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Autore: pikychan    08/09/2014    2 recensioni
Questa fanfiction comincia da Lucinda.
Ora ha tredici anni e anche quest'anno parteciperà al Gran Festival.
Poco prima della finale però conoscerà una ragazza che sembra conoscere Ash. Questa decide di ripartire per trovarlo.
Preoccupata per le sorti della ragazza ne parla con la sua amica Zoey.
...
"...Non ti piacerebbe rivedere Ash?"
...
Le consiglia di ripartire con questa ragazza, ma Lucinda è confusa.
Che cosa farà alla fine?
{Pearlshipping and Elettricshpping}
[AshxLucinda and CamillaxLem]
Genere: Demenziale, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ash, Lucinda, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pokémon: Le mie fanficition sulla pearlshipping'
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Niente mi fermerà

 

Tre ragazzi e un porto. Due ragazzi, una ragazza. C'era già il tramonto. I due ragazzi si stavano per imbarcare. Non si vedevano le loro facce. Erano voltati. Uno indossava un cappello, i capelli avevano una forma strana e un colore insolito. L'altro capelli marroni appuntiti. Era più alto.

La ragazza invece aveva capelli blu e occhi dello stesso colore. Aveva un'espressione seria. Forse si stava trattenendo. Le lacrime. Perchè se avesse parlato le lacrime calde le sarebbero scese sulle guance, come una sorgente di acqua termale da una montagna.

I due non dissero niente ed a un certo punto cominciarono ad avanzare.

«Aspetta Ash! Non andare!»

I ragazzi però come se non la sentissero non si fermarono. Non esitarono neppure. La ragazza dal canto suo era bloccata. Completamente immobile. Paralizzata. Le tremavano le gambe. Le faceva male la faccia. Troppa fatica trattenersi. Da toglierle il respiro. Si stupiva di essere riuscita a gridare quella frase senza collare.

«Io...!»

 

Lucinda fece uno strano scatto. Si sturlò contro una mensola. Indossava la sua camicia da notte rosa. Era nel letto del Centro Pokèmon. Ormai erano le undici passate. Tutti dormivano. Le luci erano tutte spente. Perfino l'Infermiera Joy stava dormendo. Si godeva il meritato riposo dopo una lunga giornata di lavoro.

La blu si era fatta proprio male. L'impatto l'aveva fatta urlare. O forse era il continuo del grido in sogno? Non lo sapeva bene, ma quello che sapeva era che non avrebbero dovuto attaccare una mensola sul letto. Ora per colpa loro le sarebbe venuto un bel bernoccolo!

“Lucinda... perchè urli? ...mi hai svegliata...” emise piano Camilla. Aveva appena alzato la testa e si sfregava gli occhi.

“Ah, t-ti chiedo scusa! Il fatto è che ho avuto un incubo e...!” la ragazza si era agitata. Quando parlava con la mora era quasi sempre così. Anche se stavolta la colpa non era di Camilla. La blu era solo agitata che potesse intuire, per quanto possibile, quello che aveva sognato.

“Lucinda...?” la richiamò lei come uno zombi. Si sfregava ancora un occhio. Le due nocciole erano socchiuse.

“Eh... sì?!” si era ancora più agitata. Ora ne era certa. Aveva capito tutto...

“Stai ancora urlando...” disse invece con grande sorpresa dell'amica. Sgranò gli occhi. Meno male. La ragazza nocciola sembrava più stanca che curiosa. Anzi la sua curiosità risultava proprio inesistente in quel momento.

Lucinda si scusò. Sussurrò quasi. La mora non se ne accorse neanche e subito crollò di nuovo. Testa sul cuscino. Russava debolmente. Quasi non si sentiva. I suoi capelli ormai erano sciolti. La ragazza la osservò ancora. Allerta. Tanto per assicurarsi che non saltasse su da un momento all'altro. Esclamando qualcosa e sorridendo. Ne sarebbe capace... pensò. Ma poi si lasciò cadere indietro. La sua faccia lasciava intuire una profonda perplessità. Perchè un sogno del genere? Perchè proprio ora? Le ricordava di quando Ash e Brock stavano partendo. Quando dopo la Lega di Sinnoh Ash aveva deciso di tornare a casa e Brock che avrebbe cominciato a studiare come Medico Pokèmon.

