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Autore: Tomi Dark angel    08/09/2014    4 recensioni
Tratto dalla storia:
Sequel di: "How To Train Your Sherlock"
Tratto dalla storia: "Questa è Londra, il segreto meglio custodito di questa parte di… be’… nulla. Sì, forse non sarà il massimo della bellezza, ma questo mucchio di rocce e palazzi riserva un bel po’ di sorprese. La maggior parte della gente di solito ha passatempi come leggere o sferruzzare caldi maglioni invernali. Noi invece, preferiamo fare una cosa che ci piace chiamare… CORSE DI DRAGHI!!!"
Johnlock, con accenni di Mystrade. Dedicato a chi impara, cresce e vive leggendo, figlio di innumerevoli mondi e personaggi che, ad ogni parola accarezzata dagli occhi di chi legge, sbocciano tangibili intorno all'anima del lettore per trascinarlo in avventure mozzafiato che egli saprà custodire in eterno nella purezza del proprio cuore.
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ricordi. Dolci, gentili, malati, insani. Sono una parte di noi, una piccola porzione del nastro registrato che giace in ogni essere vivente. Spesso si riavvolge, manda avanti, cade in pausa. Ma non sempre è nostra giurisdizione decretare quando essi debbano rinascere davanti ai nostri occhi, ricordando quella parte di storia che credevamo invece dimenticata.
Sherlock Holmes se ne rende conto solo adesso: i ricordi sono quella porzione di lui che lo stesso Mind Palace non può contenere completamente. Camminando per i corridoi candidi, illuminati dall’interno e intervallati da porte ordinatamente numerate, Sherlock avverte sussurri di voci lontane che lo chiamano, che premono per uscire. Ombre arcane camminano alle sue spalle, danzano non viste intorno a lui, quasi lo accarezzano come amanti vogliose in disperata richiesta di attenzione. Ma lui non può fermarsi. Ricordare non è un bene, ricordare non serve a nulla.
Avanza lentamente, sfilando tra le porte sussurranti, intrise di ricordi e dati pericolosi, necessari, che Sherlock non ha ancora cancellato.
-Non dovresti essere qui.- Dice una voce alle sue spalle. Sherlock conosce bene quel timbro così simile al suo, così reale, così… giovane. Quello è un ricordo che Sherlock ha cercato inutilmente di cancellare. Ha sfondato la stanza che lo racchiude, ha distrutto l’intero corridoio che ancora adesso, ristrutturato, custodisce quella porta maledetta. Ma niente: quel volto, quella voce, quel corpo… sono ancora lì. E Sherlock si odia per questo.
-Neanche tu.- risponde senza voltarsi. Stringe i pugni lungo i fianchi, respira a fondo per aggrapparsi alla calma serafica che l’ha sempre contraddistinto.
“Tu sei il più umano di tutti, figlio mio”, aveva detto una volta sua madre Nevora, ma per Sherlock non è mai stato un complimento. Essere umani rende sentimentali, essere umani rende deboli. E lui non ha intenzione di diventarlo. Non vuole.
-Ma come?- Il ragazzo alle sue spalle esplode in una risata gioiosa, intrisa di vita, che scuote di tremori le fondamenta del Mind Palace. –Mi ci hai messo tu, qui!-
Sherlock serra gli occhi, respira ancora. Poi…
 
-Sherlock?-
Un richiamo, una voce lontana e molto familiare. È un timbro caldo, gentile, che sa di casa e di umana pazienza.
Calore. Un fuoco scoppietta a poca distanza.
Casa. Qualcuno si siede al suo fianco, sul tappeto, senza interrompere ulteriormente le sue riflessioni. Quel silenzio, Sherlock lo conosce bene.
John.
