendo l’attenzione interamente sul biondino che aveva fatto irruzione nella stanza subito dopo l'albina creatura.

«Lascia stare, Tokitatsu», borbottò il dottore con un che di sadico nella voce, Yogi poté pure cominciare a tremare e già i muscoli si facevano pronti a scattare nella direzione opposta al dottore quando lo videro avvicinarsi pericolosamente a lui, come un gatto che fa la punta. Akari si rimboccò intrigato le maniche della camicia e con passi lenti e dosati, cercò di avvicinarsi al pietrificato Yogi.

«A-Akari sensei- ch-che piacere rivederla... D-D-Dov'è Hirato-san?»

«Alla torre di ricerca», l'appropinquarsi lento di Akari, così spaventosamente verosimile a quello di un Bear Grills che parte alla caccia di scarafaggi per cena, non poteva che fomentare la paura del povero ragazzo, che ora indietreggiava sempre più, fino a quando non si ritrovò con le spalle al muro e altro non gli restò se non spostarsi lateralmente, «Ovviamente, i vostri prodi comandanti se la sono filata lasciando le navi incustodite. Sai questo che significa?»

Yogi scosse il capo, ma quando fece uno scatto per scampare alla presa del dottor Akari, quello, più lesto di lui, lo afferrò per una delle code della maglietta facendolo inciampare per terra, e lo trascinò a sé come riavvolgendo il mulinello di una canna da pesca. Sogghignava, conscio che oramai aveva la chiave per raggiungere la torre di ricerca e finirla una volta per tutte con quell'insopportabile travaglio del secondo comandante.

 

«Significa che tu, Nyanperowna dei miei stivali, mi porterai da lui, o il prossimo controllo che ti faccio è alla prostata»

 

 

Dieci metri separavano il corridoio dall'ufficio di Hirato.

Ma le parole che sarebbero servite per spiegare la situazione erano probabilmente più di quante se ne potessero scrivere su uno striscione di una simile lunghezza.

Nai era ancora nello studio, assieme ad una Tsukumo alquanto confusa e un Tokitatsu troppo scosso per poter parlare, che altro non poteva fare se non elucubrare sugli errori della sua esistenza.

Doveva smetterla di lasciarsi travolgere dalle emozioni. Forse aveva sbagliato tutto nella vita sin dal primo istante, da quando aveva detto al fratellino che avrebbe dovuto seguire il suo cuore e insistere con Akari sebbene i suoi rifiuti –anche se, a distanza di tanto tempo, non ricordava se Hirato gli avesse mai chiesto un parere a riguardo.

«Cosa ci facevi qui, Nai?», domandò incuriosita Tsukumo, che per prima decise di rompere il ghiaccio vista l’insolita situazione venutasi a creare, «Perché sei venuto nell'ufficio di Hirato-san?»

«Io e Yogi giocavamo a nascondino», il niji rispose con ingenuità, gli occhioni rossi da peluche facevano una tenerezza indicibile a Tokitatsu -meglio trattenere quell'opinione per sé, non era l'unico ad avere un debole per lui, su quella nave, «...cercavo un posto sicuro dove nascondermi... Ma quando ho visto Akari-sensei parlare ad alta voce nel corridoio e minacciare di morte Tsukitachi-san, ho preferito venire qui. Pensavo ci fosse Hirato-san e invece-»

«Perché tutti cercate Hirato-san?», domandò la ragazza inarcando un sopracciglio, tradiva una certa impazienza quel suo voler celare ogni sentimento. L'entrata insolita di Yogi e la pedata della scarpa di Akari sul suo fondoschiena la costrinse a spostarsi ond'evitare di ritrovarsi con un ragazzo di vent'anni e il cervello di uno di due addosso.

«Tira fuori le chiavi, bishounen

«B-Bishounen?», balbettò Yogi arrossendo impacciato, «Non sono un bishoune-»

«Ho detto fuori le chiavi! Non farmi perdere altro tempo! Mio figlio potrebbe nascere da un momento all'altro!»

