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Autore: _Woodhouse_    09/09/2014    5 recensioni
❝Lo osservò dormire, sfiorando di tanto in tanto le linee insidiose delle sue costole, incastrata negli occhi di un altro, nel ricordo del suo respiro, affogata, vittima masochista del piacere che le procurava il ricordo della tensione che si librava fra i loro corpi e della complicità che aveva avvertito, mentendo insieme a lui, due volte e senza ragioni.❞
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 10.

 
I giorni a seguire passarono veloci. Il tempo per loro due e per la famiglia era finito. Nella vita di Jo e Robb tornarono ad affacciarsi le incombenze della quotidianità. Senza che se ne fossero resi conto, era già Mercoledì e soltanto il giorno dopo entrambi sarebbero dovuti tornare a Londra. Josephine doveva tornare ad affrontare lo studio, l’università e le responsabilità del suo primo anno fuori corso alla facoltà di giornalismo. Robb, dal canto suo, doveva incontrare il socio, Mark, con il quale gestiva uno studio fotografico. Il piano iniziale aveva previsto che entrambi rimanessero a St. Albans per circa due settimane, ma Mark aveva contattato Robb d’urgenza, informandolo di un’incredibile offerta lavorativa da parte di un’organizzazione di sfilate di moda.
Josephine, ad ogni modo, era impaziente di partire. Sebbene tornare a studiare non la mettesse di buon umore, l’idea di lasciare quella casa e allontanarsi dalla morsa di quella famiglia le regalava sollievo. Tuttavia, la sua smania principale era allontanarsi da James.
Nei giorni seguenti alla gita, si era fatto vedere di rado e per la maggiore aveva stazionato in biblioteca, riemergendovi dopo delle ore giusto per prendere il tè con la famiglia. Josephine aveva evitato di parlargli e anche lui era sembrato intenzionato ad ignorarla. Il suo atteggiamento era stato distaccato, a volte frugale, solo di tanto in tanto le era parso che lui la osservasse, ma non si era mai permessa di guardarlo. Una parte di sé temeva di risentire quella strana voglia di toccarlo, l’altra invece tremava di rabbia al pensiero che quegli sguardi potessero essere atti a perpetrare le minacce che le aveva rivolto giorni prima.

– Non dimenticare la scarpe sotto il letto, – lo avvertì riponendo gli abiti piegati all’interno della valigia.

– Figurati se le dimentico, – rispose Robb, sfilandole accanto con in braccio creme di vario tipo.
– Quanto pensavi saremmo rimasti? Anni? – la prese in giro.
Ognuna ha una funzione specifica. Sarà pur affar mio, no?

Robb la fissò per un istante, indeciso se rispondere o meno. A volte, quando scherzava era così seria che non riusciva a capire se fosse realmente arrabbiata.
Mentre riponeva gli obiettivi nella valigetta in cui stava custodita la reflex, continuava a scrutarla con aria indagatrice. C’era qualcosa in lei, certe volte, da cui lui si sentiva sopraffatto. Evitava di farle domande, impantanato in una sorta di soggezione che solo lei era in grado di procurargli. Non riusciva a capire di cosa avesse timore, ma il più delle volte rimaneva in silenzio, trattenendo le domande che aveva bisogno di rivolgerle. Quella era una di quelle volte. Ad ogni modo, scelse di azzardare, ma cautamente.
Contenta di tornare? – Adottò un tono monocorde, continuando a darsi da fare con la sua valigetta degli obiettivi.

– Tutto sommato sì. – Pareva rilassata, ma lontana, troppo concentrata sulla valigia. Robb le lanciò un’occhiata veloce e trattenne un sospiro.
Aspettò qualche istante, sperando che lei continuasse a parlare, ma lei non parlò.
– Mi spiace non aver potuto passare più tempo con gli altri. Magari appena avremo un week-end libero potremmo approfittarne per fare qualcosa con loro.
– Non ho quasi mai week-end liberi, – gli rispose sbiaditamente, e a lui sembrò più distante che mai. Era deluso, ma non rassegnato. Finché non gli avesse dato l’impressione di essere nervosa, lui avrebbe continuato a farle domande, non senza lottare contro la soggezione che queste situazioni gli incutevano.
– Solo perché non vuoi averne. Di solito rimani a fare quelle ricerche di cui non vuoi mai parlarmi, ma adesso che hai conosciuto la mia famiglia e i mie amici, non c’è ragione per cui tu non possa venire qui con me nei week-end.
– E’ la tua famiglia, Robb. Non è necessario che io l’incontri troppo spesso. – Fu secca. Si allontanò dal letto su cui era posizionata la valigia e il mucchio d’abiti e si diresse verso la cabina-armadio.
Robb s’irrigidì. Non sapeva cosa le stesse passando per la testa, ma qualsiasi cosa fosse, quel suo distacco gli gelava il sangue.
– Ti sei trovata male?
Non essere paranoico.

