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Autore: HeySoul    10/09/2014    2 recensioni
Si limitava a studiarla da lontano, qualche volta. In una moviola di capelli disordinati ed espressioni concentrate, di gambe accavallate deliziosamente e i suoi calzini al ginocchio a farla sembrare più giovane.
Genere: Commedia, Generale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Turner, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Chapter Six

“When the winter's in full swing and your dreams just aren't coming true.
Ain't it funny what you'll do?”
 
Teneva l’attenzione fissa su di lei, notando solo in quel momento le ombre sul suo viso, un principio di occhiaie. Si perse un istante a ricordarla in quel primo pomeriggio passato assieme, dietro una tazza di caffè, quando le guance nivee erano arrossate dal vento gelido, così come la punta del naso all’insù. Il sorriso e la fossetta a renderla genuina. Adesso il contrasto era evidente, tanto da spingere Alex a piegare le sopracciglia in un’espressione incerta. Come chi ha vissuto nell’oscurità più profonda e pensa di non poter vivere un nero più intenso, sognando la luce, lui rimaneva fiducioso, con i suoi grandi occhi scuri ad osservare la piega delle labbra di Eileen, aspettando che parlasse. I rintocchi delle lancette parevano essersi ammutoliti e il tempo si era fermato con loro, tanto lacerante incominciava ad essere quella lunga pausa. Lei sosteneva il suo sguardo, ostinandosi a cercare qualcosa all’interno della sfumatura impercettibilmente più chiara di quelle iridi, una risposta, o le stesse parole di quel segreto che la sciupava tanto da aggiungere una decina d’anni alla sua età. E se l’orologio rimaneva in silenzio, allora non si poteva dire lo stesso dell’inverno fuori da quel nido sicuro. Il vento soffiava forte, urlando nella notte buia e facendo tremare gli infissi. Uno spiffero avrebbe forse portato loro consiglio ma questo non accadde, lasciandoli in balia delle proprie insicurezze. Poi le labbra della ragazza si schiusero, tanto lentamente da lasciar intravederne il percorso.
«Aspetto un bambino, Alex.» Disse, tagliando quel silenzio come un lampo nella notte. La voce suonava rauca e terribilmente seria, nonostante l’accenno di sorriso. Un angolo della bocca alzato, in una malinconia che si estendeva su tutto il viso. Avrebbe abbassato lo sguardo, se solo non avesse avuto paura di vedere scomparire il ragazzo non appena l’avesse fatto.
In un primo momento, Alex si allontanò da lei, spostandosi scompostamente sul materasso, quasi dando l’impressione di volerla solo vedere meglio, in una figura più completa. Gli fischiavano le orecchie e non era sicuro di quello che aveva sentito, tanto da pensare che fosse uno scherzo. Aveva sorriso per una frazione di secondo, convincendosi di quello specchio di realtà, ma alla fine si alzò in piedi, come se qualcuno gli avesse dato la scossa. Eileen si strinse nelle spalle, sviando lo sguardo per un momento, incapace di guardare l’effetto che quelle parole tanto temute avevano portato.
«Come?» Lo sentì sussurrare, spaventato tanto quanto un cerbiatto ad una battuta di caccia. Il ragazzo tradiva disagio da ogni gesto. Infilare le dita fra i capelli, per poi riportare le braccia lungo i fianchi, rigide, ed infine ricominciare dallo stesso movimento. Lei non gli concesse la conferma vocale ma la vide portare le mani in grembo, accarezzare poi la pancia con i pollici. E allora lo shock scemò lentamente, lasciando spazio ad uno spettro intero di emozioni contrastanti. La prima era paura, liquida nei suoi occhi lucidi. Le mani gli tremavano ed era impalato sul posto, incapace di poter controllare gli arti con quel turbine di pensieri nella mente. Poi una sensazione calda si fece spazio nel suo stomaco, rilassandolo a tal punto da concedergli di alzare leggermente gli angoli della bocca, in un sorriso incerto. Immaginava delle guance paffute e delle manine piccine che afferravano la linea della guancia di Eileen, una vocina flebile e degli occhi scuri come i propri. Ma quel calore che sapeva di casa e di futuro scomparve, indurendogli i lineamenti in uno spasmo di nervosismo.