«Figlio?!», Tsukumo trasalì a quelle parole e incrociò gli occhi di pesca di Akari rimanendo a bocca aperta, «A-Akari-sensei... da quando-»

«Uhm? Tsukumo-chan, non lo sai?», Nai perfino le si avvicinò saltellando allegramente, come fosse la cosa più normale del mondo, «Hirato-san diventerà madre!»

«Madre?!»

«Basta!»

Akari berciò con quanto fiato aveva nei polmoni e si indirizzò verso la porta, diretto alla cabina di pilotaggio, tirando a sé Yogi per un orecchio: «Ancora con questa storia! Non fa ridere! Qui non ci resta altro che piangere!»

«Direi...», sollevò una fievole obiezione Yogi, che forse aveva più motivi di tutti, a bordo di quella nave, per scoppiare in lacrime -mai quanti ne avrebbe avuti Jiki...

«Tu sta zitto», ringhiò severo Akari uscendo dallo studio senza smettere di tirare il biondino con foga, «Vedi di pilotare questo zubat volante e di farmi arrivare entro mezz'ora alla torre di ricerca. Se commetti qualche sbaglio sei un uomo morto»

«S-Sì, ma- A-Akari-sensei...»

«Non voglio sentire scuse», il dottore continuava a trascinare perentoriamente il ragazzo per i corridoi, senza mollargli l'orecchio, se avesse continuato per altri dieci minuti, Yogi avrebbe potuto fare i provini per venire preso nel cast di Dumbo, nel ruolo di protagonista principale. Con un paio di noccioline ed un sorcio sulla testa, avrebbe potuto spiccare il volo senza neppure bisogno del braccialetto di Circus, dato che si sarebbe ritrovato due orecchie grosse quanto una porta aerei.

«Ma la cabina di pilotaggio...»

«Cosa vuoi?», Akari non sembrava lasciare spazio alcuno a domande, e ora aveva agganciato il povero disgraziato anche per l'altro orecchio e lo continuava a tirare, senza curarsi della sua volontà, incapace di comprendere che Yogi, oramai, si era ben rassegnato all'idea di venire schiavizzato dal ricercatore e fargli da tassista senza neppure chiedergli il conto, «Non mi dirai che mi hai mentito? Che non sai pilotare la pignatta? Quella volta che sono salito a bordo con te, c'eri riuscito, quindi non mi raccontare balle-»

«No, no! La so pilotare! E'- è... è solo che-»

«Oi»

Yogi s'interruppe e sentì le orecchie, libere e meno gonfie, riprendere la loro grandezza (e colorito) originale quando il dottore lo lasciò andare. L’attenzione di entrambi venne indirizzata quasi spontaneamente verso Gareki, appoggiato allo stipite della sua camera, con un piglio con cui cercava in ogni maniera di rendersi interessante, noncurante, ignorante e un'altra ventina di aggettivi terminanti in "-ante". Non che, nonostante le illusioni del corvino, Gareki non appariva mai come credeva. Anzi, in quella posa così artificiosa, tutto sembrava meno che capitato lì per caso -ed evidentemente non era il risultato del fato, che l'aveva voluto lì, casualmente spettatore delle vicende di un ricercatore sull'orlo di un esaurimento nervoso e un combattente che come armi utilizzava dolciumi dal sapore di arbre magiqué e zucchero a velo verosimile al talco di Pollon.

«Cosa ci fai qui, Gareki?», Akari sollevò il capo e corrucciò severamente la fronte -aveva fretta, non era quello il momento più esatto per incappare in uno dei pochi individui dotati di un cervello funzionante su quella nave. Gareki aveva indubbiamente testa, più materia grigia di quanta ne potessero avere Yogi, Hearty e la coscienza di Kiichi (che costituiva una persona a sé stante) messi insieme, ma in quella situazione non si sarebbe rivelato assai utile, come non si era mai rivelato tale durante le loro avventure -sebbene, a un anno di distanza, poteva affermare con una certa sicurezza che Gareki fosse un porta sfortuna perfettamente funzionante, capace di esorcizzare perfino un corno rosso, un paletto di frassino e tutti gli amuleti e le pietre preziose che in genere si portano contro le disgrazie. Avrebbe perfino fatto seccare un quadrifoglio.