Una cosa, in particolare, non capiva. Una cosa che le premeva. L'unica cosa che si ricordava è che aveva gridato ad Ash, ma lui non si era fermato.

Io...

Che cosa voleva dirgli? Che cosa gli avrebbe detto se non avesse sbattuto contro quel maledetto scaffale?

Immagino si abbia solo una sola occasione nella vita...

 

Il giorno era tornato. Oggi era anche più bello del precedente. Lucinda si era svegliata per prima. Ora aveva davvero pochissimi ricordi di quello che era successo la sera stessa. Aveva fatto un sogno. C'erano lei, Ash e Brock. Ma non ricordava neanche cosa fosse successo. Dove fossero. Sapeva solo che a un certo punto aveva tirato una bella zuccata svegliando anche Camilla.

Aveva trovato i suoi vestiti in un posto che non avrebbe mai immaginato. C'era un piccolo frigo rotto. Li aveva buttati li dentro... no, buttati proprio no. C'era da dire che aveva avuto la premura di piegarli. E il frigorifero era pulito. Ciò non toglie che non avrebbe dovuto. E tutto per farle indossare un vestito rosa confetto inadatto alla vita quotidiana. Il giorno prima ce l'aveva fatta, ma oggi no. Avrebbe indossato gli abiti abituali. Almeno si sarebbe sentita a suo agio.

La ragazza dagli occhi blu andò vicino alla finestra. Le tendine erano rosa. Forse tendevano un po' al viola. Senza preoccuparsi per Camilla che dormiva le aprì. La luce entrò violentemente. La mora arricciò gli occhi e la bocca. Sempre tenendoli chiusi. Non avrebbe rinunciato facilmente a quell'oscurità che la rassicurava.

“Sveglia pigrona, è ora di alzarsi!” esclamò sorridente.

La ragazza nocciola allora lentamente si tirò a sedere. Si sfregò l'intera faccia. Con le due mani. Quando le tolse i suoi occhi si erano aperti. Aveva ancora un'espressione un po' ebete. Il suo sguardo si fece pian piano perplesso. Sbatté gli occhi due volte prima di aprirli definitivamente.

“Com'è che sei già sveglia?”

“Sorpresa, eh? Ho detto a Piplup di chiamarmi quando si svegliava, così mi sarei svegliata prima di te e mi sarei potuta alzare con calma” sorrise. Era stata proprio intelligente. Sapeva che Piplup, come tutti gli altri Pokèmon, si svegliava sempre presto. Così gli aveva detto di chiamarla usandogli bolleraggio sulla faccia. A pensarci bene era stato un risveglio un po' brusco, ma nessun piano è perfetto.

“Mah, secondo me hai solo voglia di vedere Ash” commenta. A fine frase si stiracchiò premendosi ancora una volta le mani sulla faccia.

Lucinda era perplessa. Cosa centrava Ash? No, non ci stava certo pensando. Perchè l'aveva menzionato? Lei non... era uno scherzo. Una battuta buttata lì. Di certo si aspettava si agitasse. Sì, era quello. Doveva rimanere calma. Calma e sangue freddo. Il cuore aveva cominciato ad accelerare, ma non poteva darlo a vedere... ma perchè il cuore aveva accelerato? Perchè si sentiva così agitata? Di certo non era arrabbiata. Forse un tantino spaventata. Un po' umiliata. Ma no, non era per quello. O almeno così le diceva il suo istinto...

“Perchè hai quell'espressione ebete? Sei buffa” disse ridendo debolmente.

A quel punto la strana agitazione della blu era passata. Se ne era andata improvvisamente così come era arrivata. Era come se avesse scampato un pericolo per un pelo. Ora si che si sentiva arrabbiata. L'amica l'aveva presa in giro ancora. Si lamentò dicendole che qualunque cosa facesse la facesse ridere e come si poteva prevedere Camilla rise ancora più forte e di gusto. Sapeva che non se l'era presa veramente. E aveva ragione.