«E’ mio?» Chiese allora con incertezza nella voce ma non nello sguardo, che teneva fermo su di lei. Vide quegli occhi farsi prima lucidi e poi traboccanti di lacrime, in un pozzo nero e profondo, ma iniziò a versarne qualcuna solo quando scosse il capo, stringendo le palpebre tanto da dare il via a quel percorso salato. Neanche un urlo a pieni polmoni avrebbe potuto sortire lo stesso effetto, quello di indietreggiare di diversi passi tanto da appoggiare scompostamente la schiena all’armadio. Il tonfo sordo portò Medea, la gatta, a scappare dalla stanza, silenziosa come un ombra. Alex sentì il sapore amaro del tradimento, insieme a quello piccante della gelosia. Il vento irrequieto che faceva tremare i vetri della finestra assomigliava al turbamento che stava avvenendo dentro di lui. Il suo sguardo doveva essere talmente spaventato da allarmare la ragazza, priva di forze ma non abbastanza da lasciarlo in quello stato senza spiegazioni.
«Non ne avevo idea quando ti ho conosciuto, non avrai mai potuto farti qualcosa di simile.» Venne scossa da un singhiozzo profondo, tanto da farle tremare il petto e la schiena.
«Ma quando l’ho saputo non potevo – pausa, un altro singhiozzo, meno forte del precedente –
«E’ innocente.» Sentenziò infine, piangendo senza più un freno. Si strinse in se stessa, abbracciandosi il ventre con fare protettivo. Alex rimase rigido contro il legno dell’armadio, respirando con fatica e mantenendo gli occhi spalancati, sorpresi e spauriti. Un uragano di domande gli vorticava furiosamente nella testa, turbandolo sensibilmente tanto da dargli quell’aria persa. Alla fine si decise ad aggiungere qualcosa, pentendosi esattamente nel momento successivo.
«Eric è il padre?» Chiese stupidamente, come se l’appartenenza o il principio di quella vita fosse davvero rilevante. Non fece a tempo a rimangiarsi le sue stesse parole che lei annuì, grave e con lo sguardo basso. Nonostante il suo corpo si ostinasse a mantenersi rigido e i nervi gli si accavallassero pericolosamente, rendendolo fisicamente dolorante, fece un passo avanti tendendo una mano. Se c’era un qualcosa che lo sfiniva più di quella confessione imprevista ed assurda, era vedere Eileen in quel miserabile stato. Si accorse di non vedere in lei la scintilla che solitamente illumina lo sguardo delle donne in dolce attesa, preparandole all’esperienza primordiale di essere madri. Ma quando fu abbastanza vicino da poterle sfiorare il viso, ritrasse la mano, neanche si fosse scottato. Di nuovo si passò le dita fra i capelli, finendo di scompigliarli in una massa indefinita di ciuffi pendenti e dritti, su retro del capo. Quelle mura erano diventate improvvisamente strette, il nido aveva preso fuoco. Non si sentiva più accettato, né al sicuro, e non aveva mai avvertito così tanta stanchezza. Ogni arto sembrava cedere alla forza di gravità con il doppio del suo peso, la testa gli doleva e gli occhi pizzicavano.
«Penso di dover andare adesso.» Fu l’unica cosa che si sentì di dire e di fare. Voltare le spalle al baratro di tristezza che voleva risucchiarlo, un buco nero di incertezze e bugie. Abbozzò  qualche passo sicuro verso l’uscita, poi si fece più incerto tanto da voltarsi indietro. Vide Eileen alzarsi in uno scatto d’istinto, tendendo una mano verso di lui. Notò solo in quel momento le forme un poco cambiate del suo corpo, il seno più grande evidente anche sotto la maglia larga, i fianchi leggermene più generosi. Si diede mentalmente dello stupido per non averlo capito prima, e si chiese se non fosse l’unico essere umano al mondo a non aver prestato la giusta attenzione. Si fermò un secondo in più solo per sbirciare il suo ventre, convinto di poter intravedere il noto gonfiore, ma accorgendosi troppo tardi della fattezza troppo larga degli abiti. La osservò rimettersi seduta, costretta dal dolore alla caviglia, mentre lo guardava con una forza istintiva.