Solleva lentamente le palpebre, sbatte le ciglia, cerca di focalizzare l’ambiente. Non ha bisogno di chiedersi da quanto tempo è seduto lì, nella serenità della sua amata biblioteca, perché l’avanzare ormai inoltrato delle tenebre risponde silenziosamente ad ogni sua domanda. Quando Sherlock ha chiuso gli occhi per entrare nel suo Mind Palace, era appena mezzogiorno. Adesso invece, è praticamente notte e John siede al suo fianco avvolto in una lunga vestaglia di seta blu notte. Lo fissa di sottecchi nel vano tentativo di non farsi scorgere, ma Sherlock è sempre stato un ottimo osservatore. Vorrebbe fingersi infastidito, ma non ci riesce, non con John, perciò si limita ad arricciare un angolo delle labbra in un sorrisetto arrogante
-Mi stai fissando, John.-
John sussulta leggermente e imbarazzato rivolge lo sguardo davanti a sé, dove giace lo splendido nucleo di fiamme blu e nere che guizzano lascive nell’incavo del caminetto. Producono morbido fumo argentato che profuma di vaniglia e spezie, e non bruciano nemmeno: al contrario, diffondono un calore gentile, quasi solare, che inonda di luce e dolce accoglienza l’intera casa.
Quello è l’animo di Sherlock che brucia. Quello è il calore di una Furia Buia che non smette mai di battere, di ardere tiepido sotto il tetto accogliente della casa che il suo padrone ha sempre amato. Laddove chiunque asserirebbe che Sherlock sia un robot senz’anima, John saprebbe la verità: lui ha visto e ancora guarda il morbido guizzare di fiamme ardenti, vive, calde d’umanità rinata e figlie dell’uomo che ha accanto. E John, quell’umanità la ama dal profondo del cuore.
-Stai bene?- chiede dolcemente, senza però arrischiarsi a toccarlo. Sa che Sherlock non ama l’imposizione di qualsiasi contatto fisico, specie se è appena uscito dal suo Mind Palace. Forse sta ancora ragionando, forse la sua mente è altrove, e John non vuole disturbarlo ulteriormente. Lo conosce da tre anni, ed è abituato a quel silenzio. All’inizio lo infastidiva, ma adesso ha imparato a rispettarlo, ad amarlo, a bearsi di esso e della familiare figura immobile che composta siede sul tappeto, davanti al fuoco, ferma e bellissima come una statua.
-Non fare domande stupide, John. Sto sempre bene.-
Bugia.
Sherlock non sta bene, e questo John lo vede. Da quando sono tornati dalla loro ultima escursione, Sherlock si è chiuso in se stesso: parla poco, non mangia, beve appena. Ma John non può costringerlo a parlarne, e non vuole invadere i suoi spazi. Si limita a stargli vicino, così come ha sempre fatto e così come farà sempre.
Lentamente, si stende sul tappeto, incrocia le braccia dietro la testa e fissa il soffitto a cupola sulle loro teste. Vetro. La cupola è fatta di vetri colorati e cristalli intrecciati in una decorazione floreale astratta. L’oro e l’argento che intervallano ogni fiore, s’intrecciano morbidi intorno alle corolle, lungo gli steli, fin dentro i pistilli, fino ad arrivare ai bordi rinforzati della cupola. Da lì, i metalli si mescolano al diamante, che trasforma la parete circolare, dal diametro quasi incalcolabile, in un oceano di riflessi e schegge di luce colorata, cangiante, variopinta. Lungo il perimetro del muro, giacciono immobili statue di marmo alte sei metri e raffiguranti draghi impennati, con ali gigantesche ripiegate dietro le schiene massicce e occhi vuoti, ma che paiono scrutare i presenti con giudizio di antichi guardiani.
Gli scaffali sono d’ebano scuro, rifinito da arabeschi argentati che s’inerpicano morbidi tra i libri ordinatamente affiancati, puliti, così colorati nelle splendide copertine giovani e anziane, lisce o ruvide, appena comprate o ingiallite dal tempo.
John ricorda di aver visto quella biblioteca una volta, nei ricordi di Sherlock. Non era proprio così allora, ma insieme, loro due hanno voluto ricostruirla a modo loro. Adesso, è la stanza più vissuta della casa, quella dove spesso Sherlock e John passano giornate intere a leggere o a vagare per gli infiniti scaffali, o dove si addormentano alla fine della giornata, stretti in un caldo abbraccio, al cospetto di quel fuoco così caldo, così gentile e profumato che per John ha sempre e solo il significato di casa.
