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Autore: Roxar    09/09/2014    3 recensioni
«Arima! Devi alzarti, oggi è il compleanno di papà!»
...dove Makoto compie gli anni e i suoi bambini si sentono in dovere di preparargli la colazione, aiutati dalla perizia di papà Haru.
[Daddies!MakoHaru]
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Warnings: Fluff, Birthday, OC, Shonen-ai
Crew&Ship: Makoto Tachibana, Haruka Nanase, Altri | MakoHaru
Note: si ringraziano sentitamente Pirats e Aika per aver ispirato questa cosa e per avermi permesso di godermi una sana, catartica sessione di fluff potente. <3 E conseguentemente, grazie a tutte le ragazze del gruppo, che sono le free!girls più belle di sempre. <3

 

___

 

«Arima! Arima, svegliati, svegliati!»
L’interpellato si stropiccia gli occhi, brontola qualcosa e si gira dall’altra parte, infagottandosi nelle lenzuola. Non ha intenzione di ascoltare le stupidaggini di sua sorella, non quando la stanza è ancora immersa nella penombra e all’ora di colazione manca ancora un bel po’.
Spera che, se ignorata a dovere, la bambina andrà via, lasciandolo in pace. Naturalmente, è una speranza vana, perché Miwako si arrampica sul suo letto e strattona via le coperte, esponendolo al freddo pungente del primissimo mattino.
«Miwako!» sbotta inviperito, piantandole le mani in faccia per spingerla giù dal letto; rimedio che, effettivamente, funzionava fino ai loro quattro anni, quando erano entrambi goffi e impacciati e bastava un nonnulla a farli ruzzolare. Adesso, che si approssimano ai sette, è diventato più complicato liberarsi l’uno dell’altra.
«Arima! Devi alzarti, oggi è il compleanno di papà!»
«Ma io voglio dormire» borbotta e cerca di riappropriarsi delle coperte, senza riuscirci. Lo sa benissimo che oggi papà Makoto compie gli anni, ma sa anche che i papà non si alzeranno prima delle otto, quindi non vede davvero il motivo per il quale sua sorella debba costringerlo ad alzarsi così presto.
«Non puoi! Dobbiamo preparare la colazione con papà!»
«Non ne ho voglia».
Miwako gonfia un po’ le guance e il viso si accartoccia in una smorfia contrariata. Poi, dopo una lunga riflessione, balza giù dal letto e liscia le pieghe del suo pigiama rosa.
«E va bene. Faremo tutto io e papà, sarà una bellissima colazione e tu non sei invitato, stupido!» s’infiamma, afferrando un peluche per tirarglielo addosso e scappando velocemente alla porta per scampare allo stesso peluche, che Arima le ha scagliato addosso e che la raggiunge troppo tardi, quando ormai è fuori dalla stanza e la porta è chiusa.