– E allora cosa? – sbottò lui, stavolta senza indugi.
Lei riemerse dalla cabina, gli rivolse uno sguardo rapido e si strinse nelle spalle.
– Allora niente. Ti ho detto di non essere paranoico.
Si accorse che evitava di guardarlo per più di qualche secondo e la cosa lo fece sbarellare. Cosa le frullava in testa? Perché doveva sempre comportarsi in quel modo ridicolo? Perché si ostinava ad escluderlo dai suoi pensieri? Con lei era tutto talmente vertiginoso. Ogni mattina si svegliava consapevole della possibilità di dover far fronte a una versione di lei che lui avrebbe preferito non facesse mai alcuna comparsa.
- Non dirlo più. – La voce gli uscì tremante di una crescente irritazione che non riusciva sempre a gestire con facilità.

– Cosa? – Jo gli passò vicino, e ancora una volta non lo guardò. La vide sporgersi accanto a lui per afferrare una colonia sullo scaffale. Erano vicinissimi e il suo odore freddo lo colpì. Senza potersi controllare, le afferrò il polso sollevato in aria e la strattonò verso di sé, riducendo la già minima distanza e costringendola a guardarlo.
– Non darmi più del paranoico.
Gli occhi di lei si sgranarono per un attimo, poi tornarono immobili e impenetrabili. A volte faceva fatica a sostenere il suo sguardo, tanto crudeli gli parevano quegli occhi.
– D’accordo. – Jo non oppose resistenza, si limitava a guardarlo.

– Cosa c’è che non va? – La voce gli uscì fuori roca.
–Non c’è niente che non va. Non ho detto che non mi piacciono i tuoi, ho detto solo che non è necessario che io venga con te ogni volta.
– Non ti ho chiesto di farlo ogni volta.
– Non vedo il motivo di questa discussione, allora.
Robb le lasciò andare il polso, rassegnato. Lei gli scoccò un’ultima occhiata e si scostò da lui, impadronendosi finalmente della colonia prima di tornare ad occuparsi della valigia. Entrambi non dissero nulla per dei minuti, poi Robb le si avvicinò lentamente, le cinse la vita da dietro e affondò il viso tra i suoi capelli.
– Non escludermi. Ti prego.
Jo si lasciò andare contro il suo petto chiudendo gli occhi. L’aveva rifatto. Si era lasciata sopraffare dalle onde di oscurità che periodicamente tornavano a soffocarla. Ogni volta lui ne soffriva, ma lei non poteva evitarlo.
– Scusami, – mormorò.
– Scusami tu. – La voce gli uscì fuori in un soffio prima che premesse le labbra contro i suoi capelli. – Non voglio costringerti a fare ciò che non vuoi.
– Lo so, sta’ tranquillo. – Si scostò lievemente da lui, poi sospirò. – Verrò ogni volta che potrò. Promesso.
Il sorriso di Robb si confuse tra i suoi capelli, ma senza contagiarla.