 

Quando scesero trovarono tutti gli altri ad aspettarle. Serena e Clem erano sedute sul divanetto davanti alla TV. Trasmettevano un anime molto popolare tra le ragazze. Si chiamava Love of Music. Parlava di tre ragazze con la passione per la musica che sognano di diventare musiciste professioniste. Era appena cominciato. Si sentiva la sigla. Gli occhi della piccola brillavano. Anche a Lucinda piaceva molto quell'anime. Si chiedeva se piacesse anche a Camilla, ma forse non era il suo genere. La vedeva più per anime di maghette. Dove c'è da sconfiggere in ogni puntata il cattivo e poi solo alla fine si rivela quello finale.

La ragazza dai capelli castani invece stava leggendo una rivista. Non sembrava la sfogliasse solo, perchè rimaneva su una pagina per un bel po'. La rivista si chiamava Pokè&Chic. La blu se ne intendeva. L'avrebbe riconosciuta a distanza di kilometri.

Ash invece era impegnato a strofinare con uno straccio azzurro la sua unica medaglia. La Medaglia Insetto. Per ora l'unica, ma presto avrebbe conquistato anche la seconda. La Medaglia Rupe. Il giorno stesso se fosse stato possibile. E perchè no?

Lem invece avvitava con un cacciavite. Uno strano aggeggio. Un quadrato di ferro che stava in una mano. Sicuramente era una delle sue invenzioni. Impossibile dire a cosa servisse.

“Ciao a tutti!” salutò la mora.

“Ciao ragazze! Pronte per partire?” il ragazzo dagli occhi marroni si alzò. Stamattina le faceva uno strano effetto. A Lucinda. Da una parte sarebbe voluta scappare. Dall'altra abbracciarlo. Non sapeva il motivo. Era felice e imbarazzata. Si sentiva a disagio. Che le prendeva? Si sentì caldo. Aveva paura che le guance le fossero diventate rosse. Che l'avesse notato. Questa volta se le avesse chiesto cos'aveva non avrebbe saputo formulare strane ipotesi come invece aveva fatto tre anni prima.

«Ti è forse finita della polvere negli occhi?»

Per quanto si sbagliasse la ragazza aveva risposto di sì. Quell'ipotesi da parte dell'amico le aveva fatto passare tutta la tristezza. Si sentiva davvero stupida. Non c'è nulla di cui preoccuparsi, lo diceva eppure non ci credeva. Per lei era solo un modo di dire. Invece per Ash era uno stile di vita.

“Scusami Ash, oggi non sono riuscita a farle indossare l'abito rosa confetto” disse a un certo punto la mora. In quei casi l'amica l'avrebbe fulminata all'istante. Perchè dire una cosa del genere? Sembrava quasi che... no, non si attentò neanche a pensarlo per paura di aver ragione.

Il ragazzo fece una faccia molto confusa. Non capiva neanche fino in fondo che avesse detto. Perchè gli chiedeva scusa? Non gli aveva fatto niente di male.

“Clem, staccati dalla TV, è ora di andare” l'avvertì il fratello.

“Oh, è quella puntata dove Ran e Miki decidono di preparare i cioccolatini per Toma e Shiro, vero? Anche se poi il cioccolato si brucia e loro devono rifare tutto da capo” si avvicina la ragazza dai codini. Ecco svelato il mistero. Anche Camilla lo guardava. E sembrava anche ne fosse un'esperta.

La biondina la guardò con gli occhi languidi. La ragazza allora si scusò un po' agitandosi. Non voleva anticiparle l'episodio. Le era venuto spontaneo. Tentò di rimediare, ma ogni volta che ci provava finiva sempre per rivelarle qualche particolare in più. Su quella puntata e su quelle successive.

 

Dopo che Lem ebbe preso la sorellina con una delle sue invenzioni, i nostri eroi potettero procedere. L'invenzione del ragazzo era un robot tondeggiante che al posto della testa aveva un braccio meccanico. Questo finiva con un guantone rosso. Che teneva Clem. Dalla maglietta.

“Uffa fratellone, adesso potresti anche dire al tuo robot di lasciarmi andare” bofonchiò lei imbronciata.

“Prendila come una punizione per aver fatto i capricci” controbatté lui. Non si era scomposto di una virgola. Il suo tono era risultato serio, ma non severo. In effetti la bimba aveva fatto davvero i capricci. Non voleva scollarsi dalla televisione. Adesso erano un po' in ritardo secondo i tempi stabiliti.