Che giunga il giorno o che sia notte, quel posto avrà sempre una magnifica parvenza di cielo stellato. I cristalli riflettono la luce, l’espandono in tanti diamanti sfaccettati che mirabili si stendono sul pavimento, sui libri, sugli scaffali, sulle statue. Per John è come un sogno ad occhi aperti, uno spettacolo al quale non rinuncerebbe mai.
-John?-
-Mh?-
Per la prima volta dopo ore intere di immobilità, Sherlock volta il capo e lo guarda. Nei suoi occhi serpentini si riflette il bagliore delle stelle e della luna, del sole e dell’arcobaleno, dei cristalli e dei diamanti.
Lo fissa, studia il corpo allenato del compagno. Le parole sono lì, sulla punta della lingua. Confessare, dirgli tutto, lasciarsi andare almeno per quella volta. Sarebbe così sbagliato, sentirsi deboli? Forse no, forse…
-Niente.-
Sherlock si rilassa, chiude gli occhi. Lentamente, circonda i loro corpi con la lunga coda squamosa, creando intorno a loro un cerchio protettivo, sicuro, caldo. John piega le ginocchia, si volta verso di lui mentre con calma, Sherlock si stende. Lascia che quel piccolo umano lo tocchi, lascia che la sua mano scorra dietro la schiena, stringendolo in un abbraccio protettivo, innamorato, gentile… un abbraccio che sa di fiducia. La stessa che Sherlock sta inesorabilmente tradendo.
 
Alcuni pensano che la notte sia il regno delle streghe, del male, dell’omicidio e dei misteri più fitti. L’oscurità che cala, il silenzio che sovrano padroneggia su ogni cosa, su ogni anima, abbracciando di segreti amanti notturni e assassini seriali. La notte cela il male, nasconde ciò che di malato cammina sulla terra.
E Sherlock Holmes è il male, in questo momento. Bugiardo, traditore, nascosto dall’oscurità che come cappa mefitica abbraccia lo splendore delle sue ali, delle squame lucenti d’acciaio, delle corna lucide.
Sbatte forte le ali, si leva alto nel cielo, oltre le nuvole, lì dove né uomini né draghi potranno individuarlo. Volare non è mai stato così spiacevole per lui. Il vento è gelido, il silenzio assordante e rotto a intervalli regolari dal tagliare netto delle ali che feriscono l’aria ad ogni battito, ad ogni più piccolo movimento. Il corpo è leggero, ma l’anima lo appesantisce come macigno maledetto, schiacciante, che ad ogni istante pare farsi sempre più ingombrante, sempre più feroce.
Sensi di colpa? Non è da lui provarne.
Ha abbandonato John a casa. Si è alzato dal loro caldo tappeto profumato per allontanarsi, per capire, per rassicurarsi. Ne ha bisogno, ma non può mettere alla prova la scarsa resistenza di un fragile essere umano. È necessario, è logico così. E lui, la logica la conosce bene. L’ha adoperata in ogni situazione, in ogni istante della sua misera vita, e grazie ad essa, Sherlock non ha mai sbagliato.
Anche adesso, vuole credere che quella decisione non sia un errore madornale.
Sale di quota, si libra leggero nell’aria. Sotto di lui, si stende un fitto tappeto di nuvole nere, fitte, che indisturbate galleggiano a mezz’aria nel benestare di quella notte senza luna. Solo le stelle, piccole e luminose come minuscoli punti luce, brillano in cielo di un bagliore candido, ammiccante, prezioso come polvere di diamanti.
John avrebbe commentato il paesaggio, avrebbe fissato curioso ogni morbida curva delle nuvole, ogni più piccola aura luminosa emanata dalle stelle circostanti. Invece, Sherlock è solo, e il caldo silenzio che regna sovrano, ne è la prova.
Per John. Lo fai per John…
Vira a destra, piega appena un’ala per adattarsi alla corrente ascensionale più vicina. Volta il capo ripetutamente per imporsi una vista a trecentosessanta gradi, così come è sempre stato in passato. Si spinge lontano, oltre la frontiera di qualsiasi territorio esplorato.
