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Autore: kiki96    09/09/2014    0 recensioni
Mio padre diceva sempre: «La cosa importante, Emily, è divertirsi con cautela»
Sapendo a cosa si riferiva, mi trovavo d’accordo con ogni sua parola pronunciata. E mio padre era uno tra i primi a divertirsi: come rideva quando vedeva cosa facevano le sue armi, quando incontrava i loro occhi imploranti… e così facevo anche io. Ogni volta, in piena caccia, mi sentivo l’adrenalina scorrere nelle vene, ogni mio movimento era calcolato nei minimi dettagli per colpire il bersaglio. E non sbagliavo mai.
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La storia parla di zombie... più o meno. A volte nasce la necessità di chiederci se quello che facciamo sia giusto o no perciò ecco qui una visione contraria di ciò che si pensa sempre. questa storia l'avevo scritta per un contest e mi sono divertita... anche se il creatore del contest non ha mai risposto... ._. Buona lettura ;)
K.
Genere: Azione, Drammatico, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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  1. L’inizio
 
 
Aprii l’anta dell’armadio e con un gesto spostai gli abiti appesi per prendere i pantaloni ammucchiati nell’angolo. Erano pantaloni militari, un po’ sciupati e logorati dal tempo ma, come sempre, immancabili in quel momento.
Quando li sollevai sentii i muscoli della spalla flettersi per lo sforzo. Mi stavano un po’ larghi, così presi la consueta cintura di cuoio nero e la strinsi bene alla vita. Sopra mi misi una canottiera bianca e un giacchetto di pelle.
Era sempre così, quando dovevo andare a caccia con papà. Mi aveva allenato da quando ero piccola e, finalmente, quando ebbi quattordici anni mi portò con lui. Ero emozionatissima, mi sentivo ingombrante ma era un onore per me indossare quei vestiti dall’apparenza così normali.
I pantaloni erano provvisti di tante tasche tutte piene di armi come coltelli, pistole e fili di ferro. Inoltre avevano parastinchi e una corazza incorporata capace di flettersi con i miei movimenti, stessa cosa valeva per la giacca.
Mio padre diceva sempre: «La cosa importante, Emily, è divertirsi con cautela»
Sapendo a cosa si riferiva, mi trovavo d’accordo con ogni sua parola pronunciata. E mio padre era uno tra i primi a divertirsi: come rideva quando vedeva cosa facevano le sue armi, quando incontrava i loro occhi imploranti… e così facevo anche io. Ogni volta, in piena caccia, mi sentivo l’adrenalina scorrere nelle vene, ogni mio movimento era calcolato nei minimi dettagli per colpire il bersaglio. E non sbagliavo mai.
Scesi le scale di mogano lucidato –prima o poi mi ci sarei sicuramente rotta l’osso del collo- e sorrisi vedendo la faccia di mio padre: era un uomo alto, le spalle larghe, il viso spigoloso con barba, gli occhi grigi impenetrabili. Sorrise.
«Buongiorno Emy» la sua voce era roca e potente. Non mi aspettavo altro da lui che un saluto educato, in fondo era a capo di molte agenzie e aziende.
«Buongiorno padre»
Mi avvicinai al tavolo chiaro e intagliato che sostava al centro dell’ampia cucina, il muro di cemento armato era bianco, pochi quadri raffiguranti la natura attaccati alla parete. I piani della cucina erano di marmo nero levigato e lucido come le scale, gli armadietti erano chiari e davano luminosità alla stanza insieme ai tappeti di mille colori originari direttamente dalla Persia. Il lampadario di cristallo se ne stava immobile illuminato dai raggi di sole che filtravano dalle vetrate superiori. Le finestre non erano posizionate a meno di cinque metri da terra, nonostante tutte le misure precauzionali che Edgar, mio padre, aveva preso. Non si sapeva mai cosa poteva accadere.
L’uomo mi fissò notando la mia assenza e disse leggendomi nel pensiero: «Meglio prevenire che curare»
«Lo so, padre. Stavo solo ammirando i raggi del sole» presi una mela dalla fruttiera di vimini e iniziai a mangiarla, poi notai gli indumenti troppo raffinati dell’uomo «Padre! E quei vestiti?» chiesi indicandolo con un certo turbamento.
«Oh! Te ne sei accorta» abbassò la testa e smise di sorridere: «Non posso venire a caccia oggi»
«Cosa? Ma me lo avevate promesso!» lasciai la mela sul tavolo e mi avvicinai infuriata: «Non potete lasciarmi così! Io voglio andarci!»
Edgar alzò gli occhi al cielo e indicò la porta: «Bob! Vieni qui, mia figlia vuole conoscerti»
Bob? E chi è? Ma soprattutto chi ha mai detto di volerlo conoscere?” pensai infuriata “Non me ne frega un emerito-
Entrò nella cucina un uomo grassoccio, gli occhiali a specchio, i capelli bianchi e scompigliati, i denti gialli che stringevano una sigaretta quasi finita, le mani erano arrossate e massicce.
«Salve bellezza. Sono Bob. Per gli amici Bob» sorrise con fare divertito, poi vedendo la mia faccia scura smise di sorridere: «Tuo padre mi ha detto dell’inseguimento…»
«Caccia» lo corressi.
«Quello che è» aspirò dalla sigaretta e poi continuò a parlare espirando fumo «Oggi ti ci porto io, come ordinato da tuo padre rischierò la vita per salvare la tua, eccetera eccetera. Bene, andiamo»
«Cosa? Padre!» mi voltai di scatto verso di lui e mi avvicinai inviperita bisbigliando: «Perché mi lasciate con questo qui? Non mi fido, non ci voglio andare con quello là!» girai la testa verso Bob che mi fece un cenno, come se avesse capito ogni singola parola.
Continuai imperterrita: «Non mi sembra uno affidabile! E…»
Dalla porta comparve un ragazzo biondo, i suoi occhi celesti mi colpirono all’istante. Aveva un viso spigoloso ma allo stesso tempo morbido, le labbra erano un po’ screpolate, il torace era ampio, le braccia asciutte e muscolose e le punta delle dita viravano sul violaceo. Sulla testa indossava un semplice cappello di paglia da dove spuntavano vari ciuffi di capelli biondi, aveva una canottiera celeste stinta e i pantaloncini corti.
Il particolare più strano erano i suoi piedi, difatti girava scalzo. Ma non fu solo quello a farmi diffidare all’istante dal ragazzo, ero sicura che si trattasse di uno di loro. Non capivo come mai mio padre aveva permesso a uno di quegli orribili esseri di entrare nella nostra villa.
«Buongiorno» il “ragazzo” si inchinò. Notai la sua pelle bianchissima, più bianca del latte, quasi grigia.
«Ecco, siamo giunti alle presentazioni. Luke, questo è Edgar Monsiersly e quella è sua figlia, Emiliana»
«Emily» dissi a denti stretti: «Il mio nome è Emily»
«Si, quello che è. Bene, caro Edgar e… »Bob guardò dalla mia parte con un sorrisetto di scherno «…Emily, questo è Luke. È il mio servo personale»
«Piacere» sorrise mio padre, poi si voltò verso di me «Emily cara, divertiti»

Nda: Allora, ho voluto aggiungere il primo capitolo lo stesso giorno poichè il prologo è cortissimo e come storia è... il classico inizio. Perciò ecco a voi il primo e vero capitolo... Buona lettura :)

K.

 
  
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