I due fratelli fecero scappare una risata a Camilla. La prima volta che aveva incontrato Lem le era sembrato così timido e impacciato. Non avrebbe proprio mai detto che si sarebbe rivelato un abile inventore e responsabile fratello maggiore. Ridendo le tornò in mente qualcosa. Sgranò un po' gli occhi. Si voltò verso il ragazzo con gli occhiali. Era più indietro rispetto a lei. Quindi fece un mezzo giro su se stessa continuando a comminare all'indietro.

“A proposito, Lem non te l'ho ancora detto, ma sono felice di riaverti incontrato, sai dal primo momento la tua sorellina mi è sembrata famigliare, vi somigliate molto”

Lem prese un po' colore. Non si aspettava che così all'improvviso quella ragazza gli avrebbe parlato. E quello che gli aveva detto per giunta. «...sono felice di riaverti incontrato...», solo il pensiero di quelle parole lo imbarazzava. Era veramente un ragazzo timido e impacciato. Poteva veramente piacere a una persona come Camilla? Le stava simpatico?

L'espressione di Clem si fece entusiasta. Facendo un salto riuscì a liberarsi dalla morsa del robot. Corse incontro alla mora che si fermò confusa.

“Camilla, sei perfetta!” cantò, poi si inginocchiò “Ti prego, prenditi cura del mio fratellone!”

La ragazza si fece ancora più confusa. Prima che potesse dire qualsiasi cosa però prese parola Lem. Si era fatto rosso rosso in faccia. La sua espressione era abbastanza arrabbiata. Agitato e imbarazzato.

“Clem ma cosa dici!” la rimproverò.

“Ho capito, sembra divertente, ci sto” sorrise la ragazza cacciando via ogni traccia di perplessità dal suo viso.

Il ragazzo rimase a bocca aperta. Non sapeva se la cosa più strana fosse che sua sorella cercasse sempre di proporlo alle ragazze come un peluche, o se fosse Camilla che aveva accettato.

La bambina era entusiasta. I suoi occhi si illuminarono ancora di più. Cominciò a saltellare sul posto e in avanti. Era veramente felice. Camilla era veramente la ragazza perfetta per il suo fratellone.

 

Arrivarono ad Altoripoli. Era una città dall'aria sportiva. Non era molto grande, ma una cosa che colpì gli amici era la lunga strada che si estendeva davanti a loro. Grigia, asfaltata. A un certo punto sfrecciarono anche davanti ai loro occhi un gruppo di bici. Gialle e verdi.

Ash insistette subito che voleva andare alla palestra. Lucinda invece vide un negozio dove vendevano vestiti. Non poteva non entrare. Chiese agli altri se potevano precederla. Serena le chiese se poteva andare con lei. Aveva una vera fissa per abiti e accessori. Non come la blu. Riusciva a contenersi, ma se si presentava l'occasione non diceva mai di no.

Si separarono davanti al negozio, dove Lucinda e Serena entrarono. Mentre, Ash e gli altri proseguirono in cerca della palestra.

Non appena le due ragazze entrarono non sapettero più dove guardare. La vista di tutti quei vestiti le confondeva. Faceva perdere la lucidità. A un certo punto la castana distolse lo sguardo per guardare l'amica. Aveva gli occhi che le scintillavano. I vestiti erano proprio la sua passione. Sapeva già che avrebbe provato tutto.

E infatti poco dopo la ragazza dai capelli blu, dopo essersi caricata di vestiti, entrò in un camerino. Ci rimase per un bel po' di tempo. L'altra intanto l'aspettava a braccia conserte. Con l'aria annoiata. Sì, ci stava mettendo troppo.

“Come sto?” chiese finalmente uscendo dal camerino. Indossava un paio di pantaloncini di jeans, una canottiera blu, che lasciava vedere la pancia, con sopra una giacchetta gialla, e un cappello rosa e bianco con la visiera.

“Stai veramente bene, l'avevo detto io che stai bene con tutto” sorrise.

“Esagerata...” emise lei imbarazzata grattandosi la testa “e tu non provi niente?”

“No, io devo risparmiare, i soldi mi potrebbero servire”

“Ah beh, neanch'io il compro, sono al verde... però provare non costa nulla” il suo imbarazzo pian piano si sfumò in un sorriso.

