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Autore: SmartieMiz    08/09/2014    1 recensioni
Haruka Nanase non parla molto o meglio, non parla più. Si esprime tramite la musica che è il suo tutto.
Makoto Tachibana non parla poco o meglio, forse parla anche troppo, ma sa rispettare i silenzi e ogni singola nota di Haru. Non capisce un granché di musica, ma quella di Haru lo avvolge. Teme l'acqua, ma accanto ad Haru non ha paura.
Con lui, Makoto dimentica ogni preoccupazione. Saranno l'uno l'ancora dell'altro.
Fino alla fine.
“Dimmi, allora, cosa si celava nei suoi occhi?
Vi era l’oceano. Erano blu come il mare, gelidi come il ghiaccio e travolgenti come la musica che suonava.”

[Lievemente ispirata a “La leggenda del pianista sull’oceano” | Pairing MakoHaru | Angst a palate]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Haruka Nanase, Makoto Tachibana
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Tasti neri e tasti bianchi (della nostra vita)
Rating: giallo
Genere: angst/drammatico/romantico
Pairing: MakoHaru

 

Note: Salve a tutti! Ecco il terzo capitolo! Mi scuso per il ritardo, ma sono ancora qui! XD Spero che vi possa piacere!
Premetto che ci saranno altre note a fine capitolo, questa volta! XD
Ringrazio tutti coloro che leggono e recensiscono! <3

 


 

Questi personaggi non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

~  Tasti neri e tasti bianchi (della nostra vita)



 






Atto III
Libero
 

 


Haruka passeggiava per la nave con le mani nelle tasche dei pantaloni. Nella saletta di terza classe vi erano molte persone, le une strette alle altre. Vi erano alcuni bambini in lacrime che non osavano allontanarsi dai propri genitori, forse spaventati per il viaggio, e altri che cercavano di ammazzare il tempo inventandosi mille giochi.
Nonostante tutto, vi erano anche bambini che, spensierati, sorridevano.
Non si poteva dire lo stesso degli adulti e degli anziani: una ragazza sola e giovanissima in stato interessante, un uomo che non poteva avere più di quarant’anni già colpito dai segni della vecchiaia, un anziano signore con gli occhi impietriti e una giovane coppia circondata da quattro pargoli.
A quella visione, Haruka si sentì raggelare. Non era di certo una persona felice o allegra, ma riusciva a percepire il gelo che aveva impadronito la gente in quel posto.
Poi diede un’occhiata alla gente seduta su delle postazioni in legno molto semplici: un uomo di mezz’età che aveva la fortuna di saper leggere aveva un giornale tra le mani che condivideva con altre tre persone; una bambina dormiva beatamente, appoggiata alla spalla di una donna dallo sguardo dolce e malinconico.
Poi vi era un ragazzo con i capelli scompigliati color oliva e un paio d’occhi verdi che, con un piccolo sbuffo, chiuse il diario che aveva tra le mani.
Haruka riconobbe in lui Makoto Tachibana.
Lo fissò silenziosamente per qualche minuto. Dopo un po’ Makoto intercettò il suo sguardo e sorrise lievemente, agitando la mano in segno di saluto.
Haruka si voltò subito da un’altra parte, fingendo di non aver visto niente.
Ciò che lo catturò fu il pianoforte vecchio – e forse anche poco funzionante – che era posizionato in un angolo della saletta. Era libero.
Il pianista gli si avvicinò quasi con cautela per poi premere ciascun tasto. Soltanto una decina di tasti funzionavano.
Quattordici tasti, ma posso ugualmente fare della buona musica, pensò Haruka, sedendosi alla postazione e sgranchendosi le dita.
Qualcuno lo additò e mormorò: «È il pianista…».
«Il pianista della nave? Haruka Nanase? Il ragazzino?».
«Sì, è lui».
Haruka iniziò a tessere la propria musica, musica che aveva deciso di condividere con quelle persone.
Non era un ritmo ballabile, non era un componimento allegro.
Era una melodia delicata e rassicurante quanto una ninna nanna.
I bambini spaventati smisero di piangere. Tutti guardavano il pianista, ammaliati.
«Haruka…», sussurrò Makoto, sorridendo appena.
Haruka era riuscito a catturare l’attenzione di tutti su di sé.
Bastarono cinque minuti per rischiarare quelle persone illuminando i loro volti e accendendoli di una nuova speranza.
Quando ebbe smesso, si alzò e si dileguò.
Gli unici rumori udibili erano i respiri delle persone. Fu un ragazzo intraprendente seduto di fronte a Makoto a rompere il ghiaccio.
«Che aria da spaccone».
«Come, prego?», rispose immediatamente Makoto, quasi come se quel commento fosse riferito a lui e non al pianista.
«Quel ragazzetto ha l’aria di uno che se la tira», continuò il ragazzo: «È sempre sulle sue…».
«Io credo sia una persona molto umile», lo controbatté Makoto.
«È scontroso ed è anche arrogante».
«Gli hai mai parlato?».
«No».
«E come fai a saperlo?».
«È palese, no? E rifiuta anche le proposte facoltose che gli vengono fatte. C’è gente che farebbe di tutto per poter sfondare a livello internazionale e guadagnare un mucchio di soldi. Lui si ostina a suonare il pianoforte in questa nave».
«Sono scelte».
«No, non sono scelte. Significa essere sciocchi e incredibilmente presuntuosi».
Makoto chiuse un attimo gli occhi. «Le voci girano, dunque. È un ragazzo riservato e viene considerato presuntuoso perché non coglie le opportunità che gli vengono offerte ed è scontroso ai vostri occhi soltanto perché è piuttosto taciturno…».
«Lo conosci, per caso? Ne parli con molto trasporto», fece quello, con un sorriso irrisorio.
Makoto sgranò leggermente gli occhi. «Io…».
Makoto non conosceva Haruka, eppure si era sentito in diritto di difenderlo da quelle accuse.
Che ne sapeva lui di Haruka Nanase?
«… no, non lo conosco. Ma ti assicuro che ti sbagli», disse, infine.
«Beh, sarai empatico, che ti devo dire. È un dono che hanno poche persone, sai?».
Il ragazzo sorrise sornione. Makoto si limitò a fare un piccolo sorriso, controllando la rabbia nel migliore dei modi.
 