 
***
 

Si svegliò di soprassalto,  sudato e nudo. Le lenzuola umide erano aggrovigliate alle sue ginocchia e l’odore di fumo e alcol misti insieme lo colpì ancora prima che potesse aprire gli occhi. Accanto a lui, coi seni nudi schiacciati contro il materasso, dormiva profondamente una donna. Claire. Era sempre Claire da molte settimane ormai. Nonostante questo non riusciva ancora ad abituarsi alla sua presenza mattutina nel suo letto. James strattonò vigorosamente le lenzuola, cosciente che uno strattone non avrebbe in alcun modo intaccato il sonno di Claire. Si divincolò dalle lenzuola e si sollevò dal letto lasciandosi sfuggire un verso roco.
Senza niente indosso, raggiunse il bagno e si guardò allo specchio. Aveva un’aria sconvolta e aveva assolutamente bisogno di una doccia.
Mezz’ora dopo stava infilando la camicia color ghiaccio dentro i jeans scuri e aderenti. Dal letto si levò un mugolio sommesso, poi di nuovo il silenzio.
Passò più volte davanti alla finestra della cucina, sorseggiando una spremuta d’arancia. Il telefono prese a squillare, ma s’impose d’ignorarlo.
Era Robb. Robb che lo chiamava per dirgli che stava andando via, Robb che gli avrebbe chiesto se per caso non riuscissero a salutarsi. Fu dura non rispondere, ma riuscì ad ignorare la tentazione. Non voleva salutarlo. Non voleva vederla. Non dopo l’incubo che lo aveva tormentato tutta la notte. In quei giorni aveva fatto in modo di evitarla quanto più possibile e la cosa non gli era costata grande fatica. Tuttavia, di tanto in tanto si era sorpreso a guardarla con aria fin troppo incattivita, ma lei, per fortuna, aveva ricambiato gli sguardi molto raramente e sempre fugacemente. L’istinto di guardarla e il pensiero di quella notte sul pianerottolo, ad ogni modo, si erano fatti pian piano sempre più blandi, mentre l’avversione feroce verso di lei era aumentata incontrollabilmente quando durante il tè di qualche giorno prima aveva sorpreso Robb a guardarla con aria adorante e lei, in risposta, gli aveva concesso una misera occhiata spenta, prima di tornare cogli occhi sulla sua tazza. In quel momento aveva sentito il forte istinto di prendere da parte Robb e dirgli quello che pensava. Ma poi aveva prontamente cambiato idea: non sarebbe comunque servito a nulla. Robb avrebbe negato, perché probabilmente troppo innamorato per accorgersi del distacco col quale lei lo trattava. Ogni volta che ci pensava si sentiva invadere da una fiamma di rabbia. Come poteva un uomo come Robb stare accanto ad una donna priva di calore come quella? Con quale dignità sopportava il suo distacco? Dove accidenti aveva nascosto la sua dignità?
Era pronto ad uscire di casa, quando la voce di Claire, in quello che suonò come uno squittio, lo chiamò. Con scarso entusiasmo la raggiunse e si accostò ai bordi del letto.


- Non mi saluti? – Claire allungò le braccia verso di lui contorcendosi sul materasso. James dovette chiamare a raccolta tutte le sue energie per evitare di concentrarsi sui suoi seni.
– Sei bella, – le sussurrò sulle labbra. Lei sorrise maliziosamente e gli catturò un labbro tra i denti. Indugiarono in un bacio per qualche minuto, poi James si scostò e le diede una pacca sul sedere, guardandola lascivamente.
– Ti chiamo appena posso.
Fa che sia presto, – rispose lei rivolgendogli un’espressione dolce.
James si limitò ad ammiccare e poco dopo Claire sentì la porta d’ingresso chiudersi in un tonfo.
 
 
 
 ***
 

Probabilmente è già in ufficio, – disse Robb dopo l’ennesima chiamata senza risposta.

– Lascia perdere. Vi rivredete presto, comunque, – commentò Josephine, segretamente irritata.
Se n’è scordato, – rispose lui secco sollevando la valigia di Jo prima di infilarla nel cofano del fuoristrada.

– Questo perché è troppo concentrato su se stesso. – Lo disse quasi senza pensarci, mentre si apprestava ad aprire lo sportello dal lato passeggero.
– Non dire così.–La guardò con aria implorante e scosse la testa con aria contrariata.
– Sai che è vero.
– So che è vero, sì. – Entrambi chiusero le portiere dell’auto e Robb mise in moto.
Avevano da poco svoltato l’angolo del viale in cui si trovava la villetta dei Draper, quando Josephine alzò il volume della musica per evitare che Robb tentasse di imbastire una conversazione qualsiasi. Puntò il naso contro il finestrino e lasciò scorrere lo sguardo lungo il viale di alberi a schiera che si scioglieva al loro passaggio. Un sole tenue trafiggeva il vetro e le carezzava una spalla. Sospirò più volte, spostando di tanto in tanto lo sguardo verso Robb per assicurarsi che non abbassasse il volume. Ad un tratto lo sentì bofonchiare qualcosa, ma evitò di guardarlo. Poi, avvertì la mano di lui scivolarle sulle cosce scoperte e a quel punto le fu impossibile ignorarlo.
– Sei pensierosa.
– Non più del solito.
– Già.
Entrambi sembravano impacciati, ma Robb non si fece scoraggiare.
– Devo farti una proposta. So che non ti piacerà molto, ma mi vedo costretto.
- Arriva al nocciolo, – lo spronò lei, lievemente inquieta. Non le piacevano i preamboli.