“Dici davvero? Anche se sai che non comprerai niente li provi lo stesso?” Serena sgrana gli occhi. Lei non lo aveva mia fatto. Non l'aveva neanche lontanamente sfiorato l'idea.

“Certo, perchè no?”

Con questo Lucinda continuò a provare vestiti su vestiti. Adesso anche l'ormai amica si era convinta. Aveva preso qualche vestito, cappello e scarpe ed era entrata in un camerino. Quando avevano finito uscivano e si chiedevano a vicenda «come sto?», e poi se lo scambiavano. Volavano solo commenti carini e complimenti. Non una volta che una delle due avesse detto anche solo non mi convince... o non mi piace. Non si sarebbero mai offese. Neanche se l'abito di una non fosse stato bene all'altra. A parte il fatto che erano due belle ragazze e le stava bene qualsiasi vestito di quel negozio.

Quando uscirono trovarono gli amici ad aspettarle. Dissero loro che il Capopalestra sarebbe stato molto impegnato e che quindi se Ash non lo sfidava ora avrebbe dovuto aspettare come minimo una settimana. Decisero che sarebbero andati subito, anche perchè erano d'accordo con Lino, lo stesso Capopalestra. Lucinda disse che doveva andare al Centro Pokèmon. Disse che Piplup aveva un po' di mal di pancia. Mentì. Però lo fece per una buona causa. Una cosa che le stava a cuore... insistette nel dire che intanto loro dovevano andare. Si agitò.

«Vi raggiungo dopo, non c'è nulla di cui preoccuparsi!»

Allora gli altri fecero come aveva detto lei. Confusi. Non capivano perchè facesse così. Si avviarono, mentre lei tirò un sospiro di sollievo.

Entrò nel Centro Pokèmon. Non ci mise molto. Lo trovò al primo colpo. Senza perdere tempo entrò nel camerino del Centro. Si tolse lo zaino dalle spalle. Lo aprì e cominciò a cercare qualcosa.

Passati una manciata di minuti era ancora lì. Voltata verso lo specchio. A pettinarsi.

“Sono pronta!” esclamò dopo aver dato le ultime spazzolate finali “Finalmente posso rimettermi questo vestito, che nostalgia” aggiunse. Ora era vestita da Cheerlader. Lo stesso vestito che si metteva a Sinnoh. Per le lotte in palestra di Ash. Prese anche i due pon-pon rosa dalla borsa. Si ricordava bene la fatica che aveva fatto per comprimerli dentro. Ne è valsa la pena... pensò adesso. Rimise via la spazzola.

Corse fuori dal camerino. Non si fermò prima di arrivare alla porta. Si arrestò subito. No. Non poteva essere vero. Non poteva assolutamente esserlo... fuori pioveva. A di rotto. A ritmo regolare. Non troppo forte. Non troppo piano. Pensò che era davvero sfortunata. Non avrebbe assistito all'incontro del suo amico. Non era possibile. Eppure poco fa era bello! Lassù c'era qualcuno che le voleva male. Ma perchè? Che cosa gli aveva fatto?

Restò inerte a guardare la pioggia che scendeva. Per cinque. No, forse dieci minuti. Di sicuro si stavano tutti chiedendo dove fosse, perchè non arrivava... era bloccata. Non aveva il coraggio né di avanzare né di arretrare. Bloccata. Come in quei giorni le era capitato spesso. Troppo spesso. Tre anni fa avrebbe preso una decisione senza troppe storie. Tre anni fa la vista di quella pioggia non l'avrebbe fermata...

«Lucinda, ricordati sempre di seguire i tuoi sogni»

...basta esitare. Aveva deciso. Corse fuori sotto lo sguardo stupito e incredulo di tutti. Quella ragazza. Che non aveva neanche l'ombrello. A correre sotto la pioggia coprendosi la testa con i soli pon-pon. Ai loro occhi pareva folle. Ma loro non avrebbero mai immaginato la realtà dei fatti.

 

Era passata già una mezz'ora da quando Lucinda era partita. Alla palestra l'incontro tra Ash e Lino si era quasi concluso. Un'altra mossa e uno dei due Pokèmon sarebbe finito KO. Era l'ultimo round. Da questo sarebbe dipesa la vincita o la sconfitta del ragazzo.