~

 
«Ren! Ren!».
Il piccolo Ren emise uno sbadiglio. «Cosa c’è, Ran?».
«Voglio una nuova avventura!», disse la piccola, entusiasta.
Ren si stropicciò gli occhi. «Eh?».
«Voglio esplorare la nave!».
«Ma Makoto ha detto di non allontanarci…».
«Ma io ho voglia di intrufolarmi nelle zone dei ricconi! C’è molto da scoprire, ne sono sicura!».
A giudicare dall’espressione, Ren non sembrava molto convinto. «Lasciami dormire un altro po’», biascicò, girandosi dall’altra parte.
«E se ci fosse un tesoro nascosto?», cercò di persuaderlo Ran: «I pirati vogliono i tesori… e tu che sei il capitano delle guardie dovresti acciuffare i pirati che vogliono rubare, no? Verrai con me, Ren?».
«Sì, ma…».
Ran saltò dal letto. «Vedremo chi vincerà, capitan Tachibana!», disse la bambina, fuggendo dalla cabina.
«Aspetta, Ran! Aspetta!», rispose il fratellino, per poi inseguirla.
 

~

 
Makoto s’incamminò verso l’alloggio di terza classe che condivideva con i suoi fratelli.
«Ran, Ren, sono qui!».
Il ragazzo si arrestò sulla soglia della porta: i suoi fratellini avevano lasciato la cabina.
Solitamente Ran e Ren lasciavano l’alloggio la mattina insieme a Makoto, per poi incontrarsi con gli altri bambini e giocare insieme.
Il pomeriggio avevano sempre dormito, ma non si poteva dire la stessa cosa di quella giornata.
«Staranno in giro con gli altri bambini… sembrano un gruppo molto affiatato», si disse Makoto, cercando di non allarmarsi.
Nonostante tutto, si mise alla loro ricerca.
 