– Si tratta di Sierra e Roahd, – fece ciondolare il capo, – più di Sierra, diciamo.
– Che è successo?
– Ieri mi ha mandato un sms. Non te l’ho detto subito perché, dopo la discussione che avevamo avuto, temevo che avresti reagito male.
– Quindi? – Jo arricciò le labbra in una smorfia di sospetto.
– Be’, giovedì prossimo sarà il suo compleanno – il suo e di Roahd. Ci ha invitati.
– Non possiamo tornare qui di giovedì!
– Lo so, - si precipitò a dire lui, – E dato che ci tiene alla nostra presenza mi ha detto di essere disposta e festeggiarlo sabato sera,  – le indirizzò un’occhiata scrutatrice e speranzosa.
– Mi pare che non ci abbia lasciato molta scelta. – Il suo tono era ironico, ma Robb vi colse anche qualcos’altro, qualcosa di molto simile al vetriolo .
Ad ogni modo, evitò di farglielo notare. Non aveva intenzione di litigare con lei.
– Sai chi mi ha chiesto d’invitare? – La voce  di Robb si fece più armoniosa, l’idea lo divertiva.
– Chi? – Jo fece saettare lo sguardo dal parabrezza a Robb, gli occhi divennero una fessura. Nella mente le era appena balenato un nome.
– Jamie. – Scosse la testa ridacchiando – Insomma, Jamie a una festa dei Cohen. Non so nemmeno se tentare di chiederglielo.
– Fa sul serio, quindi, – commentò lei con tono di scherno.
– E’ stato quell’idiota di Spenk a farle venire certe idee. So com’è fatto e so com’è fatta lei.
– Be’, credi che non accetterà l’invito?
– Non saprei. Dipende dalle sue priorità.
– Immagino. – Fece roteare gli occhi e tornò a guardare fuori.
 
 
 
 
***
 

Quella sera, James, appena rincasato compose il numero del fratello. Adesso che era al sicuro, lontano miglia da lui, poteva concedersi il lusso di chiamarlo e inventare qualche scusa da propinargli.

– Chi non muore si risente, – fece Robb dall’altro capo.
– Chiedo umilmente perdono. Ho dovuto letteralmente correre stamattina a causa di una riunione saltata fuori all’ultimo minuto.– Le labbra gli si piegarono in un ghigno furbo.
– Perché sento che non dovrei crederti?
– Perché sei un fratello degenere, forse?
– Lascia perdere. Sei perdonato. – Robb rise.
– Tutto ok il viaggio? – Incastrò il cellulare tra la spalla e l’orecchio e con le mani si liberò della giacca e della cintura.
– Tutto ok. Sono nell’appartamento di Jo. L’ho aiutata con le sue cose.
– Bene. Sento che sei stanco.
– Un po’, – sospirò, – Ascolta, c’è una cosa che devo chiederti.
– Dimmi, – disse bloccandosi e afferrando il cellulare con una mano.
– Ricordi la mia amica Sierra? Quella di cui ti ho parlato giorni fa? Gambe mozzafiato e tutto il resto?
– Quella che verrebbe volentieri a letto con me? – aggiunse con arrogante ironia.
– Quella. – fece, ridacchiando. – Ti ha invitato al suo compleanno. Il suo e del gemello. Sabato prossimo. – Prese fiato. – Non chiedermi né come né perché, devi solo darmi una risposta e cerca di non essere troppo snob.
– D’accordo.
– Cosa? Verrai? – Robb pareva incredulo.
– Non ho niente di meglio da fare, – ammise Jamie, divertito dalla palpabile incredulità del fratello.
– Accidenti. Jo non ci avrebbe scommesso un centesimo.
Al suono di quelle parole, James tornò immediatamente serio.
– Non molto acuta, – commentò lui, sprezzante.
– Sei in vivavoce, – tossicchiò Robb. – Jo, ecco… Jo ti saluta.
– Nemmeno per sogno. – La voce di Josephine attraversò il ricevitore come una stilettata, seppur distante.
– Buonanotte, Josephine. – E riattaccò. Si morse le labbra, irritato e divertito al tempo stesso. Eppure c’era qualcos’altro. La voce di Josephine gli piaceva esageratamente. Controvoglia, si accorse che non era la prima volta che gli capitava di pensarlo. Gli venne in mente il giorno in cui l’aveva vista per la prima volta e lei gli aveva propinato la sua opinione su Neruda. “Affamato” aveva detto. Scosse la testa per scacciare via il pensiero.
Tuttavia non poteva negarlo, nemmeno sforzandosi. C’erano delle cose di quella donna che possedevano un fascino che apparteneva solo a lei.

