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Autore: Writer_Lucky_    09/09/2014    1 recensioni
Gaara è soltanto il migliore degli shinobi e il Kazekage del villaggio della Sabbia.
Matsuri è una giovane donna cui la guerra ha strappato con violenza e brutalità la sua famiglia.
Gaara, pur non essendo più una forza portante, continua ad aggirarsi inquieto per le vie oniriche.
Matsuri è costretta ad abbandonare il suo paese natale per ricostruirsi una vita e dimenticare tutto ciò che il fato le obbliga quotidianamente a ricordare.
Gaara ha già realizzato il sogno dettatogli dal cuore, ma è pronto ad averne un altro.
Matsuri non è considerata una brava kunoichi, perché ha perso da tanto tempo il suo credo ninja, ma, nonostante ciò, resiste e affronta la vita con umiltà come la più forte tra i guerrieri.
Gaara fugge ancora da un passato sterile e vela i suoi ricordi con il dolore.
Matsuri si ritrova sola a camminare su una terra che le è stata bruciata, eppure è in grado di trasformare le ceneri in speranza.
Può il destino creare un bivio tra due strade parzialmente gemelle?
Genere: Azione, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matsuri, Sabaku no Gaara | Coppie: Gaara/Matsuri
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Disclaimer: i personaggi narrati in questa storia appartengono all’autore Masashi Kishimoto, ed io, nell'usufruire di essi, non ho alcuno scopo lucrativo.
 
Note:
  • In questa storia il personaggio “Matsuri” non è una cittadina di Suna, bensì di Konoha.
  • La storia è ambientata dopo la quarta guerra mondiale ninja, ma non verrà fatto alcuno spoiler riguardo alla trama originale.
  • Critiche, recensioni (sia negative sia positive) e pareri sono estremamente graditi. 
  • L'aforisma sottocitato appartiene al film d'animazione targato Disney "Mulan".
 
 

                                                                                                           Prologo

 
 
 
                                                                                                                                                                                                               “Il fiore che sboccia
                                                                                                                                                                                                                       nelle avversità
                                                                                                                                                                                                                           è il più raro 
                                                                                                                                                                                                                          e il più bello
                                                                                                                                                                                                                                  di tutti”
 