Gareki si guardò disinteressato le unghie e sorrise come se nulla lo riguardasse: «Yogi non le ha detto dov'è la cabina di pilotaggio?»

«Sono venuto in questa nave centinaia di volte, vuoi che non lo sappia da me dove si trova?!»

Gareki non voleva chiedere in che senso Akari-sensei fosse 'venuto' su quella nave e non voleva neppure domandare il motivo di quelle visite tanto assidue. C'erano cose che era meglio non sapere e indizi che riconducevano inevitabilmente al pancione del comandante.

Meglio tacere.

Ingoiò un amaro boccone, quel solo pensiero lo fece tremare e la maschera di apparente virilità che si era costruito registrò un leggero cedimento quando venne sfiorata dall'idea che qualunque divano nello studio di Hirato dove solitamente conversavano, poteva essere stato comodamente 'la scena del delitto'.

Scosse il capo.

Doveva andare avanti.

Doveva dire la sua e rendersi tanto utile quanto lo era nell'anime.

«In ogni caso...», mormorò sentendo il sudore grondargli come le cascate del Niagara lungo la colonna vertebrale, «State procedendo nella direzione sbagliata. La cabina di pilotaggio è dall'altra parte»

Akari, preso in contropiede, arrossì imbarazzato, mentre Yogi, massaggiandosi le doloranti orecchie, sgranò gli occhi, luccicanti per l'ammirazione.

«Gareki-kun! Sei così intelligente!»

 

 

 

«Pilota»

Schiaffò il biondino contro il posto guida, gli allacciò la cintura di sicurezza per impedirgli ogni via di fuga e gli portò le mani al volante, nel timore che per il troppo shock, il ragazzo avesse rimosso come guidare uno zubat/seconda nave -o forse, preferiva piuttosto non ammettere a se stesso che c'era un alto margine di probabilità che la mancanza fosse il risultato del bernoccolo stile cono tre gusti di Dragonball che ora si ergeva, pendente come la torre di Pisa, sul capo del bishounen.

Gareki aveva alla fine deciso di abbandonare ogni proposito inerente allo spendere l’intera giornata nella solitudine -solo stando in comunità poteva farsi calcolare dai presenti e recuperare la presenza persa negli ultimi capitoli.

Tokitatsu aveva preso posto accanto ad Akari e lo aveva più volte implorato in maniera alquanto assillante e infantile di tenergli la mano con la scusante della paura del decollo. Ma Akari aveva sempre declinato quell'offerta. C'era qualcosa in Tokitatsu che gli ricordava vagamente qualcuno... qualcuno come un idiota con un debole per le cose tenere e una negata vocazione per la cucina... chissà cosa sarebbe potuto succedere se gli avesse tolto gli occhiali...

«Non lo faccia»

«Uh?»

Gareki si ripeté serio: «So cosa sta pensando. Ma la prego di non farlo. Presto, alla torre di ricerca, avremo a che fare con un uomo dai disturbi della personalità, quindi se ci tiene all'incolumità collettiva, non gli tolga gli occhiali»

"Yogi non aveva torto", Akari lo guardò con sincerità, prima di girarsi e tornare a monitorare il lavoro del biondino, assicurandosi che la nave decollasse senza impiccio, "Questo ragazzo ha davvero cervello. Almeno lui"

Tokitatsu si sporse appena, con le pupille tanto dilatate che un oculista avrebbe potuto metterci la firma dicendo fosse un effetto dato da gocce di belladonna e atropina, e sorrise con innocenza, riuscendo a dimenticare, per almeno un pugno di secondi grande quanto la mano di un bambino appena nato, il problema del decollo.

«Di cosa state parlando?»

«Del tempo», replicò spiccio Akari.