~

 
«Il tramonto, Ren! Guarda!», fece Ran indicando il cielo rosso.
«Sta annegando il sole», esclamò Ren con un sorriso: «È così bello…».
«Già!», confermò la bambina, per poi sporgersi dalla poppa della nave.
«Scendi subito, Ran. Makoto ha detto che non dobbiamo sporgerci!», le ricordò Ren.
«Ma io voglio vedere meglio!».
«Non sto scherzando! Scendi subito!».
La sorellina sbuffò, leggermente. «Lo so, lo so, hai ragione», constatò, scendendo frettolosamente e inciampando nella propria gonna, per poi scivolare all’indietro e mantenersi al parapetto con una sola mano.
Ran emise un grido.
«Ran!», urlò Ren, con gli occhi sbarrati.
«È tutto a posto, devo soltanto arrampicarmi…», provò a calmarlo Ran, invano. La piccola provò a scalare la ringhiera con cautela, ma finì soltanto per andare più giù.
«Dammi la mano!», fece il fratello, sporgendosi leggermente e provando ad allungare il braccio che, sfortunatamente, non riusciva a raggiungere quello della sorella.
«Non ci riesco!», disse Ran, incominciando a sudare freddo.
«Aiuto!», urlò Ren, disperato: «Qualcuno venga ad aiutarci!».
Ran sentiva che in pochi minuti la propria mano avrebbe ceduto. Provò a cambiare mano con la quale aggrapparsi, ma finì soltanto per perdere l’equilibrio per una frazione di secondo e urlare, spaventata.
Le urla di Ran e le richieste di aiuto di Ren erano come messaggi affidati al vento. Sulla nave non vi era nessuno: evidentemente le classi agiate erano tutte riunite nelle grandi sale per cenare.
«Io… io non ce la faccio…», mormorò Ran, in preda alle lacrime.
«Resisti!», la incitò Ren, piangente: «Verrà qualcuno…».
Ren voleva andare a cercare aiuto, ma il solo pensiero di lasciare la sorella da sola in quelle condizioni critiche lo atterriva.
Quando Ren vide un ragazzo accorrere, provò ad aprire bocca, ma non riuscì a dire niente, immobilizzato dalla paura.
Il ragazzo si sporse dalla poppa della nave e porse la propria mano alla bambina.
Ran accettò la stretta. «Aggrappati al mio braccio con tutte le tue forze», le disse il ragazzo.
La bambina fece come le era stato detto. Il ragazzo riuscì ad issarla, cadendo all’indietro.
Si ritrovarono entrambi a terra, salvi.
Ran respirò, pesantemente. «Grazie», mormorò flebilmente al ragazzo.
«Non ce l’avrei mai fatta senza di te», aggiunse Ren, con un piccolo sospiro di sollievo.
Makoto arrivò in quel momento: doveva aver corso a giudicare dal suo fiato corto. «Cos’è successo? State bene?», disse, ansimante.
«Ran stava cadendo dalla nave, ma il signor Haruka l’ha salvata», rispose Ren.
Makoto incominciò a tremare, facendosi cupo in volto.
«Va tutto bene, fratellone», provò a rassicurarlo Ran, quasi invertendo i ruoli: «Sto bene… grazie al signor Haruka sto bene».
Makoto era come paralizzato. Avrebbe tanto voluto dire qualcosa, ma le parole gli si bloccarono in gola. Non riusciva né a pronunciare parole di conforto per tranquillizzare i suoi fratelli né ad esprimere la propria gratitudine al salvatore di sua sorella.
Una mano poggiata con delicatezza sulla sua spalla lo ridestò. Makoto si voltò: era il pianista.
Haruka lo guardò intensamente.
Non aver paura. È tutto passato.
Era quello il messaggio che era giunto a Makoto con un solo sguardo.
Poco dopo, il pianista si dileguò, lasciando soli Makoto e i suoi fratelli.
«Si può sapere cosa avevate in testa?», sbottò finalmente Makoto, ancora visibilmente scosso per l’accaduto.
«Ren non ha colpe. Sono io che mi sono affacciata al parapetto…», confessò Ran, chinando leggermente il capo e arrossendo per la vergogna.
«Lo sai che cosa sarebbe potuto accadere? Sei fuori di testa?», incalzò Makoto. Una lacrima gli aveva appena rigato una guancia.
«Mi dispiace tanto… non voglio vederti piangere…», singhiozzò Ran.
Makoto si sentì un mostro: Ran aveva sbagliato, ma c’era davvero bisogno di alzare la voce e rimproverarla a tal punto da farla piangere?
Non seppe darsi una risposta. Si sentì un pessimo fratello, una pessima figura di riferimento.
Una pessima persona.
Makoto si avvicinò alla sorellina e la prese in braccio, stringendola fortemente a sé. Ran si aggrappò alle sue spalle robuste, nascondendo il volto nel suo collo.
Makoto fece un cenno a Ren che, timidamente, si strinse alle sue gambe.
«Sarei dovuto essere più attento…», mormorò Makoto a se stesso.
«Non dire così… sono stata io incosciente. Mamma e papà sono fieri di te. Di me no».
Makoto si sorprese di quelle parole pronunciate da una bambina di soli otto anni. Fece scendere Ran dalle sue spalle e fece allontanare Ren, per poi posizionarsi di fronte a loro e chinandosi, raggiungendo le loro altezze.
«Ran, non dire mai più una cosa del genere. Mamma e papà sono sempre fieri di voi e vi vogliono un bene immenso che non può essere espresso con le parole. Capita di fare errori, ma l’importante è imparare qualcosa altrimenti che errori sono? Questo non li ha di certo disonorati, è soltanto un segno del fatto che tu debba prestare più attenzione ed evitare certe cose. Lo stesso vale per te, Ren. Mamma e papà vi amano e vi proteggono», spiegò Makoto, dolcemente.
«Ci amano e ci proteggono», lo corresse Ran.
Makoto diede un buffetto amichevole a Ran sulla guancia e lasciò una carezza sui capelli di Ren. «Ci amano e ci proteggono, sì. Esattamente», sorrise il ragazzo.
Ren si lasciò contagiare dal sorriso del fratello. Ran si sentì rincuorata.
«Sai qual è l’unica cosa positiva di ciò che è accaduto?», disse ad un certo punto la bambina.
«Sei riuscita a trovare anche qualcosa di positivo?», la rimbeccò Ren.
«Ma certo! Allora, fratellone, vuoi saperlo?».
«Sì?», rispose Makoto, incerto, aggrottando le sopracciglia.
«Ho sentito la voce del signor Haruka!», rispose la bambina, quasi trionfante.
«Cosa?», Makoto si fece ancor più dubbioso.
«Il signor Haruka mi ha parlato! Non ho dato molto peso alla sua voce, ma comunque mi ha detto di aggrapparmi al suo braccio con tutte le forze che avevo. E così mi ha salvata. Ho sempre pensato fosse una brava persona!».
Makoto sembrava ancora più perplesso di prima. «Ti ha parlato? Sul serio?».
«Sì», confermò Ren: «L’ha fatto».
Makoto non sapeva cosa dire. Non poteva negare a se stesso che era curioso di udire la voce del silenzioso pianista; tuttavia, la sua musica valeva più di mille parole, dunque non avvertiva un bisogno impellente di sentirlo parlare.
«Ah capisco», si limitò a dire, poi fece: «Bene, adesso sarà meglio andare in camera. Più tardi vi porto qualcosa da mangiare, d’accordo?»
 