 
«Che arietta frizzantina» commentò una giovane morettina, mentre camminava per le vie della città, stringendosi nel suo cardigan verde ormai logoro e scolorito «L’autunno sembra essere giunto anche qui» decretò con un mezzo sorriso, fissando il cielo che, con il giungere del crepuscolo, si era tinto di arancio. «Forse sarà il caso di iniziare a tirar fuori i vestiti più pesanti» rifletté ad alta voce con fare pensieroso, portandosi l’indice della mano destra alle labbra. «Anche se…», socchiuse le palpebre e curvò le spalle in avanti, «tutto questo significherà rinnovare il guardaroba di Layla» borbottò malinconica. «Spero tanto che non sia cresciuta poi così tanto rispetto all’anno scorso» si augurò, indirizzando gli occhi verso l’alto. «O altrimenti l’unica soluzione sarà darmi al furto» gracchiò, grattandosi la testa con la mano sinistra.
«Matsuri-chan!».
Una voce improvvisa sottrasse la mora dai suoi pensieri e la portò a girarsi verso la direzione opposta alla sua. «Aki-chan!» esclamò, curvando le labbra all’insù e addolcendo lo sguardo nello scorgere una figura a lei nota. «Come stai?» domandò, iniziando a camminare verso una fanciulla dal volto ovale e luminoso.
«Molto bene» rispose l’interpellata, allungando il braccio destro e mettendo in evidenza l’indice e il medio. «Tu invece?» rigirò la domanda.
«Io?» le venne spontaneo chiedere in tono interrogativo, portandosi una mano al petto. «Direi bene» rispose prontamente. «Ho appena finito di lavorare» aggiunse, senza trattenere un sospiro di rassegnazione.
«Ti sfruttano molto?».
«No, no» si affrettò a replicare Matsuri, scuotendo energicamente il capo. «Mi trovo abbastanza bene» affermò con sincera serenità. «Anzi», calcò ancora di più il sorriso, «non ringrazierò mai a sufficienza tuo padre» confessò, eseguendo un piccolo inchino in segno di riconoscenza.
«Ma piantala», Aki sminuì il tutto con naturalezza. «Non è stato nulla» la tranquillizzò, accarezzando con grazia la sua chioma bionda che le ricadeva lungo le spalle.
Nell’osservare i suoi capelli perfettamente lisci, Matsuri si rese conto di quanto la sua amica, nonché ex compagna di accademia, fosse diventata bella. Fin da piccola aveva sempre attirato l’attenzione di tutti grazie ai suoi occhi, aventi la stessa tonalità del mare, e alle sue capacità. Era la pupilla di quasi tutti i sensei, che, oltre a lodarne le doti, le dedicavano più attenzioni rispetto agli altri studenti, in quanto vedevano in lei un potenziale che non scorgevano negli altri.
Crescendo, il suo corpo aveva assunto una forma talmente sinuosa e longilinea da concederle la possibilità di riscuotere una certa popolarità tra i celibi ninja di Konoha. Non vi era volta che qualche baldo giovane, incrociando il suo cammino, non le proponesse di offrirle una cena. Ma, d’altronde, come si poteva resistere dinanzi a cotanta soavità e beltà?
«Ad ogni modo» tagliò corto la kunoichi, «resterei volentieri» premise, «ma», fece una piccola pausa, arrossendo visibilmente in volto, «ho un appuntamento» comunicò raggiante.
Come volevasi dimostrare…
Matsuri trattenne a stento una risata. La sua amica non cambiava mai. O meglio, la sua personalità rimaneva immutabile, ma… i ragazzi con cui amava dilettarsi decisamente no.
«Vai e divertiti» la sollecitò, facendole l’occhiolino. «Io vado a divertirmi a casa», intinse volutamente il secondo verbo d’ironia, «con la mia peste preferita» terminò, facendo roteare gli occhi.
«Buon divertimento anche a te, allora» ricambiò l’augurio l’ex compagna, schioccandole allegramente un bacio aereo.
«Grazie», soffiò Matsuri, osservando con uno sguardo velato di malinconia Aki andare via.
La ragazza era consapevole che i sentimenti come l’invidia e la gelosia non avrebbero mai portato nulla di buono, però… guardando le spalle dell’amica diventare sempre più lontane, desiderò per un solo istante avere la medesima spensieratezza che a lei era estranea.
Inumidendosi con la lingua il labbro inferiore, aggrottò la fronte e riprese a percorrere la via che prima aveva interrotto.
Mentalmente si ricordò di passare al supermercato prima di rientrare a casa, o altrimenti quella sera non sarebbe stata in grado di riempire il piatto di Layla.
Malauguratamente per lei, trovò le bistecche a prezzo pieno, ma, anche se fu costretta a rinunciare ad altro, dovette per forza prenderne una, o altrimenti l’anemia della peste sarebbe vertiginosamente peggiorata.