Tsukumo si era rintanata nuovamente nel giardino interno. Da quando aveva scoperto della gravidanza di Hirato, aveva sentito il bisogno di starsene da sola, nella speranza di trovare qualche cura omeopatica all'esaurimento nervoso, o in alternativa, qualche fungo speciale che le desse delle allucinazioni più piacevoli.

Yogi partì per il decollo, Tokitatsu gridò come una fangirl esaltata al concerto degli One Direction o di Hatsune Miku LIVE a Tokyo, anche se l'enfasi era data per motivi completamente avulsi, Nai alzò le mani al cielo agitandole come suggeriva la nota canzone di Capitan Uncino e Gareki cercò di dissimulare come suo solito ogni sensazione.

Tuttavia alla fine finì per stritolare la mano del niji.

«Gareki-kun, ha paura di volare?», domandò ingenuamente Nai.

Akari si voltò basito, subito dopo aver porto al ministro della difesa la pompetta per l'asma.

«Non eri tu quello che qualche mese fa millantava di essere un cavaliere senza macchia e senza paura?»

«Non gli ho preso la mano per paura», si scusò il corvino sudando freddo, «Volevo prendere la bottiglia dell'acqua»

«Mentre decollavamo?»

«Mi piace sfidare le leggi della gravità»

Il dottore si portò una mano alla fronte.

"Mi correggo. Se non fosse per quel maledetto orgoglio... potrebbe perfino essere intelligente"

Fortuna che quello non era un problema che lo riguardava. Almeno lui, era tanto sveglio da far vivere in armonia orgoglio e intelletto, senza permettere che l'uno ledesse l'altro o interferissero tra loro.

Il cellulare del dottore vibrò ma fu Yogi a fargli notare l'anomalo rumore, togliendo il dottore alle sue preoccupazioni.

Era sicuro che quando chiamava Hirato c'era sempre una suoneria, qualcosa che ricordava vagamente le canzoni di Celine Dion, ma si domandava se non fosse stata una sua impressione, dato che di recente aveva sempre sentito quel telefono vibrare. «Perché lo tiene in silenzioso, Akari-sensei?», domandò, sperando che l'interesse non gli costasse un'altra bernoccolata con tanto di interessi, «Non ha una suoneria?»

«Quella solo per Hirato e una ristretta cerchia di ricercatori. Tutti gli altri sono rotture di scatole quindi meno li sento, meglio sto»

«S-Scusi ma se, ipotizzando per estremi... Tsukitachi dovesse avere dei problemi nel campo di combattimento, Jiki vada soccorso o Kiichi stia per morire... ecco... se lei non rispondesse non potrebbe aiutarli... Morirebbero-»

«E' una grave perdita?», echeggiò Akari noncurante, con lo sconcerto dei presenti.

«Vuoi dire che hai il silenzioso anche per le mie chiamate?!», urlò di stupore Tokitatsu.

«Non vedo dove sia il problema. Il telefono è mio e faccio quello che mi pare», bofonchiò il dottore incrociando le braccia in segno di rifiuto, «Inoltre, ci tengo a precisare che la prima nave è piena di deficienti quanto questa. E i deficienti sono duri a morire. Tsukitachi se la saprebbe cavare da solo, Jiki ha più probabilità di sopravvivere ad un Varuga che a Kiichi, e parlando di lei... quella non l'ammazzerebbe neppure un meteorite. Quindi il rischio non sussiste»

«Ha intenzione di far vibrare quel cellulare a lungo?», domandò Gareki, irritato da quell'incessante ronzare.

Akari gli rifilò un'occhiataccia e rispose alla chiamata.

«Akari-chan~», Tsukitachi intonò il nome del ricercatore come una dolce ninnananna, ma il pensiero che il retrogusto di sakè, whisky e alcolici di ogni genere dovesse attentare all'innocenza di quella melodia bastò a fargli sentire il disgusto sino al palato -ma probabilmente era anche lui, quello che oramai ne aveva le tasche piene di quella situazione, «Indovina, indovinello~ Chi è che è diventato papà~?»