Miwako è seduta al tavolo.
Le gambette ciondolano allegramente e il mento è posato sulle braccia incrociate. Sorride di quel sorriso dolce e gentile che ha ereditato da Makoto mentre gli occhioni azzurri fissano insistentemente ogni movimento di Haruka e i muscoli sono tesi, pronti a scattare quando suo padre le dirà di raggiungerlo e aiutarlo.
Così, osserva le sue dita tagliare lo sgombro in filetti sottili e privarlo delle spine, passando quindi ad affettare l’ananas che lui e Miwako hanno acquistato il pomeriggio precedente.
E quando anche l’ultimo coltello è stato messo via, fuori dalla portata della bimba, Haruka si ripulisce le mani sul grembiule e dice: «Miwako».
La ragazzina salta in piedi, con così tanta energia che rischia di ribaltarsi e finire contro il pavimento, prontamente salvata dalle braccia di Haruka, che la stringono e la sollevano, salvandola dalla caduta. Miwako lo abbraccia stretto al collo, perché capita di rado che papà Haruka la stringa in quel modo e lei è abbastanza furba e intelligente da approfittare di ogni occasione.
E, siccome non le sembra abbastanza, si avvicina e preme le labbra contro la sua guancia, lasciandogli un bacio schioccante che precede una risata mormorata nel suo orecchio, perché papà Makoto dorme ancora e non bisogna svegliarlo prima che la sorpresa sia pronta.
«Al lavoro» borbotta Haruka, posando delicatamente la bambina per terra, che da subito inizia a trotterellargli intorno, impaziente e molleggiata come una cavalletta.
«Prendi i filetti, Miwako, e mettili sulla griglia» le ordina docilmente e lei, prestando la massima attenzione e trattando il pesce come fosse un sacra reliquia, adagia i filetti sulla griglia, badando che siano perfettamente distesi e senza pieghe.
Segue tutte le istruzioni di Haruka, che le resta sempre dietro o accanto, che corregge un’imprecisione e che, alla fine, la solleva delicatamente per i fianchi per avvicinarla al lavello e permetterle di lavarsi la mani, mentre il pesce sfrigola nella piastra.
«Papà», lo chiama, tirandogli i pantaloni, «devi punire Arima, che è tanto cattivo e non ha voluto aiutarci».
Le labbra di Haruka tremano, trattenendo un sorriso.
«Non essere troppo dura con tuo fratello» si limita a dirle, scoccando un’occhiata rapida alla porta, dove Arima indugia, assonnato e un po’ ingobbito, mentre sfrega gli occhi verdi.
Miwako gli riserva un’occhiata di disapprovazione e una linguaccia, prima di occhieggiare la finestra e strillare: «È ora, papà! È ora!», perché il sole è ben alto nel cielo e questo, nella sua testa, può solo voler dire che è arrivato il momento di fare gli auguri al suo papà.
«Sistemiamo la colazione, prima» propone Haruka e questa volta anche Arima si avvicina per aiutare, portando in tavola piatti e posate. Miwako lo strattona per la maglia e gli pianta un bacio sulla guancia; evidentemente ha deciso di perdonare il fratello, che finalmente sta mostrando un po’ di interesse per il grande evento.
E Arima, che mal tollera baci e abbracci, sfrega la mano contro la guancia, come a volersi ripulire, innescando l’ovvia reazione indignata di Miwako, che apre la strada ad una delle loro interminabili liti.
Haruka li fissa in tralice e si concede di sorridere mentre dispone l’ultimo filetto di sgombro sul piatto e dice: «Bambini, andate a svegliare papà».

A strapparlo al sonno è un peso sulla pancia, che atterra su di lui con violenza e gli spezza il respiro, portandolo a boccheggiare.
«Svegliati, papà, svegliati!» urla Miwako e salta sul letto, accompagnata da Arima che, silenzioso come un gatto, si arrampica su Makoto e si stringe a lui, infossando la testa nell’incavo della sua spalla.
Makoto schiocca un paio di volte la lingua e si sfrega il viso, cercando di mettersi seduto nel momento in cui Miwako perde l’equilibrio e cade su di lui, aggrappandosi al suo collo.
Ansimante e trafelata, lo guarda di sottinsù.
«Papà, è il tuo compleanno oggi! Auguri, papà!» e gli pianta baci rumorosi sul collo e sul viso, cercando di spingere via Arima per avere l’uomo solo per sé.
Makoto ride e bacia entrambi, spingendo via i capelli dai loro visi.
«Grazie, tesoro» replica dolcemente, concedendo un altro bacio a Miwako, proprio sulla sommità della testa, sui capelli castani.
«E grazie anche a te, Arima» mormora ancora più dolcemente, baciandolo sulla nuca e portandolo ad intirizzirsi e chiudersi come un riccio, stringendosi di più a lui. Contro la pelle, Makoto percepisce un sorriso largo.
Il momento di quiete e dolcezza si dissolve quando Haruka entra nella stanza e Miwako balza in piedi, stringendogli la mano con entrambe le sue.
«La sorpresa, papà, la sorpresa! Devi vedere la sorpresa!»
È euforica e lo sta strattonando per farlo alzare.
«Aspetta, tesoro, non tirare così o finiremo tutti sul pavimento» la ammonisce gentilmente e Haruka arriva in suo aiuto, sollevando di peso la bambina per mettersela su un fianco.
Makoto lo fissa a lungo, regalandogli il sorriso più dolce ed eloquente di cui dispone, che lo porta a voltare la testa e arrossire appena.
«Alzati» borbotta, il viso volutamente nascosto nei capelli della bambina, che lo sta stringendo forte, riempiendogli la guancia di baci schioccanti.
«Agli ordini, Haru-ch---»
«Basta con il chan» lo interrompe bruscamente e poi, prima di allontanarsi, si china un poco per piantargli un bacio sulle labbra – ruvido e frettoloso – che strappa a Makoto una risata divertita.
«Papà, vieni o no?» strilla Miwako, i gomiti posati sulla spalla di Haruka, che sta già puntando alla cucina.
«Che ne dici, tesoro? Ci uniamo a loro?» sussurra al bambino che ancora è aggrappato a lui e che annuisce solo una volta. Gli ricorda così tanto Haruka, nei modi e nel fisico, che Makoto non può impedirsi di ridere, prendendosi il bambino a cavalcioni su un fianco e ciabattando in cucina, dove la voce di Miwako lo reclama insistentemente.