Prima di giungere alla cassa, si fermò al banco frutta, dove prese una mela. Il fruttivendolo fu così gentile da regalargliela, poiché lei aveva specificato di volerne solo una a causa della sua intolleranza nei confronti del frutto, pertanto non poteva di certo farne abuso.
Infilò la mela in borsa e subito dopo si recò a pagare la carne. Le sue guance si tinsero vergognosamente di porpora, quando estrasse dal borsellino dei centesimi e li poggiò sul bancone. Diede una sbirciatina all’espressione della commessa che, sorprendendo le sue aspettative, non stava né sbuffando né altro, anzi di tanto in tanto lanciava occhiatacce ai clienti che si trovavano dietro di lei e che si lamentavano per una tale attesa.
Dopo aver letteralmente svuotato il portafoglio, Matsuri riuscì a pagare il suo acquisto e con uno sguardo pregno di significato ringraziò la donna che le aveva mostrato tanta comprensione.
Uscì dal locale e notò che si era fatto buio.
Era maledettamente in ritardo.
Reggendo il sacchetto tra le mani, corse a lungo fino a giungere dinanzi ad un palazzo che vantava di una grande insegna su cui vi era scritto “Accademia”.
Entrò all’interno dell’edificio e si recò nella sala d’aspetto, dove trovò una bambina dai codini neri e dagli occhi castani, seduta su una sedia. «Layla-chan!» esclamò, andandole incontro. «Mi dispiace… Io… Ho fatto tardi al lavoro» spiegò a raffica, respirando tra una parola e l’altra.
«Capisco». Fredda e piatta. La risposta della piccola non sorprese Matsuri, che le rivolse un sorriso dispiaciuto, tendendole la mano. «Andiamo a casa» la incitò, piena di vitalità. «Stasera ti preparo una cenetta con i fiocchi» annunciò con vigore.
«Come no», la bambina ignorò del tutto la mano tesa della ragazza. Si limitò ad alzarsi e a fissarla, lasciando trapelare una sconfinata amarezza nel suo sguardo. «Cosa hai aggiunto alla minestra di verdure? Due pomodori? O delle patate?». La sua voce era tanto sprezzante da far sentire la giovane al pari di una mosca spiaccicata contro il muro.
Nonostante ciò, non si perse d’animo e, sventolando l’indice, replicò con allegria: «no, no». Si chinò all’altezza della bambina e le disse con entusiasmo: «una bella bistecca».
«Avrai pulito qualche mattonella in più» controbatté non mostrando neanche un briciolo di umanità e rispetto. «Andiamocene» sentenziò, superando Matsuri. «Ho fame».
La giovane donna si alzò di nuovo in piedi e fissò con profonda tristezza la bimba che camminava verso la porta d’uscita. Layla purtroppo non riusciva a comprendere gli sforzi che Matsuri facesse quotidianamente per darle qualcosa di commestibile da mettere sotto i denti.
Ma per la fanciulla andava bene così! Layla andava capita e amata. Dopotutto… era ciò che rimaneva della sua famiglia.
Armandosi di una buona dose di pazienza, seguì a ruota la piccola, che era già uscita dal plesso.
In religioso silenzio fecero ritorno a casa. La bambina, una volta arrivata, si chiuse nella sua stanza, sbattendo la porta più forte che poté. Frecciatina cui Matsuri non prestò la sua attenzione, bensì preferì rivolgerla verso la bistecca che stava cucinando.  
Layla adorava le bistecche. Sin da quando era piccolissima. Matsuri lo ricordava bene. Anzi, rammentava alla perfezione la loro vita in quel remoto periodo di cui ormai rimanevano solo poche ceneri.
Però… se chiudeva gli occhi, riusciva ancora a sentire la voce della mamma che annunciava che la tavola fosse già imbandita per la cena, e se si concentrava per bene era tuttora in grado di sentire quell’aroma di tabacco di cui profumava sempre il suo papà.
Non che non le mancassero… Tutt’altro! Ma oramai si era abituata alla loro assenza. Non era più una novità: rincasare e trovare tutte le luci spente senza un paio di occhi dolci che la accogliessero calorosamente in casa.
Tutto ciò non esisteva più. Faceva solo parte del passato. Un passato che nessuno avrebbe mai potuto più riesumare.
Matsuri ci aveva provato a metter su un presente simile per la piccola Layla, tuttavia ogni giorno falliva miseramente. Lei non era sua madre. E la sua sorellina non perdeva mai occasione per rinfacciarglielo. Troppo presa dai problemi che un’infanzia traumatica le aveva regalato gratuitamente e fin troppo delusa da sua sorella che non era diventata un ninja rispettabile come lo erano i fratelli dei suoi compagni di accademia.