Non è mai andato così lontano, non ha mai lasciato casa sua per un tragitto così lungo. Ma adesso deve, e ha poco tempo per farlo. Perciò, sfreccia alla velocità della luce, accelera, sforza le ali finché i colori circostanti non si confondono in uno spettro che sbianca, si contorce, muta in sfumature cangianti, sensazionali, mai viste. Sherlock sparisce, fondendosi con l’aria e il cielo, sfidando il vento e il mondo intero. Il corpo si fa leggero, senza peso, e subito, ogni cellula si trasforma in velocità, in aria e luce che incontrastabili oltrepassano qualsiasi limite il corpo imponga.
Libertà. Sherlock è libero. Non sente più il peso del corpo, dei pensieri. Anche quelli lo rincorrono senza raggiungerlo, ed è bello. Ogni problema sparisce, il mondo intero si ripiega su se stesso, sottomesso alla velocità incontrastabile dell’ultima Furia Buia che fiera padroneggia cielo e terra, mari e monti, presente e futuro.
Sherlock si accorge di aver oltrepassato il confine solo quando il vento si fa ancora più freddo, quasi glaciale, e a nord si ode frullare d’ali di civette artiche. Non ci sono animali invernali, nei pressi di Londra. Non in questa stagione.
Lentamente, morbide fasce d’aurora boreale spiegano le ali come figlie d’aquila imponente. Spazzano via il banco di nubi, danzano iridescenti in un cielo che velocemente si tinge di ogni possibile sfumatura. I colori si susseguono, si rincorrono, sfumano e mutano quasi danzando tra i cristalli di neve che dolcemente piovono dal cielo, oscillando aggraziati nell’aria.
Sherlock rallenta, sforza la vista per studiare i piccoli movimenti che mutano i colori dell’aurora boreale. È diversa da qualsiasi altro fenomeno Sherlock abbia mai visto: le sfumature non si collegano tra loro, ma al contrario, si intrecciano danzando con colori ben diversi dai loro predecessori.
L’aurora boreale allunga le sue appendici, morbide come vestigia di seta, verso il mare di zaffiro che a dispetto del gelo, non presenta alcun iceberg, né tantomeno sporgenze ghiacciate. No. Si stende per miglia e miglia, inghiottito all’orizzonte dai bagliori dell’aurora boreale, abbracciando ogni sottile cristallo di neve che poggia sulla superficie brillante come di specchi riflettenti.
Sherlock pensa a John e a come reagirebbe a quella vista. Comincerebbe a guardarsi intorno, curioso come un cucciolo, sbarrando gli occhi ad ogni cambiamento di colore sulle loro teste, ad ogni cangiante riflesso sul mare intriso d’arcobaleno.
Bello? Sì, quel posto è davvero bellissimo. Lì è dove cielo e acqua s’incontrano, lì è dove ogni colore del mondo si riflette sulla volta celeste, anziché sulle scaglie rifulgenti di un piccolo drago. Stavolta, la tela variopinta del più grande artista dell’universo è lì, intorno a Sherlock, davanti ai suoi occhi indifferenti di freddi studi calcolatori.
Cala di quota, finché le zampe squamate non s’accostano alla morbida superficie dell’oceano. Un piede affonda, e all’istante si ricopre di gelidi strati ghiacciati. Sherlock resta indifferente, ignora la sensazione di freddo che lo sfiora appena. Al contrario, si concentra sull’ambiente circostante, che visto dal basso appare glorioso oltre ogni immaginazione, col suo cielo d’aurora boreale e il suo oceano iridescente.
Cerca. Studia. Indaga.
L’aurora danza ancora, splende, si ripiega su se stessa… lasciando scoperto per una frazione di secondo, qualcosa di enorme e frastagliato come spuntone di roccia, che sbuca dall’acqua per svettare imponente verso il cielo.
Trovato.
L’errore, l’anomalia a lungo cercata. In effetti, Sherlock non credeva di trovarla così facilmente. Si sarebbe aspettato di dover cercare a lungo, notte dopo notte… e invece, eccolo lì, davanti ai suoi occhi.