«Mi dispiace.» Gli disse, guardandolo dritto negli occhi. Alex non capì a cosa esattamente si riferisse, a quale aspetto di quella situazione assurda. Per avergli tenuto nascosto così a lungo qualcosa di tanto importante, per avergli mentito guardandolo negli occhi ogni giorno?
Si richiuse la porta alle spalle, avvertendo adesso una forte nausea. Si costrinse a scendere le scale con agilità, giusto per tenersi occupato e sveglio, per non cadere in uno stato di irrealtà. Venne investito poi dal forte vento nell’esatto momento in cui mise piede all’esterno. Si ritrovò a non esserne destabilizzato, si sentiva in armonia col tempo atmosferico, visto il turbine di pensieri e sensazioni che lo scuotevano. Il freddo si insinuava sotto il suo giubbotto di pelle, facendolo rabbrividire al punto da dover affondare le mani in tasca e stringersi. Girovagava senza meta, nelle strade deserte, continuando a rivivere i ricordi ancora bollenti di qualche minuto prima. Il viso segnato di lei e le mani a proteggere la vita che portava dentro, il suo sorriso triste. Il proprio zigomo doleva ancora, ora maggiormente, come a spronarlo a cercare quel ragazzo che aveva stravolto la vita di Eileen fino alle radici. Era stato per Eric se lei non aveva più una famiglia da cui tornare, se aveva sprecato anni della sua vita in ambienti nocivi, e soprattutto se si giocava il proprio futuro sulla linea del ventre.
Il freddo invernale lo scosse maggiormente, spingendolo a sollevare il braccio, facendo segno ad un taxi di fermarsi. L’autista lo guardò storto, fulminandolo con l’incertezza di quel viso martoriato e della rigidità nel corpo e nella voce.
Quando raggiunse il proprio appartamento, barcollò alla ricerca del letto, stordito più di quanto dell’alcool avrebbe fatto. Si addormentò nello stesso istante in cui la sua testa affondò nel cuscino di piume, cadendo in uno stato di incoscienza senza pensieri.

Una luce bianca ed intensa lo accecava, costringendo Alex a portarsi una mano sugli occhi per ripararli dal fastidioso fascio candido. L’intensità si attenuò gradualmente ma in un tempo decisamente breve, lasciando così intravedere le pareti di una stanza. Si accorse solo in quell’istante di non aver mai veramente sollevato la mano, quando la sua mente aveva comandato di farlo. Registrava i movimenti delle braccia e delle gambe come se fossero lontano da lui di qualche metro, li percepiva ma non era sicuro di poter vedere il proprio corpo nel caso avesse abbassato lo sguardo. Non lo fece, piuttosto continuò a guardare davanti a sé. Avrebbe giurato di trovarsi in una stanza pulita e vuota, di quelle dove l’eco rimbomba per la mancanza di mobili, ma adesso, proprio al centro, si estendeva un tappeto blu di forma circolare. Sembrava morbido; la sensazione di trovarlo vicino al letto ad accogliere la pianta dei piedi nudi di prima mattina lo spingeva verso una sensazione di pace. Fu quasi in procinto di fare un passo in avanti, spinto da quel nuovo desiderio bambino. Non credeva di avere i piedi nudi ma non era neanche convinto di essere vestito, solo e rinchiuso in quelle quattro mura lattee. Si concentrò sul proprio battito di ciglia allora, richiudendo le palpebre con calma misurata. Fu molto soddisfatto di vedere una nuova ombra all’interno di quel posto, dopo. Mettendo a fuoco notò la sagoma armoniosa di una coda arricciata e di un paio d’orecchie che puntavano nella sua direzione, come se percepissero i respiri che lui stesso non pensava di stare emettendo. Il gatto si girò verso di lui in uno scatto, guardandolo sull’attenti con i suoi occhi verdissimi. Riconobbe Medea, era lei e ne era sicuro. Sentì – o immaginò – il proprio viso stendersi in un sorriso, mentre cercava di richiamarla per poter condividere un momento assieme, magari accarezzandole il capo. Ma la sua voce calda e dai toni bassi non si espanse per la stanza, e con suo grande stupore e disappunto Medea distolse l’attenzione. Rimase a guardare, certo di non avere la facoltà e il permesso di uscire da quel posto. Avvertì con estrema intensità il miagolio della gatta, che muoveva qualche passo in avanti con l’eleganza felina tipica di lei. E solo in quel preciso istante gli fu concesso di vedere un nuovo esemplare, in un completo contrasto