Avrebbe tanto voluto darle di più, seppur consapevole dei suoi tanti limiti. Ci aveva provato a seguire la strada dei suoi genitori, ciò nonostante il ricordo del sangue e delle urla di quei maledetti giorni non riuscivano a scomparire dalla sua mente. Pertanto… Aveva preferito intraprendere un sentiero più lieve ma allo stesso tempo più misero.
Trattenne un sospiro, mentre serviva la carne sul piatto e la condiva con dell’olio e del limone. «A tavola!» esclamò ad alta voce in modo che la sorellina, che si trovava al piano di sopra, la sentisse.
Non ci volle molto e Layla la raggiunse. Prese posto a tavola e consumò il suo pasto in silenzio, non facendo caso alla sorella che se ne stava seduta su un mobile della cucina e la fissava mesta. Non si chiese nemmeno il perché lei non stesse mangiando.
D’altronde la risposta era così ovvia.
Matsuri, come tutte le sere, respinse i morsi della fame e continuò a osservare la bimba, che con parecchia nonchalance non la degnava di uno sguardo.
«Cos’altro c’è da mangiare?» domandò Layla a bruciapelo alzando lo sguardo sulla giovane, dopo aver mandato giù l'ultimo boccone.
Matsuri impallidì nell’udire tale richiesta. Sperava che la sua sorellina capisse che quella bistecca fosse l’unica cosa che aveva da offrirle quella sera. Aveva auspicato di non trovarsi mai in una situazione del genere. Sentiva già gli occhi pizzicarle al pensiero di doverle dare una risposta negativa.
«Allora?» proseguì, incrociando le mani al petto impazientemente.
«Io…» mormorò la consanguinea, schiudendo le labbra e deglutendo. «Layla» la chiamò, incorniciandosi sul volto un’espressione più che mortificata. «Io…».
«Grazie eh!» ringraziò con sarcasmo la bambina, alzandosi da tavola. «Non sei neanche in grado di darmi qualcosa da mangiare» le rinfacciò, arrabbiata, stringendo i pugni lungo i fianchi.
L’affermazione di Layla fu come una lama affilata che trapassò il cuore di Matsuri, che si lasciò sfuggire un rumoroso singhiozzo. Delle gocce di rugiada iniziarono a rigare il suo pallido viso, sprovvisto, in quel momento, di pudore.
«Sei solo una stracciona» le urlò, prima di girare i tacchi e tornare in camera sua.
Dopo ciò Matsuri si accasciò per terra e si coprì la faccia con entrambe le mani, interrogandosi del motivo per cui la sua vita avesse assunto una tonalità così nera.
Il mattino seguente fu più che devastante. Le parole della sorella le erano rimbombate nelle orecchie per tutta la notte e non era riuscita ad assopirsi neanche per cinque minuti. Si prese il capo tra le mani e rifletté sul da farsi.
Quella situazione era fin troppo precaria per loro e Layla aveva maledettamente ragione. Se non era neppure in grado neppure di sfamarla, che razza di sorella era? Aveva giurato a se stessa che sarebbe riuscita a portare avanti sia la sua esistenza sia quella di Layla, ma, data la condizione attuale, pareva avesse sbagliato tutto.
Sospirò con esasperazione, socchiudendo le palpebre e appoggiando il mento ai palmi delle mani, chiusi a coppa.
Qualche minuto dopo, la piccola di casa fece il suo ingresso in cucina. Matsuri nei lineamenti del volto non fu in grado di scorgere nessuna traccia di rammarico per la discussione avvenuta la sera precedente. Al contrario, Layla mantenne la sua impassibilità e bevve il latte, che la ragazza le aveva scaldato.
Matsuri, conscia del fatto che la sorella stesse sviluppando un comportamento più che ingiusto nei suoi confronti, rimosse dalla sua testa le sue parole, sgorganti di veleno, e agì come se non fosse accaduto nulla.
«Ti ho preparato la mela con zucchero per la ricreazione» la informò, sorridendole flebilmente. Per un attimo, pensò di aggiungere “so che ti piace tanto”, ma poi, ripensandoci, decise che sarebbe stato opportuno non farlo se non avesse voluto ricevere una risposta un po’ spiacevole.
«Ok». Si strinse nelle spalle e afferrò il fagotto poggiato sul tavolo. «Oggi devi venire con me» annunciò prima ancora che Matsuri potesse offrirsi di accompagnarla all’accademia. «Iruka sensei vuole parlarti» comunicò, infilando la merenda dentro lo zainetto.
La ragazza sussultò.
Ebbe uno strano presentimento.
Un presentimento che ben presto avrebbe cambiato le sue prospettive di vita per sempre.
 

                                                                                                                                                                                                                      Writer_Lucky_







        

 
   
 
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