 
Un fascino spaventoso a cui, per giorni, aveva creduto di soccombere. Fortunatamente, pensò, era stato abbastanza accorto da evitarla e lei era stata inconsapevolmente e preziosamente eccellente nel palesare i suoi aspetti peggiori. Il modo in cui ignorava Robb, quell’espressione costantemente alienata e quegli occhi gelidi. Persino la sua pelle emanava un odore che ricordava una brezza glaciale.
Ad ogni modo, una volta a letto, si concentrò sugli impegni del giorno dopo; solo dopo molto si ricordò di non aver scritto a Claire. Non che si sentisse in obbligo di farlo, ma non gli piaceva essere scortese con una donna, né farla sentire dimenticata dopo averci passato una notte insieme. Tuttavia, quella notte non fece nulla per rimediare alla mancanza. Era molto sicuro di sé e del fatto che difficilmente lei avrebbe reso le cose complicate. Lentamente, i pensieri lo condussero negli abissi del sonno.
 

 
 
 
***


 
Trascorse più di una settimana dal quel giorno. Robb e Josephine erano di nuovo sulla strada per St. Albans. L’uno piuttosto impaziente, l’altra decisamente poco eccitata dall’idea di tornare lì dopo così poco tempo. La notizia che i signori Draper fossero in Grecia lasciando loro a disposizione l’intera casa non era bastata a rendergli quel ritorno gradito. Nonostante ciò, si era ripromessa di non lasciar trapelare le sue emozioni così da non infastidire Robb.
Il viaggio trascorse velocemente tra poche chiacchiere e molta musica. Giunti alla villa, entrambi fecero una doccia, poi Robb si lasciò cadere sul letto per un breve riposo prima di pranzo, mentre Josephine decise di andare in biblioteca.
L’idea di avere quella stanzona a sua completa disposizione, senza il rischio che nessuno potesse turbare la sua quiete, era estremamente piacevole. Una volta giunta  a destinazione, si fiondò senza pensarci verso il libriccino di poesie cilene e si gettò letteralmente e trionfalmente sulla poltrona. Sorrise con aria perfida, quasi come se James potesse vederla, e si rilassò sui cuscini. Il libro al tatto le parve più spesso della volta precedente, ma impiegò giusto qualche istante prima di capire che tra le pagine vi era nascosta una piccola matita smunta. La prese tra le mani e ci sfregò sopra le dita, poi lesse la poesia a cui probabilmente faceva da segnalibro. Vide che vi erano diverse sottolineature ed immaginò che fossero recenti.


XVI
Amo il pezzo di terra che tu sei,
perché delle praterie planetarie
altra stella non ho. Tu ripeti
la moltiplicazione dell’universo.
I tuo grandi occhison la luce che posseggo
Delle costellazioni sconfitte,
la tua pelle palpita come le strade
che percorre la meteora nella pioggia.


Di tanta luna furon per me i tuoi fianchi,
di tutto il sole la tua bocca profonda e la sua delizia,
di tanta luce ardente come miele nell’ombra

il tuo cuore arso da lunghi raggi rossi,
e così percorro il fuoco della tua forma baciandoti,
piccola e planetaria, colomba e geografia.





La lesse d’un fiato, sospirando. Si sentiva avvinta, vittima della malia di quei versi. Lo stomaco quasi le doleva al pensiero che un uomo potesse pensare a parole simili, le fitte furono più crudeli quando realizzò che James le aveva lette, apprezzate, sottolineate, contrassegnate. C’era qualcosa di profondamente simile all’energia di quei versi, nello sguardo di James. Anche quando le aveva detto quelle cose orribili, la sua voce e il suo sguardo le avevano procurato una sensazione molto simile a quella che stava provando in quel momento, attraverso quei versi. Il fiato le si spezzò in gola; si sollevò dalla poltrona rapidamente, lasciando che il libro raggiungesse il pavimento. Non vi badò. Aveva bisogno di tornare al piano di sopra.
Salì di fretta le scale, mentre l’adrenalina le scorreva bruciante in corpo. Raggiunse la camera, Robb sonnecchiava sul letto. Si spogliò in fretta e gli si mise addosso, a cavalcioni, stringendogli i fianchi fra le ginocchia. Prese a baciarlo sul petto nudo, già pronto per la sua bocca. Ci volle qualche secondo prima che Robb si riavesse dal sonno e capisse cosa stava succedendo. Quando Jo si accorse di averlo svegliato, corse con le labbra fino alla sua bocca, con smania e foga.
– Jo, – mormorò lui, ammaliato e improvvisamente vigile.

– Sta’ zitto e prendimi.
Non se lo lasciò ripetere. Le strinse le natiche tra le mani e ubbidì ai suoi ordini.
   
 
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