Akari sbiancò, e non era sicuro che le vertigini che aveva fossero dovute all'altezza a cui stavano volando.

Tsukitachi restò in silente attesa, incapace di trattenere ancora a lungo una risata.

«Akari-chan?», domandò cercando di restare serio, «Suvvia, non è la fine del mondo! Sei papà! Sai, no? D'ora in poi dovrai fare quelle cose come aiutare Hirato a cambiare i pannolini o- o andare in giro con la creaturina nel passeggino... o-»

Il silenzio dall'altra parte del telefono gli lasciò una nota di perplessità.

"E' caduta la linea...?"

«Akari-chan?»

Gli sembrò di sentire le voci preoccupate di Tokitatsu e Yogi seguite da un sonoro tonfo.

E prima che potesse dire altro, la comunicazione era stata interrotta.

 

Tsukitachi fissò disinteressato il cellulare ma distolse lo sguardo quando vide Hirato uscire goffamente dal bagno della torre di ricerca.

«Hai parlato con Akari?», domandò preoccupato il corvino, le banshee liberate dal suo capello gli facevano aria con ventagli di ogni genere.

Il rosso sorrise sornione: «Tutto a posto! Secondo i miei calcoli, dovrebbe venire qui in un battibaleno!»

«Sta bene?»

«Me lo auguro», asserì Tsukitachi.

«Anche se molte volte ti comporti come un idiota, ho come l'impressione che questa situazione stia facendo maturare anche te. Ti ringrazio per avermi ascoltato ed avvertito Akari dell'importanza, per me, di averlo al mio fianco nel momento del-», forse era più imbarazzante, ridicolo e nonsense di quanto avesse mai ritenuto, dire quella parola, «sì, insomma... ... ...del parto»

«Fidati, gli ho riferito per filo e per segno tutto quello che mi hai detto di dirgli!»

«Anche di portare la valigia con i ricambi per quando passerò le notti qui?»

Tsukitachi annuì dopo un lungo silenzio.

«Solo un idiota se lo dimenticherebbe»

«Ti scongiuro, fa di non farmi pentire delle buone parole spese per te due secondi fa», bofonchiò Hirato portandosi una mano alla fronte e l'altra al pancione e guardò disperato il soffitto implorando pietà.

Il comandante della prima nave era ancora lì al suo fianco, tranquillo e sereno come una pasqua, con quel sorriso indecifrabile sulle labbra e forse perfino un po' inquietante. Fissò il cellulare di Hirato, ancora in suo possesso, e lo consegnò al collega.

 

«Ah, a proposito», disse con noncuranza, «Credo ti si sia rotto»

 

 

*bishounen: ragazzo faigo e giovane di anime/manga

 




Tecnicamente 'zubat' è anche il nome di un pokemon... la forma delle navi di CIRCUS lo ricordano vagamente (ma non è che ho cominciato a giocare a Pokemon versione oro per ds, noooo *coff coff*).... Provo tanta pietà per Hirato. Tra le mani di chi, ti ha lasciato Akari-san...? Povero e ancora incinto xD
Orsù, il momento si avvicina... E gli ormoni fanno delirare il comandante della seconda nave. Non c'è altra spiegazione.
O forse è la disperazione ;)

In tema con i pokemon, in genere le sigle cantano che l'importante è cominciare l'avventura anche se non sai dove ti porterà....
E in effetti, non so dove mi porterà questa fan fiction ahahahahah
Prendiamola come un'avventura dei pokemon...

Se siete arrivati a leggere sino a qui, delirio dell'autrice compreso, vi ringrazio per la comprensione, ora potete tirarmi i pomodori o le pokéball se volete xD
ma siate gentili *citazione MUST da anime yaoi*
ringrazio come sempre chi mi segue/ha inserito la storia tra le
preferite/seguite etc... perché l'elenco è ultra lungo e io sono ultra pigra >3>
Vi voglio bene e vi ringrazio davvero per il vostro supporto!
Un bacio!!! :* :*


A presto!!!
   
 
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