di colori con l’altro. Il pelo era di un bianco candido, simulando il giorno contro il buio gentile di Medea, e gli occhi insolitamente scuri rimanevano puntati su di Alex. La gatta si sedette con un movimento sicuro, avvolgendosi con la lunga coda. Continuava a fissare il ragazzo con insistenza, tradendo però una certa dolcezza, tanto da sembrare in procinto di miagolare sonoramente. Rimase in quella precisa posizione per molto tempo, mentre Medea sembrava essersi dileguata nel nulla che quella stanza rappresentava. Un verso molto più acuto e basso riempì adesso quel silenzio assoluto, rimbombando in ogni angolo. Alex lo trovò strano, visto che il miagolio di Medea non aveva rimbalzato allo stesso modo. Ci mise qualche secondo ad individuarne la fonte, nonostante avesse vagato lo sguardo in ogni dove. Un gattino delle dimensioni di una sua mano era appena spuntato da dietro la schiena dell’esemplare candido come una nuvola in un cielo d’estate. Si mise a correre contro ogni aspettativa, inciampando sul tappeto con le sue zampine troppo corte e con il suo fare goffo tipico dei più piccoli. Si riunì a quella che Alex intuì come la madre, strusciandosi contro il suo fianco ed emettendo le vibrazioni comunemente chiamate fusa. Ma il ragazzo continuava a perdersi negli occhi della gatta che non aveva mai smesso di fissarlo con quella sua dolcezza intensa. Si concentrò maggiormente, perdendo i contorni della forma che si fondevano perfettamente con il resto del bianco della stanza. Si disse che quello sguardo l’aveva già visto in precedenza, e solo dopo un poco di tempo si disse che quella gatta non assomigliava, ma era Eileen.

Aprì le palpebre di soprassalto, mettendosi seduto così velocemente da sentire la testa girare e la vista annebbiarsi. Si passò una mano sugli occhi, percependo con intensità il dolore alle nocche e al viso. Dovette guardarsi intorno per una manciata di secondi: le lenzuola aggrovigliate sul letto, all’altezza delle proprie caviglie; l’armadio di mogano a fronteggiare la parete di fronte a lui, mentre una coppia di poltrone si affiancavano poco più in là. Una volta appurato che la sua camera da letto fosse reale, scostò le lenzuola con l’intenzione di dirigersi in bagno. I ricordi della notte prima sembravano non dargli tregua, complici di quel sogno così strano che ancora lo stordiva, portandolo a barcollare un poco alla ricerca della doccia. Uno sguardo veloce allo specchio gli diede una visuale intera del colore nuovo dei propri lividi. Un violaceo intenso si estendeva lungo lo zigomo fino a metà guancia, dove sfumava in un blu scuro. Ringraziò la premura di Matt e, ancora di più, quella di Eileen per avergli evitato un brutto occhio nero e gonfio con l’aiuto del ghiaccio e della crema. Quando notò il taglio in fase di guarigione sul labbro inferiore, era già alle prese con i jeans. Pochi minuti dopo si trovava fuori dal suo appartamento, montando sulla motocicletta e inforcando gli occhiali da sole. Non aveva badato ai capelli, quella mattina, ed era piuttosto sicuro che, una volta tolto il casco, si sarebbero ribellati in mille piccoli ciuffi, ma in fondo non gli importava: altri pensieri richiedevano la priorità. Il vento gelido di Marzo gli leniva la pelle, portando con sé una sensazione di fastidio insieme ad una di sollievo, dove le ferite pulsavano ancora. Girovagò a lungo senza una meta, cullandosi nel rombo della fedele compagna e nel calore all’altezza della gola datogli dal caffè bollente. Guidò per ore, tanto che il naso gli si era arrossato per il freddo, e capì il luogo in cui si trovava solo nel momento in cui il suono profondo delle onde lo invase come un richiamo. Senza accorgersene aveva ricercato la bellezza del mare di Santa Monica, dove i cavalloni si ergevano fieri per poi infrangersi sulla spiaggia in un trionfo di schiuma bianca, in una continua cantilena che lo faceva sentire bene. Alex prese posto sulla sabbia, distante dal bagnasciuga per non incontrare l’acqua ma sufficientemente vicino per godere dell’odore salato e pungente dell’oceano. Si stupì di vedere tante persone, anche in una giornata casuale ed invernale come quella, e si perse ad osservarle, con una sigaretta fra le dita e con il fumo a riempirgli i polmoni.
