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Autore: DelilahAndTheUnderdogs    09/09/2014    0 recensioni
Era il millenovecentosessantacinque e tutto era concesso: o quasi.
"Se adesso avessimo diciassette anni, Jack, potremmo stare assieme" constatò la donna.
"I tempi sono diversi, Sasha, allora non potevamo tenerci la mano in pubblico e lo sai" aggiungendo "ormai è tardi"
***
Storia di una vita eccezionale. Forse.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest, Non-con | Contesto: Storico, Sovrannaturale
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VII.
(1965)
Sasha
 

La vita di Lucille Bowen iniziò non molto tempo fa in un ospedale di periferia.
Era nata in un ospedale di quelli in cui le partorienti urlano agonizzanti sui loro letti.
Sua madre, Sasha Blum, fu trasportata in barella senza pietà, sbatacchiando qua e là.
Le pareti verdi della sala parto sembravano incredibilmente accese, vero Sasha?
Le infermiere e l’ostetrica, coi loro camici bianchi puliti (non per molto ancora) l’ammonivano di spingere, sempre di più, più forte che poteva.
Avere diciassette anni e sentirsi derubati di qualcosa ti sembrava normale, tutta la tua vita era stata una truffa, erano gli anni Sessanta, il sessantacinque verso la fine di un concetto fino ad allora perseguito.
Era estate, il caldo soffocava e le tue urla erano acute.
L’infermiera Johnson notò che i neon non funzionavano bene, la luce andava e veniva.
Nessuno doveva sapere dei poteri che possedevi, nessuno avrebbe mai immaginato che le tue urla e il tuo dolore scatenassero reazioni telecinetiche.
Era estate e Sasha già sapevi troppo per la tua età.
Tipo che altre estati sarebbero arrivate, sempre lì ad attenderti con rancore e rimorso oppure del fatto che saresti scappata senza di lui, non volevi creare altri problemi.
Il sudore ti permeava il volto teso e scarno, eri ancora una bambina, dopotutto?
Gli occhi tradivano una sicurezza appena acquisita, davanti a quelle luride infermiere che ti giudicavano.
Le tue energie erano arrivate quasi alla fine, l’unica cosa che occupava la tua mente instabile era un unico obbiettivo: dare alla luce la creatura.
Si vedeva già la testa, e urlavano o era solo uno?
Le voci si amplificavano nella tua mente, trovavano spazio per infastidirla come in una sitcom della ABC.
La creatura era nata, finalmente, era un involucro viscido e sanguinolento per quel che ricordasti in seguito, il cordone ombelicale vi unì per poco per poi essere reciso per sempre.
Le infermiere, quelle puttane schifose, sputavano sottovoce commenti sulla tua bambina.
Del fatto che era nera e nessuna la voleva sulle loro pure braccia.
Solo una grassoccia aveva avuto il coraggio di tenerla fra le braccia.
Natasha ti alzasti indolenzita: “La porto io nel suo lettino, vacche! Non vi vergognate? È solo una bambina, non vi ha fatto nulla. Dov'è la nursery?” l’infermiera Warblack ti condusse in uno spazio angusto e chiese il nome della bimba.
Sasha tu sussurrasti in modo udibile, continuando ad ammirare la bambina e accarezzarle la guancia: “Lucille”
Detto questo l’infermiera annotò il nome su una cartella e se ne andò, lasciando lì madre e figlia.


Un frammento di luce era stato donato al mondo.

 

   
 
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