Sherlock sbatte appena le ali, affondandone le punte nel mare ghiacciato e sollevando in aria due perfetti archi di goccioline di cristallo, tanto gelide quanto pulite. Non aspetta che lo sfiorino, non ne ha il tempo. Al contrario, sfreccia verso la meta designata, lasciandosi alle spalle una scia iridescente laddove la zampa sinistra ha continuato ad affondare nell’oceano, tagliandone la superficie. I fiocchi di neve lo sfiorano, gli bagnano i capelli e ricoprono di brina le corna adesso luminose di splendidi riflessi.
Sherlock sbatte ancora le ali e si issa verso il cielo, incontro a quello che si rivela essere ben lontano da un banale spuntone di roccia.
Alta almeno trenta metri, tanto da svettare minacciosa contro il cielo, vi è un’esplosione cristallizzata di ghiaccio. Piccoli spuntoni che sbucano dall’acqua e, ingrandendosi, s’innalzano in alto, oltre le nuvole, tra fiocchi di neve e riflessi luminosi dell’aurora boreale che si specchia sulla superficie trasparente.
Sherlock non ha mai visto niente di simile, ne è certo. Nessuno dei suoi dati identifica quella vista mastodontica che, a giudicare dalle dimensioni, deve essere opera di un drago gigantesco, anche per gli standard di una Furia Buia. Di certo, non è una scultura fatta dagli uomini. Troppo perfetta, troppo lineare. Nessuna mano umana avrebbe potuto modellarla con tanta scaltrezza.
Porta dodici, corridoio nove: dati scartati. Improbabile.
Non è opera di un drago che Sherlock conosce. Di tutte le sue conoscenze, nessuna sputa ghiaccio.
Porta duecentottantanove, corridoio quarantatre: dati scartati. Improbabile.
Uno dopo l’altro gli usci si chiudono, sbattono sugli infissi, sigillando informazioni inutili, impossibili, improbabili. Nessun dato gli torna utile, nessun ricordo può aiutarlo. Non ha mai visto niente del genere, e questo è inquietante perché soltanto adesso, Sherlock comprende che lì, oltre i confini delle loro terre, ci sono draghi ben più pericolosi di quanto ordinaria mente umana abbia mai potuto concepire. Data l’inclinazione e l’altezza degli spuntoni ghiacciati, Sherlock può dedurre che la bestia abbia colpito dal basso e da una distanza non troppo ravvicinata.
Quindi? A quanto ammonterebbe la gittata totale del suo soffio ghiacciato? E quanto è grosso realmente il drago in questione?
Lentamente, Sherlock atterra. Poggia le zampe sul ghiaccio bruciante, affonda le unghie per impedirsi di scivolare e pianta le punte acuminate delle ali negli spuntoni vicini. Tocca la liscia superficie ghiacciata, la studia da vicino, sforza lo sguardo per carpirne ogni sfaccettatura, ogni possibile indizio… finché non vede qualcosa. Al centro dell’oceano di spuntoni, vi è una distesa libera, dove qualcuno ha spezzato faticosamente le punte ghiacciate per creare una specie di spiazzo circolare, informe, disordinato. Umani, di questo Sherlock è sicuro.
Studia, deduci…
Sforzando ancora gli occhi, Sherlock distingue piccole tracce di sangue argentato sugli spuntoni vicini allo spiazzo e segni d’artigli nei dintorni. Alcune punte sono spezzate, come se qualcosa di grosso fosse caduto proprio lì e avesse lottato per liberarsi.
Una lotta. Un drago catturato.
-Ma che…-
-ADESSO!!!-
Uno scricchiolio, il frusciare di qualcosa che taglia l’aria a velocità vertiginosa. Sherlock spalanca le ali in una frazione di secondo, balza in aria, sforza i muscoli per catturare la corrente ascensionale più vicina. Ruota a mezz’aria, si sposta di lato e per pochi millimetri evita il morso della rete d’acciaio che lo oltrepassa, veloce come freccia scagliata dall’arco.
-Via, via!-
Sherlock si lascia cadere in picchiata, sfiora la pallida superficie ghiacciata dell’acqua mentre altre due reti si scagliano su di lui, coprendogli la visuale per qualche istante. Riesce a scartare di lato, evitando con un avvitamento obliquo la trappola di destra, ma qualcosa va storto: la rete di sinistra lo raggiunge non vista, figlia di un punto cieco che Sherlock ha creduto di poter controllare.