~

 
La signora Doyle era stata così gentile da dare del pane a Makoto e un dolce per i bambini. Aveva avvolto con cura il pane in un panno pulito e chiuso il dolce in un piattino coperto.
Makoto aveva tra le mani la cena e cercò di raggiungere rapidamente la propria cabina, sperando di passare inosservato.
Inizialmente non incontrò nessuno, per poi entrare in un piccolo corridoio di terza classe e imbattersi nel pianista della nave.
Non indossava la semplice camicia bianca e i pantaloni del giorno, bensì il completo nero che gli aveva visto addosso quando l’aveva incontrato.
Aveva incrociato per la prima volta il suo sguardo soltanto la sera prima, eppure gli sembrava come se fosse già trascorso molto tempo.
Makoto si arrestò di fronte a lui, un po’ imbarazzato per la situazione in cui si trovava.
«Buonasera! Sto portando qualcosa da mangiare ai miei fratelli», svelò, facendosi rosso in volto: «Tu… tu stai andando a suonare in prima classe, vero?».
Haruka annuì. «Ascolto la tua musica da tre sere. Hai presente dove ci siamo scontrati accidentalmente? Mi nascondo proprio in quell’angolino. L’acustica è buona e tu sei sempre meraviglioso. Sei come un animo… libero, sì. Sei come un animo libero rinchiuso in una sorta di prigione. È questo ciò che mi trasmetti».
Makoto sentì le guance andare a fuoco: aveva parlato troppo, decisamente.
Per una frazione di secondo, gli occhi di Haruka parvero illuminarsi.
«Libero?».
Makoto sgranò gli occhi. Quasi non credette alle sue orecchie quando Haruka aveva sussurrato quella parola.
«Sì, libero», fece Makoto: «La penso così…».
Haruka annuì leggermente, per poi congedarsi con un piccolo cenno.
«Aspetta, Haruka!», lo fermò Makoto.
Haruka si voltò verso di lui. «Io… volevo ringraziarti per aver salvato mia sorella. Scusami se non ti ho ringraziato prima, ero fuori di me… ho avuto paura, sì. Ti sono eterno debitore, Haruka».
Il pianista scosse il capo. «Di nulla, era mio dovere. E chiamami Haru».
La voce intensa e decisa di Haruka sorprese Makoto che si ritrovò a farfugliare un “Come, scusa?” al quale il pianista rispose tacendo.
Makoto sospirò. «Bene… vuoi essere chiamato Haru. Non ti piace Haruka?».
L’altro scosse il capo.
«Perfetto, buono a sapersi. Ti chiamerò Haru, allora».

 

~



 

Angolo Autrice  ~

Bene, ringrazio tutti coloro che sono arrivati fin qui!
Volevo soltanto soffermarmi sulle prime parole pronunciate da Haru. Okay, sinceramente penso che Haru abbia parlato fin troppo presto, ma non importa: è come se qualcosa di Makoto l'avesse "scosso" da sempre, questo loro capirsi con un solo sguardo e una sola occhiata, questa connessione tra le loro menti e tra i loro cuori (cosa che ovviamente ho preso spunto dall'anime e a cui tengo moltissimo perchè è una delle basi principali su cui è costruito il loro rapporto). E ovviamente, Libero (Free) non poteva non essere la prima parola pronunciata da Haru in presenza di Makoto! <3
E niente, forse era anche superfluo spendere queste paroline, ma ci tenevo a dirlo! c:
A presto! :D

 

   
 
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