Camilla guardò la finestra. Pioveva davvero tanto. Era una pioggia talmente lineare che sarebbe potuta continuare ancora per un'ora al minimo. Pensava all'amica. Non credeva potesse essere uscita con quell'acquazzone. Piuttosto aveva paura che si potesse essere trovata in mezzo alla tempesta. Sarebbe stato da folli uscire con quelle condizioni atmosferiche. O comunque una cosa che una come Lucinda non sarebbe riuscita a fare. Ormai credeva di conoscerla. Non cercava complicazioni. Le ripudiava dal profondo. Cercava sempre la via più facile per fuggire da ogni complicazione.

Sentirono la porta aprirsi. Camilla, Lem, Clem e Serena. Non poterono credere ai loro occhi.

«Lucinda!?»

La ragazza era bagnata fradicia. Da capo a piede. Sorrideva imbarazzata. Sapeva che gli amici stavano pensando a cose come dev'essere impazzita.

Dal campo di battaglia si sentì un urlo. Ash stava gridando a Pikachu di non arrendersi. Di lottare fino alla fine. Ce la poteva fare. Il Pokèmon giallo aveva subito diversi attacchi. E ora era pieno di graffi e stringeva i denti.

La blu non ci pensò un attimo. Corse in centro alla tribuna.

«Ash! Pikachu! So che ce la potete fare! L'importante è crederci dal profondo del cuore!»

Il ragazzo dagli occhi marroni si girò. Aveva capito subito di chi si trattava. Non credeva però potesse essere vero. No, lei doveva essere ancora al Centro Pokèmon. Non si sarebbe mossa con quella pioggia. Forse neanche lui al suo posto l'avrebbe fatto. Gli dispiaceva. Certo. Ma capiva... invece eccola lì. La ragazza che lo aveva accompagnato per tutto il suo viaggio a Sinnoh. Lucinda. Da subito gli venne quasi da gridare il suo nome per lo stupore. Poi però non lo fece. Ordinò invece un attacco a Pikachu. Ormai il topino era in piedi. Gli urlò di colpire con tutta la potenza che aveva. L'avversario cadde a terra finendo KO. Pikachu fece un saltino all'indietro. Respirò affannosamente per poi cadere anche lui. Era finita. L'arbitro dichiarò la vittoria dello sfidante. Lui ci rimase di sasso. Non poteva credere di aver veramente vinto. Era stato tutto così veloce, non riusciva neanche a ricordare i particolari. Il Capopalestra ritirò il suo Pokèmon con la PokèBall, mentre Ash corse dal suo. Si era ripreso. Lo abbracciò per festeggiare la vittoria.

Lucinda era felice. Sorrideva compiaciuta. Il suo amico aveva vinto. Ce l'aveva fatta. Pensò che ne fosse valsa veramente la pena. Uscire fuori con la pioggia per vedere Ash vincere. Lo avrebbe rifatto. Non era un problema se lo poteva vedere così contento. Le dispiaceva solo per i suoi capelli. Ci aveva messo tanto a pettinarli. Chi sa ora com'erano. Le veni da starnutire.

“Lucinda!” l'amico corvino l'aveva sorpresa alle spalle. Aveva le mani sui fianchi. L'aveva chiamata come per rimproverarla.

“Ash! Congratulazioni per la vittoria!” esclamò sorridendo. Non aveva colto neanche lontanamente.

“Perchè sei venuta? Non vedi che piove?” continuò lui demoralizzando un po' il tono. L'amica gli aveva fatto tenerezza. Non riusciva a sgridarla così. Poi lui era solo preoccupato.

“Certo che lo vedo e non è stato facile”

“Saresti dovuta restare al Centro Pokèmon... guardati, sei tutta bagnata...”

“Non c'è nulla di cui preoccuparsi, tranquillo” ricordò in tono saccente.

Lucinda lo diceva anche troppo spesso. Ormai lo faceva per moda. Prettamente a caso. Si chiedeva se lo pensasse veramente o se lo dicesse solo per non farlo preoccupare. Impossibile dirlo. Non ci capiva proprio niente. Le ragazze per lui erano un mistero. E forse lui era un mistero per le ragazze. C'erano tante. Tantissime cose che non capiva. Sapeva solo che era felice. Felice che l'amica fosse arrivata. Anche se sapeva che questo pensiero lo rendeva egoista.

  
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