Errore. Fatale errore.
La rete lo abbraccia, chiude su di lui una morsa d’acciaio gelido, violento, tramortente. Le ali restano impigliate negli uncini che ricoprono ogni nodo dei fili intrecciati della rete, il corpo s’immobilizza con le braccia strette al petto e la coda che disperata si dibatte in cerca di equilibrio. Gli uncini stridono contro le scaglie, incidono la pelle, gli stringono la gola e i fianchi. Il sangue argentato schizza violento sulle stalattiti di ghiaccio mentre Sherlock precipita a peso morto verso l’acqua ghiacciata, immobile, che paziente attende il suo arrivo.
Lo schianto con l’oceano giunge violento, graffiante, tanto aggressivo da sottrargli il respiro per alcuni istanti. Sherlock annaspa, inarca istintivamente la schiena e spinge forte contro gli uncini che continuano a dilaniargli la carne, affondando ad ogni più piccolo movimento.
Poi però, giunge la pace. C’è silenzio. Nessun rumore, nessuna sofferenza. Il gelo anestetizza qualsiasi ferita, annienta il dolore, soffoca ogni debolezza con implacabile rapidità. I suoni si fanno ovattati, il mondo rallenta la sua corsa. Perfino il corpo attende qualche istante prima di cominciare la sua lenta discesa verso il fondale.
È bello. Sembra quasi di galleggiare a mezz’aria, trasportati dolcemente da correnti ascensionali che non richiedono neanche lo sforzo fisico di muscoli alari in tensione. Sherlock si abbandona, lascia che i primi respiri di mare ghiacciato gli pervadano i polmoni ancora caldi, ancora incredibilmente adattabili all’ambiente. Assapora il ghiaccio, si lascia accarezzare dal morbido gelo che lo abbraccia come madre amorevole, gentile. È come essere a casa, laddove nessuna preoccupazione può raggiungerlo, laddove il mondo smette di esistere … laddove le braccia di John possono cingerlo e cullarlo in ogni istante, senza stancarsi mai.
John.
 
-Che stai facendo?-
Una voce. Calda, profonda, roca di sofferenze patite e battaglie trascorse. Una voce umana, viva, che dolcemente gli sfiora le orecchie. Sherlock apre gli occhi sul corridoio immacolato del suo Mind Palace e osserva quasi ferito il fastidioso candore che lo pervade. Se non fosse per le porte lignee che intervallano l’assenza di colore, tutto quel bianco gli consumerebbe gli occhi e i nervi, facendolo impazzire. Ma non lì: quella è casa sua, il suo rifugio sicuro. Quello è il suo personale palazzo d’ingegno e logica.
-Sherlock.-
Qualcuno preme la schiena contro la sua, impedendogli di voltarsi. Sherlock avverte la bassa statura dell’uomo alle sue spalle, annusa il suo profumo di pulito, così familiare da farlo quasi sorridere. Non ha bisogno di guardarlo per riconoscerlo.
-Non dovresti essere qui, John. Da quale porta sei uscito, stavolta? Cominci ad annoiarmi.-
Ma John sorride, e Sherlock lo avverte nel suo respiro, nella sua voce. È bello sentirlo sorridere.
-Come se la cosa ti infastidisse davvero! Mi fai uscire tu dalla mia stanza.-
-Non è vero.-
-Sì che lo è. Questo è il tuo Palazzo, genio. E io sono una parte di te, altrimenti non abbatterei così in fretta le tue argomentazioni. Quindi, piantala di litigare con te stesso e vedi di uscire da questa situazione del cavolo.-
Sherlock non risponde. Chiude gli occhi, si affida all’udito per riconoscere il sottile gocciolio dell’acqua che velocemente allaga i primi piani, salendo su, sempre più su. Lui non può affogare, ma le sue informazioni forse possono. In effetti, Sherlock non lo sa. Non riesce neanche a capire se stia morendo oppure no.
-Sono moribondo?-
John ride, stavolta apertamente. Getta il capo all’indietro, solleticandogli la nuca coi corti capelli biondo cenere.