Una ragazzina di una decina d’anni più piccola di lui si intratteneva osservando le proprie impronte sulla riva, indifferente alla temperatura dell’acqua che a tratti incontrava i piedi nivei, sommergendoli fino alle caviglie. I capelli scuri e lunghi svolazzavano al vento, aggrovigliandosi senza che lei se ne accorgesse. Il ragazzo non poté fare a meno di immaginarsi Eileen con il suo sole e con i suoi calzini proprio lì, sulla spiaggia. Il naso arricciato e gli occhi stretti per una risata, forse per qualcosa di buffo che lui stesso le aveva appena riferito. La pensava felice e spensierata, con il mondo fra le mani, un futuro incerto ma brillante davanti, a cui non pensava mai, proprio come quella ragazzina incurante dell’inverno. Poco più indietro una coppia si teneva per mano, sorseggiando a tratti dai bicchieri di carta qualcosa di caldo e fumante. Anche da lontano era evidente che stessero parlando di loro, anche solo dal modo in cui si stringevano nelle spalle ed abbassavano lo sguardo imbarazzati. Ed Alex rivide Lana, con il suo modo protettivo di fare nei confronti dell’amica. Lei le stringeva spesso la mano o le avvolgeva la vita o le spalle con un braccio, volendo tenerla vicina, forse temendo quell’allontanamento che Eileen era solita attuare quando qualcosa diventava troppo complicato da affrontare.
Prese un profondo respiro, riempiendosi il petto del profumo salato di mare e quello un poco pungente dell’inverno californiano. Si accese poi un’altra sigaretta, almeno per intrattenere le dita in quel gesto ormai automatico. Poi continuò con l’esplorazione della spiaggia e delle figure lì presenti. Non tardò molto che la propria attenzione venne catturata da un signore anziano, dai capelli tutti bianchi e le mani affondate nelle tasche. Aveva l’aria serena di chi sa amare i piccoli dettagli, e di tanto in tanto vagava lo sguardo verso l’orizzonte, sorridendo quando un cavallone particolarmente imponente si ergeva nella distesa d’acqua. Solo un poco più tardi capì che la premura del vecchio era in realtà tutta per una bambina davvero piccola. La creaturina era infagottata a dovere in un cappottino pesante, in una cuffia con le buffe orecchie e il muso di panda a tenerle caldo il capo, e una sciarpa a completare l’opera avvolgendole il collo fine. Aveva le guance tutte rosse, compresa la punta del naso minuto, ma nonostante questo continuava a correre, scampando all’acqua che si estendeva lungo la spiaggia dopo che l’ennesima onda si era riversata coprendo tutto di schiuma. Alex si accorse di stare sorridendo, in un’eco della risata del vecchio per quella che doveva essere la nipotina. Il ragazzo collegò quella creatura di dolcezza al gattino più piccolo del suo sogno, chiedendosi se la vita che Eileen teneva in grembo sarebbe davvero cresciuta fino a diventare qualcosa di così indifeso e speciale. Non riusciva a figurarsela con il pancione da gravidanza ma la pensava meglio inginocchiata di fronte ad un bambino come la nipotina dell’anziano signore, a parlare con il suo tono di voce acuto, accarezzando con premura il piccolo viso tondo della propria prole. Alex riusciva a percepire il sapore zuccherino di una vita così tranquilla, scoprendo poi l’amaro del contrasto con la frenesia di quella attuale. I concerti gli rubavano tanto tempo, mesi passati lontano da una fissa dimora, ed intere ore d’areo per potervici tornare. Era il suo lavoro e la sua più grande passione, un sogno diventato realtà. Era lui. Poteva quasi avvertire la sensazione di tristezza per essersi perso qualcosa di importante, il primo passo, la prima parola di quella creaturina che, ne era sicuro, avrebbe avuto la stessa dolcezza della madre e il suo stesso colore di grano maturo nei capelli. Sarebbe stato così tanto assente in quell’insieme di vite intrecciate che dubitava di poter davvero sforzarsi di esserci, tirato lontano da quello che era il mondo dello spettacolo.