«Allora, papà? Ti piace, papà? Eh? Eh? Eh?» lo tempesta, saltellandogli intorno e stringendogli la mano libera – che è enorme tra le sue, piccole, piccole.
Makoto sorride di un sorriso che cerca di non far apparire troppo esasperato, perché solo Haruka e Miwako potevano organizzargli una colazione a base di sgombro, passando clamorosamente sul fatto che lui detesta visceralmente quel piatto, soprattutto alle otto del mattino. Ma sono i suoi ragazzi e morirebbe prima di dar loro un dispiacere.
E soprattutto, striscerebbe all’inferno sulle ginocchia prima di deludere la su adorabile, meravigliosa bambina.
Perciò, si avvicina al tavolo, ridendo della candelina un po’ sghemba che è stata piazzata su una fetta di ananas – sicuramente opera della ragazzina. E nonostante il pesce e la candelina storta e l’ananas e il risveglio turbolento, Makoto sente un nodo di commozione legato stretto intorno alla gola, che gli rende impossibile parlare, che porta una patina lievissima di lacrime negli occhi. C’è così tanto amore, in quella stanza, che si sente soffocare – in senso tutto buono, è inteso.
«È tutto bellissimo, tesoro» si risolve a dire, lasciando andare Arima per baciare la bambina sulla fronte, di un bacio dolce e lungo, che le arrossa le guance, calde e morbide sotto le sue mani, contro la sua pelle.
Con la coda dell’occhio vede Arima imbronciarsi e mordicchiarsi l’angolo della bocca, probabilmente poco incline a tollerare tutte quelle attenzioni che il papà sta dedicando alla sua gemella, geloso e possessivo com’è (di chi sia geloso, però, Makoto deve ancora capirlo).
Così, per non scontentare nessuno, tira delicatamente un lembo della maglia del bambino, costringendolo ad entrare nel cerchio delle sue braccia e accaparrarsi anche lui il suo bacio sulla fronte.
«E a papà non lo dai, il bacino sulla fronte?» si lamenta Miwako, triste e perplessa. Makoto le scompiglia i capelli castani, sorridendole.
«Ma certo, tesoro» garantisce e gli occhi azzurri di lei non lo abbandonano per un attimo, pieni di impazienza e aspettativa e gioia.
«Che aspetti?!» gridano in coro i due gemelli – e il comportamento di Arima lo sorprende positivamente, perché è raro che il bambino si unisca alle maniere espansive e turbolente della gemella – e gli piantano le manine sulle natiche per spingerlo contro Haruka, che sta ostinatamente guardando fuori dalla finestra, fingendosi alienato da quanto sta succedendo in quella cucina.
Ma quando le mani di Makoto scivolano ai lati del sue viso e la punta delle sue dita affondano tra i capelli, proprio dietro alle orecchie, con i pollici ben piantati sulla curva della sua mandibola per invitarlo a sollevare la testa, Haruka non può più fingere, né nascondere il rossore lievissimo che gli sta colorando gli zigomi. E non può neppure evitare di chiudere gli occhi quando le sue labbra premono contro la fronte, dopo avervi sfregato piano il naso per liberarla dai capelli.
Sente i bambini ridacchiare come solo i bambini sanno fare e vorrebbe solo che Makoto lo baciasse davvero e...
«Sì, però adesso basta!» sbotta Miwako, balzando sulla schiena di Makoto per abbarbicarsi come fosse un koala, con l’intento di dividerli, perché non sopporta quando nessuno non le presta attenzione per più di dieci secondi.
Makoto ride contro la sua fronte, piano, di un suono soffuso e tenue, come le fusa di un gatto.
«Va bene, koala, va bene. Ma scendi di lì, prima di farti male».
Miwako obbedisce celermente e inizia a strattonare i pantaloni di Makoto per condurlo alla sedia, al suo posto, dove la fetta d’ananas attende nel piatto e la candelina è ancora più storta e Makoto pensa – e non per la prima volta – che è proprio quella la forma della felicità e della perfezione: la curva irrefrenabile del sorriso dei suoi ragazzi che si riverbera nei loro occhi, che lo fissano come se fuori della loro porta di casa non esistesse nient’altro di così bello e importante. Nient’altro.
«Allora, la accendiamo, questa candelina?»

 

   
 
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