-Certo che no. Sei una Furia Buia, accidenti! Però devi risalire, e in fretta. Almeno, fallo prima che i cacciatori capiscano che sei sopravvissuto all’annegamento e decidano di scendere a prenderti.-
 
La schiena urta il fondale, il corpo si rilassa, la testa s’adagia sulla sabbia morbida, galleggiante, che come spettro dorato si leva a mezz’aria per qualche istante.
John.
Sherlock sbarra gli occhi, alza lo sguardo verso la superficie. La scorge lontana, distante come sogno irraggiungibile.
John.
 
-La superficie è lontana. E io sono intrappolato.-
Sherlock scorge un movimento alle sue spalle, avverte il frusciare di capelli sulla pelle e capisce che John ha affondato entrambe le mani nella bionda chioma arruffata.
-Se non fossi parte integrante del tuo fattore logico, ti prenderei a calci in culo. Ragiona come un drago, per una volta. Sii una bestia, sii una Furia Buia. Non hai bisogno di studiare quella maledetta rete per capire che puoi romperla facilmente!-
Sherlock esita, non accetta l’idea di dover abbandonare la sana logica per liberarsi. È sbagliato, lo sente. Non ci riuscirà.
-Sherlock.-
Due mani calde gli stringono i polsi, dita gentili sfiorano la pelle mista a scaglie in carezze senza tempo, che lentamente scivolano nei ricordi di Sherlock, nei suoi pensieri, mescolandosi alla realtà.
-Puoi farlo, sai? Tu sei nato libero. Perciò lotta per mantenere quella libertà… devi tornare a casa.-
 
John.
Realtà e Mind Palace si confondono, si mescolano, con forza richiamano Sherlock alla coscienza totale della situazione. Sbatte le palpebre, si abbraccia di ricordi lontani, sereni, che anche per uno come lui hanno significato qualcosa di importante. Non l’ammetterebbe mai ad alta voce, non lo confermerebbe nemmeno a se stesso… ma ha bisogno di lui. Ha bisogno di John, nella sua voce, della sua dolcezza innata di fragile essere umano. Così piccolo, così morbido e sottile, ma anche così incredibilmente forte, tanto da poter sostenere il mondo per pura bontà d’animo. Stupido, piccolo umano.
“Devi tornare a casa”.
Casa. John lo aspetta, John ha bisogno di lui. Sherlock non può lasciarlo solo, non adesso.
Lentamente, i muscoli si risvegliano dal torpore del gelo. Si gonfiano, fanno crepitare le squame che lentamente si adattano ai tendini in rilievo, ai pugni serrati, al capo rovesciato all’indietro nello sforzo supremo di stringere i denti mentre gli uncini si conficcano più a fondo nella carne. Fa male, ma Sherlock non si ferma. Sforza ogni muscolo del corpo, si affida alla maledetta forza animale che dal primo istante di vita l’ha contaminato, rendendolo bestia e uomo, frutto di ragione e follia.
Le braccia spingono contro la rete, gli artigli delle zampe posteriori si chiudono implacabili sui fil di acciaio che invano cercano di resistere alla pressione. La coda scudiscia nevrotica, si impiglia nei magli della rete e strattona una, due, tre volte.
Improvvisamente, la rete cede. Gli uncini vengono strappati via dalla carne, graffiano la pelle, stridono contro le scaglie, ma Sherlock è finalmente libero. Distende gli arti, spiega le ali insanguinate e lentamente, ricopre l’intero fondale di riflessi d’oscuro arcobaleno che il mare getta sulle membrane setose, ma resistenti come diamanti. Piccoli cristalli luminescenti splendono sulla sabbia come frammenti di colorato caleidoscopio danzante, circondando la figura adesso eretta di Sherlock. Ha le squame brillanti di luce repressa, il capo reclinato all’indietro, l’espressione distesa. È libero. E ha intenzione di rimanere tale fino alla fine.
Le ali si abbassano, così immense da oscurare a vista d’occhio il fondale dorato. Le punte affondano nella sabbia, sollevano il corpo verso l’alto e lo spingono su, verso la superficie, verso il cielo.
Quando la testa di Sherlock s’innalza dall’acqua, il calore che lo aggredisce è quasi soffocante, anche per un drago come lui. Ma non importa.