Si alzò di scatto, facendo velocemente qualche passo in avanti, ma fermandosi in tempo per darsi dello stupido. La bambina era inciampata sulla sabbia, finendo per piagnucolare per lo spavento, e lui era scattato senza nemmeno rendersene conto. Stette fermo, continuando a guardare la scena da lontano, mentre l’anziano signore le sorrideva con tranquillità, aiutandola a tirarsi su ed intrattenendola con una conchiglia appena trovata sulla riva. Alex poté sentire chiaramente le risate cristalline della piccola, prima di voltarsi per lasciarsi dietro il vecchio e la bambina, la coppia di innamorati e la ragazza impavida del freddo.  

Il tardo pomeriggio si estendeva su Los Angeles con un tramonto di un rosso intenso, lasciando intravedere la sfumature di rosa dietro le nuvole che promettevano un fine settimana sereno. Nonostante Alexander avesse appena spento il motore della propria motocicletta, il rumore meccanico delle automobili e quello stridente degli pneumatici sull’asfalto continuava a riempirgli le orecchie, infastidendolo un poco. Il lungo viaggio di ritorno l’aveva scosso per il freddo, tanto che avrebbe potuto giurare di sentirselo fino dentro alle ossa. La pelle doveva essere ricoperta da brividi e dalla pelle d’oca, ma era troppo distratto per accorgersene. Teneva lo sguardo puntato in alto, quasi volesse osservare la luna nascosta in quel quadro di arancioni accesi, ma, ad un occhio più attento, si poteva intuire che la sua attenzione fosse puntata sulla finestra del quinto piano di quel grattacielo. La luce si era appena accesa, confermando la presenza di qualcuno all’interno. Quasi si immaginava la ragazza, proprietaria dell’appartamento, sporgersi all’esterno per potere avere una visuale migliore dello spettacolo che il sole proponeva quella sera, incurante dell’aria fredda e pungente. Aspettò così tanto a lungo, continuando a fissare i vetri con insistenza, che il bagliore all’interno si spense. Si strinse nelle spalle, sospirando sonoramente e dandosi dello stupido – forse per la terza volta quel giorno. Si sentiva un vigliacco, un uomo che non era tale, a starsene lì, senza trovare il coraggio di affrontare quello da cui era scappato per tutta la mattina. Ma quei pensieri l’avevano seguito come un cane domestico, accompagnandolo nel sonno agitato e lungo la spiaggia dorata. Gli serviva del tempo per riordinare il proprio disordine ma adesso si disse che ne aveva avuto abbastanza. Si aspettò di vedersi estrarre le chiavi dal mezzo, sfilarsi il casco e passare le dita fra i capelli, mentre si dirigeva in quel luogo tanto studiato. Ma si accorse di essere rimasto immobile, nella medesima posizione di qualche minuto prima. E di nuovo si diede del codardo, anche solo per stare tardando così tanto. Prese un altro respiro, sentendo il freddo bruciargli la gola ed un bisogno malato di nicotina. Mantenne lo sguardo sull’ingresso del grattacielo per qualche altro minuto, scacciando via l’idea di fuggire ancora tanto da sentirsi pressoché pronto a separarsi dal proprio mezzo che, in qualche strano modo, gli dava sicurezza. Prima che potesse smontare o accendersi la sigaretta tanto desiderata, vide il portone aprirsi, quasi timido. Lo sguardo incollato a quel movimento lento, con una curiosità pungente. Si era completamente dimenticato degli altri inquilini e stava proprio per insultarsi mentalmente un'altra volta, quando riconobbe una figura femminile avvolta in un cappotto lungo. Si concesse mezzo secondo, prima di attribuire la sicurezza di quei gesti a Lana, che ora aveva preso a camminare lungo la strada. Si chiese se fosse semplice istinto o il sesto senso femminile a farla voltare verso la sua parte, con un’espressione fra l’ostile e il curioso. Poi la vide rilassare i lineamenti ma senza sorridere in alcun modo. Una distanza di vari metri, e una strada trafficata, li separava, rendendo i dettagli confusi. La ragazza lo guardò per vari secondi, prima di tastare le tasche del cappotto per estrarne quello che sicuramente era un cellulare. Armeggiò per qualche secondo, con il capo chino sull’apparecchio e con la sfacciataggine di non lasciarsi andare al dubbio sulla presenza o meno di Alex. Quando finalmente rialzò lo sguardo, ripuntandolo con interesse verso la sua parte, lui sentì la propria giacca vibrare. Aggrottò le sopracciglia, mentre ricercava il proprio telefono nella tasca interna, dando un ultima occhiata a Lana che teneva il suo vicino all’orecchio. La imitò, affrettandosi a rispondere per primo, senza nemmeno salutare.