Sbatte forte le ali, le affonda un paio di volte nell’oceano per recuperare un brandello di equilibrio. Un ventaglio di goccioline di cristallo piove sul suo corpo, punteggiandolo di gelo, e due identiche onde tutt’altro che discrete si levano ai lati del suo corpo, scatenate dalle immense masse delle ali che affondano di nuovo.
Sherlock salta, sfruttando gli ultimi brandelli di energia per uscire dall’acqua. Buffo che ci riesca al primo tentativo, ma è così: il corpo si leva in aria, le ali si adattano alla corrente ascensionale più vicina che bruscamente sospinge Sherlock in cielo, verso le nuvole, lontano dai cacciatori e da quel nuovo mondo che ha saputo aggredirlo e quasi ucciderlo.
Sparisce nell’abbraccio dell’aurora boreale, figlio del vento e della luna, padre di una razza della quale tuttora si rifiuta di prender comando.
 
Angolo dell’autrice:
Ed eccoci col nuovo capitolo! Ammetto di averlo pronto già da un po’, ma preferisco non correre con la pubblicazione, altrimenti mi troverò a correre di nuovo per scrivere in tempo nuovi capitoli, e sarebbe un massacro.
Sherlock: non ci interessa.
Non… che ci fai vestito da pollo?
Sh: è per un caso.
Sei… sicuro? Ehm… ok, io… non ti guardo, giuro… e non riderò. *Si prende a cazzotti per non ridere* Spa… spazio ai rin… grazia menti! BWAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH!!!
Tony Stark: ehi, Tony! Bentornato! Non preoccuparti, non sei obbligato a recensire ogni capitolo. Se non te la senti, non importa, ma spero che ti siano piaciuti comunque! E sono felice che le descrizioni riguardanti il capitolo precedente ti abbiano soddisfatto. (Il cespuglio di roviii!!! Nd John)( John, hai rotto i tre quarti. Espatria.) Grazie per il commento e a presto!
Luna moontzuzu: che dire? La tua recensione mi ha fatto salire le lacrime agli occhi, davvero. Ogni volta mi stupisco dell’apprezzamento che riceve questa storia… in effetti, ho sempre paura di pubblicare perché non so mai se saprò soddisfarvi, perciò ogni volta, per riuscire a pubblicare lotto innanzitutto con me stessa. E leggere recensioni del genere… non puoi capire quanto mi commuova. È bello. E, davvero, non so come ringraziarti per ciò che scrivi, per l’emozione che traspira dalle tue parole, per il tuo entusiasmo che mi fa sorridere così tanto. Comunque, dall’ultima guerra sono trascorsi due anni, ma ci vorrà tempo per risanare il mondo: calcola che Sherlock e gli altri devono ripulire secoli e secoli di battaglie. Drago Bloodwist? Farà tutto da solo, così come fanno gli altri. Io narro e basta: non so cosa accadrà, non so come andrà a finire… semplicemente, scrivo tutto sul momento, ispirandomi a ciò che vedo intorno a me. Detto ciò, non posso che ringraziarti di nuovo per tutto, con la speranza di non deluderti mai, fino alla fine. Grazie a te, di cuore.
Sonia_0911: anche io, guardando Dragon Trainer 2 al cinema, ho fatto un po’ di confusione coi miei stessi personaggi. Strano a dirsi, ma forse è stata la parte in cui Sdentato si schianta a mare, perdendo di vista Hiccup, che mi ha convinto a scrivere il seguito. Bizzarro, no? In ogni caso, sono felice che tu sia pronta a partire, perché stavolta andremo molto più lontano, oltre i confini già esplorati nella storia precedente. Ready? Set, go!!! A prestissimo, e grazie!!!
Wibbly: tu non sei una nullità. Sei una delle persone più gentili con le quali ho avuto a che fare. È anche grazie a te che ho scritto il seguito. Perché so che ci tenevi, perché so che forse ti avrebbe fatto piacere tornare a leggere di Sherlock e John sotto queste vesti. Quindi, anche a te dedico i miei sforzi, te li meriti. E, con questo, spero che apprezzerai anche questo capitolo. Grazie di cuore e a presto. *Si inchina*

Tomi Dark Angel
  
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