«Sto per ascoltare una ramanzina, o qualche insulto…?»
«Turner, mi stai servendo l’occasione su un piatto d’argento.» Lo interruppe, con un tono vagamente divertito, poi continuò:
«Ma devo rimandare.» Chiarì, facendosi più seria, tanto da lasciare che Alex si concedesse un sospiro di sollievo. Non era pronto a farsi dare dello stupido da qualcun altro, l’aveva già sentito sufficientemente  da se stesso. Si riprese da quel pensiero appena in tempo per avvertire chiaramente il sospiro pesante della ragazza. Non ricordava di averla mai sentita lasciarsi andare a qualcosa di tanto miseramente umano, sempre così composta ed impettita nel proprio orgoglio, in grado di mantenere il controllo nelle situazioni più difficili. Lo prese come un avvertimento, preparandosi mentalmente per le parole successive.
«Tieni ancora a lei? Dopo quello che ti ha detto?» Quelle domande lo colpirono in pieno petto, dando vita ad un principio di nausea.
«Certo, come puoi anche solo pensare –» Venne interrotto di nuovo, senza alcun riguardo, e quasi incominciava ad infastidirsi.
«Dovevo chiedere. Tu sei una rockstar, lei una ragazza qualunque piena di problemi da risolvere.» Alex venne preso da una voglia irrefrenabile di chiudere la comunicazione così distaccata per smontare dalla moto – sopra cui era ancora seduto – ed attraversare la strada, impavido delle auto che continuavano a sfrecciarvi, ma concesse lei qualche altro minuto.
«Dove vuoi arrivare, Lana?» Le disse allora, visibilmente seccato.
«Ricordi quando ti ho raccontato dei pezzi della vita di Eileen?» Annuì, sicuro di poter essere visto anche da quella distanza.
«Sono quasi tutti al loro posto e lei si sente fiduciosa dopo anni. Forse non glielo devi, ma puoi aiutarla con i più importanti.» Pausa. «Anche se tu non ne farai parte.» Concesse infine, prima di chiudere la chiamata senza dargli il tempo di aggiungere qualcosa. Rispetto alla scena precedente, non si sentì infastidito, ma quasi grato. Non avrebbe saputo davvero aggiungere qualcosa, non in un tempo breve e non senza inciampare nelle parole. Si stupì solo di essere stato spinto ad inseguire la decisione che, in realtà, aveva già preso.
Vide la ragazza guardarlo per qualche altro secondo, per poi entrare con eleganza in un taxi che aveva appena accostato di fronte a lei. Non aspettò oltre, smontò, rigirandosi fra le mani le chiavi nel loro suono metallico, deciso a rivedere Eileen per rendersi disponibile a ricomporre il quadro della sua vita, per quanto gli fosse concesso.

 

Mi ritaglio un angolino qua giù per darvi qualche spiegazione. Vi prego di prendere i tempi come qualcosa di romanzato. Eileen dovrebbe essere incinta più o meno di tre mesi, dove il ventre ancora non è sviluppato tanto da essere evidente. Lascio a voi il resto dei conti. Non voglio nemmeno sminuire troppo la storia non poco difficile che la ragazza ha avuto in precedenza, il cui tema può essere visto come delicato. Insomma, ripeto, è abbastanza romanzato, ma l’idea principale era questa e non mi sentivo in grado di cambiarla all’ultimo momento.
Dopo questo piccolo papiro vi avverto che solo tre capitoli ci separano dalla fine.
Ringrazio come sempre chi sta leggendo (anche i più silenziosi!) e chi recensisce.

 
  
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